Da http://www.anarchaos.org/2008/08/dichiarazione-di-claude-francois-etievant-alle-asse-di-varsailles-del-27-luglio-1892/

Dichiarazione di Claude-Francois Etievant alle Asse di Varsailles del 27 luglio 1892

Articolo di Michele Fabiani

E’ il 27 luglio 1892, quando, alle Assise di Varsailles compaiono imputati Chevenet, Faugoux, Drouet ed Etievant. Sono accusati del furto e del possesso della dinamite con la quale Ravachol, con l’aiuto dei suoi compagni, l’11 marzo 1892 distruggeva l’abitazione del Magistrato Benoit, senza provocare vittime, per colpire ancora il 27 marzo il palazzo dove viveva il Procuratore Generale Bulot, uccidendo due vicini di casa; era la dura vendetta contro chi aveva presieduto e condannato, a 5 anni e a 3 anni di carcere, gli anarchici arrestati in seguito agli scontri del 1 maggio ’91.

Il 26 aprile cominciava il primo dei due processi contro Ravachol, che lo portarono sulla ghigliottina, il giorno prima, 25 aprile 1892 saltava in aria il Ristorante Very, dove Ravachol, probabilmente tradito da un bicchiere di troppo, subito dopo il suo secondo attentato era andato a festeggiare: morivano sotto le macerie l’infame proprietario, che lo aveva denunciato, e un innocente.

Tutto questo accadeva grazie all’uso della dinamite in questione; il processo di cui parliamo è del tutto secondario, un’appendice burocratica con la quale la magistratura francese colpiva gli autori materiali di quel furto. Gli imputati non diventeranno famosi come lo sono oggi Ravachol, Sante Caserio, Gaetano Bresci, Renzo Novatore, Bruno Filippi, sono piuttosto ancora al buio dell’ombra di oltre un secolo di polemiche, tra chi considera Ravachol un martire dell’insurrezionalismo anarchico e chi piuttosto lo ritiene un terrorista assassino, un delinquente comune (al momento dell’arresto era latitante e accusato di 4 omicidi e di innumerevoli furti) che copriva i suoi crimini dietro rivendicazioni libertarie.

Di questi quattro sconosciuti uno meriterebbe particolare attenzione, non per il ruolo sovversivo, quanto per le sue dichiarazioni e per il suo atteggiamento di continua polemica e sfida ribelle durante tutto il processo: Claude-Francois Etievant. Un giovane ventottenne dall’animo incorruttibile e dalla grande cultura, che, come dichiarò in udienza, si era formato da autodidatta.

La sua posizione penale è la meno grave, non ha partecipato al furto della dinamite, nè agli attentati, ha solamente custodito l’esplosivo per qualche giorno, anche se dichiarò che se anche avesse saputo a quele uso era destinata non avrebbe minimamente esitato nell’acconsentire alle richieste dei compagni. Rivolto al Giudice “Alzatevi voi! Perché non vi alzate voi? voi che avete il bisogno di interrogarmi?”, si rifiuta di parlare per tutto il processo, tranne in una dichiarazione.

Verrà in fine condannato a 5 anni di galera, ma quella che ci lascia è un’importante riflessione filosofica e politica che non merita di essere dimenticata.

“Nessuna idea è innata: tutte ci vengono coll’aiuto dei sensi, dall’ambiente in cui viviamo. Ciò è tanto vero che se ci manca uno dei sensi, noi non possiamo farci nessuna idea dei fatti che a questo senso corrispondono. Per esempio, mai un cieco di nascita potrà farsi una idea della diversità dei colori, perché esso manca della ricettività necessaria a percepir l’irradiazione degli oggetti.

Inoltre, secondo le nostre attitudini, attitudini che portiamo nascendo, noi possediamo, vuoi in un ordine di idee, vuoi in un altro, una facoltà di assimilazione più o meno grande, proveniente dalla più o meno grande facoltà di ricettività che abbiamo a questo soggetto.

Così, per esempio, gli uni imparano facilmente le matematiche, e gli altri hanno un’attitudine maggiore per la linguistica. Questa facoltà di assimilazione che è in noi, può svilupparsi in una proporzione variante all’infinito da una persona all’altra, in seguito alla molteplicità di sensazioni analoghe percepite.

Ma, nello stesso modo che se ci serviamo quasi esclusivamente delle braccia, queste acquisteranno una forza maggiore, a spese d’altre membra o parti del corpo e diventeranno più atte a compiere la loro funzione a misura che le altre diventeranno meno atte: del pari, più la nostra facoltà d’assimilazione si eserciterà in seguito alla molteplicità delle sensazioni analoghe sviluppate in un ordine d’idee, più relativamente all’insieme delle nostre facoltà, noi presenteremo delle forze di resistenza alle assimilazioni di idee provenienti da un ordine avverso.

Si è così che, se noi siamo giunti a credere tale cosa o tale idea vera e buona, ogni idea contraria ci urterà e noi presenteremo alla sua assimilazione una grandissima difficoltà; mentre questa stessa idea sembrerà ad un altro così naturale e così giusta che egli non possa figurarsi che si possa pensare diversamente. Ciò posto ed ammesso, siccome ogni azione è il risultato di una o più idee, diviene evidente che per giudicar un uomo, per giungere a conoscere la sua responsabilità nel compimento di un’azione, bisogna poter conoscere ciascuna delle sensazioni che hanno determinato il compimento di questa azione, apprezzarne l’intensità, sapere quale facoltà di ricettività o quale forza di resistenza ciascuna ha potuto incontrare in lui, come pure il periodo di tempo durante il quale esso sarà stato sottoposto all’influenza d’ognuna prima, di parecchie di seguito e di tutte dopo.

Ora, chi vi darà la facoltà di percepire e di sentire ciò che gli altri percepiscono e sentono, oppure hanno percepito e sentito?

Come potete giudicare un individuo se non potete conoscere esattamente le cause determinanti dei suoi atti?

E come potete conoscere queste cause, tutte queste cause, del pari che le relazioni tra di esse, se non potete penetrare gli arcani della sua mente ed identificarvi a lui in modo da conoscere perfettamente il suo IO?

Bisognerebbe conoscere il suo temperamento meglio di quanto sovente si conosce il proprio: di più, avere un temperamento simile, sottomettersi alle stesse influenze, vivere nello stesso ambiente durante lo stesso periodo di tempo; unico mezzo per rendersi conto del numero e della forza delle influenze di questo ambiente, comparativamente alla facoltà d’assimilazione che queste influenze hanno potuto incontrare in questo individuo.

C’è dunque l’impossibilità di giudicare esattamente le influenze alle quali obbediscono e la forza delle sensazioni determinanti dei loro atti, rispettivamente alle loro facoltà di assimilazione o alla loro forza di resistenza.

Ma se quest’impossibilità non esistesse, noi non arriveremmo tutt’al più che a renderci conto del giuoco delle influenze alle quali essi avrebbero obbedito, della relazione esistente tra esse, della più o meno grande forza di resistenza che essi avrebbero da opporle, dalla maggiore o minore potenza di disposizione di subire queste influenze; ma con ciò noi non potremmo conoscere la loro responsabilità nel compimento di un atto, e ciò per la buona e bellissima ragione che la responsabilità non esiste. [...]

Perché la responsabilità esistesse, bisognerebbe che la volontà dominasse le sensazioni, nello stesso modo che queste determinano le idee e queste l’atto. Ma invece sono le sensazioni che determinano la volontà, che in noi e che la dirigono. Per il fatto che la volontà non è il desiderio che noi abbiamo del compimento di una cosa destinata a soddisfare uno dei nostri bisogni, vale a dire a procurarci una sensazione di piacere, ad allontare una sensazione di dolore, e conseguentemente, bisogna che queste sensazioni siano, o siano state percepite affinchè nasca in noi la volontà.

E la volontà, creata dalle sensazioni, non può essere cangiata che da altre sensazioni, cioè non può prendere un’altra direzione, se non quando nuove sensazioni producono in noi un nuovo ordine di idee o modificano in noi l’ordine di idee preesistenti.

Ciò è stato riconosciuto in tutti i tempi, e voi stessi lo riconoscete tacitamente; per il fatto che, far difendere davanti a voi il pro e il contro, non è altro che provare delle sensazioni nuove, arrivantevi per mezzo dell’organo dell’udito, possono far nascere in voi la volontà di agire in altro modo, o modificare la vostra volontà preesistente.

Ma, come ho detto da principio, se si è abituati a considerare la tal cosa o la tal idea come buone e giuste, ogni idea contraria ci urterà e presenteremo alla sua assimilazione una grandissima forza di resistenza.

E’ per questa ragione che le persone attempate adottano più difficilmente le idee nuove, atteso che nel corso della loro esistenza esse hanno percepito una moltitudine di sensazioni emananti dall’ambiente nel quale sono vissute, e sono state indotte a considerare come buone le idee conformi alla concezione generale di questo ambiente sul giusto e sull’ingiusto.

E’ per questa ragione che la nozione del giusto e dell’ingiusto ha variato continuamente nel corso dei secoli, e che anche oggidì, essa differisce tanto da clima a clima, da popolo a popolo e da uomo ad uomo. E, siccome queste concezioni non possono essere che relativamente buone e giuste, noi dobbiamo concludere che una gran parte dell’umanità, se non tutta, sbaglia ancora su questo concetto.

E’ ciò che ci spiega che ugualmente perchè il tale argomento che convincerà uno lascerà l’altro indifferente.[...]

Ora, siccome non possiamo essere responsabili della più o meno grande facoltà di assimilazione che abbiamo per un ordine di sensazioni o per un altro, nè dell’esistenza e dell’inesistenza dell’influenza degli ambienti in cui viviamo e delle sensazioni che ci provengono da esso, nè della loro relatività e della nostra più o meno grande facoltà di ricettività o di resistenza; così noi non possiamo nemmeno essere responsabili del risultato di questa relatività adesso che essa è, non solo indipendente dalla nostra volontà, ma anzi, è essa che la determina. Dunque ogni giudizio è impossibilie, ed ogni ricompensa, come ogni punizione, è ingiusta, per quanto minima essa sia, e per quanto possa essere il beneficio oppure il misfatto.

Non si possono dunque giudicare gli uomini e nemmeno gli atti, a meno di avere un criterio sufficiente. Ora questo criterio non esiste. In ogni modo non è nelle leggi che si potrebbe trovarlo, per il fatto che la vera giustizia è immutabile e le leggi sono cangianti. Se queste leggi sono buone, perché dei deputati e dei senatori per cangiarle? E, se sono cattive, perché dei magistrati ad applicarle?

Per il fatto stesso della sua nascità ogni essere ha diritto di vivere e di essere felice. Questo diritto di andar, di venire liberamente nello spazio, il suolo sotto i piedi, il cielo sul capo, il sole negli occhi, l’aria nel petto lo si contesta a milioni di esseri umani.

Questi milioni di diseredati hanno perso la terra – madre e nutrice di tutti – non possono fare un passo dritto o a sinistra, mangiare o dormire, godere dei loro organi, soddisfare i propri bisogni e vivere, senza il permesso di altri uomini; la loro vita è sempre precaria, alla mercè dei capricci di quelli che sono diventati loro padroni.

Essi non possono andare o venire nel gran dominio umano senza incontrare ad ogni passo una barriera, senza essere fermati da queste parole: non andate in questo campo, esso è del tale; non andate in questi boschi essi appartengono a Caio; non raccogliete questi frutti; non pescate questi pesci, essi sono di proprietà di Tizio.

E se essi domandano: ma allora noi, cosa abbiamo dunque?

-Nulla! verra loro risposto.

-Voi avete nulla!

E, fin da che erano piccini, per mezzo della religione e delle leggi hanno foggiato loro il cervello in modo che accettino sonza mormorar questa grande ingiustizia

-Le radici della piante si assimilano il succo della terra, ma il prodotto non è per voi! Loro viene interdetto.

-La pioggia vi bagna come gli altri, ma non è per voi che essa fa crescere i raccolti, ed il sole non dardeggia che per dorare il grano e far maturare dei frutti che voi non assaggerete!

La terra gira attorno al sole e presenta alternativamente ciascuna delle sue facce all’influenza vivificante di questo astro, ma questo grande movimento non si fa a profitto di tutte le creature; per il fatto che la terra appartiene agli uni, non agli altri. Degli uomini l’hanno comperata con il loro oro e con il loro argento. Ma con quale sotterfugio, poiché l’oro e l’argento fanno parte della terra!

Come è possibile che una parte del tutto possa valere quanto il tutto! Come è possibile se hanno comperato la terra col loro oro, che essi abbiano ancora tutto l’oro?

Mistero!

E queste foreste immense, sepolte da milioni di secoli da rivoluzioni geologiche, essi non possono averlo comperate, ne averle ereditate dai loro padri perché allora non c’era ancora nessuno sulla terra.

Sono loro proprietà lo stesso, per il fatto che dalle viscere della terra, dal fondo dell’oceano fino alle più alte sommità dei grandi monti tutto loro appartiene; è affinché un altro possa dare un palazzo alla sua amante che le rivoluzioni geologiche hanno avuto luogo. E’ affinchè essi possano tracannare dello champagne che queste foreste si sono lentamente convertite in carbon fossile.

E se i diseredati domandano: come faremo noi a vivere se abbiamo diritto a nulla? Rassicuratevi, verrà loro risposto; i proprietari sono brava gente e per poco che voi siate savi, che voi obbediate ad ogni loro volontà, essi vi permetteranno di vivere, in cambio voi dovrete coltivare i loro campi, costruire le loro case, fare il loro abito, tosare le loro pecore, potare i loro alberi, fare delle macchine, dei libri; in una parola, procurar loro tutti i godimenti fisici ed intellettuali ai quali essi soli hanno diritto.

Voi dovrete vivere in grazia loro e a condizione che lavoriate per essi. Essi vi dirigeranno; essi vi guarderanno a lavorare, essi godranno del vostro lavoro per il fatto che essi ne hanno diritto.[...]

Guai a voi se la malattia vi atterra, se, giovani o vecchi, siete troppo deboli per produrre a soddisfazione dei possidenti. Guai a voi se non trovate a chi vendere il vostro cervello, le vostre braccia, il vostro corpo; voi precipiterete di abisso in abisso; vi si farà un delitto dei vostri stracci, un obbrobrio dei vostri stiracchiamenti di stomaco, la società intera vi lancerà l’anatema e l’autorità, intervenendo colla legge alla mano, vi griderà: Guai ai senza casa, guai a chi non ha un letto per riposare il capo, guai a chi non ha un giaciglio per riposare le membra indolenzite; guai a chi si permette di aver fame quando gli altri hanno mangiato troppo, guai a chi ha freddo quando gli altri hanno caldo, guai ai vagabondi, guai ai vinti! E dessa la legge li colpirà per essersi permesso di avere nulla, quando gli altri hanno tutto.

E’ giustizia dice la legge.

Ciò è un delitto, risponderemo noi, non deve essere, ciò non deve essere, ciò deve cessare di esistere, per il fatto che ciò non è giusto. Troppo lungo tempo gli uomini hanno accettato per regola morale l’espressione della volontà dei forti e dei potenti; troppo lungo tempo la malvagità degli uni ha trovato dei complici nell’ignoranza e nella vigliaccheria degli altri; troppo lungo tempo gli uomini sono rimasti sordi alla voce della ragione, della giustizia e della natura; troppo lungo tempo essi hanno preso la menzogna per verità. Ed ecco cosa è la verità

Cosa è la vita se non un perpetuo movimento di assimilazione e di dissimulazione che incorpora agli esseri le molecole della materia sotto le sue diverse forme e gliele strappa tosto per combinare di nuovo in mille altri modi?

Un perpetuo movimento di azione e di reazione fra l’individuo e l’ambiente cosmico che si compone di tutto ciò che non è lui; tale è la vita. Colla sua azione continua, l’insieme degli esseri e delle cose tende perpetuamente all’assorbimento dell’individuo, alla disgregazione del suo essere, alla sua morte.

La natura non fa del nuovo che col vecchio; sempre essa distrugge per creare; essa non fa mai sortire la vita che dalla morte, e bisogna che essa uccida ciò che è per dar vita a ciò che sarà. La vita non è dunque possibile all’individuo che mediante una perpetua reazione di lui stesso sull’insieme degli esseri e delle cose che l’attorniano. Egli non può vivere che a condizione di combattere la dissimulazione che egli fa subire tutto ciò che esiste con l’assimulazione di nuove molecole che egli deve prendere in prestito da tutto ciò che esiste.[...]

Perché evrebbero essi tutti questi organi se non dovessero servirsene? se non avessero il diritto di di farne uso?

Perché dei polmoni, se non per respirare? perché degli occhi, se non per vedere?perché un cervello, se non per pensare? perchè uno stomaco se non per digerire il cibo? Si, è così; coi nostri polmoni noi abbiamo il diritto di respirare; col nostro stomaco abbiamo il diritto di mangiare; col nostro cervello abbiamo il diritto di pensare; colla nostra lingua abbiamo il diritto di parlare; colle nostre orecchie abbiamo il diritto di udire; coi nostri occhi abbiamo il diritto di vedere; colle nostre gambe abbiamo il diritto di andare e venire. [...]

Così colle nostre gambe noi abbiamo il diritto a tutto lo spazio che possiamo percorrere; coi nostri polmoni a tutta l’aria che possiamo respirare; col nostro stomaco a tutto il cibo che possiamo digerir; col nostro cervello a tutto ciò che possiamo pensare ed assimilare dei pensieri degli altri; e noi abbiamo diritto a tutto ciò perché noi abbiamo diritto alla vita e perché tutto ciò costituisce la vita.
Quelli sono i veri diritti dell’uomo.

Nessun bisogno di decretarli: essi esistono come esiste il sole.

Essi non sono scritti in nessuna costituzione, in nessuna legge, ma essi sono scritti a caratteri indelebili nel gran libro della natura, ed imprescrittibili.

Dal moscerino all’elefante, dal filo d’erba alla quercia, dall’atomo alla stella, tutto lo proclama. Ascoltate la grande voce della natura, essa vi dirà che in essa tutto è solidale, che è il movimento generale, eterno, che è la condizione della vita per ciascuna delle creature. I movimenti degli infinitamente piccoli come quelli degli infinitamente grandi si percuotono e reagiscono indefinitivamente gli uni sugli altri. E poiché tutto reagisce sopra di noi, noi abbiamo diritto di vivere e la vita non è possibile che a questa condizione.

Col fatto della nostra nascita noi diventiamo comproprietari dell’universo intero, e noi abbiamo diritto a tutto ciò che è, a tutto ciò che è stato, a tutto ciò che sarà. Ciascuno di noi acquista con la propria nascita diritto a tutto, senz’altri limiti che quelli che la natura stessa gli ha posti, vale a dire il limita delle sue facoltà di assimilazione.

Orbene voi dite: Questo campo è mio, questo bosco è mio, questa sorgente è mia, questo lago è mio, queste praterie, questi raccolti, queste case sono miei.

A voi che dite ciò, io rispondo:”Quando voi avrete fatto in modo che la vostra proprietà – frazione di questo grande tutto che mi spinge al pari di voi verso la tomba con la sua azione costante sul mio organismo – cessi di spingermi, io riconoscerò che voi soli avete diritto di goderne. Ma fino a quando l’umidità agirà su di me come su di voi, la sorgente ed il lago saranno miei come vostri.

Sappiate che un uomo di vent’anni non ha in se una sola molecola che costituiva il suo corpo dieci anni prima. Così, quando voi non avrete fatto in modo che noi possiamo, noi reietti, i paria, viver senza assimilarci tutto, noi avremo il diritto come voi a questo grande tutto, ed a ciascuna delle sue parti, per il fatto che noi siamo nati come voi, siamo simili a voi, noi abbiamo degli organi e dei bisogni come voi e noi abbiamo diritto alla vita ed alla felicità come voi. [...]

E se voi dite che tale cosa è vostra perché l’avete ereditata, io risponderò che coloro che ve l’hanno lasciata non ne avevano il diritto. Essi avevano di diritto di godere dell’universalità dei beni durante la loro vita come noi abbiamo il diritto di goderne la nostra, ma essi non avevano il diritto di esporne dopo la loro morte; perché nello stesso modo che colla nascita acquistiamo il diritto a tutto, colla nostra morte perdiamo tutti i nostri diritti, perché allora abbiamo più bisogno di nulla.

Con quale diritto un aggregato di molecole vorrebbe impedire alle proprie molecole di riaggregarsi in un modo piuttosto che in un altro? Con quale diritto ciò che fu vorrebbe impedire ciò che sarà?

Come! per un uomo la cui vita non fu che un minuto nell’immensità dei tempi, ha abitato un lembo di terra, ne potrebbe disporre per l’eternità? C’è qualche cosa di più stupido di questa pretensione d’un essere effimero facente dei doni perpetui a degli esseri, a delle istituzioni passeggere? [...]

E se voi mi dite che avevano diritto di disporne, perché ciò era una parte del prodotto del loro lavoro che avevano economizzato, io vi risponderò che essi non hanno consumato tutto il prodotto del proprio lavoro è perché potevano farne a meno; se essi non ne avevano bisogno, non avevano diritto, e conseguentemente non potevano disporne in vostro favore, e cedervi dei diritti che essi non avevano. Il diritto cessa dove cessa il bisogno. Parimenti, se voi mi dite che la tal cosa è la vostra perché l’avete comprata, io risponderò che quelli che ve l’hanno venduta non aveva il diritto di vendervela. Essi avevano il diritto di goderne secondo i loro bisogni, come noi abbiamo il diritto di goderne secondo i nostri. Essi avevano il diritto di provarsi della loro parte di godimenti e di vita, ma non toglierci la nostra: essi potevano rinunziare alla felicità per se, ma non per noi, e noi non dobbiamo rispettare alle trasizioni che ebbero luogo all’infuori di noi e contro il nostro diritto.

La natura ci dice: prendi, non compera. In ogni compera vi è un ingannatore ed un ingannato, uno che tira profitto dalla transizione, mentre l’altro è leso. Ma se ciascuno prende ciò di cui ha bisogno, nessuno è danneggiato, attesoché ciascuno avendo ciò di cui abbisogna, ha parimenti tutto ciò di cui ha diritto.

La transizione comerciale è sicuramente una delle principali cause di corruzione per l’umanità.

Non è inutile osservare a questo proposito che, tutto ciò che, nel funzionamento sociale presente, è contrario alle regole della filosofia naturale, è nello stesso tempo una sorgente di mali e di deliti, e che se tutti gli individui avessero a loro disposizione la loro universalità dei beni, se essi avessero la certezza di avere, come hanno diritto, i nove decimi dei delitti scomparirebbero, per il fatto che hanno per movente ciò che voi chiamate furto.

Bisogna convincersi bene di questa verità che, dall’istante in cui un uomo vende qualche cosa, sì è perché non ne ha bisogno; e dall’istante che non ne ha bisogno, non ne ha diritto di esporne e di impedire quelli che ne hanno bisogno di impossessarsene, perché, pel fatto stesso che ne hanno bisogno, essi ne hanno diritto.

Del pari che il furto, coll’applicazione delle nostre teorie filosofiche, scomparirebbe la prostituzione. Una donna per qual motivo si dovrebbe prostituire, quando avesse a sua disposizione tutto ciò che può assicurarle l’esistenza e la felicità? e in qual modo un uomo potrebbe comperarla quando non potrenne darle che ciò che essa avrebbe diritto di avere? tutti i delitti, tutti i vizi, sparirebbero del pari, perchè sarebbero sparite le loro cause. L’essere umano non è sano e completo che col libero esercizio della sua piena volontà.

Di dove provengono la menzogna, la simulazione, l’astuzia, se non dal costringimento imposto agli uni dagli altri? Sono le armi dei deboli, ed i deboli vi ricorsero perché i forti li costringono.

La menzogna non è il vizio del bugiardo, bensì di colui che costringe a mentire. Togliete l’obbligo, il costringimento, il castigo, e vedremo se il bugiardo non dice la verità. Gli uni cessino di contestare agli altri il diritto alla vita, alla felicità e la prostituzione, l’assassinio spariranno, perché gli uomini nascono tutti ugualmente liberi e buoni. Sono le leggi sociali che li fanno cattivi ed ingiusti, schiavi o padroni, spogliati o spogliatori, carnefici o vittime. Ogni uomo è un essere autonomo, indipendente, e perciò l’indipendenza di ognuno deve essere rispettata. Qualunque attacco alla nostra libertà naturale, qualsiasi obbligo è un delitto che chiama la ribellione.

So bene chi il mio ragionamento somiglia in nulla all’economia politica insegnata dal signor Leroy-Beaulieu, nè alla morale di Maltus, nè al socialismo cristiano di Leone XIII che predicava la rinunzia alle ricchezze in mezzo ai mucchi d’oro. So benissimo che la filosofia naturale è completamente contraria a tutte le idee ricevute, siano religiose, siano morali, siano politiche. Ma il suo trionfo è assicurato, perché essa è superiore a qualunque teoria filosofica, a qualunque altra concezione morale. “Perchè essa rivendica nessun diritto per gli uni senza rivendicarlo ugualmente per gli altri; perché essendo l’ugualianza assoluta, porta in se stessa l’assoluta giustizia”. Essa ha nulla in comune colla morale a doppio taglio che ha corso fra gli uomini d’oggi, morale facente siì che una cosa sia buona o cattiva a secona delle latitudini e delle longitudini.

Essa, per esempio, non proclama che il fatto di impossessarsi di una cosa e di non lasciare al suo posto che il cadavere del proprietario precedente è, ora spaventevole, ora sublime. Spaventevole se l’atto ho luogo nei dintorni di Parigi, sublime se ha luogo di Huè o di Berlino. E poiché la filosofia naturale non ammette nè punizione nè ricompensa, non reclama nel primo caso, la ghigliottina per gli uni e l’apoteosi per gli altri.[...] Il bene è ciò che ci fa del bene, ciò che ci cagiona delle sensazioni di piacere, e poiché sono le sensazioni che determinano la volontà, il bene è ciò che vogliamo, il male è ciò che non ci fa del bene. Fa ciò che vuoi. Ecco l’unica legge che la nostra giustizia riconosce, perché essa proclama la libertà di ognuno nell’ugualianza di tutti.

[...]

L’umanità ha sempre avuto la coscienza latente che essa non sarebbe felice e che tutte le belle qualità della natura non potrebbero sbocciare che nel comunismo.

L’età dell’oro degli antichi era basata sulla proprietà comune, e mai venne in pensiero alle nature superiori poetizzanti il passato, che la felicità degli uomini fosse compatibile colla proprietà individuale.

Malgrado tutti i bavagli, la parola della verità risuonerà sulla terra e gli uomini trasalirranno ai suoi accenti, essi si alzeranno al grido di libertà per essere gli artigiani della propria felicità. Di modo che noi siamo forti della nostra stessa debolezza, perché, qualsiasi cosa possa accadere di noi, noi vinceremo.

La nostra servitù insegna agli uomini che essi hanno diritto alla ribellione; la nostra prigionia insegna che essi hanno diritto alla libertà; e colla nostra morte essi imparano che hanno diritto alla vita. Quando fra pochi istanti ritorneremo in prigione, e voi ritornerete alle vostre famiglie, gli spiriti superficiali penseranno che noi siamo i vinti. Errore! noi siamo gli uomini dell’avvenire e voi siete gli uomini del passato.

Noi siamo domani e voi siete ieri. Ed è in potere di nessuno l’impedire al minuto che passa di avvicinarsi a domani ed allontanarci da ieri. Ieri ha sempre voluto impedire la via a domani e sempre egli è stato vinto nella sua stessa vittoria, perché il tempo che ha impiegato a vincere l’ha avvicinato alla sua disfatta.

E’ lui che ha fatto bere la cicuta a Socrate che ha fatto ritrattare Galileo colla tortura; che ha abbruciato Jean Huss, Etienne Dolet, Gulielmo di Praga, Giordano Bruno; che ha ghigliottinato Hèbert, Babeuf; che ha avvelenato Blanqui; che ha fucilato Flourens e Ferré.

Come si chiamavano i giudici di Socrate e quelli di Galileo, quelli di Jean Huss, quelli di Giordano Bruno, quelli di Etienne Dolet, quelli di Hebert, di Babeuf, di Bluanqui, di Flourens, di Ferré? Nessuno lo sa. Essi sono il passato, essi erano già morti quando vivevano. Essi non hanno nemmeno avuto la gloria di Erostrato, montre Socrate è eterno, Galileo è ancora in piedi, Giovanni Huss esiste, Gulielmo di Praga, Giordano Bruno, Stefano Dolet, Hèbert, Babeuf, Blanqui, Flourens, Ferré vivono.

Perciò noi siamo felici nella nostra sventura, trionfanti nella nostra miseria, vincitori nella nostra disfatta. Noi siamo felici qualunque cosa accada, perché noi siamo certi che al soffio dell’idea rinnovatrice altri esseri giungeranno alla verità, altri uomini riprenderanno il nostro compito interrotto e lo condurranno a buon fine; per ultimo, siamo convinti che verrà giorno in cui l’astro che indora le messi, brillerà sull’umanità senza eserciti, senza cannoni, senza frontiere, senza barriere, senza prigioni, senza magistrature, senza polizia, senza legge e senza dei.

Liberi intellettualmente e fisicamente, e riconciliati con la natura e con loro stessi, gli uomini potranno finalmente spegnere la loro sete di giustizia nell’armonia universale.

Cosa importa che l’armonia di questo grande giorno sia incorporata dai bagliori dell’incendio, cosa importa che al mattino di questo giorno la rugiada sia sanguinosa! La tempesta è utile alla purificazione dell’atmosfera. Il sole è più raggiante dopo l’uragano.

Ed egli brillerà, ed egli dardeggerà, il bel sole della libertà, e l’umanità sarà felice. Allora, ognuno riparando la propria felicità dietro la felicità di tutti, più nessuno farà il male perché a fare il male nessuno ci troverà interesse. L’uomo libero nell’umanità libera, potrà camminare senza ostacoli, di conquista in conquista, a profitto di tutti, verso l’infinito dell’intellettualità.