Engels, Friedrich

www.treccani.it

Filosofo e uomo politico tedesco (Barmen 1820 - Londra 1895).

Vita e opere.

Figlio di un industriale, crebbe in ambiente familiare politicamente conservatore e di religione pietista, ma ben presto si mostrò ansioso di una vita più libera. A Brema, dove nel 1838 il padre lo mandò a fare il suo tirocinio commerciale, E. poté osservare la condizione degli operai. Si entusiasmò per la Burschenschaft (associazione patriottica studentesca) e poi per la Giovane Germania; infine, in seguito alla lettura di D. F. Strauss, aderì alle idee della sinistra hegeliana. Nel 1841, a Berlino, dove si trovava per prestare il servizio militare, entrò in contatto diretto coi giovani hegeliani. Condusse la polemica contro il vecchio Schelling, che era stato chiamato all’univ. di Berlino non senza intenti politici antidemocratici. Dei suoi scritti antischellinghiani, svolti dal punto di vista del radicalismo filosofico della sinistra hegeliana, il più notevole è l’opuscolo Schelling und die Offenbarung (1842; trad. it. Anti-Schelling). Negli ultimi mesi del 1842, passò dal radicalismo dei giovani hegeliani al comunismo umanistico e moraleggiante di Moses Hess.

Alla fine del novembre 1842 partì per Manchester, per completarvi il suo tirocinio commerciale presso una fabbrica tessile di cui il padre era comproprietario. Questo soggiorno in Inghilterra fu basilare per la formazione politico-ideologica di E.: egli studiò la situazione sociale dell’Inghilterra del tempo, la condizione della classe operaia, la sua azione politica. Il risultato di queste sue esperienze fu una prima elaborazione dei temi della lotta di classe, del ruolo decisivo del fattore economico nella storia, del rovesciamento del sistema capitalistico, della critica dell’economia politica classica e del suo presupposto ideologico: gli Umrisse zu einer Kritik der Nationalökonomie (1844; trad. it. Lineamenti di una critica dell’economia politica), apparsi nei Deutsch-Französische Jahrbücher, testimoniano (come lo stesso Marx riconobbe) che E. era pervenuto in modo autonomo alle idee essenziali del materialismo storico.

Iniziò così la fraterna amicizia con Marx, che durò fino alla morte di questo; oltre che collaborare sul piano scientifico, i due si dedicarono insieme all’organizzazione del movimento socialista, dapprima (1845) a Bruxelles, nei Comitati di corrispondenza della Lega dei giusti, quindi (1847) alla direzione della Lega dei comunisti. Con Marx E. redasse Die heilige Familie (1845; trad. it. La sacra famiglia), Die deutsche Ideologie (post., 1932; trad. it. L’ideologia tedesca), lo stesso Manifest der kommunistischen Partei (1848; trad. it. Il manifesto del partito comunista).

Nel 1848 partecipò ai moti rivoluzionari in Germania; poi proseguì l’attività organizzativa in Svizzera, Italia, Inghilterra.

Nel 1850 si stabilì a Manchester e iniziò a lavorare presso l’azienda paterna, attività che gli consentì di sostenere economicamente Marx. Partecipò quindi, sia pure indirettamente, alla nascita della Prima Internazionale (1866).

Nel 1870 si stabilì a Londra, per stare in contatto diretto con Marx, e negli anni seguenti tornò a dedicarsi anche al lavoro teorico, pubblicando in partic. l’Anti-Dühring (1878: sempre in collab. con Marx).

Dopo la morte di Marx (1883), su sua esplicita indicazione curò l’edizione dei Libri secondo (1885) e terzo (1894) del Capitale, attese al collegamento fra i vari centri del movimento socialista internazionale, e contribuì con una serie di scritti allo studio dei problemi teorici del comunismo.

Frutto della sua attività scientifica, sono, tra gli altri, Die Entwicklung des Sozialismus von der Utopie zur Wissenschaft (1883; trad. it. L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza), Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staats (1884; trad. it. L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato), L. Feuerbach und der Ausgang klassischen der deutschen Philosophie (1888; trad. it. L. Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca), l’Introduzione a Die Klassenkämpfe in Frankreich: 1848-1850 (1895; trad. it. Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850) di Marx.

Il materialismo dialettico. Con modestia che alcuni hanno considerato eccessiva, E. affermò che la maggior parte delle idee fondamentali della dottrina da lui professata, specialmente in campo economico e storico, si doveva a Marx. Ma a E. più che a Marx si attribuisce la paternità del materialismo dialettico, cioè del marxismo considerato come generale concezione del mondo. E. fu infatti il formulatore di alcune leggi dialettiche; in partic. nell’Anti-Dühring e nella Dialektik der Natur (post., 1935; trad. it. Dialettica della natura) egli conduce la sua polemica in termini hegeliani con riferimento agli aspetti neocritici del positivismo di Dühring, mentre per la parte costruttiva si ispira largamente e apertamente all’evoluzionismo di Darwin e di Haeckel, combinandolo con gli schemi della dialettica hegeliana, ai quali vengono ricondotte praticamente tutte le forme della realtà.

Nell’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, E. si riallaccia invece alle ricerche etnologiche di L.H. Morgan, per interpretarle alla luce del materialismo storico, secondo il parallelismo tra forme di appropriazione e istituzioni.

Nella sua Introduzione a Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 di Marx riesaminò la posizione del movimento operaio nella situazione politica europea, e prospettò una utilizzazione dello Stato borghese e della legalità borghese ai fini della conquista del potere (sarà il riferimento della letteratura revisionistica).

***

Txt.: Antidhuring

Txt.: L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza

Txt.: L'origine della famiglia, della proprietà e dello Stato

***

G. Stedman Jones

Ritratto di Engels

in Storia del marxismo (volume primo)
Einaudi, Torino 1978
Traduzione di Enrico Basaglia.

Sin dalla sua morte, avvenuta a Londra nel 1895, è sempre stato particolarmente difficile, sia nell'ambito della tradizione marxista, sia al di fuori di essa, valutare in modo giusto e storicamente equilibrato la posizione di Engels nella storia del marxismo. Engels fu insieme il cofondatore riconosciuto del materialismo storico, e il primo - e il più influente - tra gli interpreti e i filosofi del marxismo. Tuttavia, a partire almeno dalla crisi della Seconda Internazionale, è stato sempre consi­derato o come il fedele braccio destro di Marx, oppure come il fuorvia­to falsificatore dell'autentica dottrina marxista. La persistenza di questa sterile alternativa, non va certo attribuita alla mancanza di un'approfondita ricerca su cui basare un giudizio meno sclerotizzato; anzi, En­gels è stato oggetto di una delle migliori biografie erudite del secolo XX, quella di Gustav Mayer, risultato di una ricerca perseguita per oltre trent'anni e di una conoscenza della storia operaia e socialista tedesca nell'Ottocento che non conobbe, o quasi, rivali. L'opera di Mayer fu però ben poco studiata, e anzi rimase praticamente sconosciuta fino alla sua riedizione, una decina d'anni or sono. Trascurata dagli studiosi co­munisti, perché Mayer non era marxista, anche se egli si era proposto semplicemente una minuziosa ricostruzione analitica, in cui azzardava ben pochi giudizi personali, questo lavoro dovette la sua sfortuna anche agli anni della pubblicazione; il primo volume usci nel 1918, quando l'attenzione dei socialisti tedeschi era assorbita dalla fine della guerra e dalle vicende che ne erano derivate; il secondo apparve alla fine del 1932, e fu quasi immediatamente soppresso dai nazisti giunti al potere. Persino nel mondo di lingua tedesca il libro divenne quasi immediatamente una rarità bibliografica, né mai fu tradotto, se non in una ver­sione assai ridotta. Ancora nel periodo postbellico esso rimase in pos­sesso di un numero limitato di studiosi specializzati.

1. La fortuna del «collaboratore» di Marx.

Tuttavia l'unilateralità di gran parte dei giudizi moderni su Engels non fu dovuta solo, e nemmeno soprattutto alle disavventure di questa biografia di Mayer. A partire infatti dalla fine della prima guerra mon­diale, se non prima, la valutazione del contributo personale di Engels allo sviluppo del marxismo divenne una questione politica estremamen­te scottante. Dopo un periodo di indiscusso prestigio, dalla morte di Marx al 1914, la reputazione di Engels risenti dapprima degli attacchi critici della sinistra rivoluzionaria alla Seconda Internazionale, e succes­sivamente delle critiche non comuniste o anticomuniste, alla Terza.

Nel periodo rivoluzionario che segui la rivoluzione russa Lukács e, in misura minore, Korsch introdussero la prima vera e propria spacca­tura fra le idee di Marx e quelle di Engels. In una critica deferente ma velenosa all'Anti-Duhring, Lukács rimproverò a Engels — da un punto di vista radicalmente hegeliano - la sua ricerca di una dialettica unifor­me che collegasse la storia umana e la storia naturale, e in particolare la distinzione tra scienza «metafisica» e scienza «dialettica», sostenen­do che in tal modo si obnubilava la dialettica autenticamente rivoluzio­naria di Marx: quella tra soggetto e oggetto nell'ambito della storia dell'uomo. Questa critica non muoveva da un terreno puramente epi­stemologico. Agli occhi di Lukács, infatti, il prestigio di cui avevano goduto Darwin e la scienza evoluzionistica presso la Seconda Interna­zionale era strettamente collegato a una distinzione adialettica fra teo­ria e pratica, e da qui erano derivati l'immobilismo e il riformismo della sua politica. Sebbene la critica di Lukács non abbia avuto effetto imme­diato - egli stesso più tardi la ritrattò - si trattava di una prefigurazione della forma che avrebbero assunto molte altre critiche successive.

Il materialismo dialettico - secondo il termine adottato da Plechanov per definire una filosofia marxista e una visione generale del mondo - fu in gran parte costruito sulla base degli ultimi scritti di Engels, e una volta che tale filosofia ebbe ricevuto l'imprimatur ufficiale dell'Unione Sovietica divenne assai arduo differenziare una certa presa di posizione rispetto a Engels da una certa presa di posizione rispetto al comunismo del periodo staliniano. Da un lato la pubblicazione, nel 1929, del ma­noscritto incompiuto di Engels sulla Dialettica della natura si ricollegò al tentativo di Stalin di imporre l'ortodossia del materialismo dialettico agli studiosi di scienze naturali; dall'altro i socialdemocratici Landshut e Meyer pubblicarono Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, fino allora inediti, nel tentativo di contrapporre un Marx dall'e­tica umanistica all'interpretazione leninista del marxismo. La presunta divergenza tra la teoria di Marx e quella di Engels, ipotizzata per la pri­ma volta da Lukàcs, fu ulteriormente estesa, non più per attaccare la socialdemocrazia, ma per difenderla.

Nel periodo postbellico, se i commentatori della guerra fredda erano più che disposti a mettere alla stessa stregua Marx ed Engels, architetti gemelli di un sistema accusato di determinismo e totalitarismo, i porta­voce ufficiali dei partiti comunisti insistettero non meno sulla perfetta unitarietà dell'opera dei due uomini e considerarono con sospetto ogni tentativo di distinguerne i contributi individuali. Le interpretazioni al­ternative dell'eredità marxista furono in gran parte elaborate da chi non si riconosceva in nessuno di questi due poli, un insieme assai vario di teorici comunisti dissidenti, socialdemocratici della Seconda Internazio­nale, teologi cristiani radicali e filosofi esistenzialisti o neohegeliani. Il loro sforzo di costruire un Marx che sfidasse la versione autorizzata o alternativamente di apparentarlo a una tradizione filosofica precedente si esplicò in genere rovesciando sulle spalle di Engels tutte le compo­nenti indesiderabili del marxismo sovietico, dal quale tanto ansiosa­mente volevano prendere le distanze.

L'unilateralità e le distorsioni che caratterizzano il modo in cui En­gels fu giudicato non sono in realtà che la misura dell'immensa e dura­tura influenza da lui esercitata sulla definizione del socialismo marxista nel momento in cui il movimento socialista europeo cominciò ad adot­tarlo in termini rigorosi. Ciò non avvenne in misura degna di nota né negli anni '40, né negli anni '60, bensì dopo il 1880, e l'immenso far­dello di lavoro e di responsabilità che ne derivava ricadde in pratica unicamente sulle spalle di Engels. Già negli ultimi anni della Prima In­ternazionale il peso maggiore della battaglia contro il proudhonismo e il bakunismo era ricaduto su Engels, e negli ultimi dieci anni della sua vita Marx produsse ben poco che avesse immediato riflesso sul pubbli­co. Le sue risposte ai rivoluzionari russi sulla pertinenza del Capitale rispetto al carattere di una futura rivoluzione in Russia furono esitanti né abbastanza definite perché i socialdemocratici russi potessero farne uso nella lotta contro i narodniki; rimasero quindi inedite sino al 1920. Cosi, anche la sua Critica del programma di Gotha fu un contributo in­desiderato alle trattative per l'unificazione della socialdemocrazia tede­sca, fra l'ala eisenachiana e quella lassalliana nel 1875. Ne tennero ben poco conto persino quei membri della direzione socialdemocratica che si professavano amici e seguaci di Marx, ed Engels la rese pubblica solo quindici anni dopo, durante il dibattito sul nuovo programma (di Erfurt) del partito.

L'ultimo tentativo compiuto congiuntamente da Marx e da Engels nei confronti del Partito socialdemocratico tedesco nel 1879 - un'aspra critica alla tolleranza dimostrata dalla direzione verso l'arti­colo di Hòchberg, Bernstein e Schramm, apparso sulla rivista zurighese «Jahrbùcher fiir Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», accusato di vo­ler edulcorare il carattere proletario della Spd - si concluse con un colpo non meno amaro per il loro orgoglio : la minaccia di dissociarsi pubbli­camente dal partito provocò scarse reazioni, e da quel momento fu chia­ro che qualunque tentativo di intervento politico diretto e aperto sa­rebbe stato sconfitto in partenza, e che gli esuli londinesi avrebbero do­vuto accettare il ruolo, onorato ma remoto, di fondatori teorici, a ri­schio, altrimenti di rivelare pubblicamente la loro impotenza politica.

Ma se la fine degli anni '70 segnò il punto pili basso dell'influenza personale di Marx ed Engels sulla politica del partito in Germania, se­gnò anche l'effettivo momento d'origine del marxismo della Seconda Internazionale. La diffusione su scala mondiale del marxismo in veste di socialismo sistematico e scientifico non iniziò infatti né con il Mani­festo del Partito comunista, né con Il capitale, bensì con la pubblica­zione dell''Anti-Duhring di Engels.

Se devo giudicare dall'influenza che l'Anti-Duhring ha esercitato su di me - scrisse Kautsky - nessun altro libro ha tanto contribuito alla comprensione del marxismo. Il capitale di Marx è certo un'opera più poderosa, ma solo attra­verso l'Anti-Duhring abbiamo imparato a capire II capitale e a leggerlo corret­tamente.

Su questo libro si formarono i più autorevoli esponenti della Secon­da Internazionale: Bebel, Bernstein, Kautsky, Plechanov, Aksel'rod e Labriola. Né la sua influenza si limitò ai dirigenti e ai teorici di partito: L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, un estratto espur­gato da ogni riferimento a Duhring, pubblicato nel 1882, divenne dopo il Manifesto la più popolare introduzione al marxismo. Non solo conobbe vasta diffusione nei partiti socialdemocratici del mondo di lingua tedesca, ma spianò la strada alla comprensione del marxismo anche in regioni tradizionalmente refrattarie alle posizioni di Marx e di Engels, e in particolare la Francia. La differente atmosfera degli ultimi anni '80 rispetto al decennio precedente è palese nel Ludwig Feuerbach di En­gels, del 1888. In origine l'Anti-Dühring età stato un riluttante inter­vento locale nel confuso socialismo della giovane socialdemocrazia te­desca: «C'è voluto un anno per potermi decidere, trascurando altri la­vori, a prendere questa gatta da pelare, scriveva Engels a proposito della sua polemica, che il «Vorwärts» pubblicò a puntate tra il 1877 e il 1878. (In effetti Liebknecht lo aveva incitato a combattere l'influenza di Dühring sin dal 1874). Il Feuerbach, invece, fu scritto in uno spirito del tutto diverso: «La concezione marxista del mondo ha trovato dei rappresentanti ben al di là delle frontiere della Germania e dell'Europa, in tutte le lingue colte del mondo», scriveva Engels nella prefazione. Le concezioni popolari del marxismo ortodosso risalgono ancora oggi al lavoro di sistematizzazione e divulgazione compiuto da Engels in quel decennio cruciale.

È questo il dato predominante in tutte le successive valutazioni del­l'opera di Engels. Engels come profeta del materialismo dialettico ha completamente sopraffatto la figura del cofondatore ed elaboratore del materialismo storico. Alla sua vita e alla sua opera giovanile si prestò scarsa attenzione; le critiche o gli elogi di Engels erano rivolti in mi­sura schiacciante alle sue opere posteriori. I fautori della tradizione marxista ortodossa, specie se filtrata attraverso la prospettiva bolsce­vica, hanno attribuito la medesima autorità al materialismo storico e alle generalizzazioni di Engels sulla dialettica, come se entrambi faces­sero parte di un solo insieme inscindibile. Agli occhi dei suoi critici occidentali, invece, Engels è stato superficialmente ricollegato al posi­tivismo e all'evoluzionismo, nonché alla passività politica della Seconda Internazionale, come se le divergenze tra il suo modo di vedere e quello di Kautsky e Plechanov non fossero che di misura, e come se le prese di posizione di Marx fossero state radicalmente diverse dalle sue. Alla luce dei successivi sviluppi del marxismo, il fatto che il dibattito privile­giasse il materialismo dialettico e le insufficienze della Seconda Inter­nazionale non è certo sorprendente. Ciò ha portato però a un notevole squilibrio nella trattazione storica della figura di Engels.

Così, mentre dal punto di vista degli ortodossi, l'individualità di Engels in quanto pensatore scompare quasi del tutto, in base all'opinione convenzionale dell'Occidente le sue credenziali di marxista vengono seriamente con­testate.

Al semplice livello dei fatti storici, questa seconda opinione è più facile da confutare della prima. È un grossolano errore d'interpreta­zione storica non operare alcuna distinzione tra gli elementi costitutivi della prospettiva di Engels e il modo in cui egli fu letto da una gene­razione di intellettuali, nutritisi di Buckle e di Comte. Per citare di nuovo Kautsky, Marx ed Engels «sono partiti da Hegel, io sono partito da Darwin»6. È estremamente improbabile che Engels avesse conce­pito la sua Dialettica della natura come una teoria genetica onnicom­prensiva dello sviluppo, la cui parte socio-storica dovesse essere costi­tuita dal Capitale: si preoccupava piuttosto di ridefinire il materialismo in termini che tenessero conto degli sviluppi scientifici del secolo XIX. Per controbattere il rozzo materialismo, fondato sulla fisiologia, di Vogt e di Büchner, tanto popolare nelle Arbeiterbildungsvereine degli anni '50, dominate dai liberali, Engels cominciò a nutrire un certo interesse per gli sviluppi delle scienze naturali. Dopo la pubblicazione dell'Origine delle specie, non ebbe più dubbi sul fatto che la concezione storica materialistica di un modo di produzione distingueva nettamente la sto­ria dell'uomo dalla lotta darwiniana per l'esistenza, e commentava ama­ramente il fatto che la borghesia avesse dapprima proiettato la propria teoria sociale (da Hobbes a Malthus) nel mondo della natura, per poi riassumerla, attraverso le ricerche di Darwin, come adeguata descrizio­ne della società umana. All'accentuazione tardo-positivistico-evoluzionista delle leggi naturali di sviluppo, concepite nei termini di una sem­plice causalità transitiva procedente secondo una direttiva unilineare dal naturale, attraverso l'economico-tecnologico, sino al politico e al­l'ideologico, Engels - fondandosi sul materialismo storico - era portato piuttosto a mostrare l'effetto della pratica umana sulla natura mediante la scienza e la produzione e, soprattutto negli ultimi anni, la relativa autonomia della politica e dell'ideologia da ogni semplicistica causalità economica.
A proposito della diffusione del positivismo e del determi­nismo economico, egli scrisse infatti a Conrad Schmidt nel 1890:

Quel che manca a tutti questi signori è la dialettica. Essi vedono sempre e solamente qui la causa, là l'effetto. Non arrivano a vedere che questa è una vuota astrazione, che nel mondo reale simili contrapposizioni metafisiche po­lari esistono soltanto nei momenti di crisi, ma che l'intero grande corso delle cose si svolge nella forma dell'azione e reazione reciproca, anche se di forze molto ineguali, tra cui il movimento economico è di gran lunga il più forte, il più originario, il più decisivo; essi non arrivano a vedere che in questo campo niente è assoluto e tutto è relativo. Per loro Hegel non è esistito.

Se mai, nei tentativi di Engels di teorizzare le scienze della natura e la storia non erano tanto discutibili le poche formulazioni incertamente positivistiche che vi si possono riscontrare, quanto il fiducioso ricorso a Hegel, che egli stesso e Marx avevano «capovolto». Occorre però guardarsi da ogni semplice giustapposizione del pensiero di Marx a quello di Engels. Negli anni successivi alla morte di Marx, Engels non ebbe né il desiderio, né la fiducia in sé, né il tempo per sviluppare nuo­ve posizioni particolari. Le ipotesi esposte nel Feuerbach sul rapporto fra materialismo storico e scienze della natura e sulla natura dialettica della realtà — fosse essa naturale o storica — erano già in via di sviluppo almeno dalla fine degli anni 'so, ed erano spesso comparse nella sua corrispondenza con Marx. Come è noto, Marx contribuì ad alcuni dei capitoli economici dell'Anti-Dühring, e prese visione dell'opera nel suo complesso. Va anche ricordato che alcune parti del manoscritto incom­piuto sulla Dialettica della natura recano a margine commenti scritti da Marx. Inoltre, sebbene sia stato esaurientemente dimostrato che il materialismo storico non è un capovolgimento della dialettica hegeliana e che tale capovolgimento non risulta nemmeno dalla struttura teorica del Capitale, non va trascurato che proprio in questi termini Marx ed Engels cercarono di teorizzare l'opera compiuta. In questo senso le spiegazioni fornite da Engels nel Feuerbach non si discostano molto dalla breve osservazione di Marx nella prefazione al Capitale, o dalla recensione incompiuta dello stesso Engels a Per la critica dell'economia politica di Marx, pubblicata in «Das Volk» nel 1859. Se dunque la suc­cessiva spiegazione di Engels del rapporto tra marxismo e dialettica he­geliana fu inadeguata, tale inadeguatezza è pienamente sanzionata dallo stesso Marx.

Non sarà però sufficiente nemmeno limitarsi a sottolineare la corri­spondenza di prospettive fra Marx ed Engels. È stata proprio questa corrispondenza che ha oscurato i numerosi contributi autonomi di En­gels allo sviluppo della teoria marxista, sminuendone l'individualità di pensatore. Il maggiore ostacolo in questo caso è rappresentato dalla modestissima considerazione che Engels aveva del proprio contributo, e i commentatori successivi si sono generalmente limitati ad attenersi al suo giudizio. In una nota del Feuerbach Engels scriveva:

Si è accennato più volte, recentemente, alla parte che io ho preso alla ela­borazione di questa teoria, e perciò non posso dispensarmi dal dire qui le po­che parole necessarie a mettere a posto le cose. Non posso negare che prima e durante la mia collaborazione di quarantanni con Marx io ebbi pure una certa qual parte indipendente tanto colla fondazione quanto alla elaborazione della teoria. Ma la maggior parte delle idee direttrici fondamentali, particolarmente nel campo economico e storico, e specialmente la loro netta formulazione defi­nitiva, appartengono a Marx. Il contributo che io ho dato - eccezion fatta per un paio di scienze speciali - avrebbe potuto essere apportato da Marx anche senza di me. Ciò che Marx ha fatto, invece, io non sarei stato in grado di farlo. Marx stava più in alto, vedeva più lontano, aveva una visione più larga e più rapida di tutti noi. Marx era un genio, noi tutt'al più avevamo del talento. Senza di lui la teoria sarebbe ben lungi dall'essere ciò che è. A ragione, perciò, essa porta il suo nome.

Sarebbe certo senza senso contestare la superiorità teorica di Marx, né può esservi dubbio sul fatto che Engels non avrebbe mai potuto da­re al materialismo storico la coerenza logica e la profondità interpreta­tiva di cui Marx seppe dotarlo; forse anzi, da solo non sarebbe arrivato a concepire la teoria del materialismo storico. La divisione del lavoro tra i due collaboratori venne fissata praticamente sin dall'inizio: in una delle sue prime lettere a Marx (17 marzo 1843), a proposito dei ri­spettivi progetti su una critica al libro di Friedrich List, Das nationale System der politischen Okonomie, Engels si assumeva il compito di af­frontare le conseguenze pratiche della teoria di List, mentre «suppongo - scriveva - ...a giudicare... dal tuo carattere, che tu insisterai di più sulle premesse che sulle conseguenze».

La maggior parte dei commentatori si è fermata a questo, assegnan­do a Engels un non meglio definito ruolo ausiliario nell'elaborazione teorica, e perdendo di vista l'importanza fondamentale del contributo di Engels, cercata nel posto sbagliato. In effetti l'abilità teorica, persino se posseduta in misura eccezionale come Marx, è condizione necessaria ma non sufficiente per una rivoluzione teorica, soprattutto se concerne la sfera sociale. Per tali rivoluzioni sono necessari anche fenomeni di disturbo, i quali non solo indicano l'inadeguatezza delle problematiche teoriche esistenti, ma suggeriscono anche i materiali di fondo per una nuova struttura teorica. Proprio gli scritti di Engels del 1844-45 forni­rono queste nuove componenti decisive - sia pure a un livello pratico rudimentale e non sufficientemente elaborato dal punto di vista teorico. Prima però di spiegare quali fossero queste componenti, sarà prima ne­cessario dire qualcosa sulla figura di Engels, in modo da facilitare la comprensione dell'importanza, e dei limiti, del suo contributo.

2. Gli anni di formazione.

Engels, nato a Barmen nel 1820, aveva due anni meno di Marx, ed era il figlio maggiore di uno dei più importanti industriali cittadini'. Nella situazione arretrata e non industrializzata della Germania nel­l'età della Restaurazione Barmen e la sua città gemella, Elberfeld - città manifatturiere legate al mercato mondiale - costituivano un'eccezione. I viaggiatori, giornalisti e letterati degli anni '30 e '40 definivano spesso quella regione la Manchester tedesca, anche se forse sarebbe stato me­glio definirla la Coventry tedesca, poiché la sua attività principale con­sisteva nella fabbricazione di nastri, e gli operai vi lavoravano in genere a domicilio, insieme con le famiglie, per conto di mercanti-mediatori che controllavano l'acquisto delle materie prime e la vendita dei pro­dotti finiti. Elberfeld e Barmen erano eccezionali anche da un altro pun­to di vista: sebbene, come il resto della Renania, avessero subito la conquista napoleonica, e avessero goduto i benefici del Codice Napo­leone, la loro popolazione in grande maggioranza calvinista o luterana, ' anziché cattolica, era assai più disposta, dopo il 1815, ad accettare il governo prussiano che non la Renania nel suo complesso.

Questi due fattori differenziavano nettamente la famiglia e l'am­biente culturale di Engels da quelli di Marx. Vivendo nella zona fran­cofila, figlio di un avvocato ebreo solo formalmente protestante, di opi­nioni liberal-illuministiche, Marx non sembra abbia avuto molti con­flitti giovanili con la posizione politica o culturale di suo padre. Almeno sino alla fine degli anni '30, la classe media di Treviri continuò a mal sopportare l'occupazione prussiana, mentre sussisteva una forte nostal­gia per il governo di Napoleone, e la popolazione colta si dimostrava ricettiva alle idee francesi, sia quelle liberali, e sia a partire dagli anni '30, quelle saintsimoniane. Nell'adolescenza Marx non fu toccato dai fermenti politici e culturali del nazionalismo tedesco, e senti invece un'affinità assai più profonda con le posizioni dell'Aufklärung tedesca con la sua propensione umanistica per la civiltà classica. Non sorprende, dunque, se, giungendo a Berlino dopo i primi studi universitari a Bonn, egli fosse incline a una versione liberaleggiante dell'idea hegeliana di Stato, come principio guida delle sue riflessioni, anziché al principio emotivo di nazione. Fino a quando il suo amico e mentore, Bruno Bauer, non fu cacciato dall'università di Bonn, Marx sembrò destinato alla carriera accademica, e la sua conversione politica alla sinistra e in­fine al comunismo fu assai più graduale e misurata di quella del giovane Engels.

La formazione di Engels fu del tutto diversa. Il pietismo protestante dei mercanti di Barmen si opponeva ferocemente alle associazioni pa­gane dell'Aufklärung, a qualunque colorazione razionalistica dell'inter­pretazione biblica e alla filosofia ambiguamente protestante di Hegel. Il valore attribuito all'educazione era strettamente pratico. Il ginnasio frequentato da Engels a Eberfeld aveva un'ottima reputazione, specie per quanto riguarda l'insegnamento delle lingue, tanto importante per la professione dei commercianti di Barmen, ma l'istruzione si fermava alla fine degli studi secondari, e ad essa seguiva un periodo di appren­distato commerciale nell'azienda di un collega d'affari. Cosi il giovane Engels fu inviato a Brema nel 1838, presso la ditta di importazioni-esportazioni di Heinrich Leopold. Nell'angusto ambiente sociale dei commercianti di Barmen la letteratura creativa era guardata con sospet­to, Goethe veniva in genere definito un «senza Dio» e il teatro era con­siderato immorale. Sebbene si fosse grati a Napoleone per alcune sue riforme giuridiche, nei confronti delle idee francesi prevaleva un atteg­giamento di ostilità. Le preghiere in famiglia e la lettura della Bibbia, la meditazione sulla letteratura devozionale, un'etica fatta di religiosità e di lavoro indefesso, e una teologia settaria comunicata attraverso la terrificante retorica da pulpito di predicatori come Krummacher erano le principali componenti culturali delle famiglie di mercanti durante la giovinezza di Engels (anche se in parte illuminate dall'amore per la mu­sica, sia corale che strumentale). L'atteggiamento dei mercanti manifat­turieri verso le loro famiglie, i loro operai e la loro religione era di stam­po nettamente patriarcale: il loro mondo era strettamente collegato a quello dei predicatori, tanto più che, appartenendo allo stesso strato sociale, era comune che i figli dei mercanti sposassero le figlie dei preti, e viceversa. La madre di Engels, figlia di un pastore protestante di Hamm, rientrava perfettamente in questo schema.

Già durante l'adolescenza, Engels cominciò ben presto a cercare di sfuggire agli angusti orizzonti imposti alla fantasia dalla sua famiglia e dalla società del Wuppertal. Suo padre si scandalizzò quando scopri il figlio tredicenne intento a leggere «ein schmutziges Buch», un sudicio libro: un romanzo medievale francese. È importante però non attri­buire atteggiamenti troppo individuali e psicologici alla rivolta di En­gels contro il padre. Non fu un bambino poco amato, né fu trattato con crudeltà o trascurato. Anzi, in quanto erede designato dell'attività familiare, fu soggetto alla costante e preoccupata sollecitudine dei geni­tori. Per quanto perenne possa essere il conflitto tra le generazioni, solo in particolari circostanze storiche esso acquisisce rilievo sociale e poli­tico. Nel Wuppertal, verso la fine degli anni '30 e all'inizio dei '40 la spaccatura generazionale in campo sociale e religioso non era una carat­teristica di casa Engels, ma era presente invece, sia pure in varia mi­sura, in altre famiglie del tempo. Per comprendere per quale motivo si trattasse di un fenomeno più sociale che individuale, è necessario tener conto del fatto che negli ultimi anni '30 il mondo sociale e religioso delle vecchie famiglie mercantili si andava disgregando: l'austero calvb nismo della generazione precedente era stato sentito profondamente in quanto forniva un adeguato ordinamento dell'esperienza sociale. L'elite mercantile non faceva alcuna distinzione tra la chiesa e il governo mu­nicipale della città; e l'aspetto patriarcale della religione aveva fornito la migliore articolazione al controllo diretto e personale della forza-lavoro, le cui stamberghe si raccoglievano intorno alle loro cappelle e ai loro magazzini.

Dal periodo napoleonico in poi, però, il commercio di Barmen entrò in un prolungato periodo di crisi, in conseguenza della sua dipendenza da un mercato mondiale controllato dagli inglesi. Dal punto di vista so­ciale, la popolazione fu minacciata dalla carestia, da un peggioramento del tenore di vita e dall'intensificazione dei ritmi di lavoro; il tutto pun­teggiato da frequenti periodi di disoccupazione. Dal punto di vista reli­gioso, ciò comportò lo sfaldamento dello stabile governo ecclesiastico. I piccoli artigiani a domicilio e i loro apprendisti, sempre più soffocati dal «pauperismo», si sentirono attratti da sette millenaristiche, mentre molti caddero in uno stato di semidisperazione esacerbato da un dram­matico aumento del consumo di Schnapps (acquavite) a poco prezzo. Mentre la predicazione si faceva più apocalittica e emotiva, la tradizio­nale élite dei mercanti cominciò a ritirarsi dal governo attivo della Chie­sa. Fu su questo sfondo che il diciannovenne Engels sferrò il suo pri­mo attacco, sotto uno pseudonimo, contro il filisteismo dei pietisti del Wuppertal.

Il dissenso del giovane Engels e del suo circolo di Barmen assunse dapprima la forma di una rivolta estetica contro la meschinità del mon­do dei mercanti, e fu accompagnato da tentativi giovanili di emulare l'avanguardia letteraria contemporanea. Le accuse mosse da Engels al Wuppertal non furono quelle di un socialista in embrione, bensì di un aspirante poeta che si faceva portavoce delle più moderne correnti let­terarie. Engels si identificava soprattutto con il poeta Ferdinand Freili-grath, giunto nel Wuppertal per lavorare come contabile. L'idea di una doppia vita - mercante di professione e scrittore per vocazione - lo atti­rò sino a quando non riusci a sfuggire all'azienda familiare, nel 1845, ma ricomparve con aspetti diversi per tutto il resto della sua vita.

Tuttavia, alla fine degli anni '30, i temi del dibattito letterario, poli­tico e religioso erano legati troppo strettamente per consentire una di­stinzione di qualche rilievo: il pietismo, il conservatorismo romantico e l'assolutismo cristiano dello Stato prussiano si contrapponevano rigi­damente alle diverse correnti del liberalismo, del razionalismo e della critica biblica posthegeliana. Poiché il dibattito era cosi polarizzato, es­sere poeta o scrittore richiedeva una scelta cosciente tra progresso e reazione, ed era abbastanza chiaro quale direzione Engels avrebbe se­guito. A differenza di Marx, le prime prese di posizione politiche di Engels furono fortemente influenzate dal movimento letterario liberal-nazionale degli anni '30; aveva attinto i suoi primissimi eroi dalla mito­logia germanica, e finché fu a Brema, la leggenda di Sigfrido conservò ai suoi occhi grande importanza in quanto simbolo delle coraggiose vir­tù della giovane virilità tedesca in lotta con la Germania meschina e ser­vile dei principi. Poco dopo l'inizio della sua attività a Brema divenne un entusiastico adepto della Giovane Germania, un effimero circolo let­terario nato sulla scia della rivoluzione del 1830, che si ispirava, quan­to a stile e prese di posizione, ai due esuli ebrei, Heine e Bòrne. Engels fu dapprima un ammiratore di Karl Gutzkow, direttore del « Telegraph fùr Deutschland», su cui furono pubblicate le sue Lettere dal Wupper­tal. Alla fine del 1839, però, l'entusiasmo di Engels fu rivolto sempre più all'antico mentore di Gutzkow, Bòrne, le cui denunce radicalmente repubblicane contro i principi tedeschi, insieme con la polemica contro le tendenze francofobe del nazionalismo tedesco, ben si adattavano al combattivo entusiasmo di Engels per le «idee del secolo».

Tuttavia per Engels, in questo periodo, il problema della fede reli­giosa fu predominante: nonostante l'insofferenza per il modo di vedere della sua famiglia, non era facile scuotersi di dosso il peso dell'educa­zione religiosa ricevuta. L'intensità del suo sentimento religioso è testi­moniata da una poesia scritta in occasione della cerimonia della «con­ferma». Le fasi attraverso le quali dovette passare per allontanarsi dal cristianesimo ortodosso — dal cristianesimo liberale, attraverso la let­tura di Schleiermacher, a quella di Strauss - si possono seguire nei par­ticolari nelle lettere scritte da Brema ai fratelli Graeber, suoi compagni di scuola. Una cosa è certa: non poteva semplicemente abbandonare la fede; poteva rinunciare a una fede solo dopo averne trovata un'altra. Le sue prime critiche al pietismo del Wuppertal erano state scritte dal punto di vista del cristianesimo liberale. Attraverso la lettura dei saggi di Gutzkow ebbe però l'occasione di conoscere Strauss, e nell'ottobre 1839 poteva ormai scrivere: «Ora sono straussiano entusiasta». Strauss gli aprì la porta di Hegel, e il suo primo rapporto con Hegel fu simile a una conversione religiosa. In un viaggio, reale o immaginario, attra­verso il Mare del Nord, nel luglio 1840, si appoggiò al bompresso della nave, guardando «la superficie lontana, verde, dove le teste delle onde schiumanti emergono in eterna agitazione», riflettendo:

Ho avuto solo una volta un'impressione che potrei paragonare a questa; quando per la prima volta mi si apri l'idea di Dio dell'ultimo filosofo, questo pensiero il più colossale del secolo XIX; allora mi afferrarono i medesimi bri­vidi beati, allora mi alitò contro come una fresca aria di mare che spira dal cielo più terso; le profondità della speculazione stavano davanti a me come l'insondabile flutto del mare, dal quale non può distogliersi l'occhio che cerca la terra; in Dio vive tutto il nostro essere! Di ciò prendiamo coscienza sul ma­re; sentiamo che tutto ciò che ci circonda e noi stessi siamo penetrati dallo spirare di Dio; tutta la natura ci è cosi affine, le onde ci fanno cenni familiari, il cielo si allarga amorevolmente intorno alla terra e la luce del sole ha un tale splendore che si pensa di poterla afferrare con le mani.

È proprio questa diversa intensità del sentimento emotivo uno degli aspetti che distingue il rapporto di Engels con Hegel da quello di Marx. Engels non aveva ricevuto un'educazione filosofica accademica, aveva trovato Hegel nella sua ricerca di un sicuro rifugio che sostituisse gli aspetti terrificanti della fede del Wuppertal, tanto profondamente im­pressi nella sua immaginazione quando era ancora bambino. Non sotto­pose mai Hegel alla rigorosa analisi intrapresa da Marx nella sua Critica della filosofia hegeliana del diritto o nella Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale, del 1843 e del 1844, e quando, molti anni dopo, reagì al materialismo e al positivismo volgari ricorrendo an­cora una volta a Hegel, riprodusse spesso elementi del suo rapporto premarxista con la tradizione idealistica tedesca.

Nel 1841, quando lasciò Brema per un anno di servizio militare a Berlino, era già un giovane hegeliano entusiasta; ben presto sostituì allo Hegel panteista lo Hegel «segretamente ateo», divenendo uno dei membri più apocalittici dei «liberi». Poche settimane dopo essere giun­to a Berlino già sferrava una serie di attacchi contro Schelling, cui era stata affidata la cattedra di filosofia per arginare le pericolose tendenze dell'hegelismo. Non afferrava l'incompatibilità fra il concetto di «auto­coscienza» formulato dalla sinistra hegeliana e in particolare da Bruno Bauer, e l'«uomo» di Feuerbach, che attraverso il metodo del capovol­gimento riusciva insieme ad annullare completamente la dialettica hege­liana. In tutti i riferimenti al radicalismo filosofico tedesco, fino alla Sacra famiglia, accomunò sempre Bauer e Feuerbach come fossero com­ponenti di un'unica linea di pensiero. Anni dopo, nel suo Ludwig Feuer­bach, scriveva a proposito dell'Essenza del cristianesimo: «Bisogna aver provato direttamente l'azione liberatrice di questo libro, per farsi un'i­dea di essa. L'entusiasmo fu generale: in un momento diventammo tutti feuerbachiani». L'affermazione valeva molto più per lui stesso che per altri membri del gruppo. Ciò che infatti attirò la sua attenzione e il suo entusiasmo, sia nell'Essenza del cristianesimo, sia nelle successive Vorläufige Thesen zur Reformation der Philosophie (Tesi provvisorie per la riforma della filosofia), non fu la critica di Feuerbach a Hegel, ma la trasformazione della teologia in antropologia, la sua religione umanista.

In tutti i suoi scritti fino all'incontro con Marx a Parigi nella tarda esta­te del 1844, mantenne sempre una metodologia hegeliana; i suoi saggi più ambiziosi assumevano la forma di giustapposizioni dialettiche dello sviluppo di principi unilaterali, la cui contraddizione veniva trascesa in una superiore unità rappresentata dall'umanismo comunista.

Forse un'altra ragione per cui Engels non avverti mai la necessità di sottoporre Hegel a una critica minuziosa fu che, diversamente da altri giovani hegeliani, non sembra avere mai preso troppo sul serio la teoria hegeliana dello Stato. Essa gli appariva più come un elemento del «si­stema» conservatore di Hegel che non del suo «metodo» rivoluziona­rio, ed Engels, diversamente dagli altri del suo circolo, era già divenuto un democratico repubblicano rivoluzionario prima di convertirsi all'he­gelismo. A Berlino, quindi, riteneva ancora di poter fondare la filosofia hegeliana della storia con la posizione politica repubblicana di Borne. In un poema epico satirico scritto con Edgar Bauer nell'estate 1842, definiva se stesso:

Oswald il montagnardo,
il più radicale in assoluto.
Suona un solo strumento, la ghigliottina,
su di essa accompagna una sola cavatina;
sempre risuona il canto infernale, ruggisce forte il ritornello:
Formez vos battaillons! aux armes, citoyens!.

La sua posizione politica rimase giacobina sino a quando, poco pri­ma di partire per l'Inghilterra, incontrò Moses Hess nella redazione della «Rheinische Zeitung» a Colonia, e si converti al comunismo filo­sofico di Hess. Probabilmente, proprio per avere partecipato con tanto entusiasmo agli eccessi anticristiani e bohémiens dei «liberi» e per es­sersi sempre associato alle frequenti denunzie mosse da Edgar Bauer alla politica del «giusto mezzo», il suo incontro con Marx, avvenuto a Colonia più o meno in quel periodo, fu tanto freddo.

Ma le debolezze di Engels erano anche i suoi punti di forza. Se non possedeva la tenacia intellettuale e la forza di deduzione necessarie per essere un rigoroso e originale teorico, se i suoi tentativi di teorizzazione si facevano notare più per la loro audacia che per gli obiettivi, le sue grandi virtù consistevano nella relativa apertura alle novità, nel tenace radicalismo del suo temperamento, in una capacità di percezione straor­dinariamente rapida, in un'audace intuizione e nell'onnivora curiosità per tutto ciò che scorgeva intorno. Era e rimase segnato dalla sua edu­cazione e dal suo tirocinio nel campo mercantile. Lo si riscontrava nel modo metodico di curare la sua corrispondenza, nell'ordine scrupoloso dei suoi affari, nella capacità di sfruttare appieno ogni ora del giorno, nell'insofferenza per la sciatteria bohémienne di un Liebknecht e nel­l'assoluta intolleranza per i generosi impeti di un aristocratico disordi­nato come Bakunin. Sotto ogni punto di vista era un bravo uomo d'af­fari, e l'abilità con cui rappresentò l'azienda familiare a Manchester al­l'inizio degli anni '50 contribuì notevolmente ad allentare la tensione provocata dalla grave lite col padre, esplosa nel 1848. Fu il desiderio di sfuggire e di andare oltre questo ambiente che fece di lui un perso­naggio più avventuroso di Marx, più pronto a sfidare le convenzioni e al tempo stesso più aggressivo nei confronti di chi non faceva parte del suo circolo di amici.

Sarebbe difficile immaginare Marx che convive con un'operaia irlandese, che esplora di propria iniziativa i bassifondi di Manchester, scarabocchia disegnini comici sul manoscritto dell'Ideolo­gia tedesca, vaga per la campagna francese nel tardo 1848 esaltando le grazie delle giovani contadine, partecipa a una campagna militare nel 1849 e poi, ritornato in Inghilterra, va a caccia con i cani, tiene in casa un pappagallo e si vanta della propria cantina. «Spiessburger», piccolo borghese, era uno degli insulti preferiti da Engels, e nel suo modo di vita non c'era proprio nulla di gretto e meschino. Non nascose mai la sua provenienza e non fu mai un diplomatico. Gli operai avevano forse ragione lamentarsi spesso per la sua arroganza , sebbene non si debba dimenticare che ad essa si accompagnavano un'autentica modestia per­sonale, il candido riconoscimento dei propri limiti e l'affettuosa lealtà per i vecchi amici. Se, come scrisse lui stesso, non fu un genio, fu senza dubbio un uomo dotato di talento eccezionale. La sua prosa era fluida e chiara, e scriveva con insolita rapidità. Non solo fu un magninco cam­pione dell'applicazione del materialismo storico, ma fu senza dubbio uno dei più dotati giornalisti del secolo XIX, e uno dei suoi storici mi­gliori. Proprio questa insolita fusione di doti gli permise di dare un particolare contributo all'elaborazione del materialismo storico.

3. L'esperienza inglese.

Engels parti per l'Inghilterra alla fine del novembre 1842, ufficial­mente per continuare il suo tirocinio commerciale presso la ditta Ermen e Engels di Manchester, e vi rimase per ventun mesi. Ripensando qua-rant'anni dopo alla sua prima permanenza in Inghilterra, Engels scri­veva:

Vivendo a Manchester io avevo per cosi dire toccato con mano che i fatti economici, che sino allora la storiografia aveva disdegnato o tenuto in nessun conto, sono, per lo meno nel mondo moderno, una forza storica decisiva; che essi formano la base delle origini degli attuali contrasti di classe; che questi contrasti di classe a loro volta, nei paesi dove, grazie alla grande industria, si sono pienamente sviluppati, e quindi specialmente in Inghilterra, formano la base della formazione dei partiti politici, delle lotte dei partiti e quindi di tutta la storia politica.

A quel che risulta dagli scritti di quel periodo, il processo attraverso il quale Engels giunse a tali conclusioni non fu certo semplice e ben definito quanto lo vorrebbero queste riflessioni retrospettive. Per aprir­si alle nuove impressioni, infatti, non solo dovette usare gli occhi e le orecchie, ma fu inizialmente costretto a mettere in discussione alcuni presupposti fondamentali del comunismo filosofico tedesco, che aveva portato con sé in Inghilterra. I prodromi di una rottura con tali pre­supposti si manifestarono prima del secondo anno di permanenza, e si espressero solo nella Situazione della classe operaia in Inghilterra, scrit­ta a Barmen fra il settembre 1844 e il marzo 1845, dopo il suo ritor­no, ma la rottura non fu completa se non al tempo in cui, insieme con Marx, defini la propria posizione in contrasto con L'ideologia tedesca, a Bruxelles nel 1845-46.

I primi segni del suo crescente interesse per i «fatti economici» si riscontrano alla fine del 1843, in un'ambiziosa serie di saggi sull'econo­mia politica, su Fast and Present di Carlyle e sulla Situazione dell'In­ghilterra, pubblicati nei «Deutsch-franzòsische Jahrbùcher» e poi nel « Vorwàrts». La lettura di Fourier, ma in particolare di Carlyle, lo por­tò a considerare la «situazione dell'Inghilterra»: «la "ricchezza nazio­nale" degli inglesi è molto grande, eppure essi sono il più povero dei popoli sotto il sole»2. Ovvero, come affermava Carlyle, «al centro della doviziosa abbondanza, il popolo muore di fame; fra mura d'oro e granai colmi, nessuno si sente sicuro e soddisfatto». La lettura di Qu'est-ce que la proprietà di Proudhon e di alcune opere di Owen lo spinse a im­putare questa situazione agli effetti della proprietà privata. Nel tardo 1843 scriveva di Proudhon:

Il diritto alla proprietà privata, le conseguenze di questa istituzione, con­correnza, immoralità e miseria, sono qui discussi con un vigore intellettuale e una reale indagine scientifica che mai avevo trovato riuniti in una sola opera.

Tuttavia, nei Lineamenti di una critica dell'economia politica, pub­blicati nei «Deutsch-französische Jahrbùcher», Engels procedette assai oltre Proudhon: non si limitò a contrapporre alla miserevole realtà eco­nomica le affermazioni degli economisti, ma cercò di dimostrare che le contraddizioni dell'economia politica erano necessaria conseguenza del­le contraddizioni generate dalla proprietà privata. Fu il primo nella si­nistra filosofica tedesca a spostare il dibattito sull'economia politica, mettendo in luce le connessioni tra la proprietà privata, l'economia po­litica e le moderne condizioni sociali nel processo di transizione verso il comunismo. L'economia politica era «una scienza dell'arricchimen­to», «un sistema raffinato di frode autorizzata», conseguenza dell'e­spansione commerciale e «nata dall'invidia reciproca e dall'avidità dei mercanti». Il commercio era infatti basato sulla concorrenza, generata dalla proprietà privata che contrappone l'uno all'altro gli interessi indi­viduali, producendo la divisione fra terra, lavoro e capitale, il confronto tra manodopera e prodotto sotto forma di salario, la conversione del­l'uomo in merce, l'invenzione della macchina e della fabbrica, la disso­luzione della famiglia, della nazionalità e di ogni altro legame in semplice rapporto monetario, la polarizzazione della società in milionari e indigenti e l'universalizzazione della «guerra di tutti contro tutti». La «scienza dell'arricchire», che si accompagnava a tale processo, era in­trappolata da insolubili antinomie, e chi la praticava era colpevole di ipocrisie e immoralità anche più gravi. Da Adam Smith in poi, infatti, i fautori del libero scambio e dell'economia liberale, nonostante i loro attacchi contro il monopolio e i voti di un pacifico progresso portato dal libero scambio, si erano rifiutati di mettere in discussione il più grande dei monopoli, la proprietà privata che, sotto le spoglie della concorrenza, produce la più sanguinaria guerra totale di tutti contro tutti.

È noto che questo saggio influì sulle prime riflessioni di Marx sul­l'economia politica, esposte nei Manoscritti del 1844, tanto che ancora nel 1859 egli lo considerava un «geniale schizzo di critica delle cate­gorie economiche». Sarebbe comunque sbagliato considerare i Linea­menti come prova della rottura di Engels con il comunismo filosofico sotto l'influsso della situazione inglese o come un'anticipazione del ma­terialismo storico quale sarebbe stato elaborato nel 1845. Non solo l'ac­cento veniva posto sulla proprietà privata e la concorrenza, piuttosto che sul modo di produzione e la lotta di classe, ma la stessa proprietà privata veniva considerata causa della «immoralità della presente con­dizione dell'umanità». La posizione da cui Engels muoveva la sua cri­tica era «umana», cioè antropologica, piuttosto che teologica, e Carlyle veniva elogiato per il fatto che il suo libro recava una « traccia di condi­zione umana». Engels accettava appieno la definizione data da Carlyle della situazione inglese, ma attribuiva il disprezzo del suo autore per la democrazia e la sua ignoranza del socialismo non alla posizione di classe, ma al suo «panteismo», che ancora poneva sopra l'uomo un po­tere sovrannaturale. La soluzione proposta da Carlyle consisteva in una nuova religione basata sul vangelo del lavoro. Per Engels invece la reli­gione, ben lontana dall'essere la risposta all'immoralità e all'ipocrisia del presente, era di fatto alla radice di ogni male. La sua soluzione con­sisteva nel restituire

all'uomo il contenuto che gli era stato sottratto dalla religione; e non lo vo­gliamo come contenuto divino, bensì come contenuto umano, e tutta l'opera­zione di restituzione si limiterà semplicemente a risvegliare l'autocoscienza... infatti la pretesa dell'elemento umano e naturale di voler essere sovrumano e sovrannaturale è la radice di ogni falsità e menzogna. Ma cosi facendo abbia­mo dichiarato una guerra senza quartiere alla religione e alle idee religiose.

Per questo stesso motivo poteva definire le crisi commerciali «una legge di natura che si fonda sulla mancanza di coscienza di quanti sono coinvolti nel processo», poteva chiamare Adam Smith il «Lutero del­l'economia» che aveva sostituito l'«ipocrito farisaismo protestante» alla «franchezza cattolica», e la teoria malthusiana della popolazione poteva essere considerata «il culmine dell'economia cristiana». Per motivi analoghi, evidentemente corroborati dalla lettura del saggio di Marx sulla Questione ebraica, Engels tentò, pochi mesi dopo, l'elabora­zione di una teoria della monarchia costituzionale inglese come espres­sione del «timore che l'uomo ha di se stesso».

Per di più, se pure il punto di partenza della critica di Engels era umanista, il metodo critico adottato rimaneva ancora hegeliano. Pochi giorni dopo il suo arrivo in Inghilterra, nel novembre 1842, Engels scriveva costernato:

È una cosa che in Germania si capisce da sé, ma che non è possibile far intendere al britannico ostinato, che i cosiddetti interessi materiali non pos­sono mai operare nella storia come fini autonomi, dominanti, ma che servono sempre, consapevolmente o inconsapevolmente, un principio che tiene le fila del progresso storico.

Un anno dopo, scrivendo il suo saggio sull'economia politica, En­gels nutriva eguale fiducia nel fatto che «una volta che un principio sia stato messo in movimento esso continua poi a operare da sé in tutte le sue conseguenze, piaccia o meno agli economisti». Perciò, scriveva esponendo il proprio metodo di analisi dell'economia politica, attraver­so l'indagine delle «categorie fondamentali, sveleremo la contraddizio­ne introdotta dal sistema della libertà di commercio e trarremo le con­seguenze di entrambi i lati della contraddizione».

Engels era giunto in Inghilterra pienamente convinto della profezia di Hess, secondo la quale l'Inghilterra sarebbe stata la portatrice di una rivoluzione sociale che avrebbe consumato e trasceso la rivoluzione re­ligioso-filosofica della Germania e quella politica della Francia. Sin dall'inizio, però, fu costretto ad ammettere che «tra i partiti che si con­tendono ora il dominio, tra whigs e tories, non si conoscono lotte di principi: si conoscono solo conflitti di interessi materiali». Si trattava dunque di scoprire in quale modo in Inghilterra il principio si fosse rea­lizzato attraverso l'apparente predominio degli interessi materiali e del­la pura pratica. La sua soluzione a questo problema comparve un anno dopo in una serie incompiuta di articoli sulla Situazione dell'Inghil­terra, scritti nei primi mesi del 1844. «La grande opposizione che oc­cupò la storia fin dai suoi inizi», scriveva, era «l'opposizione di sostan­za e soggetto, di natura e spirito, di necessità e libertà».

Sino alla fine del secolo XVIII la storia mondiale non aveva fatto che contrapporre in modo sempre più acuto tali opposizioni:

I tedeschi, il popolo spiritualista e cristiano, vissero una rivoluzione filoso­fica; i francesi, il popolo del materialismo classico, e dunque il popolo politico, dovettero compiere la rivoluzione per vie politiche.

Ma

gli inglesi, la cui nazionalità è una mescolanza dell'elemento tedesco con quel­lo francese e che pertanto portano in sé ambo i lati dell'opposizione e sono dunque più universali di ciascuno dei due fattori per sé, furono coinvolti in una rivoluzione più universale, in una rivoluzione sociale.

Gli inglesi rappresentavano queste opposizioni nella loro forma più acuta, e proprio la loro incapacità a risolverle spiegava «l'eterna inquie­tudine interiore degli inglesi».

La filosofia inglese... dopo il fallimento di tutti i tentativi di comporre la contraddizione, la dichiara insolubile proclamando contemporaneamente l'ina­deguatezza della ragione e cercando scampo nella fede religiosa o nell'empiria.

Con ciò si spiegava la bigotteria religiosa della classe media inglese e insieme il suo empirismo. Allo stesso tempo però «questo sentimento della contraddizione fu l'origine della colonizzazione, della navigazione, dell'industria e, in generale, dell'immensa attività pratica degli ingle­si». Solo l'Inghilterra dunque possedeva una storia sociale:

Solo in Inghilterra gli individui come tali, senza propugnare consapevol­mente dei principi universali, hanno promosso lo sviluppo nazionale fino a portarlo quasi a compimento. Solo qui ha operato la massa in quanto massa, mossa dal proprio interesse particolare; solo qui i principi sono stati tramutati in interessi, prima ancora che essi potessero esercitare il loro influsso sulla storia.

Si è finora rilevata la problematica filosofica con cui Engels si misurò in Inghilterra tra il 1842 e il 1844, non per contraddire la sua afferma­zione sulla crescente consapevolezza dell'importanza dei «fatti econo­mici», ma per mostrare di quale portata fu lo sforzo intellettuale e di immaginazione che egli dovette compiere prima di poter scrivere La situazione della classe operaia in Inghilterra, un libro che non è certo il semplice risultato di un'inchiesta intelligente, ma che rappresenta an­che un profondo cambiamento nella sua posizione politica e teorica. La strada che dovette percorrere, e la mole di ciò che dovette dimenticare - non solo i presupposti dell'idealismo radicale tedesco, ma anche, in pratica, tutte le varianti di socialismo conosciute a quel tempo - po­tranno essere messe in giusto rilievo da un esame dei mutamenti inter­venuti nella sua concezione della rivoluzione della classe operaia e del­l'industria moderna.

Engels era giunto in Inghilterra subito dopo lo sciopero generale cartista, fiducioso nella profezia di Hess su un'imminente rivoluzione sociale che avrebbe portato alla realizzazione del comunismo. Occorrerà ricordare che, nella prospettiva di Hess, comunismo significava trionfo dei principi di comunità e «unità» sull'egoismo e la frammentazione. Non era il risultato di una guerra tra le classi, né la sua realizzazione rientrava nei destini di una classe particolare. Più volte Hess aveva con­futato l'identificazione - proposta da Lorenz von Stein - del comuni­smo con un proletariato spronato da un desiderio avido e egoistico di eguaglianza che gli veniva dallo stomaco. Engels perciò agi con perfet­ta coerenza, nel gennaio 1843, quando rifiutò l'invito di Bauer, Schapper e Moli di aderire alla Lega dei giusti. Non poteva accettare il comu­nismo degli artigiani tedeschi poiché, come più tardi confessò «al loro angusto comunismo egualitario io contrapponevo allora una buona dose di altrettanto angusta altezzosità filosofica». Come scrisse più avanti in quello stesso anno a proposito dei comunisti filosofici tedeschi, fra cui contava anche se stesso, «una rivoluzione sociale fondata sulla co­munità dei beni» era «la sola condizione umana compatibile con i prin­cipi da loro in astratto professati». I tedeschi dunque tendevano ine­vitabilmente al comunismo in quanto

i tedeschi sono un popolo filosofico e non abbandoneranno, non potranno ab­bandonare, il comunismo, quando sia fondato su retti principi filosofici, e tanto più se è derivato, come conclusione inevitabile, dalla loro stessa filosofia. È questo ora il compito che ci spetta.

Poiché il socialismo interessava tutta l'umanità, e non solo gli inte­ressi di una classe particolare, non è sorprendente che per gran parte della sua permanenza in Inghilterra Engels attribuisse importanza assai maggiore agli owenisti che non ai cartisti. «Quanto alle dottrine parti­colari del nostro partito - scriveva nel 1843 - più che a ogni altro par­tito siamo vicini ai socialisti inglesi»25. Fu assai colpito dai grandi passi avanti compiuti in Inghilterra dalla pratica socialista, e l'unico punto di disaccordo consisteva nel fatto che

i socialisti sono appunto ancora inglesi quando dovrebbero essere solamente uomini, dello sviluppo filosofico avvenuto sul continente essi conoscono solo il materialismo, ma non anche la filosofia tedesca; e qui sta la loro deficienza.

Il suo distacco dalla posizione dei cartisti fu ulteriormente allargato dal loro concentrarsi sul superamento di una forma dello Stato piutto­sto che dello Stato stesso. Scriveva infatti:

La democrazia è, come ritengo sia ogni forma di governo, una contraddi­zione intrinseca, un falso, una semplice ipocrisia (teologia, come diciamo noi tedeschi) nella sostanza.

Sin dall'inizio provò evidentemente ammirazione per lo spirito com­battivo dei cartisti, e ne considerò inevitabile la vittoria; ma i suoi occhi guardavano sempre oltre l'effimero trionfo della democrazia. I sociali­sti, scriveva nel gennaio 1844,

sono l'unico partito inglese che abbia un avvenire, quale che sia la loro rela­tiva debolezza attuale. La democrazia, il cartismo dovranno presto affermarsi, dopo di che la massa dei lavoratori inglesi non avrà altra alternativa che fra la morte per fame e il socialismo.

Ferme restando tali prese di posizione, tuttavia, le sue prime impres­sioni dell'Inghilterra furono abbastanza sconcertanti. Al suo arrivo fu sorpreso dal fatto che, «quando qui si parla di cartisti e radicali, si in­tende quasi generalmente la feccia del popolo, la massa dei proletari, ed è vero che i pochi portavoce colti del partito scompaiono tra la mas­sa». Rimase ancora piti esterefatto scoprendo che il socialismo racco­glieva consensi solo nello strato inferiore della società, e che le opere di Strauss, Rousseau, Holbach, Byron e Shelley, anche se lette dagli operai, erano praticamente innominabili tra le classi medie e gli am­bienti «colti». Carlyle lo aiutò a capire per quale motivo la classe media fosse immersa nel «mammonismo» e nella bigotteria, ma non riusci a trovare migliore spiegazione al fatto che l'illuminismo fosse limitato alle classi inferiori, se non che si trattava di una situazione analoga a quella dei primi cristiani.

A partire però dagli inizi del 1844 si comincia a individuare un cam­biamento. L'umanismo filosofico e il metodo hegeliano avevano ancora il sopravvento, ma l'importanza attribuita ai diversi elementi di questa struttura era cambiata. Particolarmente degna di nota è l'importanza nuova e primordiale attribuita alla rivoluzione industriale. Dopo una particolareggiata descrizione dei cambiamenti avvenuti nel campo del­l'industria, Engels affermava:

Questo rivoluzionamento dell'industria inglese è la base di tutti i moderni rapporti inglesi, la forza motrice dell'intero movimento sociale. La sua prima conseguenza fu l'innalzamento dell'interesse alla sovranità sull'uomo. L'inte­resse si impadronì delle forze dell'industria appena sorte e le sfruttò per i pro­pri scopi; queste forze, che di diritto appartengono all'umanità, divennero, a opera della proprietà privata, monopolio di pochi ricchi capitalisti e strumento per l'asservimento delle masse. Il commercio assorbì l'industria e divenne così onnipotente, divenne il legame dell'umanità.

Dall'interpretazione della concorrenza come prodotto dell'avidità dei mercanti e della «scienza dell'arricchimento» degli economisti, la sua attenzione si era spostata, in altre parole, sulle forze reali che ave­vano resa universale la concorrenza. Aveva inoltre cominciato a capire in quale modo l'industrializzazione avesse trasformato il sistema delle classi.

L'avvenimento più importante dell'Inghilterra settecentesca era stata la creazione del proletariato, una classe assolutamente nuova; nel corso di quello stesso processo, inoltre, la classe media si era fatta ari­stocratica. A sua volta però questa cristallizzazione dell'Inghilterra in tre classi distinte - aristocrazia terriera, aristocrazia del denaro e demo­crazia operaia - aveva minato lo Stato. In un'analisi della costituzione e del sistema giuridico inglesi, redatta nel marzo 1844, Engels giungeva alla conclusione che il tanto decantato equilibrio di potere sancito dalla costituzione era «un grande inganno». Sottolineando il contrasto tra la teoria e la prassi della costituzione, scriveva: «Qui una trinità della legislatura, li una tirannia della classe media». Né la regina, né i lords, né i comuni governavano l'Inghilterra:  «Chi governa effettivamente l'Inghilterra? Governa il possesso». La potenza dell'aristocrazia non derivava dalla sua posizione costituzionale, ma dall'estensione delle sue proprietà terriere. Nella misura in cui, dunque, il potere dell'aristocra­zia, cosi come quello della classe media, derivava dalle loro proprietà, e nella misura in cui « il possesso e l'influenza ottenuta in virtù di esso formano l'essenza della classe media... è la classe media che certamente ha il predominio».

Ma se la costituzione si rivelava un semplice involucro sotto il quale si celava il dominio della proprietà privata, e se gli altri «diritti di na­scita» inglesi (libertà di stampa, libertà di riunione, «habeas corpus», sistema delle giurie) si rivelavano anch'essi privilegi dei ricchi negati ai poveri, allora ciò che a prima vista era sembrato a Engels tanto mi­sterioso - l'irragionevole opposizione della classe media alla democrazia e al socialismo - diveniva d'un tratto assai facile da capire. Il socialismo rimaneva l'obiettivo da raggiungere, e l'«eguaglianza democratica» ri­maneva una «chimera». Ma se la battaglia contro lo Stato non demo­cratico non era in realtà una battaglia politica, bensì sociale, contro il dominio della proprietà, allora anche il cartismo assumeva un signifi­cato ben diverso. Quale tipo di democrazia avrebbe infatti prodotto una vittoria dei cartisti?

Non quella della rivoluzione francese, il cui opposto era costituito dalla monarchia e dal feudalesimo, ma la democrazia, il cui opposto è rappresentato dalla classe media e dal possesso... La classe media e il possesso detengono il dominio, il povero è privo di diritti, viene oppresso e sfruttato, la costituzione lo ignora e la legge gli è sempre sfavorevole; la lotta della democrazia contro l'aristocrazia, in Inghilterra, è la lotta dei poveri contro i ricchi. La democra­zia verso la quale l'Inghilterra è avviata è una democrazia sociale.

Nei primi giorni del settembre 1844 Engels si trattenne a Parigi con Marx, sulla strada del ritorno a Barmen. Proseguendo l'esame retro­spettivo della sua scoperta, a Manchester, dell'importanza decisiva dei «fatti economici» come «base delle origini degli attuali contrasti di classe», Engels scriveva nel 1885:

Marx non soltanto era giunto alla stessa concezione, ma l'aveva già gene­ralizzata nei «Deutsch-Franzosische Jahrbucher» (1844), nel senso che non lo Stato condiziona e regola la società civile, ma la società civile condiziona e re­gola lo Stato; che dunque la politica e la sua storia devono essere spiegate sul­la base dei rapporti economici e del loro sviluppo, e non viceversa.

Tale affermazione è vera solo in parte. In base agli scritti di Marx che precedettero il suo incontro con Engels si può dedurre che egli non era giunto «alla stessa concezione» su almeno due questioni di grande importanza. In primo luogo, mentre Marx aveva affermato la subordi­nazione dello Stato alla società civile, Engels aveva elaborato - sia pure non in forma teoricamente generalizzata - una proposizione altrettanto importante: il carattere di classe dello Stato. Nelle sue Glosse critiche in margine all'articolo «Il re di Prussia e la riforma sociale. Di un prus­siano», scritte poche settimane prima dell'arrivo di Engels, la defini­zione data da Marx allo Stato era fondamentalmente questa:

Lo Stato... poggia sulla contraddizione tra vita privata e pubblica, sulla contraddizione tra gli interessi generali e gli interessi particolari.

In questo articolo non si riscontra alcuna concezione di classe domi­nante, intesa nella successiva accezione marxista. Il tema trattato era invece l'impotenza dell'amministrazione politica di fronte al predomi­nio della società civile, impotenza il cui carattere contraddittorio po­teva spiegare l'illusione stessa della sfera politica. Engels aveva invece definito lo Stato inglese come strumento adoperato dalla classe possi­dente che deteneva il potere nella sua lotta contro la classe operaia.

In secondo luogo, a Engels spettava l'indicazione del tipo di lotta di classe generato dall'industria moderna. Sino al saggio incompiuto su List, scritto all'inizio del 1845, i riferimenti di Marx all'industria mo­derna erano stati superficiali e descrittivi. Il concetto decisivo, attorno al quale - tra il 1845 e il 1847 - si sarebbe cristallizzata la nuova teoria del materialismo storico, era quello del modo di produzione, e il punto essenziale di quel concetto era l'importanza attribuita ai mezzi di pro­duzione. Sul piano teorico, ciò avrebbe permesso a Marx e a Engels di capire la lotta di classe in quanto rivolta delle forze produttive contro i rapporti di produzione; su quello politico, avrebbe permesso loro di dichiarare guerra al capitale, pur sottolineando la tendenza progressiva dell'industria moderna. Il grande cambiamento provocato dalla rivolu­zione industriale era stata la trasformazione del rapporto tra operaio e mezzi di produzione. Proprio questa trasformazione aveva prodotto la forma inedita assunta dalla moderna lotta di classe.

Sebbene già nel 1844 Engels avesse iniziato ad avvertire con sicurezza sempre maggiore il significato rivoluzionario assunto dall'indu­stria moderna attraverso la creazione di una nuova forma di lotta di classe, era ben lontano dall'elaborare la teoria del materialismo stori­co. Lo interessava semplicemente la particolare strada che l'Inghilterra sembrava avere imboccato, dirigendosi verso la rivoluzione sociale, e per potersi spiegare tale fenomeno si aggrappava in modo assai poco coerente a una mistura di Hegel e di Feuerbach. D'altra parte Marx, nei Manoscritti del 1844, proprio per il suo rigore teorico, rimaneva essenzialmente nell'ambito di una struttura artigianale. Perseguendo con maggiore coerenza la tecnica del capovolgimento feuerbachiano, il rapporto fondamentale che vi veniva posto in rilievo non era quello tra operaio e mezzi di produzione, ma tra l'operaio e il suo prodotto. La sua prospettiva era quella della pauperizzazione, materiale e antropo­logica, dell'uomo: un mondo di alienazione e proprietà privata, non mediate dalle possibilità progressive e rivoluzionarie offerte dal nuovo modo di produzione. L'impressione che Marx fece su Engels nell'estate 1844 fu quella di un brillante teorico umanista, più audace e originale nella sua applicazione ed estensione allo Stato e all'economia politica della logica del capovolgimento, dotato di una netta percezione dell'in­compatibilità tra Feuerbach e Hegel.

La situazione della classe operaia in Inghilterra rappresenta l'ulti­ma fase del pensiero di Engels prima della collaborazione con Marx a Bruxelles. La focalizzazione della sua analisi sull'industria moderna, la classe operaia e lo sviluppo della lotta di classe è di per sé indicativa del cambiamento nell'attribuzione delle sue priorità. Come Marx, che in seguito progettò un libro sulla dialettica, nemmeno Engels trovò -il tempo di scrivere la sua storia sociale dell'Inghilterra, di cui La situa­zione della classe operaia avrebbe dovuto costituire una parte. La cate-gorizzazione hegeliana della preistoria inglese, che aveva avuto tanto rilievo nei saggi precedenti, manca del tutto in questo libro, senza dub­bio come conseguenza delle sue discussioni con Marx. Ma vi manca an­che, sebbene Engels credesse ancora che il comunismo stesse al di sopra della lotta di classe, l'interesse per la teologia e per Feuerbach. Engels aveva scritto alcuni dei più ammirativi passi su Feuerbach nella Sacra famiglia, ma già nel novembre 1844 la lettura dell'Unico e la sua pro­prietà di Stirner lo aveva convinto che

l'«uomo» feuerbachiano è derivato da Dio... e cosi l'«uomo» è veramente an­cora circonfuso da un'aureola teologica di astrazione. La vera via per arrivare aH'«uomo» è quella opposta... Dobbiamo partire dall'empirismo e dal mate­rialismo, se i nostri pensieri e specialmente il nostro «uomo» debbono essere qualcosa di vero; dobbiamo derivare l'universale dal singolo, non da se stesso o dall'aria, alla Hegel.

Evidentemente Marx non approvò questo programma, e in partico­lare le sue concessioni a Stirner, e nella lettera successiva Engels accettò il suo giudizio. Nonostante ciò l'influsso negativo di Stirner rimase. Nel suo libro infatti sono chiaramente riscontrabili le conseguenze del­l'irritazione di Engels per le «chiacchiere teologiche» sull'«uomo» e il suo nuovo interesse per le cose «reali, viventi», nei loro svolgimenti storici.

Il punto di partenza della Situazione della classe operaia non furono la concorrenza o la proprietà privata, bensì i cambiamenti storici speci­fici avvenuti nell'industria durante il secolo XVIII. La sua spiegazione in proposito non fu esauriente , ma la logica che vi è sottesa può essere dedotta dalla strutturazione generale dell'argomento. Di per se stessa la concorrenza non poteva descrivere se non un processo negativo di dissoluzione, una lotta ancora più brutale tra gli individui, la cui unica possibilità di salvezza sarebbe venuta dalla rinnovata coscienza della loro umanità, risvegliata dall'esterno dalla filosofia. L'«industria», in­vece, poteva costituire il punto di partenza di un processo più comples­so e contraddittorio, un processo che conteneva in sé la potenzialità di liberazione:

La piccola industria ha creato la classe media, la grande industria ha creato la classe operaia e posto sul trono i pochi eletti della classe media, ma soltanto per potere un giorno tanto più sicuramente farli precipitare.

L'«industria» in condizioni di libera concorrenza non spiegava solo la «guerra di tutti contro tutti», ma anche la crescita di un movimento operaio unito nello sforzo di rovesciare il sistema concorrenziale. I so­cialisti inglesi non venivano più elogiati per la loro coerenza verso un «principio filosofico», ma criticati perché «astratti» e perché «non rico­noscono lo sviluppo storico», e quindi

si lamentano continuamente della degradazione morale delle classi inferiori, sono ciechi dinanzi a tutti gli elementi di progresso insiti in questa degrada­zione dell'ordine sociale... Nella sua configurazione attuale il socialismo non potrà mai diventare patrimonio comune della classe operaia; sarà anzi costret­to all'umiliazione di ritornare per un istante alla piattaforma del cartismo.

La concorrenza non implicava che l'alternativa astratta delle comu­nità, mentre l'«industria» era un processo storico che, concentrando la popolazione in grandi unità produttive e vaste città, aveva di per sé creato la possibilità materiale dell'unione degli operai:

La concentrazione della popolazione, se da un lato è un elemento di sti­molo e sviluppo per le classi abbienti, dall'altro rende ancor più rapido lo svi­luppo degli operai. Questi cominciano a sentirsi una classe nella loro totalità, scoprono che, pur essendo deboli come individui, uniti costituiscono una for­za; il terreno è favorevole per il loro distacco dalla borghesia, per la forma­zione di idee peculiari agli operai e corrispondenti alla loro posizione nella vita, si rendono conto di essere degli oppressi e acquistano importanza poli­tica e sociale. Le grandi città sono la culla del movimento operaio, in esse per la prima volta gli operai hanno cominciato a riflettere sulle loro condizioni e a combatterle, in esse per la prima volta si è manifestato il contrasto tra pro­letariato e borghesia, da esse sono uscite le associazioni operaie, il cartismo e il socialismo. Le grandi città hanno reso acuta la malattia dell'organismo so­ciale, che nelle campagne si presentava in forma cronica, e con ciò stesso ne hanno messo in luce la vera essenza e il modo giusto per guarirla.

Nei Lineamenti di una critica dell'economia politica, Engels aveva definita la concorrenza un'afflizione dell'umanità,

In questo processo, in cui eguali interessi divengono reciprocamente ostili proprio a causa della loro identità, giunge a perfezione l'immoralità della pre­sente condizione dell'umanità. Questa perfezione è la concorrenza.

Ora, viceversa, la concorrenza era il punto nodale della lotta di clas­se tra la borghesia e la classe operaia. La concorrenza tra gli stessi ope­rai sviluppa al massimo il rendimento di ciascuno, attraverso la divi­sione del lavoro e le macchine ha generato «una riserva di operai disoc­cupati», togliendo «il pane a una gran quantità di operai». La concor­renza tra gli operai è «l'arma più affilata contro il proletariato nelle mani della borghesia»*. Per di più la concorrenza non costituisce solo la prassi, ma anche tutta la teoria della borghesia: «Domanda e offerta, supply and demand, sono le formule in base alle quali la logica dell'in­glese giudica tutta la vita umana». Persino lo Stato era stato ridotto al minimo necessario «per tenere a freno il proletariato, ad essa altret­tanto necessario».

Il costante filo conduttore della crescita del movimento operaio, dal luddismo al tradeunionismo, fino al cartismo, era quindi stata la batta­glia per abolire la concorrenza tra gli operai. La rottura tra democratici «politici» borghesi e democratici «sociali» operai, dopo il 1842, era stata provocata dalla questione del libero scambio:

Gli operai hanno dovuto sopportare troppe sofferenze a causa della libera concorrenza, per non odiarla profondamente; i suoi sostenitori, i borghesi, so­no i loro nemici dichiarati. L'operaio non può aspettarsi che danni dal pieno scatenamento della concorrenza. Tutte le sue rivendicazioni, come la legge del­le dieci ore, la difesa dell'operaio contro il capitalista, un buon salario, la sicu­rezza del posto, l'abolizione della nuova legge sui poveri, tutte cose che appar­tengono al cartismo almeno altrettanto sostanzialmente quanto i «sei punti», sono in diretto contrasto con la libera concorrenza e il libero scambio.

«È appunto su questa questione - scriveva Engels - che il prole­tariato si distacca dalla borghesia, il cartismo dal radicalismo». Il car­tismo «è essenzialmente di natura sociale». Ma proprio perché il carti­smo era un movimento sociale, e perché il socialismo rappresentava l'u­nica alternativa finale alla concorrenza, il passo successivo sarebbe stato la fusione dei cartisti e dei socialisti in un socialismo veramente prole­tario, che in questa forma avrebbe svolto un ruolo di grande rilievo nel­lo sviluppo del popolo inglese.

4. Il contributo di Engels alla formazione del materialismo storico.

Come caratterizzare dunque il contributo di Engels al marxismo? In quale misura la sua presenza fu essenziale alla nascita del materialismo storico?

Non si può pensare che Engels da solo sarebbe riuscito a elaborare una nuova teoria generale, tale da rompere decisamente con tutti i vari precedenti filosofici. Non era possibile costruire una teoria del materia­lismo storico partendo dal «materialismo e l'empirismo» o attraverso il progresso dal «singolo» all'«universale», come Engels si proponeva di fare nel tardo autunno del 1844. Al suo nuovo entusiasmo per l'em­pirismo si devono molti pregi del suo libro sulla Situazione della classe operaia, ma esso non avrebbe potuto ingenerare le posizioni delineate nell'Ideologia tedesca a partire dal 1845. L'Inghilterra era ancora trat­tata da Engels come un caso particolare: era ancora possibile per lui pensare che la via francese al comunismo fosse politica, e quella tede­sca filosofica. Nonostante gli indizi che inducono a pensare che, alla luce dell'esperienza inglese, le sue attese riguardanti la Germania sareb­bero divenute meno ingenue, la distanza fra la sua posizione al tempo in cui scriveva La situazione della classe operaia in Inghilterra e quella cui sarebbe giusto quando collaborò con Marx all'Ideologia tedesca era ancora assai notevole.

Possiamo misurarla confrontando due osservazio­ni sulla Germania, una del dicembre 1844, l'altra del settembre 1845.

1) Fino a oggi la nostra roccaforte è stata la classe media, un fatto che for­se sorprenderà il lettore inglese, se non sa che questa classe in Germania è assai piti disinteressata, imparziale e intelligente di quella inglese, e per la sem­plice ragione che è più povera '.
2) È vero, ci sono fra le nostre classi medie molti repubblicani e perfino comunisti... che, se ora si verificasse una insurrezione generale, sarebbero uti­lissimi nel movimento, ma costoro sono bourgeois, gente che cerca il profitto, fabbricanti di professione; e chi ci garantisce che non siano moralmente de­gradati dal loro mestiere, dalla loro posizione sociale che li costringe a vivere della fatica di altre persone, a ingrassarsi da sanguisughe, da exploiteurs del­le classi lavoratrici?... Fortunatamente noi non contiamo affatto sulle classi medie.

Tuttavia, senza l'opera di Engels sull'Inghilterra, la formulazione di una teoria marxista sarebbe stata a dir poco molto più lenta di quanto in effetti non fu: La situazione della classe operaia in Inghilterra fornì un'indagine straordinariamente lucida del modo in cui lo sviluppo del­l'industria moderna aveva generato al tempo stesso la lotta di classe proletaria e la possibilità della liberazione finale. Engels forni una spie­gazione sistematica dello sviluppo di un'economia politica proletaria e del carattere sociale delle rivendicazioni politiche operaie. Era stato il processo stesso, più che l'intervento del filosofo, a suscitare nei lavora­tori la coscienza della propria collocazione di classe, ed Engels sperava che esso avrebbe condotto anche alla nascita di un «socialismo prole­tario». La sua formazione hegeliana, inoltre, pur con tutti i suoi limiti, lo aiutò a superare due gravi ostacoli teorici che avevano impedito il progresso dello stesso movimento operaio inglese. Mentre si rendeva conto, grazie al socialismo inglese, del potenziale liberatorio dell'indu­stria moderna, attraverso il presupposto di un nucleo razionale dello sviluppo storico, Engels potè evitare la valutazione negativa dell'anta­gonismo tra classe media e classe operaia. D'altro canto, poteva condi­videre la fiducia dei cartisti nella necessità di una politica operaia indi­pendente senza doverne basare la legittimità su una teoria del valore basata sul lavoro, derivata dalla teoria del diritto naturale.

 Così, distac­cato per la sua stessa nazionalità da alcuni degli aspetti più settari del movimento operaio, potè giungere a un'ammirevole valutazione del si­gnificato della lotta del moderno proletariato considerata nella sua to­talità.
L'importanza di tale valutazione merita di essere sottolineata. Da un semplice confronto dei testi rimastici, infatti, risulta evidente che una serie di proposizioni fondamentali per il marxismo compaiono nei primi scritti di Engels più che in quelli di Marx: il centro dell'attenzione spo­stato dalla concorrenza alla produzione, la rivoluzionaria novità dell'in­dustria moderna, segnata da crisi di sovrapproduzione e dalla costante riproduzione di una riserva di manodopera, la tesi - quanto meno in forma embrionale - che la borghesia produce da sé i propri affossatori e che il comunismo non rappresenta un principio filosofico, ma «il mo­vimento reale che abolisce l'attuale stato di cose», l'abbozzo storico del­la formazione del proletariato in quanto classe, il differenziarsi del «so­cialismo proletario» dal radicalismo degli artigiani e delle classi medie inferiori, la caratterizzazione dello Stato come strumento di oppressione nelle mani della classe proprietaria dominante.

Sono idee destinate a diventare fondamentali nella teoria di Marx e di Engels, sebbene sia vero che divennero «marxiste» solo in virtù della logica del materialismo storico, che le avrebbe collegate e sostenute. Fu Marx che costruì questa logica e concepì la causalità storica e le nuove idee di cui queste proposizioni potevano dirsi il risultato. Come scrive­va a Weydemeyer nel 1852, «ciò che io ho fatto di nuovo è stato... di­mostrare che l'esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione».

Si può dunque concordare con Engels sul fatto che la teoria mate­rialistica della storia, «che rivoluzionava la scienza storica... è essenzial­mente opera di Marx», ma al tempo stesso possiamo confutare la sua affermazione secondo cui egli stesso avrebbe avuto una parte insignifi­cante nella sua gestazione5. Engels infatti aveva fornito le componenti grezze che sottolinearono drammaticamente l'inadeguatezza della teoria precedente, e che costituirono larga parte delle proposizioni cui la nuo­va teoria si rivolgeva. Che Engels si schermisse, diviene più compren­sibile se si tiene conto che alcune delle più importanti fra queste propo­sizioni non erano affatto suoi prodotti originali. Prendiamo ad esempio la definizione dello Stato moderno, formulata nell'Ideologia tedesca:

A questa proprietà privata moderna corrisponde lo Stato moderno, che at­traverso le imposte è stato a poco a poco comperato dai detentori della pro­prietà privata, che attraverso il sistema del debito pubblico è caduto interamente nelle loro mani, e la cui esistenza ha finito col dipendere del tutto, nel­l'ascesa o nella caduta dei titoli di Stato in borsa, dal credito commerciale che gli assegnano i detentori della proprietà privata, i borghesi.

Affermazioni del genere o loro varianti meno raffinate erano state luoghi comuni della stampa illegale e della politica cartista. Lo stesso va­leva per molte delle tesi contro Malthus, per la condanna della sovrap­produzione come conseguenza della concentrazione sul mercato mondia­le e per l'idea della manodopera di riserva. L'importanza del contributo di Engels derivava, più che dai suoi momenti di originalità teorica, dalla sua capacità di trasmettere elementi teorici e pratici sviluppati all'inter­no del movimento operaio in una forma tale da renderli parte intrinseca della struttura della nuova teoria. Il significato di questo momento per i primi passi del marxismo viene generalmente ignorato. Secondo la ver­sione ufficiale, formulata per la prima volta da Kautsky e poi investita di grande prestigio per il parziale riconoscimento di Lenin nel Che fa­re?, il processo di collegamento tra socialismo e movimento operaio è del tutto univoco: la teoria socialista viene elaborata al di fuori della classe operaia dagli intellettuali borghesi, per essere poi comunicata agli elementi più lungimiranti della classe operaia, e infine filtrando sino al movimento operaio. In tale processo il ruolo della classe operaia è del tutto passivo: il quadro è assai simile a quello prospettato da Marx nel 1843, in cui il proletariato concede la forza delle sue braccia al filosofo, e ottiene in cambio la coscienza di ciò che è e di che cosa significa la sua lotta. È una prospettiva cui corrisponde l'idea che la rottura teorica del marxismo sia qualcosa a se stante, un motore il cui carburante era stato esclusivamente l'introspezione intellettuale. Solo dopo la formazione della teoria si operò la congiunzione con il movimento proletario, che poi provvide a propagare le nuove idee.

Per confutare questa interpretazione basterà ricordare che, seppure i concetti e la struttura della nuova teoria non sono certo riducibili al­l'esperienza, e possono essere solo frutto di un lavoro teorico, i proble­mi diversi dai quali essa fu provocata avevano per definizione la pro­pria fonte al di fuori del discorso teorico preesistente. Nel caso di En­gels come in quello di Marx il modo di porsi i problemi cambiò via via che crescevano la loro conoscenza e la loro esperienza del movimento operaio. Come è noto, nel 1844 Marx partecipò a riunioni di artigiani parigini, e tale esperienza si rifletté in modo evidente nel suo lavoro.

Essa ebbe però un effetto ancora più profondo su Engels: Parigi infatti non era un punto strategico come Manchester per assimilare il rapporto tra l'industria moderna e il moderno movimento operaio.

Un tratto che distingueva Engels da molti dei suoi contemporanei era la radicata insofferenza per il proprio ambiente. Per questo era di­sposto non solo a imparare qualcosa sugli, ma anche dagli operai; non voleva limitarsi a leggere le fonti a lui accessibili, cercava anche un con­tatto personale e si considerava parte del loro movimento. In quale modo avesse passato il suo tempo a Manchester, ci è indicato nella pre­fazione del suo libro.

Ho rinunciato alla compagnia e ai trattenimenti, al vino di Porto e allo champagne delle classi medie, ho dedicato le mie ore libere quasi esclusiva­mente a frequentare semplici operai; sono insieme contento e fiero di averlo fatto.

Sappiamo che a Manchester conobbe le sorelle Burns, che discusse sugli owenisti con John Watts, che frequentò le Halls of Science, assi­stette agli interventi dei cartisti contro la Lega contro la legge sul grano, incontrò James Leach, un operaio industriale che occupava un posto di rilievo nell'Associazione nazionale cartista, e nell'autunno 1843 si pre­sentò a Harney, nella redazione del «Northern Star» a Leeds. I risultati di questa esperienza sono evidenti nel suo libro, ma anche altro apprese, e lo dice esplicitamente nella sua prefazione:

Avendo ampia occasione di osservare le classi medie, vostre avversarie, ben presto sono giunto a concludere che voi avete ragione, perfettamente ragione, di non aspettarvi alcun appoggio da essa.

Naturalmente, come abbiamo già cercato di mostrare, non vi fu, né da parte di Marx né di Engels, una semplice capitolazione della teoria di fronte all'esperienza del 1842-45. Il processo fu necessariamente più complesso, in quanto è più probabile che una teoria, per quanto in de­finitiva inadeguata, venga stiracchiata e costretta ad adattarsi a feno­meni nuovi, anziché essere abbandonata del tutto, almeno sino a quan­do non si riescano a individuare le possibilità o i prodromi di una nuova teoria. Fu Marx a compiere tale trasformazione teorica, ma Engels lo aveva preceduto, fornendogli molti elementi di ciò che sarebbe divenu­to l'oggetto della nuova teoria, sia pure solo a livello pratico e ponen­doli in termini insoddisfacenti nell'ambito di una problematica filosofica inadeguata. Proprio il fatto che Engels sia stato un pensatore meno conseguente di Marx rappresentò una virtù fondamentale in quel periodo formativo che condusse all'apertura di una breccia verso il mate­rialismo storico, in quanto garanti la congiunzione fra la teoria materia­listica della storia e i presupposti pratici della lotta operaia, un avveni­mento che, secondo la versione ortodossa, si sarebbe verificato soltanto nel 1847, quando Marx ed Engels aderirono alla Lega dei comunisti, mentre era già parte della nuova teoria al momento della sua forma­zione a Bruxelles nel 1847.

Poiché si è ritenuto necessario soffermarci sull'importanza dei primi contributi di Engels al marxismo, non è ora possibile affrontare i nume­rosi contributi che egli diede al suo successivo sviluppo. Andrebbe an­cora ricordato il suo lavoro all'interno della Lega dei comunisti e nella preparazione del Manifesto, bisognerebbe esaminare la sua opera di corrispondente sugli affari europei e la sua trattazione dello spinoso problema delle nazionalità sulla «Neue Rheinische Zeitung» nel 1848, la sua sempre più approfondita conoscenza della strategia e della teoria militare a partire dai primi anni '50, la sua magistrale analisi della Ger­mania, elaborata nella Guerra dei contadini e in Rivoluzione e contro­rivoluzione in Germania e continuata poi nei suoi scritti su Bismarck e sul nuovo Stato unitario tedesco. Né è possibile prendere qui in con­siderazione le sue successive opere sulla scienza naturale, e sulle origini della famiglia e dello Stato, oppure, nella sfera più strettamente poli­tica, le sue riflessioni sull'Irlanda, le sue numerose e lucide analisi della situazione e della strategia dei vari movimenti operai europei e ameri­cani, le sue battaglie contro il proudhonismo e l'anarchismo, i suoi stret­ti rapporti con i dirigenti della socialdemocrazia tedesca, o ancora la crescente preoccupazione per il mantenimento della pace in Europa do­po la fondazione della Seconda Internazionale. Dovremo limitarci a con­cludere ipotizzando una notevole coerenza nei suoi punti di forza e nei suoi stessi limiti dall'inizio alla fine della sua lunga carriera di marxista.

A partire dal 1845 il rapporto fra Marx ed Engels fu costante. Ciò che Engels scrisse nel 1887 vale per tutto il loro rapporto di lavoro:

In seguito alla divisione del lavoro esistente fra Marx e me, è toccato a me il compito di presentare le nostre vedute nella stampa periodica, e quindi specialmente nella lotta contro le vedute avverse; in modo che a Marx restasse il tempo per l'elaborazione della sua massima opera.

Una collaborazione di questo genere non sarebbe certo durata a lun­go se si fosse trattato di un rapporto tra maestro e discepolo, tra crea­tore e divulgatore. Funzionò perché la teoria di partenza era in «comproprietà», cosicché entrambi si sentirono altrettanto impegnati nel suo ampliamento attraverso l'elaborazione di una teoria specifica del modo di produzione capitalistico. Engels non ebbe mai dubbi sul fatto che Marx fosse più adatto di lui in questo compito: sarebbe dunque sba­gliato commiserare Engels per i lunghi anni in cui provvide al manteni­mento economico di Marx durante la preparazione del Capitale. Per parte sua non avrebbe certo accettato un atteggiamento del genere, e in effetti considerava II capitale un'espressione di se stesso cosi come di Marx. Non vi sono segni di reale insofferenza da parte di Engels, se non nel momento della fredda reazione di Marx alla morte di Mary Burns. Come è facile immaginare, la tensione fu sentita piuttosto dalla fami­glia Marx, e in particolare la signora Marx mal tollerava la dipendenza economica della sua famiglia dalla carità dell'amico. Quanto a Engels, per quanto noiosi fossero stati per lui i lunghi anni di lavoro d'ufficio a Manchester, il suo rapporto con Marx soddisfaceva una profonda ne­cessità di certezza intellettuale, e gli forniva una solida base sulla quale sviluppare i suoi talenti assai più diversificati. Engels non era abbastan­za sicuro di sé per possedere una grande originalità teorica; questa qua­lità la cercava dunque negli altri. Oltre a Marx, l'unico altro pensatore che soddisfece questo suo desiderio di sicurezza intellettuale fu Hegel.

La concezione iniziale del materialismo storico, sviluppatasi nell'o­pera di Marx nel periodo che va dall'Ideologia tedesca al Manifesto del Partito comunista, fu assai problematica. Essa tendeva a declassare l'ideologia a semplice riflesso del movimento reale, e lo sviluppo del movimento reale stesso a riflesso dello sviluppo delle forze di produ­zione. A ogni paese venne affidato un ruolo particolare nella rivolu­zione futura, secondo il livello raggiunto in una scala di sviluppo, e la teoria lasciava ben poco spazio alla distinzione tra il carattere spe­cifico della crisi del capitalismo negli anni '40 e quello di un'eventuale crisi definitiva del capitalismo nel suo complesso. Le rivoluzioni del 1848 non ebbero l'esito previsto. Il cartismo e il «socialismo proleta­rio» non trionfarono in Inghilterra, la Germania non portò a termine la sua rivoluzione borghese, la rivoluzione francese abortì, producendo la «farsa» del Secondo Impero, mentre i «popoli senza storia» dell'Eu­ropa orientale dimostravano nella pratica l'esistenza di una logica sto­rica più complessa e discontinua di quanto non avesse previsto la teoria iniziale.

Nonostante ciò, il fallimento del 1848 non portò a una riformula­zione radicale della teoria. Anzi, dopo un'analisi più particolareggiata del ciclo commerciale e il riconoscimento di uno spazio più ampio per lo sviluppo delle forze produttive nell'ambito del capitalismo, Marx ed  Engels ritennero che il carattere delle rivoluzioni non avesse che con­fermato la correttezza della loro ipotesi. La teoria del modo di produ­zione capitalistico fu enormemente approfondita nel Capitale, ma la concezione complessiva dei rapporti tra la sfera economica, quella poli­tica e quella ideologica rimase sostanzialmente immutata. Fu riconfer­mata nella prefazione del 1872 al Manifesto, e solo negli anni '80 - per reazione all'affermarsi di un marxismo volgare contaminato dal positi­vismo - Engels cominciò a sottolineare il carattere complesso e indi­retto della determinazione economica e l'importanza della sfera politica. Si trattava però anche in questo caso di una specificazione, più che di uno sviluppo della teoria, in quanto Engels non era disposto a ripensare il carattere della determinazione nei termini stessi della teoria. È in effetti improbabile che Engels ammettesse la necessità di una simile riformu­lazione sostanziale e la sua visione teorica fondamentale rimase infatti notevolmente costante. Sempre irriducibilmente legato all'idea di un processo storico che avrebbe portato al crollo del capitalismo, a diffe­renza della maggior parte dei teorici del Zusammenbruch della Seconda Internazionale - che ipotizzavano appunto il crollo generale e contem­poraneo del capitalismo - considerava lo sviluppo della lotta di classe parte integrante di quel processo. Rimase fedele anche alla sua convin­zione iniziale, derivata dal cartismo, che la lotta per la democrazia nei paesi capitalisti fosse una lotta sociale, e quindi inserita nella lotta per il socialismo: di qui, l'entusiasmo che, insieme con Marx, professò sem­pre per il suffragio universale e la fiducia che in alcuni paesi il sociali­smo potesse essere conseguito con mezzi pacifici.

Per di più, nonostante la raffinatezza delle analisi di Engels sulla Germania, nelle quali svilup­pò le sue importanti concezioni dell'assolutismo, del «bonapartismo» della borghesia e della «rivoluzione dall'alto», e nonostante la sua teo­ria che ricollegava il carattere del movimento operaio inglese al predo­minio inglese sul mercato mondiale, la linea politica dei suoi interventi rimase sostanzialmente identica a quella elaborata insieme con Marx negli anni '40: incoraggiare la formazione di partiti operai indipendenti basati sulla lotta di classe, contrarre alleanze con le altre forze progres­siste solo sulla base di tale indipendenza, combattere tutti gli ostacoli settari che si frapponevano a tale sviluppo.
Engels rimase evidentemente segnato dalle sue esperienze giovanili in Inghilterra. Il suo giudizio poteva essere veramente incisivo, la sua intuizione veramente sicura solo nell'affrontare il problema dei movi­menti operai nei paesi industrializzati. Come in gioventù, fu sempre convinto dell'«idiozia della vita rurale», e gli era difficile pensare ai con­tadini se non in termini di sopravvivenze barbariche o nella prospettiva di una loro futura proletarizzazione ". Nell'affrontare i bakunisti in Spa­gna e in Italia gli accadde di perdere il senso delle proporzioni; non riuscì mai a perdonare agli slavi meridionali e ai cechi la loro azione contro la Germania e l'Ungheria rivoluzionarie del 1848, e rifiutò di considerare degna di nota la questione nazionale, se non laddove essa contribuiva, in modo consapevole o inconsapevole, alla causa della ri­voluzione. I punti di forza, e insieme le debolezze, del suo pensiero con­sistevano nell'assoluta priorità da lui accordata alle situazioni che sem­bravano offrire maggiori possibilità all'avanzata del socialismo, e ciò a volte gli impedì di cogliere conflitti paralleli, forse scomodi, ma non meno fondati.

Calcoli di questo tipo dominarono sempre il mutare delle sue opi­nioni in merito ai rapporti internazionali. Negli anni '50 e '60 Engels e Marx scrutavano l'orizzonte politico nella speranza che una guerra europea provocasse un'alleanza progressista contro lo zarismo, radica-lizzando la borghesia e rovesciando le autocrazie reazionarie. Tuttavia, dopo che Bismarck ebbe portato a termine l'unità tedesca e l'annessione dell'Alsazia-Lorena, Engels si convinse sempre più della necessità del­la pace: poiché il futuro del socialismo dipendeva ora dal futuro della Germania e dallo sviluppo incontrastato del Partito socialdemocratico tedesco, gli sembrava necessario impedire a tutti i costi un'alleanza franco-russa, e rimandare a dopo la vittoria del socialismo la restituzio­ne delle province francesi. È in dubbio peraltro che questa posizione filotedesca si fondava su criteri socialisti, e non su una particolare incli­nazione nazionale, tanto è vero che Bebel e Bernstein scoprirono scan­dalizzati tra le sue carte un piano per la difesa di Parigi dai prussiani nel 1870, e lo distrussero per paura della reazione che esso avrebbe po­tuto suscitare in Germania12. Tuttavia questa accentuazione unilaterale delle prospettive di successo del socialismo tedesco causò non poche difficoltà alla Seconda Internazionale. Nel 1891 i socialisti francesi fu­rono estremamente offesi da un attacco di Engels allo sciovinismo fran­cese, in cui affermava la necessità dell'appoggio da parte dei socialisti tedeschi nel caso di una guerra difensiva, mentre non si faceva cenno a un'azione analoga dei socialisti francesi nel caso di un attacco offen­sivo da parte della Germania. La preoccupazione di Engels di fronte alla minaccia russa e l'insistenza sulla necessità della pace per la costru­zione del socialismo in Germania gli impedirono in parte di dare la dovuta considerazione al caso francese; di conseguenza il Partito socialde­mocratico tedesco non fu del tutto in malafede quando si appellò alla autorità di Engels per giustificare il proprio voto in favore dei crediti di guerra nel 1914.

La forza e la debolezza del marxismo di Engels derivavano entrambe dal suo senso intenso e durevole della marcia di una dialettica storica, dell'avanzata concomitante dell'industria moderna e del movimento proletario. Con questo si spiega il fascino che Hegel esercitò sempre su di lui, e il suo ripetuto ricorrere a Hegel di fronte a problemi per i quali il marxismo non offriva soluzioni. Fu al concetto hegeliano di «nazione storica» che Engels ricorse di fronte al nazionalismo del 1848, e nella filosofia naturale di Hegel cercò indicazioni per la sua ricerca di un'al­ternativa al materialismo meccanico dei tardi anni '50 come pure ri­corse all'idea hegeliana di interazione dialettica per contrapporsi alle concezioni marxiste volgari del determinismo economico o tecnologico negli anni '80 e '90.

Ma dei suoi anni giovanili non conservò solo la fedeltà a Hegel. No­nostante l'insistenza sulle basi scientifiche del socialismo, Engels rimase per molti versi un discepolo fedele dei grandi utopisti conosciuti in gio­ventù. Non pensava solo alla strategia immediata dei diversi partiti so­cialisti del suo tempo, ma anche all'abolizione della distinzione fra città e campagna, alla liberazione della donna, all'affrancamento dei rapporti sessuali e sociali dalle pastoie della proprietà e dalla schiavitù del sala­rio, alla scomparsa dello Stato. Rimase sempre un ammiratore di Owen e più ancora di Fourier.

L'intensità del suo odio per la proprietà, per il governo e per le miserie della «civiltà» risalta appieno dall'Origine del­la famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Del resto, solo un uo­mo che aveva gustato e non dimenticato il sapore dell'utopia socialista, avrebbe potuto scrivere questo passo :

L'organizzazione in società propria degli uomini, che sinora stava loro di fronte come una legge elargita dalla natura e dalla storia, diventa ora la loro propria libera azione. Le forze obiettive ed estranee che sinora hanno domi­nato la storia passano sotto il controllo degli uomini stessi. Solo da questo momento gli uomini stessi faranno con piena coscienza la loro storia, solo da questo momento le cause sociali da loro poste in azione avranno prevalente­mente, e in misura sempre crescente, anche gli effetti che essi hanno voluto. È questo il salto dell'umanità dal regno della necessità al regno della libertà.