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Don Chisciotte della Mancia (titolo originale in lingua spagnola: El
ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) è la più
importante opera letteraria dello scrittore spagnolo Miguel de
Cervantes Saavedra, e una delle più rappresentative della
letteratura mondiale. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia
elementi del genere picaresco, sia del romanzo epico-cavalleresco,
nello stile del Tirante el Blanco e del Amadís de Gaula.
Cervantes, che si era aggregato alla flotta Cristiana alla volta di
Lepanto, di ritorno da quell'estenuante battaglia fu ricoverato
presso l'Ospedale Maggiore della città di Messina nella quale
si riuniva il vertice di Don Giovanni d'Austria. E fu proprio a
Messina, in quel momento così importante della sua esistenza,
durante la convalescenza, che egli iniziò a scrivere il suo
capolavoro, ossia il Don Chisciotte della Mancia. Il pretesto
narrativo ideato dall'autore è la figura dello storico Cide
Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e
tradotto il manoscritto in arabo nel quale sono raccontate le
vicende di Don Chisciotte.
Pubblicato in due volumi a distanza di dieci anni l'uno dall'altro
(1605 e 1615), il Don Quijote è l'opera letteraria principale
del Siglo de Oro ed è il più celebrato romanzo della
letteratura spagnola.
Trama
Il libro si struttura in due parti (1600-1615). Il protagonista
della vicenda - un uomo sulla cinquantina, forte di corporatura,
asciutto di corpo e di viso - è un hidalgo spagnolo di nome
Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavalleresci,
alla lettura dei quali si dedica nei momenti di ozio. Le letture lo
condizionano a tal punto da trascinarlo in un mondo fantastico, nel
quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere
errante. Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per
difendere i deboli e riparare i torti.
Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia
e inizia a girare per la Spagna. Nella sua follia, Don Chisciotte
trascina con sé un contadino del posto, Sancio Panza, cui
promette il governo di un'isola a patto che gli faccia da scudiero.
Come tutti i cavalieri erranti, Don Chisciotte sente la
necessità di dedicare a una dama le sue imprese. Lo
farà scegliendo Aldonza Lorenzo, una contadina sua vicina, da
lui trasfigurata in una nobile dama e ribattezzata Dulcinea del
Toboso.
Purtroppo per Don Chisciotte, la Spagna del suo tempo non è
quella della cavalleria e nemmeno quella dei romanzi picareschi, e
per l'unico eroe rimasto le avventure sono scarsissime. La sua
visionaria ostinazione lo spinge però a leggere la
realtà con altri occhi. Inizierà quindi a scambiare i
mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con
demoni, le greggi di pecore con eserciti nemici. Combatterà
questi avversari immaginari risultando sempre sonoramente sconfitto,
e suscitando l'ilarità delle persone che assistono alle sue
folli gesta. Sancio Panza, dal canto suo, sarà in alcuni casi
la controparete razionale del visionario Don Chisciotte, mentre in
altri frangenti si farà coinvolgere dalle ragioni del
padrone.
Prima parte
La prima parte del romanzo è preceduta da un prologo tra
l'arguto e il serio nel quale l'autore si scusa per lo stile
semplice e per la narrazione esile e "priva di citazioni". Segue il
primo capitolo che tratta delle condizioni, dell'indole e delle
abitudini del nobiluomo Don Alonso Quijano, di un borgo della
Mancia, di cui non vale la pena ricordare l'esatta denominazione:
«Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia,
che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che
hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane
da caccia.»
«Toccava i cinquant'anni; forte di corporatura, asciutto di
corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della
caccia [...] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio
(ch'eran la maggior parte dell'anno), si applicava alla lettura dei
libri di cavalleria con predilezione così spiegata e
così grande compiacenza, che obliò quasi interamente
l'esercizio della caccia ed anche l'amministrazione delle cose
domestiche.»
Con lui vivono una governante sulla quarantina, una nipote di venti
anni e un domestico. Inaspettatamente, la passione per la
letteratura cavalleresca si trasforma ad un tratto in una forma di
delirio; Alonso decide quindi di farsi cavaliere errante e di
andarsene armato a cavallo in giro per il mondo, facendo piazza
pulita di tutte le ingiustizie, le prepotenze e i soprusi. Immagina
come proprio futuro premio la corona di Imperatore di Trebisonda e
così inizia a mettere in atto il suo progetto.
Come prima cosa ripulisce e rimette in sesto alcune armi che erano
appartenute ai suoi avi; poi si reca dal suo ronzino che gli sembra,
anche se malconcio, persino superiore al leggendario Bucefalo di
Alessandro Magno. Poiché al ronzino manca un nome, Don Alonso
decide di chiamarlo Ronzinante, ovvero "primo fra tutti i ronzini
del mondo"; solo in seguito pensa di nobilitare in qualche modo
anche il proprio nome, e decide per "Don Chisciotte della Mancia",
un nome che pone in evidenza il suo lignaggio e onora la sua terra
natale. Ma si rende conto che manca ancora qualcosa:
«Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome
al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava
altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere
errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e
privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a
sé stesso»
La donna dei sogni viene così identificata in una certa
Aldonza Lorenzo, giovane contadina di un piccolo paese vicino che
viene subito ribattezzata Dulcinea del Toboso. Fatti tutti questi
preparativi e preoccupato per i danni che può procurare al
mondo tardando a partire, Don Chisciotte si mette presto in viaggio.
Cammin facendo si chiede come fare a battersi per nobili cause se
nessuno lo aveva armato cavaliere. Il problema è risolto a
fine giornata quando egli, giunto in un "nobile castello" (in
realtà un'umile osteria) sottopone la questione al
"castellano" (l'oste). Questi, resosi conto della pazzia del suo
cliente, finge di essere un grande signore e con l'aiuto di due
donzelle lo arma cavaliere. All'alba, Don Chisciotte lascia
l'osteria felice e contento.
Nel bosco libera un ragazzo che era stato legato e picchiato da un
contadino e riprende la strada alla ventura, quando incontra un
gruppo di Toledo che si reca a comprare seta a Murcia; Don
Chisciotte, certo che siano cavalieri erranti, grida loro di
fermarsi e di dire che in tutto il mondo nessuna era più
bella dell'Imperatrice della Castiglia-La Mancia, Dulcinea del
Toboso. I mercanti si fanno gioco di lui e ne nasce una rissa in cui
Don Chisciotte, caduto malamente da cavallo, viene bastonato di
santa ragione da uno stalliere.
Un contadino del suo paese, di ritorno dal mulino con il carro, lo
trova e lo riporta a casa dove la nipote e la governante erano in
pensiero per la sua assenza. Il curato del paese e il barbiere,
fattagli una visita, si rendono conto del suo stato e decidono di
bruciargli tutti i libri di cavalleria nella speranza che guarisca.
Ma Don Chisciotte non guarisce e dopo quindici giorni convince un
contadino del paese, di buon carattere ma non troppo "sveglio", ad
andare con lui in veste di scudiero, promettendogli di farlo
governatore se avessero conquistato un'isola. Il contadino, che si
chiama Sancio Panza, accetta; salito sul suo asinello, parte con Don
Chisciotte in sella al suo ronzino per le vie del mondo.
«Viaggiava Sancio Panza sopra il suo asino come un patriarca,
colle bisacce in groppa e la borraccia all'arcione, e con un gran
desiderio di diventare governatore dell'isola che il padrone gli
aveva promesso.»
Sancio disse:
«Ma sì. Ora ricordo di aver continuato a fare il
barbiere.»
E Don Chisciotte gli rispose:
«Bé, direi che il barbiere non fa per te.»
Sono da poco in cammino quando si vedono all'orizzonte trenta o
quaranta mulini a vento, che Don Chisciotte scambia per smisurati
giganti con i quali vuole subito battagliare. Malgrado gli
ammonimenti di Sancio egli si slancia a galoppo contro il primo
mulino a vento, cadendo a terra e rimanendo piuttosto malconcio.
I due riprendono la strada e incontrano una comitiva costituita da
due frati dell'ordine di San Benedetto, un cocchio con dentro una
dama biscaglina diretta a Siviglia, quattro persone a cavallo di
scorta e due mulattieri a piedi. Don Chisciotte scambia i due frati
per degli incantatori e la dama per una principessa rapita e ordina
loro di liberarla. Seguono altre zuffe.
Ripreso il cammino i due arrivano a una osteria di campagna, che Don
Chisciotte nuovamente scambia per un castello, prendendo
altresì le sguattere per delle principesse.
In seguito Don Chisciotte incontra un gregge di pecore, prendendolo
per un vasto esercito; vedendolo menare colpi agli animali con la
lancia in resta, i pastori gli gridano di fermarsi; poiché
questo non serve, per poco non lo ammazzano:
«cominciarono a salutargli l'udito con pietre grosse come il
pugno»
Da questo scontro Don Chisciotte perde due denti e da questo momento
si chiamerà "Il Cavaliere dalla Trista Figura"
Un'altra volta capita a Don Chisciotte e a Sancio di assistere a un
funerale notturno; il cavaliere, credendo che il catafalco sia la
barella di un cavaliere ferito o morto, decide di far giustizia
assalendo uno dei vestiti a lutto. Gli altri, disarmati, si
spaventano e scappano. Questa volta Sancio ammira veramente il
valore del suo padrone e quando il caduto si rialza egli dice:
«Se mai quei signori volessero sapere chi è stato il
valoroso che li ha ridotti a quel modo, vossignoria dirà che
è il famoso Don Chisciotte della Mancia, il quale con altro
nome si chiama il Cavaliere dalla Trista Figura»
Le avventure di Don Chisciotte proseguono con l'assalto ad un
barbiere che si recava a prestare i suoi servizi e al quale don
Chisciotte toglie la catinella di rame che scambia per l'elmo di
Mambrino; poi libera alcuni galeotti attaccando le guardie che li
scortano.
Infine, assalito dalle nostalgie d'amore, decide di ritirarsi a vita
di penitenza tra i boschi della Sierra Morena in omaggio alla sua
Dulcinea, e rimanda Sancio al paese perché riferisca alla
donzella le sue sofferenze d'amore. Quando il curato e il barbiere
vengono a sapere da Sancio le ultime novità, riescono con un
espediente a ricondurre a casa il penitente.
La prima parte del romanzo termina con quattro sonetti in memoria
del valoroso don Chisciotte, di Dulcinea, di Ronzinante e di Sancio,
seguiti da due epitaffi conclusivi, a dimostrazione che Cervantes
non pensava allora di pubblicare la seconda parte del Don
Chisciotte.
Seconda parte
La seconda parte inizia con un "Prologo" al lettore, nel quale
Cervantes allude al secondo Don Chisciotte, apocrifo, scritto da
Alonso Fernández de Avellaneda e pubblicato nel 1614, e alle
discussioni che ne erano seguite, e promette di esaurire, con questa
seconda parte, tutte le avventure dell'hidalgo fino alla morte e
alla sepoltura.
Don Chisciotte è curato dalla sua vecchia governante e dalla
nipote ma non guarisce e un giorno, all'insaputa di tutti, insieme
al suo fido Sancio riprende le vie per il mondo. Prendono subito la
via per il Toboso perché don Chisciotte desidera, prima di
partire per altre avventure, avere la benedizione della sua
Dulcinea. Ma è molto difficile scovare questa luminosa
bellezza, simbolo di tutte le perfezioni, perché il paese
è tutto vicoli e casette e non si vede nemmeno un castello o
una torre.
Sancio, che ha ormai capito quali sono i capovolgimenti operati
dalla fantasia nel cervello di don Chisciotte, consiglia il padrone
di ritirarsi nel bosco per evitare guai con gli abitanti e si offre
per trovare la bellissima e si reca in paese. Al ritorno dice al
padrone che tra non molto vedrà avanzare la principessa
vestita in gran pompa seguita da due damigelle.
«...Già intanto erano uscite dalla selva ed ecco
scorsero lì vicine tre campagnole. Don Chisciotte sospinse lo
sguardo per tutta la strada, ma non vedendo che tre contadine, si
rannuvolò tutto e domandò a Sancio se mai le avesse
lasciate fuori della città.»
Sancio risponde con grande stupore:
«Stia zitto, signore, non dica così, ma si stropicci
cotesti occhi e venga a riverire la signora dei suoi pensieri, che
è già qui presso. E così dicendo si
avanzò a ricevere le tre contadine; quindi smontando dal
somaro, prese per la cavezza la bestia d'una delle tre; poi,
piegando a terra tutte e due le ginocchia, disse:-Regina e
principessa e duchessa della bellezza, la vostra altierezza e
grandezza si compiaccia di ricevere in sua grazia e buon talento il
cavaliere vostro schiavo...»
Don Chisciotte, con gli occhi stralunati, si mette accanto a Sancio
e rimane senza parlare mentre nel suo animo si era già dato
una spiegazione per quello che credeva un incantesimo. Quando le tre
contadine se ne vanno egli esprime il suo pensiero a Sancio:
«Che ne dici Sancio? vedi quanto male mi vogliono gli
incantatori? vedi fin dove arriva la loro cattiveria e l'astio che
mi portano, poiché hanno voluto privarmi della gioia che
avrebbe potuto darmi il veder nella sua vera forma la mia signora...
»
Il povero don Chisciotte si trova in questo stato d'animo quando si
imbatte in una compagnia di comici con i quali non riesce a mettersi
d'accordo e viene messo in fuga da un fitto lancio di sassi.
Più avanti egli incontra il Cavaliere degli Specchi che lo
sfida a duello con la condizione che chi avesse perso il duello
sarebbe stato alle condizioni del vincitore; per un imprevisto don
Chisciotte vince il duello. Questo cavaliere non è altro che
uno studente di Salamanca, un certo Sansone Carrasco amico di don
Chisciotte, che ricorre a quel trucco nella speranza di vincere il
duello per ricondurlo al villaggio, ma non ci riesce.
Alonso Quixano (non ancora Don Chisciotte) nella sua biblioteca, tra
i romanzi cavallereschi.
Don Chisciotte e Sancio proseguono il cammino e incontrano un carro
dentro al quale vi sono due leoni in gabbia. Don Chisciotte vuole
misurarsi con uno dei leoni e apre la gabbia creando grande spavento
tra i guardiani. Ma i leoni annoiati non escono dalle gabbie e gli
voltano le spalle. A don Chisciotte rimarrà il nome di
Cavaliere dei Leoni secondo l'usanza dei cavalieri erranti che
potevano cambiare il nome quando volevano.
Testimone di questa ultima impresa è don Diego de Miranda,
Cavaliere dal Verde Gabbano, che è felice di ospitare il suo
scudiero. Mentre sono ospiti di Don Diego si celebra il matrimonio
della bella Chilteria e del povero Basilio e dopo le nozze, don
Chisciotte si fa calare, legato ad una fune, nella grotta di
Montesinos che si trova nel mezzo della Mancia e quando ne esce
racconta le cose più strane e fantastiche.
I due continuano la strada e le avventure. Un giorno incontrano un
duca e una duchessa che, avendo letto la prima parte delle avventure
del Fantastico Nobiluomo don Chisciotte della Mancia, desiderano
conoscere il cavaliere e ospitarlo, con Sancio, nel loro castello. I
due accettano e il duca e la duchessa si divertono a prenderli in
giro inscenando in un bosco una mascherata con maghi, demoni,
donzelle ed altri personaggi.
In seguito imbastiscono il dramma della contessa Trifaldi e delle
sue dodici pulzelle che hanno il volto barbuto per un incantesimo
del mago Malabruno.
Don Chisciotte dovrà affrontare il mago nel suo paese
cavalcando Clavilegno, un cavallo alato che in realtà
è fatto di legno ed è carico di mortaretti,
cosicché quando don Chisciotte e Sancio lo cavalcano bendati,
il duca dà fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un
gran salto in aria, cadono sull'erba. L'incantesimo è rotto.
Più tardi il duca nomina Sancio governatore dell'isola di
Barattaria, ma la vita è troppo complicata per il semplice
scudiero che se ne ritorna dal suo padrone.
I due lasciano il castello alla volta di Barcellona e lungo la
strada incontrano ancora tantissime avventure finché l'ultima
pone fine alla vita del cavaliere errante ed è la sfida che
gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, travestito
da Cavaliere della Bianca Luna. Lungo la strada don Chisciotte
incontra il Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare
che la sua dama è più bella di Dulcinea. Il Cavaliere
dei leoni rimane allibito da tanta arroganza e accetta la sfida con
il patto che chi avesse perso si sarebbe consegnato nelle mani del
vincitore. Così avvenne che don Chisciotte, vinto da
Carrasco, che aveva usato ancora una volta un trucco, si consegna
nelle sue mani e viene finalmente ricondotto a casa. Una volta al
villaggio, forse per l'abbattimento di essere stato vinto o per
destino, viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto
per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente
molto triste e al termine di un sonno di sei ore, egli si sveglia
gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver
riacquistato il senno. Don Chisciotte vuole confessarsi e in seguito
fare testamento, e dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e
soprattutto di Sancio, egli muore.
Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali
quello di Sansone Carrasco:
Giace qui l'hidalgo forte/ che i più forti superò,/ e che pure nella morte/ la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni
tratto,/ lo spavento e la paura;/ fu per lui la gran ventura/ morir savio e viver matto.
Significato e importanza del Don Chisciotte
Lo scopo di Cervantes è sottolineare l'inadeguatezza degli
intellettuali dell'epoca a fronteggiare i nuovi tempi che correvano
in Spagna[senza fonte], un periodo storico caratterizzato infatti
dal materialismo e dal tramonto degli ideali[senza fonte], e
contraddistinto dal sorgere della crisi che dominerà il
periodo successivo al secolo d'oro appena conclusosi.
Il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo
dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di
cavalleria e di satireggiare il mondo medievale, tramite il "folle"
personaggio di Don Chisciotte; in Spagna, la letteratura
cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel Cinquecento
grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti".
Cervantes vuole inoltre mettere in ridicolo la letteratura
cavalleresca per fini personali. Infatti, egli fu soldato,
combatté nella battaglia di Lepanto e fu un eroe reale
(ovvero impegnato in battaglie reali in difesa della
Cristianità), ma trascorse gli ultimi anni della sua vita in
povertà (leggenda vuole che Cervantes trascorse gli ultimi
suoi anni di vita in carcere), non solo non premiato per il suo
valore, ma addirittura dimenticato da tutti. Egli cioè vuole
opporsi al comune sentire a proposito degli eroi immaginari della
letteratura cavalleresca: completamente inesistenti e di fantasia,
ma esaltati all'inverosimile dalla gente comune e non solo. In altre
parole, Cervantes desidera riequilibrare le opinioni della gente sul
valore reale dei soldati della cristianità a discapito degli
eroi immaginari dei libri cavallereschi.
Inoltrandosi nella lettura, subito dopo le prime avventure, Don
Chisciotte perde gradualmente la connotazione di personaggio
"comico" e acquista uno spessore più complesso. Lo stesso
romanzo diventa ben presto molto più che una parodia o un
romanzo eroicomico. Il "folle" cavaliere mostra al lettore il
problema di fondo dell'esistenza, cioè la delusione che
l'uomo subisce di fronte alla realtà, la quale annulla
l'immaginazione, la fantasia, le proprie aspettative, la
realizzazione di un progetto di esistenza con cui l'uomo si
identifica.
Nel Don Chisciotte ogni cosa può essere soggetta a diversi
punti di vista (ad esempio i mulini a vento diventano dei giganti),
il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della
realtà. Nell'opera di Cervantes è presente una
dimensione tragica che dipende dall'inesistente corrispondenza fra
cose e parole: le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma
Don Chisciotte a causa della sua locura ("pazzia", in spagnolo) non
se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e
libri. La pazzia è il modo di vedere il mondo con occhi
diversi, non offuscati dalle idee e dai condizionamenti sociali.
L'accumularsi di situazioni in cui lo stesso oggetto dà
origine a interpretazioni dei due personaggi diametralmente opposte
senza che nessuno dei due prevalga sull'altro, che trasformano la
realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda, incutono
nel lettore quella sensazione di inquietudine, di incertezza
irrisolvibile, tipica del Manierismo che viene risolta nella seconda
parte grazie all'apertura di una nuova dimensione, squisitamente
barocca, della narrazione, con la storia di nuovi eventi e la
rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione e la
narrazione vengono ad intrecciarsi in una rete di corrispondenze a
specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e
realtà, che è dinamica.
All'interno di questa rete ognuno è costretto a reinterpretare la realtà come meglio crede poiché il narratore onnisciente scompare e il significato è affidato a due manoscritti diversi, spesso in contrapposizione fra di loro, con cui l'autore si prende gioco disseminando qua e là incongruenze e lacune per mettere in dubbio la verità dei due manoscritti.
L'opera di Cervantes si colloca quindi perfettamente nell'età barocca in cui la realtà appare ambigua e sfuggente, dominata dall'indebolirsi del confine tra reale e fantastico nonché soggetta ad essere descritta da diversi punti di vista contraddittori. Questo romanzo rispetto ai poemi cavallereschi (Orlando Furioso) tratta di argomenti contemporanei e non del passato (canzoni di gesta) ed è in prosa e non in versi. Del romanzo picaresco conserva l'interesse per gli aspetti più degradati della realtà (povere osterie, campagne desolate, ecc.) e per i personaggi più miseri (contadini, galeotti, prostitute) ma la condizione sociale del protagonista non è quella di un picaro bensì di un hidalgo. Don Chisciotte rappresenta la crisi del Rinascimento e l'inizio del barocco.
Il romanzo mette in luce l'esigenza di far emergere la propria individualità, fuori di rigidi rapporti sociali cristallizzati, facendo emergere l'istinto, la follia, il sogno, l'ignoto.. Il critico Mario Pazzaglia scrive: "L'intento dichiarato dell'autore era quello di abbattere l'autorità e il favore che hanno nel pubblico di tutto il mondo i libri di cavalleria, parodiandoli; e l'intento rispecchiava, in fondo, una crisi di valori nell'Europa del tempo travagliata da lotte di potenza imperialistica e dal deciso predominio del capitalismo che sosteneva i nuovi stati assolutistici ed era certo intimamente avverso a ogni forma di idealismo, di liberalità e di generosità cavalleresca".
Don Chisciotte è preda
della follia in quanto interpreta la realtà in maniera
distorta, ma nella seconda parte del romanzo la sua follia appare in
buona parte consapevole, proprio come quella che Amleto finge nella
tragedia di William Shakespeare; la follia di don Chisciotte
è lo strumento per rifiutare la volgarità e la
bassezza del reale, la follia di Amleto è il mezzo attraverso
il quale il protagonista, principe di Danimarca, tenta di
smascherare la corruzione e l'immoralità della sua corte. La
teatralità poi ha una parte fondamentale nell'opera di
Cervantes: essa fa sì che il romanzo si trasformi in una
grande recita che culmina con il falso duello tra don Chisciotte e
il Cavaliere della Bianca Luna.
Il Don Chisciotte è stato considerato il progenitore del
romanzo moderno da importanti critici, tra cui György
Lukács. Gli si contrappone, specie in ambito anglosassone,
l'opera dello scrittore inglese del primo Settecento Daniel Defoe.