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Ralph Waldo Emerson (Boston, 25 maggio 1803 – Concord, 27 aprile
1882) è stato un filosofo, scrittore e saggista statunitense.
È stato anche un noto poeta. Oggi il critico letterario
Harold Bloom lo considera "la figura centrale nella cultura
americana", e il filosofo di Harvard Stanley Cavell lo ritiene uno
dei filosofi americani più sottovalutati in assoluto. Da
alcuni è ritenuto il maggior filosofo americano di tutti i
tempi.
Biografia
Emerson nacque a Boston nel Massachusetts, figlio di un ministro
della Chiesa unitaria (il celibato nella Chiesa unitaria
arrivò solo nel 1980) e nipote di pastori, diventando, nel
1829, egli stesso un ministro unitariano. Seguì la dottrina
dei suoi maestri e formulò il concetto di filosofia del
Trascendentalismo nel suo saggio Nature del 1836.
Nel 1810, quando Emerson aveva otto anni, suo padre morì ed
egli fu affidato alle cure della madre e di una zia paterna e,
malgrado le condizioni poco floride della famiglia, il giovane
Ralph, dopo aver studiato nella Latin School di Boston, poté
ugualmente accedere, nel 1818, allo Harvard College, dove conobbe
Henry David Thoreau. Terminati gli studi, insegnò per qualche
tempo presso una scuola femminile di Boston, diretta dal fratello
William.
Al suo terzo anno di studi risale l'inizio dei Journals, la cui
stesura continuò poi per tutta la vita, e le cui notazioni
rappresentano la fonte originaria di gran parte delle sue opere.
Assunta la direzione della scuola, Emerson continuò a
occuparsene senza entusiasmo sino al 1825, esprimendo invece la sua
gioia in una lirica famosa, Good-Bye, quando, nel 1823, la famiglia
si trasferì a Roxbury, nelle vicinanze di Boston, nella
campagna che egli amava.
Nel 1829 conobbe la diciottenne Ellen Louisa Tucker, già
malata di tubercolosi, se ne innamorò e la sposò, ma
rimase vedovo nel 1831.
Dopo un altro corso di studi presso la Harvard Divinity School, e
alcuni mesi trascorsi in Georgia ed in Florida per motivi di salute,
Emerson abbracciò, sulla scia del padre, la carriera di
ministro della Chiesa unitaria, ma la abbandonò assai presto,
in conseguenza del suo disaccordo di "dover praticare una
professione antiquata e, in una epoca di gravi problemi attuali,
dover pensare solo ad adorare i cadaveri dei nostri antenati, con
riti assurdi, come somministrare la Comunione.
Dal 1832 al 1833 Emerson compie un viaggio in Europa. Qui egli
incontra, a Firenze, Walter Savage Landor, a Londra Samuel Taylor
Coleridge, nella regione dei laghi William Wordsworth e in Scozia
Thomas Carlyle e con quest'ultimo mantenne una corrispondenza fino
alla morte di Carlyle, avvenuta nel 1881.
Nel 1835 Emerson sposa, in seconde nozze, Lydia Jackson e si
stabilisce in quella casa di Concord dalla quale cominciò a
preparare e scrivere le sue conferenze fino a circa il 1866, quando
le sue facoltà cominciarono a declinare. Per lui questo
è il momento di riprendere il leitmotiv della precoce poesia
Good-bye, proud world, con un componimento chiamato per l'occasione
Terminus.
Nel 1836, Emerson pubblica il suo primo libro, Nature, e fonda, con
altri intellettuali il periodico The Dial, che servirà da
tribuna di confronto per il movimento del Trascendentalismo e che,
dal 1840 al 1842, verrà diretto dalla scrittrice Margaret
Fuller.
Durante quegli anni non fu risparmiato dalle sciagure. Nel 1842, a
soli cinque anni, morì di scarlattina il figlio Waldo. Nel
1872 la sua casa venne distrutta da un incendio. Nel frattempo aveva
visitato altre due volte l'Europa, nel 1847 e nel 1872.
Morì di polmonite a Concord nel 1882.
Opere
Nature
Il saggio Nature, pubblicato nel 1836, anche se non fu tra i
più letti, contiene in poche pagine gran parte delle idee di
Emerson, sulle quali ritornerà nei suoi scritti successivi.
L'opera è costituita da un'introduzione seguita dal testo del
saggio vero e proprio, che si suddivide in otto parti:
1 Nature: qui si presenta l'argomento e si osserva la
romantica identificazione della natura con il mondo vegetale.
2 Commodity: dove viene elaborata l'idea per cui tutto
in natura ha un utilizzo.
3 Beauty: qui per bellezza, nel significato dato dai
Greci, si intende ancora la natura.
4 Language: il tema è quello del linguaggio
della natura.
5 Discipline: la natura è regolata da
disciplina, ed essa, a sua volta è disciplinatrice.
6 Idealism: come conseguenza, agli occhi dell'autore,
inevitabile, della contemplazione della natura.
7 Spirit: la natura come spirito.
8Prospect: qui espone le prospettive che si aprono
dinanzi a chi intenda instaurare il "rapporto originale con la
natura" cui si accennava in apertura del libro.
The American Scholar
È questo un discorso tenuto il 31 agosto 1837 per la "Phi
Beta Kappa, Society" di Cambridge, Massachussetts e definito da
Oliver Wendell Holmes "la nostra Dichiarazione d'Indipendenza
intellettuale".
The Divinity School Address
Altro importante discorso tenuto per la Facoltà di Teologia
di Harvard il 15 luglio 1838, che vuol essere una coraggiosa
affermazione d'indipendenza culturale. Una presa di posizione tale
da non essere lontana dal deismo, la quale fece sì che
Emerson fosse messo al bando per trent'anni da Harvard.
Essays
I saggi, pubblicati in due serie, sono di capitale importanza e
contengono nuclei essenziali dell'orientamento filosofico
dell'autore. Sono considerati da gran parte della critica come
un'opera "cerniera" tra la prima fase trascendentalista e una
seconda fase di pensiero, caratterizzata da una viva attenzione agli
aspetti etico-pratici del "fare" umano. Saggi come "Esperienza",
"Storia", "Carattere", infatti, spianano la strada agli scritti
successivi che diverranno, in maniera sempre più consapevole,
il terreno di origine della riflessione pragmatista tout court. Gli
Essays si dividono in due "series", pubblicate a distanza di tre
anni tra loro: la prima nel 1841, la seconda nel 1844.
* Gli Essays - First Series del 1841 includono:
"History", "Self-Reliance", "Compensation", "Spiritual Laws",
"Love", "Prudence", "The Overs-soul", "Circles", "Intellect".
* Gli Essays - Second Series del 1844 includono: "The
Poet", "Experience", "Character", "Manners", "Gifts", "Nature",
"Politics", "Nominalist and Realist".
The Conduct of Life
La raccolta, pubblicata nel 1860, comprende nove saggi brevi che
esprimono la piena maturità di pensiero di Emerson,
indicandone anche la decisiva svolta verso una concezione "pratica"
dell'etica che apre le porte alla definizione pragmatica della
verità e dell'azione umana. Qui, Emerson si allontana una
volta per tutte dal trascendentalismo di matrice neo-platonica dei
primi scritti. La raccolta non incarna, come potrebbe erroneamente
suggerire il titolo, un ideale pedagogico volto ad indicare i giusti
principi di una condotta di vita buona ed in linea con una certa
dottrina morale, e si allontana da qualsivoglia dogmatica
etico-religiosa, segnando un progressivo avvicinamento a tesi
fortemente progressiste ed anticonformiste, nonché di ampio
respiro pragmatico. La raccolta include i seguenti saggi:
* Fate ("Fato")
* Power ("Potenza")
* Wealth ("Ricchezza")
* Culture ("Cultura")
* Behavior ("Contegno")
* Worship ("Venerazione")
* Considerations by the Way ("Riflessioni lungo il
cammino")
* Beauty ("Bellezza")
* Illusions ("Illusioni")
Saggi, conferenze, versi
Nel 1847 Emerson dava alle stampe un primo volume di versi e nel
1849 raccoglieva nel volume Nature, Addresses and Lectures il saggio
di tredici anni prima e un certo numero di conferenze e discorsi.
Nel 1850 pubblicava Representative Men, nel 1856, English Traits.
Del 1862 è Thoreau, un elogio per Henry David Thoreau e nel
1867 esce un secondo volume di versi, May Day.
Tra gli altri scritti in versi si ricorda Threnody, scritta per la
morte del piccolo Waldo, The Rhodora, sull'origine divina dei fiori,
Works and Days, una tra le più significative, The Humble-Bee
(Il bombo), Fable, apologo della montagna e dello scoiattolo, e il
noto Concord-Hymn (dal quale si ricorda la frase "The shot heard
round the world").
La letteratura in versi di Emerson costituisce una parte non
trascurabile della sua opera.
La sua poesia è prevalentemente gnomica e didattica, manca
spesso l'incanto melodico, eppure essa presenta alcune immagini che
si scolpiscono nella mente e che fanno figurare Emerson come uno che
ha senza dubbio apportato un contributo fondante alla poesia
americana.
Un'altra opera di primaria importanza è Society and Solitude,
del 1870 (tr. it. parziale in Realizzare la vita, 2006), che include
interessanti riflessioni sull'abitare, la tecnica, il tempo, le
quali richiamano spesso - come anche i saggi sulla poesia -
tematiche e posizioni heideggeriane (benché in tutt'altro
stile rispetto al pensatore tedesco).
Esistono molti altri fra i suoi ultimi saggi che rivestono un certo
interesse, per esempio "The Comic", con la sua teoria dell'umorismo.
Pensiero
Emerson è stato tra i primi a proporre un'etica individuale
basata sulla fiducia in se stessi e sulla discussione dei valori
tradizionali, e uno dei pochi ad averlo fatto mantenendo il rispetto
per la vita e l'esistenza, contrariamente, ad esempio, ad alcuni
pensatori del nichilismo europeo. Nell'etica di Emerson si trova una
singolare combinazione di relativismo (che lo avvicina a Montaigne)
e perfezionismo (che lo avvicina alla tradizione stoica e alle
radici puritane della cultura americana). Non a caso fu definito dai
suoi contemporanei "Plotino-Montaigne". L'asse portante del suo
pensiero fu la definizione di "Superanima", descritta come una forza
superiore che vigila e interviene sulla realtà, sul genio
degli uomini, sulla filosofia e sulla poesia, come una porta
d'accesso alla verità, costituente la base della
comunicazione tra gli uomini. La libertà degli uomini non
è più, secondo Emerson, sfuggire o ribellarsi alla
necessità e al senso del mondo, ma comprenderlo e accettarlo.
Emerson spesso componeva versi eccellenti e comunque sempre degni.
Egli, pur scrivendo un numero sterminato di testi per conferenze e
di saggi intorno ai problemi dell'universo e dell'essere, non
creò un proprio sistema filosofico e anche se dalla sua casa
di Concord pontificava in un modo che poté essere scambiato
per una specie di guida al trascendentalismo, non fu il capo
dichiarato dei trascendentalisti e nemmeno approvò tutti i
loro atteggiamenti. Guardava con grande simpatia all'attivismo
politico, all'abolizionismo, ai boicottaggi, alle "comuni" e agli
esperimenti sociali (o antisociali come quelli di Thoreau) messe su
dai suoi concittadini e amici. Ma cercava sempre anche di tenersi a
distanza da questi, di non lasciarsi coinvolgere troppo, e poterli
valutare eticamente con il dovuto rigore. La valutazione etica
è considerata, con il diritto di azione, la chiave portante
che deve essere in mano a tutti, e di cui ovviamente lui non si
ritiene l'unico o il privilegiato detentore.
La grandezza di Emerson sta nella vastità degli argomenti
trattati e dello spirito pionieristico con cui se ne è
occupato. Emerson, pur avendo lasciato tanta traccia di sé
nel mondo delle lettere e del pensiero, tanto da diventare un punto
di riferimento di qualsiasi discussione sull'evoluzione culturale
dell'America, appare una figura dai tanti contorni non ben definiti,
ancora inclassificabile. Lui stesso aborriva costituire una figura
definita, considerando invece importante la forza della affermazione
altrui in principi innovativi basati sulla verità interiore,
presenta così molti degli stessi problemi interpretativi di
Nietzsche.
Emerson e Nietzsche
Friedrich Nietzsche è noto per essere stato uno dei
più fini lettori di Emerson. Scoprì Emerson a 18 anni
di età, e lo lesse e rilesse quasi per tutta la vita. Non
è quindi un caso se i temi emersoniani percorrono tutta
l'opera di Nietzsche. Tra questi spiccano la fiducia in se stessi,
l'anticonformismo, l'affermazione della vita intramondana, la
filosofia affermativa, la "gaia scienza", l'amore del fato, il tema
della potenza, l'idea di un uomo oltre l'uomo, l'amore della
solitudine, l'atteggiamento profetico.
Attraverso Nietzsche, vari aspetti del pensiero e degli
atteggiamenti emersoniani sono passati nel pensiero europeo.
Influssi di Emerson
Emerson non a caso è considerato da Bloom la "figura centrale
nella cultura americana". La sua opera ha fortemente influito sul
poeta Whitman e su tutta la tradizione letteraria americana fino e
oltre la Beat Generation. Istanze emersoniane si percepiscono anche
nel Pragmatismo americano, nell'odierna psicologia umanistica, nel
diritto contemporaneo (la legge sulla privacy ha radici nell'opera
di Emerson), nella filosofia di Stanley Cavell e nel pensiero
politico di George Kateb, nella storia americana relativa allo
schiavismo e alla guerra civile americana, nella teoria e
composizione musicale di Charles Ives, ne "Alla ricerca del tempo
perduto", romanzo di Proust.
Recenti traduzioni di Emerson
La semplice verità. I diari inediti, Piano
B, 2012.
Amicizia, Piano B, 2010.
Natura, Donzelli Editore, Roma, 2010.
Cerchi, CUEM Editore, Milano, 2010.
Pensa chi sei. Poteri e leggi del pensiero,
Istinto e ispirazione, Memoria, Donzelli, 2009.
Condurre la vita, Nino Aragno Editore, 2008.
Condotta di vita. L'opera che avvicinò
Nietzsche alla "filosofia nella vita", Rubbettino, 2008.
Società e solitudine, Diabasis, 2008.
Essere poeta, Moretti & Vitali, 2007.
Realizzare la vita. Saggi da Society and
Solitude, Il prato, 2007.
Lo studioso americano e altri saggi, Graphis,
2006.
Diventa chi sei: Fiducia in se stessi;
Compensazione; Leggi spirituali, Donzelli, 2005.
Dalla Sicilia alle Alpi, Ibis, 2003.
La fiducia in se stessi, Ibis, 2003.
*
da http://www.filosofico.net/emerson.htm
A cura di Alessandro Sangalli
"Odio le citazioni, dimmi quello che sai".
Introduzione
Saggista, poeta e filosofo molto popolare, Ralph Waldo Emerson
(Boston 25/05/1803 - 1882) iniziò la sua carriera come
pastore della Chiesa unitariana (l’unitarianismo è quella
dottrina teologica che afferma l’unicità assoluta di Dio,
negando quindi il dogma trinitario, l’incarnazione e la
divinità di Cristo), ma ottenne lustro internazionale in
quanto apprezzato lecturer e autore di saggi quali La fiducia in
sé stessi, Storia, L’oltreanima e Destino. Personalità
poliedrica, attinse da svariate correnti di pensiero: il
romanticismo inglese e tedesco, il neoplatonismo, il kantismo e
addirittura l’induismo. Intere generazioni di scrittori e
intellettuali americani risentirono della sua influenza, a partire
dall’amico Henry David Thoreau fino a John Dewey, senza tralasciare
il fatto che anche un pensatore del calibro di Friedrich Nietzsche
ne apprezzò esplicitamente gli scritti e dedicò gran
parte della sua riflessione ai temi del nostro, in particolare alla
potenza, al fato, alla poesia, alla storia e alla critica del
cristianesimo.
Che cosa vuol dire lecture? Il dizionario suggerisce “lezione” e
“conferenza”. Occorre tener presente, tuttavia, ciò che con
questo termine si intende quando ci si riferisce all’America del
1800. Le lectures tenute da Emerson non erano delle lezioni
universitarie. Egli parlava nei Lyceums, qualcosa di simile agli
odierni circoli culturali, ad un pubblico costituito da persone in
carriera, da self-made men. Una lecture durava solitamente un’ora,
massimo un’ora e mezza: Emerson poteva tenere fino a ottanta
conferenze l’anno, conseguendo un reddito vicino a quello di un
normale professore di college. Emerson è generalmente
considerato il massimo esponente di quella corrente filosofica
fiorita specialmente a Boston e definita “trascendentalismo
americano”. Il nostro autore, al pari degli altri
“trascendentalismi”, si ritiene erede legittimo della tradizione
kantiano-fichtiano-schellinghiana, ma legge poi la filosofia
trascendentale attraverso le lenti interpretative del Romanticismo,
finendo in tal maniera per riconoscere la superiorità
assoluta del sentimento sulle altre facoltà conoscitive. Il
suo pensiero, dunque, non deve essere qualificato come “filosofia
trascendentale”, bensì come “trascendentalismo”.
[...]
2. Temi principali del suo pensiero
2.1 L’educazione
Ne Lo studioso americano, un discorso tenuto il 31 agosto 1837 per
la "Phi Beta Kappa Society" di Cambridge, Emerson afferma che
l’intellettuale è educato dalla natura, dai libri e
dall’azione. La natura è la prima sia in ordine cronologico
(è presente da sempre) sia in ordine di importanza. Dietro la
varietà delle forme naturali, si celano infatti le stesse
leggi fondanti che governano la mente umana: la disciplina dalla
quale la natura è regolata è una preziosa fonte
d’insegnamento per l’uomo. L’antico precetto “conosci te stesso” e
il moderno comandamento “conosci il mondo” diventano in ultima
analisi una cosa sola. I libri, la seconda componente
dell’educazione dello studioso, ci offrono l’opportunità di
dialogare col passato: tuttavia, a detta del nostro, molto di
ciò che passa ancora per insegnamento ed istruzione è
in realtà semplice sacralizzazione del sapere scritto. Il
corretto rapporto con i libri non è quello del “topo da
biblioteca” o del bibliomane, ma quello del lettore creativo che usa
i libri come stimoli per cogliere principi propri. Se usati bene, i
libri ispirano l’anima attiva. La terza componente fondamentale
dell’educazione è l’azione: senza di essa infatti, il
pensiero non matura mai in verità. L’antenato di ogni azione
è un pensiero. L’azione è anche il dizionario di uno
studioso, la fonte di ciò che egli ha da dire: il vero
intellettuale parla per esperienza propria, non per imitazione degli
altri; le sue parole sono cariche di vita: “insisti su te stesso,
non imitare mai”, afferma Emerson.
A suo avviso, questo modello educativo basato sull’esperienza e
sull’espressione del sé non è indicato solamente a una
ristretta classe di persone, ma è adatto a ogni uomo, essendo
il suo obiettivo finale la creazione di una nazione democratica.
Solo quando tutti impareremo a camminare con le nostre gambe e a
pensare con le nostra testa esisterà per la prima volta una
nazione.
Il segreto dell’educazione è, per il nostro, il rispetto
dell’allievo: l’insegnante non deve decidere cosa l’allievo deve
sapere e deve fare, ma lasciare che questi lo scopra da sé.
Il maestro non deve far altro che “aspettare ed osservare il nuovo
prodotto della Natura”, guidando le azioni dell’allievo in modo da
incoraggiare quelle positive e da evitare quelle non appropriate ad
una corretta educazione. Il modello di Emerson ricorda molto quello
che Rousseau delinea nel suo Emilio: all’educazione tradizionale che
opprime e distrugge con una sovrastruttura artificiale la natura
originaria, bisogna sostituire un’educazione negativa che si
proponga come unico fine la conservazione e il rafforzamento di tale
natura. Nell’educazione di massa questo fine è sacrificato.
“Invece di educare masse – sostiene Emerson – bisognerebbe educare
persone”.
2.2 Il divenire
Emerson è per molti versi un filosofo del divenire, per il
quale l’universo è essenzialmente un flusso continuo. Perfino
quando parla dell’essere, egli non ha in mente una roccia
inamovibile ma una serie di “oceani infiniti”. Il divenire è
la base della successione dei modi che il nostro descrive in
L’esperienza e dell’importanza che egli dà al tempo presente
nella sua riflessione filosofica.
Alcune delle sue idee più originali circa la moralità
e la verità discendono direttamente da questa metafisica del
divenire: nessuna virtù è ultima o eterna; la
verità è un insieme di occhiate fugaci, non una
visione limpida. Noi possiamo scegliere tra la verità e la
calma, ma non possiamo averle entrambe.
Ovviamente, anche le sue idee sulla religione si inseriscono in
questa cornice metafisica. Si può trovare Dio solo nel
presente: “Dio è, non era”. Al contrario, il cristianesimo
storico procede “come se Dio fosse morto”. Anche la Storia, che
sembra avere totalmente a che fare con il passato, ha per Emerson il
suo vero valore in quanto serva del presente.
2.3 La morale
Le opinioni etiche del nostro si intrecciano naturalmente con la sua
metafisica del divenire e con il suo perfezionismo, ovvero l’idea
che il fine della vita sia quello di passare a forme sempre
più alte e perfette. Emerson concepisce la morale in un
continuo sviluppo storico, ma in alcuni passi sembra addirittura
esprimere una posizione più scettica e radicale: che le
nostre virtù debbano più spesso essere abbandonate che
coltivate. “Il terrore che accompagna una riforma è
rappresentato dallo scoprire che dobbiamo gettare via le nostre
virtù – o ciò che abbiamo sempre considerato essere
virtù – nella stessa fossa in cui abbiamo gettato i nostri
vizi più grandi”. In questa frase, notiamo un significativo
inciso che ci fa capire come Emerson non abbracci un facile
relativismo secondo il quale è de facto virtù
ciò che in ogni tempo è assunto come tale.
Ciononostante egli getta un’ombra di sospetto su tutti modi di
pensare ed agire stabiliti dal conformismo. “Sii libero da tutte le
influenze”, scrive il nostro autore. Il male è, quindi, la
cieca ubbidienza, la volontà di imitazione, di omologazione.
Le virtù sopravvivono nel nuovo momento, il momento della
verità, dell’originalità, della creazione; il momento
in cui ciò che una volta sembrava importante può ora
apparire come ridicolo o vano. In questa prospettiva, quindi, le
virtù non scompaiono del tutto, ma devono essere
significativamente alterate e riadattate.
Sebbene Emerson non sia intenzionato ad esporre un compiuto sistema
etico, attraverso le sue opere non rinuncia a delineare vizi e
virtù, eroi e furfanti. Nel Discorso alla Facoltà di
Teologia, i furfanti sono gli “spettrali predicatori” i cui sermoni
non offrono nessun suggerimento derivante da un’effettiva esperienza
di vita; La fiducia in sé stessi condanna quelle virtù
che sono in realtà “penitenze”, insieme alla filantropia di
quegli abolizionisti che ostentano un amore idealizzato verso
persone lontane, ma sono pieni di odio verso quelle che hanno a
fianco.
Il conformismo è, per il nostro, il vizio principale,
l’esatto opposto della virtù della fiducia in sé
stessi: “chi vuol essere un uomo deve essere un anticonformista”. Ci
lasciamo irretire dal conformismo quando prestiamo immotivata stima
alla moda, all’abbigliamento o ad altri status-symbol, quando
indossiamo una falsa maschera di adulazione, quando ci sforziamo di
sorridere pur non sentendoci a nostro agio, quando fingiamo
coinvolgimento per una conversazione che non ci interessa
minimamente. Se il precetto fondamentale dell’etica è quello
di non consentire a ciò che gli altri pensano, fanno, dicono,
allora quel che Emerson impone è che, paradossalmente, non si
debba seguire/consentire nemmeno alle nostre azioni passate, al
“morto” altro che è in noi e che esige coerenza. Come ben
scrive Beniamino Soressi, “solo chi si è allontanato da
sé (dal sé passato) può confidare in sé
(nel prossimo sé). Confidare nel sé passato (per una
stupida coerenza) o nel sé conformista (per sentimenti di
timore e vergogna) significa diffidare del prossimo, possibile,
sé: significa negarlo”. Ma “chi rimuove il sé
possibile rimuove anche la possibilità di esprimere una
parola e un pensiero viventi anziché il pensiero di qualche
morta istituzione” (B. Soressi, R.W. Emerson, Il pensiero e la
solitudine).
La virtù cardine, come abbiamo appena visto, è quella
della fiducia in se stessi o – come la chiama Emerson – della
self-reliance: una locuzione in cui egli intende condensare
originalità e spontaneità. Il concetto di
self-reliance è efficacemente espresso dal nostro autore
tramite l’immagine di un gruppo di ragazzi disinvolti che, sicuri di
se stessi, fanno e dicono ciò che pensano, non curandosi di
assecondare gli altri. Questi ragazzi giudicano liberamente il mondo
e le persone che vivono in esso, condannando ciò che trovano
sciocco o seccante ed elogiando ciò che ai loro occhi appare
interessante e significativo. Quest’immagine illustra chiaramente la
tipica combinazione emersoniana di classico (l’idea di una gerarchia
in cui i ragazzi occupano un posto d’onore) e romantico
(l’esaltazione dell’infanzia e della giovinezza). L’essenza della
giustizia e della felicità è che ognuno segua la sua
strada: “la fiducia in se stessi è l’essenza dell'eroismo”.
A prima vista, potrebbe sembrare che Emerson, parlando di
self-reliance, entri in contraddizione con quanto sosteneva in
precedenza: l’idea di un self già formato in cui noi dobbiamo
avere fiducia cozza con il concetto del continuo divenire e con la
“stupida coerenza” che esige il nostro sé passato. In
realtà, il self cui si riferisce l’autore è il
sé sempre nuovo e diverso nel processo di creazione nel quale
siamo in ogni momento coinvolti. Un processo nel quale – per usare
un’espressione di Nietzsche – si diventa ciò che si è.
I rapporti umani più riusciti e duraturi richiedono la
confidenza e l’indipendenza che solo la virtù della fiducia
in sé stessi può conferire: la società ideale
di Emerson è quella formata da “divinità potenti e
indipendenti, che conversano da un picco all’altro dell’Olimpo”.
Sebbene il nostro accentui l’importanza dell’indipendenza
interindividuale nella società – per evitare che la loro
vicinanza si tramuti in omologazione e imitazione – pone il fine
della self-reliance nella sfera pubblica e sociale: in altre parole,
egli è ben consapevole che dall’influenza degli altri
è possibile uscire solo attraverso l’influenza degli altri.
È quindi necessario distinguere un’influenza cattiva da una
buona. Quella cattiva separa il soggetto dal principio della
creazione e dell’originalità, pietrificando il sé
nella morta ripetizione del pensiero e dell’agire degli altri.
Quella buona permette invece al soggetto di attingere
possibilità di vita, di pensiero e di azione sconosciute o
ancora non realizzate. Ed è proprio questo tipo di influenza
che hanno sul mondo gli uomini rappresentativi: i loro nomi –
Platone, Mosè, Gesù, Lutero, Copernico, Napoleone –
“sono scolpiti nella storia del mondo”. In Uomini rappresentativi,
Emerson contrappone all’intelletto, finalizzato alla scienza e alla
prassi quotidiana, un’intuizione razionale preposta alla
comprensione del Tutto, della totalità, in definitiva
dell’essenza ultima del reale. L’intera storia del pensiero è
divisa tra “uomini parziali”, che utilizzarono soltanto l’intelletto
senza riuscire a cogliere il reale senso delle cose, e “uomini
rappresentativi” (o “uomini totali”), i quali, grazie alla ragione,
afferrano la potenza infinita che sta alla base di ogni
manifestazione fenomenica e naturale.
Oltre alla virtù cardine della fiducia in sé stessi,
Emerson riconosce valore anche ad altre qualità umane, in
particolare un tipo di fede e la pratica di un “saggio scetticismo”.
Ci sono occasioni, egli afferma, nelle quali dobbiamo lasciare
andare il mondo come va ed avere fede nella natura dell’universo:
“come il viandante che ha perso la strada lascia andare le redini
del cavallo e ripone la sua fede nell’istinto dell’animale per
ritrovare la via, allo stesso modo dobbiamo comportarci noi con
l’animale divino che ci porta attraverso questo mondo”. Tuttavia, il
mondo del processo e del divenire richiede una sorta di
flessibilità epistemologica e pratica, che Emerson chiama
“saggio scetticismo”. L’emblema di questo tipo di scettico è
Michel de Montaigne, ritratto in Uomini rappresentativi non come un
pirronista, ma come un uomo con un grande senso del sé,
radicato nella terra e nella vita comune, la cui ricerca è
rivolta verso la conoscenza. Montaigne sa che la vita è
pericolosa e incerta, una tempesta di diversi elementi la
navigazione attraverso la quale richiede un’imbarcazione flessibile,
adatta alla forma dell’uomo.
2.4 Il cristianesimo
Benché figlio di un pastore della Chiesa unitariana, studente
della Facoltà di Teologia e pastore egli stesso per circa tre
anni, Emerson riserva nel Discorso alla Facoltà di Teologia
del 1838 una profonda e sentita critica alla religione cristiana,
insistendo sulla stessa linea argomentativa già tracciata ne
Lo studioso americano. Il nostro autore si accorge di come il
moderno cristianesimo – con le sue istituzioni educative – soffochi
e mortifichi lo spirito creativo dell’uomo: il cristianesimo
è diventato “una monarchia orientale”, nella quale
Gesù è stato reso l’oppressore dell’umanità.
Sebbene Emerson consideri una vera e propria calamità la
perdita della fede e del culto da parte di una nazione, trova strano
il fatto che, vista la crisi e “la carestia delle nostre chiese”, la
gente sia ancora obbligata frequentarle. Egli invita perciò i
membri della Facoltà a procurare nuova linfa per le vecchie
forme della loro religione, ad essere amici ed esempi per i loro
parrocchiani, a ricordarsi che “tutti gli uomini hanno pensieri
sublimi; tutti gli uomini meritano qualche ora per essere ascoltati:
essi desiderano essere ascoltati”.
2.5 La potenza
Il tema della potenza si ritrova in molti degli scritti di Emerson:
ne Lo studioso americano, questo concetto è strettamente
correlato all’azione, in particolare là dove l’autore
sostiene che il vero intellettuale ripensa con rimorso ad ogni
opportunità di azione che ha sprecato, considerandola una
diminuzione della propria potenza. Ne La fiducia in sé
stessi, il nostro afferma che la potenza che risiede in ognuno di
noi è novità e creazione per la natura; L’esperienza
contiene un passo nel quale Emerson esalta una vita che definisce
“forte” e “vigorosa”. Infine, nel saggio La potenza, egli esalta la
figura del rude, del “duro” che vive seguendo le proprie regole. Il
power cui si riferisce Emerson conserva tuttavia più un
carattere artistico-intellettuale che politico-militare. Un
passaggio de La potenza recita infatti:
“Il momento più alto della storia umana fu quello in cui
l’uomo aveva da poco abbandonato il suo stato selvaggio, il momento
in cui la sua rude forza pelasgica era tutta diretta verso il
nascente senso della bellezza – e qui abbiamo Pericle e Fidia –
prima del trapasso nella civiltà corinzia”
La potenza si trova tutt’intorno a noi, ma non è sempre
possibile controllarla. È come “un uccello che si libra
nell’aria senza meta”, passando incessantemente di ramo in ramo.
2.6 L’Oversoul
In molte pagine dei suoi saggi e dei suoi discorsi, Emerson ci
illustra una grande visione di unità: ne Lo studioso
americano, parla di una “unità originaria” o “sorgente di
potenza” di cui ognuno di noi è parte; nel Discorso alla
Facoltà di Teologia scrive che l’uomo è “un’insenatura
nel mare della Ragione”. In La fiducia in sé stessi, il
saggio che più di ogni altro celebra l’individualità e
la soggettività, accenna a come il Tutto si risolva nell’Uno.
Tuttavia – come abbiamo visto in precedenza – il nostro autore ha
una concezione del mondo come un processo in continuo divenire, un
ininterrotto processo di creazione nel quale siamo in ogni momento
coinvolti: come si possono conciliare queste due prospettive a prima
vista fortemente in contraddizione fra loro? Come tenere insieme
l’istanza individualistica e soggettivistica della self-reliance con
la concezione dell’unità appena esposta?
Per ciò che riguarda la questione ora esposta, va segnalato
che in nessun punto della sua opera Emerson si esprime in modo
così chiaro da permettere di formulare una risposta
definitiva. Ciò detto, possiamo provare a riflettere sul
concetto emersoniano del sé: esso non è e non
può essere ridotto a quello dell’autoconsapevolezza di un
individuo-monade, autonomo e separato dagli altri individui. Il
sé di cui parla il nostro autore deve essere concepito come
una sorta di momento attraverso cui l’individuo si apre a una
creatività impersonale e transindividuale che Emerson
definisce oltreanima (over-soul). L’oltreanima, commenta Soressi,
“rappresenta una sfida al concetto tipicamente occidentale del
sé come ego e alla logica che ‘vuole’ concepire la mente
umana come separata”. Il concetto di oltreanima infatti “rappresenta
l’unità dell’intelligenza, degli istinti e dei sentimenti
dell’umanità tutta, è come il tesoro già
presente di tutte le possibilità di un soggetto umano”.
Il tentativo più diretto che il nostro fece per cercare di
riconciliare la successione temporale con l’unità, o – se si
preferisce – i molti con l’Uno, lo si può leggere in
Nominalismo e Realismo, ultimo saggio della raccolta Saggi, seconda
serie: in un passo decisivo, Emerson parla dell’universo come “un
vecchio bifronte… di cui si può dire tutto e il contrario di
tutto”. È più che evidente l’esito scettico al quale
approda lo scrittore americano. Una venatura scettica è
presente anche in quella visione che Stanley Cavell ha definito
“epistemologia dei modi”. Secondo questo modello gnoseologico –
rintracciabile soprattutto nel saggio L’esperienza ma presente in
tutti gli scritti del nostro autore – noi non conosciamo nulla in
modo diretto e immediato, non conosciamo ciò che una cosa
è in sé, ma solo ciò che una cosa è
sotto un determinato aspetto o modo.
3. Alcune questioni su Emerson
3.1 Il problema della
coerenza
Il pensiero di Emerson è stato a più riprese tacciato
di incoerenza: da una parte, egli sostiene che il mondo è un
processo e un divenire continuo; dall’altra, che è
espressione di un’unità. Dice che il mondo procede per la sua
strada e che non si cura del nostro volere, ma ci invita ad avere
fiducia nel potere creativo e innovativo della nostra immaginazione;
esalta i benefici del viaggio, esperienza capace di arricchire la
nostra interiorità, ma contemporaneamente ce ne mostra la
futilità, e seguendo il classico tema della commutatio loci,
sostiene che, pur svegliandoci in posti sempre nuovi, troviamo
comunque ad aspettarci il vecchio self che pensavamo di lasciarci
alle spalle: “per quanto viaggiamo in tutto il mondo per trovare
ciò che è bello, dobbiamo portarlo con noi oppure non
lo troveremo”.
L’epistemologia dei modi – come abbiamo visto poco sopra – potrebbe
essere vista come una struttura concettuale nella quale inserire e
far convivere dottrine, teorie e punti di vista altrimenti
inconciliabili. Oppure basterebbe semplicemente considerare che il
pensiero di Emerson ammette lo scontro degli opposti, “the clangor
and jangle of contrary tendencies”, facendogli affermare, con
Eraclito, che è pòlemos il padre di tutte le cose.
Oltre a ciò, è da notare come, nonostante le critiche,
l’insegnamento del nostro possa comunque definirsi complessivamente
coerente. Basti pensare all’idea dell’anima attiva e creatrice,
nocciolo del concetto di self-reliance: su questo caposaldo Emerson
fonda la discussione della maggior parte dei temi che tratta,
dall’educazione alla religione, dalla morale fino al divenire del
mondo.
3.2 I “due” Emerson
È difficile per un lettore attento non percepire alcune
importanti differenze tra il giovane e il vecchio Emerson: ad
esempio tra l’ottimistico autore di Natura (1836) e quello disilluso
che emerge leggendo il finale de L’esperienza (1844); tra il fresco
scrittore di La fiducia in sé stessi (1841) e quello fiacco
di Destino (1860). Emerson stesso sembra rendersene conto quando,
nel saggio appena citato, scrive: “una volta pensavo che il potere
creativo e positivo fosse tutto. Ora ho imparato che il potere
negativo, o le circostanze contingenti, sono la metà di
questo tutto”. È la dimostrazione che Emerson col tempo ha
imparato una lezione che ha modificato il suo modo di pensare e di
scrivere? Una lezione concernente i molti modi in cui le circostanze
su cui non possiamo esercitare il nostro controllo – malattie,
catastrofi naturali, carattere, istinto, età – minano la
fiducia in sé stessi e nella vita?
In questo senso, L’esperienza è un saggio chiave, uno scritto
di transizione: sull’atmosfera dell’opera, pesa costantemente un
terribile evento, la morte del figlio Waldo, avvenuta un paio d’anni
prima. I toni sono naturalmente tristi: Emerson ci parla di
confusione, turbamento, sconvolgimento, oscurità. Egli trova
in questo episodio un esempio di quello sgradevole carattere
dell’esistenza per cui essa sempre scivola e fugge via da noi,
proprio come farebbe sabbia finissima tra le nostre dita.
Ciononostante, sebbene esista qualche significativa variazione nello
stile e nel tono della prosa emersoniana, la visione che il nostro
autore fa valere della condizione umana rimane sostanzialmente la
medesima lungo tutta la sua opera. In generale, possiamo constatare
come i primi lavori, più freschi e solari, lascino trapelare
una maggiore fiducia nelle potenzialità umane, dipingendo un
uomo in qualche modo pronto per un grande passo avanti; sulle opere
più tarde, invece, sembra quasi gravare un peso, un fardello
che soffoca la fiducia dell’uomo in se stesso e ne opprime la
volontà.
3.3 Fonti del suo pensiero e fortuna della sua opera
La gamma degli interessi e delle letture di Emerson fu molto ampia:
nei suoi saggi, cita spesso gli scrittori dai quali ha tratto
ispirazione per una particolare riflessione. Nei suoi journals,
troviamo vere e proprie liste di letterati, filosofi e pensatori
religiosi a partire dalle idee dei quali egli ha sviluppato qualche
nuova concezione. Tra i più importanti vanno sicuramente
citati Platone e i neoplatonici maggiori (Plotino, Proco,
Giamblico); ugualmente significativi per la formazione del nostro
furono gli autori di tradizione kantiana e romantica (che egli
conobbe probabilmente tramite la Biographia Literaria di Coleridge).
Emerson si interessò anche della cultura orientale, in
particolare della filosofia induista e del confucianesimo. Per dare
un’idea della vastità delle influenze del nostro – senza
tuttavia avanzare alcuna pretesa di completezza – elencheremo qui di
seguito, in ordine sparso, alcuni degli scrittori che più
frequentemente vengono citati nei suoi lavori: Berkeley, Wordsworth,
Newton, Anassagora, Schlegel, S. Agostino, Bacone, Jacob Behmen,
Cicerone, Lucrezio, Goethe, Socrate, Eraclito, Pitagora, Schiller,
Shakespeare, Madame de Staël, Emanuel Swedenborg (ma l’elenco
potrebbe continuare).
Oggigiorno le opere di Emerson sono abbastanza ben conosciute sia
negli USA sia in Europa. Uno dei primi ad apprezzarlo nel vecchio
continente fu Friedrich Nietzsche: a proposito dei Saggi di Emerson,
il filosofo tedesco disse che mai in un libro si era sentito tanto a
casa sua: non deve perciò stupire che molte idee e
riflessioni del nostro – sulla storia, sull’educazione, sulla
potenza, sul self – possano essere rintracciate anche negli scritti
di Nietzsche. Per quanto riguarda il panorama culturale americano,
non è da sottovalutare la profonda influenza che Emerson
esercitò su personalità del calibro di William James e
John Dewey, pensatori che, insieme a C.S. Peirce, possono essere
considerati i principali esponenti del pragmatismo americano.