Divina Commedia 


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Generalità

Poema allegorico in endecasillabi concatenati in terza rima composto in volgare da Dante Alighieri. Comprende 100 canti (uno introduttivo e 33 per ognuna delle tre cantiche: Inferno, Purgatorio, Paradiso) e descrive poeticamente l'itinerario dell'uomo – soggetto concreto di attività morale – dalla presa di coscienza delle proprie tendenze erronee e potenzialità buone al possesso del Bene infinito.

La genesi e il pensiero

Alla genesi dell'opera concorsero le più vitali esperienze biografiche e spirituali dell'Alighieri, così che – nell'unità di un'invenzione artistica originalissima – essa è la "summa" delle riflessioni dantesche sull'amore e la conoscenza, sulla fede e la filosofia, sulla politica e l'etica. La meditazione interiore di Dante, iniziatasi a livello del puro sentimento con la Vita nuova, si volse ben presto a problemi etici e sociali, e, mentre l'uomo faceva le sue prove nelle cure della politica cittadina (cui seguì il bando), nello scrittore e nel poeta assunse le forme d'una riflessione filosofica e conoscitiva che – resa più viva e sofferta dall'esperienza dell'esilio – trovò prima espressione nel Convivio. Nel trattato filosofico non solo emergono concetti politici fondamentali (quali la necessità e romanità dell'impero), ma anche il senso e l'importanza di un'eticità che trascende l'impegno politico di parte e le considerazioni contingenti. La meditazione etica e politica nasce ora in Dante dalla considerazione della tragica situazione presente, dovuta al disinteresse degli imperatori e alla corruzione della curia romana. Priva della guida dell'imperatore (rimedio all'umana cupidigia) e del papa (detentore dell'insegnamento evangelico), l'intera umanità non può perseguire i due fini, naturale e soprannaturale, cui è provvidenzialmente ordinata: la felicità terrena, fondata sull'esercizio delle virtù morali e intellettuali; la beatitudine eterna, frutto delle virtù teologali, che in terra si pregusta nella vita della Grazia.

Mutuata dai classici la convinzione del valore conoscitivo e didattico della poesia, Dante (interrotti Convivio e De vulgari eloquentia) attua quindi l'idea di un'opera di più vasto respiro, poetica nella forma, che, in assenza delle guide provvidenziali, gli consenta di cercare per sé e indicare agli altri la "diritta via" per giungere rettamente ai due fini, ponendo sé e la propria vicenda narrativa come concreto exemplum di rappresentazione universalmente valida. Nasce così la Commedia, sulla scia dei grandi poemi allegorici della latinità medievale e insieme della medievale esegesi dell'Eneide e dell'Ecloga IV di Virgilio, nonché radicalmente ispirata alla tradizione del pensiero biblico e cristiano.

In essa l'Alighieri mostra i mali del presente e ne addita il rimedio nell'obbedienza ai provvidenziali disegni divini non meno che nell'attiva e razionale partecipazione dell'uomo alla loro realizzazione nel mondo delle cose e dello spirito: protagonista e insieme narratore della propria esperienza, mentre "agisce" singolarmente, Dante si pone su un piano più alto di insegnamento e di giudizio, descrivendo il colpevole rifiutarsi dello spirito a se stesso nell'Inferno, la possibilità del riscatto nel Purgatorio, la felicità suprema dell'appagamento spirituale nel Paradiso.

La lettera e l'allegoria

Argomento del poema è la narrazione letterale del viaggio oltremondano di Dante, che ha inizio il venerdì santo del 1300. Smarritosi in una selva e ostacolato nel tentativo di uscirne da tre fiere (una lonza, un leone, una lupa), il poeta è soccorso da Virgilio, inviato dal Cielo in suo aiuto. Ha inizio così la discesa nell'Inferno, baratro in forma di cono rovesciato che si sprofonda sotto la superficie dell'emisfero boreale fino al centro della Terra, suddiviso in nove cerchi. Vi sono racchiusi personaggi mitici e storici di ogni tempo, puniti in un crescendo di gravità secondo le disposizioni al male teorizzate nell'Etica aristotelica: incontinenza, matta bestialità, malizia. Gli incontinenti occupano i cerchi dal secondo al quinto: essi sono i lussuriosi (tra i quali Paolo e Francesca), i golosi, gli avari e prodighi, gli iracondi e accidiosi. La matta bestialità o violenza è punita nel settimo cerchio, distinto nei tre gironi dei violenti contro il prossimo, dei violenti contro se stessi (tra i quali è Pier delle Vigne) o contro le proprie cose, e dei violenti contro Dio, contro la natura (come Brunetto Latini) e contro l'arte. La malizia o frode è punita nell'ottavo cerchio o Malebolge, dove sono coloro che commisero frode ai danni di chi non si fidava, distribuiti in dieci bolge (seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari), e nel nono cerchio, dove sono i traditori, che frodarono coloro che si fidavano, divisi in quattro zone: Caina (traditori dei parenti), Antenora (traditori della patria, tra i quali è il Conte Ugolino), Tolomea (traditori degli ospiti) e Giudecca (traditori dei benefattori). Non rientrano in questa ripartizione, perché sono al di fuori dello schema aristotelico delle colpe, ma non possono essere ignorate dal poeta cristiano, le anime del Limbo, che non hanno conosciuto il vero Dio (I cerchio) e quelle degli eretici che a Dio si sono ribellati (VI cerchio), tra i quali è Farinata degli Uberti. Nel vestibolo sono confinati gli ignavi. Al fondo è confitto Lucifero, che tormenta in eterno i traditori della Divinità (Giuda) e dell'Impero (Bruto e Cassio).

Per un passaggio naturale i due poeti pervengono quindi alle sponde del Purgatorio (montagna altissima, circondata dal mare australe, posta agli antipodi di Gerusalemme) e ne salgono le sette balze. In esse le anime dei morti in grazia di Dio purificano, in ordine decrescente di gravità, le colpe connesse con i sette peccati capitali, secondo le tendenze erronee che l'amore naturale, in sé retto, può assumere nell'uomo: desiderio del male del prossimo, negligenza nell'amore verso Dio, eccessivo amore ai beni terreni. Il desiderio del male si purifica nelle tre cornici dei superbi (tra i quali il miniatore Oderisi da Gubbio), degli invidiosi (come la senese Sapia) e degli iracondi (come Marco Lombardo); della negligenza nell'amore verso Dio o accidia si fa espiazione nella quarta cornice; infine, dell'amore per eccesso dei beni terreni si fa ammenda nelle ultime tre cornici, degli avari e prodighi (tra i quali ultimi è Stazio), dei golosi (dei quali fa parte Forese Donati, amico di Dante) e dei lussuriosi (e, tra loro, Dante incontra Guido Guinizzelli). Prima del Purgatorio propriamente detto è l'Antipurgatorio, dove sono le anime dei negligenti che tardarono a pentirsi, distinti nelle quattro schiere dei morti scomunicati (tra i quali è Manfredi), dei pigri, dei morti violentemente (come Buonconte da Montefeltro), dei principi.

Sulla cima del Purgatorio è il Paradiso terrestre, sede naturale dell'uomo prima del peccato d'origine: ivi, a dieci anni dalla sua scomparsa, Dante ritrova Beatrice, anima beata. Ella presiede alla sua finale confessione e purificazione che, insieme alla contemplazione della processione mistica simboleggiante la storia dell'umanità e della Chiesa, prepara il pellegrino a salire al Paradiso celeste. La struttura di esso, dedotta dal sistema tolemaico, comprende nove cicli concentrici e ruotanti intorno alla terra. Essi sono contenuti dall'Empireo, sede immobile di Dio e dei beati, i quali tuttavia compaiono nei singoli cieli (cui Dante è innalzato da Beatrice) per render comprensibile il criterio di proporzionalità tra ricompensa eterna e grado di perfezione spirituale delle anime. Il primo cielo è quello della Luna, dove sono gli spiriti che mancarono ai voti: tra loro è Piccarda Donati. Seguono i cieli di Mercurio (spiriti attivi, tra i quali è Giustiniano), di Venere (spiriti amanti), del Sole (spiriti sapienti, tra i quali sono San Tommaso e San Bonaventura, che fanno l'elogio, rispettivamente, di San Francesco e di San Domenico), di Marte (spiriti militanti, tra i quali è Cacciaguida), di Giove (spiriti giusti, che formano la figura di un'aquila), di Saturno (spiriti contemplanti, tra i quali sono San Pier Damiani e San Benedetto), delle Stelle Fisse, del Primo Mobile. Contemplati, nell'Empireo, il consesso dei beati e degli angeli e la finale gloria di Beatrice, Dante gode infine per un istante la visione diretta di Dio nella sua essenza trinitaria.

Sul piano allegorico, l'itinerario di Dante, personaggio e viandante, corrisponde alla storia interiore e concreta della sua anima. Egli parte dalla presa di coscienza della propria negazione di essere spirituale, simboleggiato dalla selva e dalle tre fiere, figure delle passioni radicali dell'umana natura: lussuria, superbia, cupidigia. Il primo passo verso la salvezza è il recupero della razionalità, cui presta la sua voce Virgilio, poetico simbolo della vita dello spirito (di cui anche l'arte è espressione) e insieme della romanità, sentita come momento provvidenziale della storia umana. L'esperienza spirituale di Dante procede quindi con il formarsi, attraverso esempi storicamente concreti, di un giudizio morale e religioso sull'uomo, considerato nella sua vicenda terrena, ma giudicato in rapporto al proprio destino di anima immortale. In tal modo, nelle figure di incontinenti, di violenti, di fraudolenti, di traditori, il poeta viene tipologicamente conoscendo la sempre più colpevole e volontaria rinuncia dell'uomo al retto esercizio della volontà e razionalità. L'Inferno è infatti la rappresentazione per via di immagini del negarsi dello spirito a se stesso nel cosciente rifiuto delle proprie caratteristiche vitali, del suo farsi istinto, bestia, inerte materia; ma, nello stesso tempo, anche del progressivo riscatto del protagonista, attraverso un giudizio, per ora solo negativo, che diverrà costruttiva purificazione nel Purgatorio.

Ivi, attraverso la personale, faticosa ascesa e l'altrui espiazione contemplata e spiritualmente sofferta, Dante restaura in sé la perfezione di natura, frutto dell'attiva esplicazione delle quattro virtù cardinali, senza le quali non può dispiegarsi il concreto esercizio del libero arbitrio, caratteristica dell'uomo e fondamento del suo terreno operare nell'ambito di una società civilmente organizzata. L'esperienza dantesca del Purgatorio deve essere infatti ricondotta al concetto di socialità come amore e virtù in atto: pienezza e circolarità dello spirito che riconosce nell'arte e nella storia, oltre che nei fondamenti di una civile convivenza, gli elementi validi non solo allo sviluppo di un'individuale spiritualità, ma anche di un rapporto interumano all'insegna della comunicabilità.

Riconquistata la propria naturale perfezione (riconosciutagli, nel congedo, da Virgilio), a Dante si apre ora la vita della Grazia, cui lo introduce Beatrice, succedendo al "dolce pedagogo": il nucleo della Commedia, quanto all'invenzione, è forse proprio in quest'incontro, in cui la prima ispiratrice dell'uomo e poeta Dante, ora anima beata e sempre (come e più che nella Vita nuova) specchio del Divino, riprende il suo ruolo, riapparendogli al centro della "sacra rappresentazione" della storia dell'umanità e della Chiesa. Qui è anche il punto di sutura tra la ricerca personale del poeta e quella, universale, cui tende tutta la storia umana, dal peccato originale alla rivelazione al drammatico presente. La sovrannaturale, gioiosa conclusione di tale ricerca è la beatitudine celeste rappresentata nel Paradiso, poetica immagine di quel rinnovamento spirituale e civile che Dante sperimenta in sé e sogna per l'intera umanità, e insieme celebrazione dei due temi (legati ancora a Beatrice) dell'amore e della conoscenza. La coralità delle immagini e delle rappresentazioni, la luce dello sguardo dell'amata e degli spettacoli celesti sono l'espressione della caritas perfetta che anima la città di Dio e procede dalla diretta conoscenza di Lui e dalla gioiosa obbedienza alla Sua volontà. Essa si esprime nella pronta adesione ai desideri di Dante, nelle celebrazioni agiografiche, nel rimprovero al mondo sviato non meno che nell'insegnamento delle verità scientifiche, filosofiche, teologiche, e tocca il vertice da un lato nell'investitura morale che il poeta riceve da Cacciaguida, dall'altro nella finale visione di Dio che spiritualmente unisce il pellegrino ancora militante con i beati della Chiesa trionfante.

La poesia e lo stile

Nei suoi contenuti etici, speculativi, religiosi, la Commedia è anzitutto sicura glorificazione della poesia come altissima espressione dello spirito umano e come mezzo di conoscenza. Nelle tre cantiche non solo le varie componenti appaiono mirabilmente fuse nell'invenzione poetica, ma è anche riconquistata l'unità tra vita spirituale ed espressione artistica affermata al tempo della Vita nuova. Così i personaggi esemplari del poema non si pongono come astratte personificazioni, ma sono realtà concrete di una vita e di una cultura di volta in volta considerate, superate o esaltate alla luce di un giudicare tutto spirituale, in cui tuttavia il poeta conserva la capacità di tratteggiare con mano sicura le singole personalità e le loro riflessioni (vedi i contenuti di vita poetica e sentimentale, di dignità civile, culturale, umana negli episodi di Francesca, Farinata, Brunetto, Ulisse, nell'Inferno; vedi, nel Purgatorio, la poesia dei sentimenti e le meditazioni sull'arte, in particolare negli incontri con Bonagiunta, Guido Guinizzelli, Arnaut Daniel). Tale giudizio e varietà artistica di rappresentazione si dispiegano come celebrazione della personale convinzione religiosa e come poetica sintesi della spiritualità del poeta nel Paradiso, là dove i grandi temi della politica, della moralità, della scienza, della fede si ripropongono nelle alte narrazioni di Giustiniano e Cacciaguida, nelle "vite" dei santi e nei loro accorati o sdegnati appelli all'umanità, nella geometrica, intellettuale poesia delle immagini-simbolo.

Di tanto complessa creazione artistica è componente e fondamentale espressione lo stile, la cui caratteristica è il plurilinguismo, fondato sull'opzione per lo stile "mediano" o "comico", che consente al poeta di toccare tutti i registri dell'umana comunicabilità, dal tragico al realistico, dal lirico al grottesco, dal metaforico al didascalico. Superando e riassumendo tutte le passate esperienze di pensiero e d'arte dell'autore e del suo tempo, esso si avvale del recupero di arcaismi e latinismi, della coniazione di neologismi, dell'uso di francesismi e provenzalismi, di voci dialettali: consumata espressione di altissima tecnica e d'arte raffinata, sia che Dante affronti, entro la cupa atmosfera infernale, la rappresentazione poetica dello scontro tra carne e spirito (culminante nelle rime "aspre e chiocce"), sia che svolga quei temi sereni e vitali del Purgatorio (perdono e pentimento, amore e amicizia, carità fraterna e attesa di Dio) che, attraverso la sostenuta allegoria liturgica del Paradiso terrestre, conducono senza soluzione di continuità al linguaggio dell'ineffabile del Paradiso. In esso ispirazione lirica e solenne concettosità dottrinale, potenza fantastica e alta retorica, contenuti simbolici e capacità descrittive della parola sono esaltate e fuse in una poesia d'ineguagliata altezza.

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Wikipedia

La Commedia o Divina Commedia è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304 e il 1321, la Commedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta da alcuni il più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi.

Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medioevale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.

L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento della stampa, in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo, dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così di secolare commento. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico.
Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio Petrocchi. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti.

La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.

Titolo

Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o Comedìa, dal greco κωμωδία (komodìa, composto di kòme, villaggio, e odé, canto; letteralmente canto del villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la sua opera [Inferno XVI, 128] (Inferno XXI, 2). In seguito il titolo di "divina" le venne dato da Boccaccio. Nell'Epistola (la cui paternità dantesca non è del tutto certa) indirizzata a Cangrande della Scala, Dante ribadisce il titolo latino dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus.[7] In essa vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inizio difficoltoso per il protagonista, si conclude con un lieto fine, e uno stilistico. Infatti lo stile nonostante sia sublime, tratta anche tematiche turpi tipiche di uno stile umile, secondo l'ottica cristiana di accogliere anche gli aspetti più bassi del reale, pur di raggiungere il cuore di tutta l'umanità. Nel poema, infatti, si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla "selva oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla redenzione finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in volgare e non in latino che, sebbene esistesse già una ricca tradizione letteraria in lingua del sì, continuava ad essere considerata la lingua per eccellenza della cultura.

L'aggettivo divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il periodo in cui si pensa sia stato cominciato il poema. La dizione Divina Commedia, però, divenne comune solo da metà del Cinquecento in poi, quando Ludovico Dolce, nella sua edizione veneziana del 1555, riprese il titolo boccacciano.

Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due volte all'interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "poema sacro". Dante non rinnega il titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine "Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiati rispetto ai canti che compongono l'Inferno; infatti nell'ultimo canto, il sostantivo Commedia viene sostituito da poema sacro. Il discorso sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa all'interno della sua opera, contraddicendo se stesso ma anche le sue fonti, è molto più vasto ed esteso.

Argomento

«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!

Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del bene ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12»

Il racconto dell'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intero poema), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale; si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto poiché aveva smarrito la "retta via", quella della virtù (si ritiene che Dante si senta colpevole, più degli altri, del peccato di lussuria, che infatti, contrariamente alla tipica visione cattolica, nell'Inferno e nel Purgatorio è posto sempre come il meno grave tra i peccati puniti). Tentando di trovarne l'uscita, il poeta scorge un colle illuminato dalla luce del sole; tentando di salirvi per avere più ampia visuale, però, viene ostacolato da tre belve: una lonza (lince), allegoria della lussuria, un leone, simbolo della superbia, e una lupa, che rappresenta l'avidità, i tre vizi che stanno alla base di ogni male. Tanta è la paura che il trio incute, che Dante cade all'indietro, lungo il pendio.

Risollevandosi, scorge l'anima del grande poeta Virgilio, a cui chiede aiuto. Virgilio rivela che per arrivare alla cima del colle ed evitare le tre bestie feroci, bisognerà intraprendere una strada diversa, più lunga e penosa, attraverso il bene e il male, profetizza che il trio sarà fatto morire da un alquanto misterioso Veltro[8], si presenta come l'inviato di Beatrice, la donna amata da Dante (morta a soli ventiquattro anni), la quale aveva interceduto presso Dio affinché il poeta fosse redento dai peccati; Virgilio e Beatrice sono in realtà due allegorie rispettivamente della ragione e della teologia: il primo in quanto considerato il poeta più sapiente della classicità, la seconda in quanto scala al fattore, secondo la visione elaborata da Dante nella Vita Nuova.

Dalla collina di Gerusalemme su cui si trova la selva, Virgilio condurrà Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio perché attraverso questo viaggio la sua anima possa risollevarsi dal male in cui era caduta. Poi Beatrice prenderà il posto di Virgilio, sarà lei la guida di Dante nel Paradiso. Virgilio, nel racconto allegorico, rappresenta la ragione, ma la ragione non basta per giungere fino a Dio; è necessaria la fede, e Beatrice rappresenta questa virtù. Virgilio inoltre, non ha conosciuto Cristo, non è battezzato e perciò non gli è consentito di avvicinarsi al seggio dell'Onnipotente.

Inferno

Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto III (nel precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al viaggio che stanno per compiere). Dante e Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui sono impressi i versi celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai bisogna andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno, stazionano per sempre gli ignavi, ossia quelli che in vita non vollero prendere posizioni, ed ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo (Inferno) perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel secondo sarebbero un motivo di possibile vanto. La loro punizione consiste nel correre nudi dietro ad una bandiera senza stemma ed essere perennemente punti da vespe e da mosconi; poco più in là sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale), stanno provvisoriamente le anime che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di là.
Giovanni Stradano (1523-1605): Inferno, Mappa

L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre più stretti che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue enormi ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo Inferno, ad ogni peccato, corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà il numero del cerchio.

Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le anime dei puri che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene; vi si trovano anche - in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" - gli antichi "spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio infernale ogni anima dovrà scontare la sua pena. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime di Semiramide, Cleopatra ed Elena di Troia. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e Francesca[9] che raccontano la loro storia e passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo cerchio, i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da Plutone, stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per l'eternità mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.

Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige, nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e qui i protagonisti hanno un alterco con Filippo Argenti; i due Poeti vengono traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegiàs, quinto guardiano infernale. Lì, sull'altra sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i peccatori consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono bloccati dai demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si trovano all'interno di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici incontrano il ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno dantesco. Assieme a lui è presente Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido.

Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo uno scosceso burrone (l'alta ripa), alla fine del quale si trova il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente presidiato dai Centauri. Questo fiume costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio. Vi sono puniti i violenti contro il prossimo; tra essi il Minotauro, ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo girone, (che Dante e Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del centauro Nesso); qui stanno i violenti contro sé stessi, i suicidi trasformati in arbusti secchi, feriti e straziati per l'eternità dalle Arpie; tra loro troviamo Pier delle Vigne); nel secondo girone stanno anche gli scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è una landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio nella Parola, nella Natura e nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i sodomiti (tra cui Brunetto Latini) e gli usurai. A quest'ultimo girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto XVII.

Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio, scendono per un burrato (burrone) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto umano, zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i traditori in chi non si fida. L'ottavo cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge sono puniti, nell'ordine, ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti - tra cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia (Maometto) e i falsari.

Ulisse racconta ai due viandanti il suo ultimo viaggio; qui si vede che Dante non era a conoscenza della predizione di Tiresia sulla morte di Ulisse e perciò ne inventa la fine in un gorgo marino al di là delle Colonne d'Ercole, simbolo per Dante della ragione e dei limiti del mondo. Tra i falsari, nella decima bolgia, troviamo il "folletto" Gianni Schicchi; infine i due accedono al IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori in chi si fida.

Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate della ghiaccia di Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome di Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore, il Troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno i peccatori come lui, traditori della patria; nella terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare fece uccidere il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine nella quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che tradì Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolino della Gherardesca che narra della sua segregazione nella Torre della Muda con i figli e la loro morte per fame, segregazione e morte volute dall'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del suo aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota; la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche di Lucifero, che qui ha la sua dimora. Giuda si trova nella bocca centrale, a suggello della maggiore gravità del proprio tradimento.

Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero e Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio, alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

Purgatorio

Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del Purgatorio, creata con la terra che servì a scavare il baratro dell'Inferno, quando Lucifero fu buttato fuori dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio. Usciti dal cunicolo, i due giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il varco più vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati, che hanno dimora nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti dell'antipurgatorio Dante incontra Manfredi di Svevia. Assieme a coloro che tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi negligenti, infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a permettere loro di accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede indicazioni ad un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano della valletta, il concittadino di Virgilio Sordello, che sarà la guida dei due fino alla porta del Purgatorio.

Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduto da tre gradini, il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso. L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo regno.

Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano i loro peccati per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna, nella I cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso terrestre, i peccatori più lievi. Le anime non vengono punite in eterno, e per una sola colpa, come nel primo regno, ma scontano una pena pari ai peccati commessi durante la vita.

Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella seconda gli invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli avari e i prodighi. In questa cornice ai due viaggiatori si unisce l'anima di Stazio dopo un terremoto e un canto Gloria in excelsis Deo (Dante riteneva Stazio convertito al cristianesimo); questi si era macchiato in vita di eccessiva prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo cinquecento anni di espiazione in quella cornice aveva sentito il desiderio di assurgere al Paradiso, si offre di accompagnare i due fino alla sommità del monte, attraverso le cornici sesta, dove espiano le loro colpe i golosi che appaiono magrissimi, e settima, dove stanno i lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante ritiene che Stazio si sia convertito grazie a Virgilio e alle sue opere, che hanno aperto gli occhi al poeta latino: egli, infatti, grazie all'Eneide e alle Bucoliche ha capito l'importanza della fede cristiana e l'errore del vizio della prodigalità: come un lampadoforo, Virgilio ha fatto luce a Stazio rimanendo però al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un profeta inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in tempo solo ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è costretto a soggiornare per l'eternità nel Limbo. Ascesi alla settima cornice, i tre devono attraversare un muro di fuoco, oltre il quale si diparte una scala, che dà accesso al Paradiso terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti qui, il luogo dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del peccato, Virgilio e Dante si devono congedare, poiche il poeta latino non è degno di guidare il toscano fin nel Paradiso, e sarà Beatrice a farlo.

Quindi Dante si imbatte in Matelda, la personificazione della felicità perfetta, precedente al peccato originale, che gli mostra i due fiumi Letè, che fa dimenticare i peccati, ed Eunoè, che restituisce la memoria del bene compiuto, e si offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco dopo. Beatrice rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi vedere senza il velo: Dante durante i rimproveri cerca di scorgere il suo vecchio maestro Virgilio che ormai non c'è più. Dopo aver bevuto le acque del Letè e poi dell'Eunoè, infine, Dante segue Beatrice verso il terzo ed ultimo regno: il Paradiso.

Paradiso

Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al Paradiso e, accanto a Beatrice, vi accede volando ad altissima velocità. Egli sente tutta la difficoltà di raccontare questo trasumanare, andare cioè al di là delle proprie condizioni terrene, ma confida nell'aiuto dello Spirito Santo (il buon Apollo) e nel fatto che il suo sforzo descrittivo sarà continuato da altri nel tempo (Poca favilla gran fiamma seconda... canto I, 34).
Philipp Veit (1793-1887): San Bernardo di Chiaravalle

Il Paradiso è composto da nove cerchi concentrici, al cui centro sta la Terra; in ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più vicini a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. Ma le anime del Paradiso non stanno meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di quella che ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha; Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine. Prima di raggiungere il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco.

Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti (Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra fecero del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino (Arcangeli); nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti (Principati); nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà); nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti per la fede (Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti giusti (Dominazioni)
Dante e Beatrice rivolti verso l'Empireo (Gustave Doré)

Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli "spiriti contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto finora; il suo sorriso, infatti, da qui in poi, a causa della vicinanza a Dio, sarebbe per Dante insopportabile alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In questo cielo risiedono gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza Dante fino al cielo delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i beati, ma nel quale si trovano le anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della Vergine Maria, che qui Dante riesce a vedere; da questo cielo, inoltre, il poeta osserva il mondo sotto di sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini). Prima di proseguire Dante deve sostenere una sorta di "esame" in Fede, Speranza, Carità, da parte di tre professori particolari: San Pietro, San Giacomo e San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta, Dante e Beatrice assurgono al nono cielo, il Primo Mobile o Cristallino, il cielo più esterno, origine del movimento e del tempo universale (Serafini).

In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo, contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno ad esso; il punto, spiega Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità di virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre Scritture, come Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e inoltre Eva, Rachele, Sara e Rebecca

Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di Maria alla quale San Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio) aveva chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino, penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo così la perfetta unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto più centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre persone della Trinità, il secondo del quale ha immagine umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis[10] la sua anima è presa da un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di Dio, dell'amor che move il sole e l'altre stelle.

Data di composizione

Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante scrisse ciascuna delle cantiche della Commedia e gli studiosi hanno formulato ipotesi anche contrastanti in base a prove e indizi talvolta discordanti. In linea di massima la critica odierna colloca:

    L'inizio della stesura dell'Inferno nel biennio 1304-1305 oppure in quello 1306-1307, in ogni caso dopo l'esilio (1302). Salvo l'eccezione del riferimento al papato di Clemente V (1305-1314), spesso indicato come un possibile ritocco post-conclusione, non vi si trovano accenni a fatti successi dopo il 1309. Al 1317 risale la prima menzione in un documento (un registro di atti bolognese, con una terzina dell'Inferno copiata sulla copertina), mentre i manoscritti più antichi che ci sono pervenuti risalgono al 1330 circa, una decina di anni dopo la morte di Dante.
    La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si accavallò con l'ultima parte dell'Inferno e in ogni caso non contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il 1313. Tracce della sua diffusione si riscontrano già nel 1315-1316.
    Il Paradiso viene collocato tra il 1316 e il 1321, data della morte del poeta.

Non ci è pervenuta nessuna firma autografa di Dante, ma sono conservati tre manoscritti della Commedia copiati integralmente da Giovanni Boccaccio, il quale non si servì di una fonte originaria, ma di manoscritti a loro volta copiati. Si deve anche immaginare che Dante si spostò molto in vita per via dell'esilio, quindi non potendo portarsi dietro molte carte è probabile che i manoscritti originali si disperdessero sin dalle prime diffusioni.
Struttura

La Divina Commedia è composta da tre cantiche che comprendono un totale di cento canti: la prima cantica (Inferno) è di 34 canti (33 hanno argomento l'Inferno; uno, il primo, è proemio all'opera intera), le altre due cantiche, Purgatorio e Paradiso, sono di 33 canti ciascuna. Il primo canto dell'Inferno viene considerato un prologo a tutta l'opera: in questo modo si ha un canto iniziale più 33 canti per ciascuna cantica, con un chiaro riferimento numerico alla Trinità.

Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate di versi endecasillabi. La lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad un massimo di 160; l'intera opera conta complessivamente 14.233 versi. La Divina Commedia è dunque superiore in lunghezza sia all'Eneide virgiliana (9.896 esametri), sia all'Odissea omerica (12.100 esametri), ma più breve dell'Iliade omerica (15.683 esametri). In ogni caso, se altre opere, anche molto più lunghe, sono state composte dalla tradizione e dai vari poeti che nel tempo le hanno ampliate ed arricchite, la Divina Commedia è un'opera straordinaria perché frutto dell'intelletto di un solo uomo, autore di tutti e 14.233 versi.

La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale, arricchita da una straordinaria creatività immaginativa.

Struttura cosmologica

La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione cosmologica dell'immaginario medievale. Il viaggio all'Inferno e nel monte del Purgatorio rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera, dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico.

L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di terre e l'altro di acque. La caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere, cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della semisfera occupata dalle terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico. Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al centro della semisfera acquea, si ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli. In cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo. Come si vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica, ma le sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria sferica. Alla sfericità della Terra, infatti, non corrisponde una simmetria generale nella distribuzione delle terre emerse e della presenza umana; le direzioni passanti per il centro della Terra non sono equivalenti: quella che passa per Gerusalemme e per la montagna del Purgatorio ha un ruolo privilegiato, il che richiama le concezioni della Grecia arcaica, ad esempio di Anassimandro.

Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti di Tolomeo, e risistemata dai teologici cristiani secondo le esigenze della nuova religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende il Pleroma infinito (Empireo) in cui ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio. Ai nove cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele.

La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine delle anime (ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi intendimenti di ordine morale e teologico.

In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti luoghi:

La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio, costituito da una spiaggia, su cui vengono traghettate le anime dall'angelo nocchiero che le preleva alla foce del Tevere, e da una valletta fiorita; specularmente all'Inferno, in essa attendono di iniziare la loro purificazione i negligenti, i tardi cioè a pentirsi. Il purgatorio vero e proprio è un monte scosceso, formato da ampi dirupi e cerchi rocciosi, a ciascuno dei quali è preposto un angelo guardiano. Sulla cima del monte c'è il Paradiso terrestre, che ha l'aspetto di una foresta rigogliosa, popolata di figure allegoriche.

I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico - Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno - più il cielo delle Stelle fisse e del
Tematiche e
Nella Divina Commedia, Dante si prefigge il ruolo di poeta vate in quanto universalizza il proprio viaggio verso la purificazione, per tutti gli uomini. Leggendo, infatti, la Divina Commedia ogni uomo ripercorre il viaggio dantesco purificandosi anch'esso dai sette vizi capitali.

Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una rappresentazione nuova, una profonda comprensione della realtà umana. In Dante è presente un modo nuovo e disincantato di percepire la storia: il racconto storico abbraccia il corso dei secoli con la storia dell'Impero romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra guelfi Bianchi e Neri, una larga considerazione prospettica della storia della Chiesa e della storia contemporanea del Papato.

L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo valore prospettico, ricca e determinata. Le note geografiche e visive si succedono.

Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un intreccio di notazioni varie e reali. La natura dantesca scaturisce sempre da un riferimento personale ed è, non di rado, attratta nell'orbita drammatica della rappresentazione. Tutto in Dante ha un valore soggettivo, il poema non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche la vicenda personale di Dante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra. Dante è sempre attore e giudice.

La profezia religiosa e politica si sviluppa su un terreno di esperienze personali, dichiaratamente espresse, e di aspirazioni precise. Dante sovrappone la profezia ai fatti concreti e non li dimentica, né insegue sogni vaghi e irrealizzabili di rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo vagheggiamento di un rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi ben precisi: una ritrovata moralità della Chiesa, la restaurazione dell'Impero, la fine delle lotte civili nelle città.

L'allegoria e la concezione figurale sono il fondamento del poema ed il segno più scoperto del suo medievalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Il costante riferimento al sopramondo attesta la subordinazione medievale di ogni realtà a un fine morale e religioso. Siffatta subordinazione è rigida e imperante e nell'assoluto valore dell'allegoria, nella fedeltà ai modi e allo stile ereditati dalla letteratura precedente è il medievalismo di Dante.

Dal punto di vista filosofico Aristotele è "il maestro di color che sanno" (Inferno, IV,131), il cui pensiero, ripreso e interpretato in chiave cristiana da Alberto Magno e Tommaso D'Aquino, è fondamentale nella filosofia dantesca. "Un peso maggiore sulla base dottrinale della Commedia lo assume il neoplatonismo, soprattutto perché in esso, soprattutto ad opera dei Padri della Chiesa alessandrini ( per esempio Origene, III secolo) e dello stesso Pseudo-Dionigi (V secolo) si fusero concezioni cristiane e platoniche sulla base di un criterio sincretistico. A questo proposito va notato che la disposizione e la struttura stessa di Inferno e Paradiso risentono in modo determinante delle dottrine neoplatoniche: Satana è collocato nel punto del cosmo più lontano da Dio ed è caratterizzato dalla brutalità meccanica tipica delle creature che costituiscono l'ultimo gradino della scala degli esseri, in cui prevale la materia.

Quanto al criterio complementare, fatto proprio da figure fondamentali come sant'Agostino che considera l'influsso divino in termini di irradiazione di luce, esso è assunto da Dante come grande sistema di collegamento della terza cantica, accogliendo le suggestioni che erano venute dalla metafisica della luce, elaborata in particolare dalla Scuola di Chartres (XII secolo) e dal teologo inglese Roberto Grossatesta (XIII secolo) nonché da san Tommaso e san Bonaventura. Quanto all'ordine delle gerarchie angeliche, Dante abbandona la proposta di Gregorio Magno (VI secolo), le cui dottrine aveva utilizzato nella sistemazione delle pene purgatoriali, per passare alla Gerarchia celeste dello Pseudo-Dionigi, a conferma della importanza strutturale della cultura neoplatonica della Commedia".

 Un tema ricorrente nella Commedia è la profezia. Il profetismo era largamente diffuso ai tempi del poeta, come del resto lo fu durante tutto il Medio Evo ed era caratterizzato da una attesa escatologica. Inoltre nel 1300 papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo, segno di una volontà di rinnovamento spirituale. "Ad alimentare questo clima di attesa e di speranze contribuì inoltre il commento all'Apocalisse del francescano Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Olieu, 1248-1298), le cui idee Dante conobbe frequentando a Firenze la scuola conventuale francescana di Santa Croce, dove conobbe anche uno dei suoi più ferventi discepoli, Ubertino da Casale (1259 - 1330 ca.) . Proprio nel 1300 Dante colloca il suo viaggio nell'oltretomba, non a caso strutturato in forma di visione, attraverso cui denunciare agli uomini i mali del mondo e della Chiesa e indicandone allo stesso tempo i correttivi, mostrando a tutti gli uomini quale fosse la giusta strada da percorrere per il rinnovamento dello spirito. Il profetismo della Commedia, oltre che richiamarsi in generale alla Bibbia ha radici nel gioachimismo, col quale condivide la visione di una profonda decadenza dei valori e della corruzione della Chiesa, identificata con la prostituta dell'Apocalisse (Purg. XXXII, 160), e l'esigenza di combatterle nella speranza di un rinnovamento. Garanzia di tale speranza sono la gravità del dolore sopportato da coloro che sono rimasti fedeli a Cristo e la promessa di Cristo stesso di non abbandonarli, nonché la certezza, basata sull'Apocalisse, della sconfitta finale dei malvagi. Dante ritiene infatti non lontana la fine dei tempi, se gli scanni della candida rosa sono sì ripieni, / che poca gente più ci si disira (Par. XXX 131 - 132). Come Gioacchino da Fiore e la linea spirituale del francescanesimo, anche a Dante, nel suo messaggio profetico, prospetta l'ideale di una Chiesa povera e aderente ai princìpi evangelici, che dopo Cristo è stato sostenuto solo da San Francesco, ritenuto per questo da Dante un secondo Cristo (v. Paradiso XI), iniziatore di una svolta decisiva nella storia cristiana. Mentre però il gioachimismo identificava nell'Ordine francescano l'artefice del processo di redenzione, Dante se ne distacca, escludendo che il rinnovamento potesse scaturire dall'interno della Chiesa. Egli basa invece il proprio messaggio profetico sul veltro (Inferno I, 101), ossia un riformatore laico voluto da Dio (identificabile con l'imperatore), unica forza in grado di realizzare il piano provvidenziale svelato a Dante nell'oltretomba".

In varie occasioni alcuni personaggi incontrati da Dante durante il suo viaggio oltremondano, grazie alla loro capacità di prevedere il futuro, preannunciano al poeta il suo esilio. Il primo che pronuncia contro Dante "parole gravi" è Farinata degli Uberti (Inferno X, 79 e ss.); seguono Brunetto Latini (Inferno XV, 61 e ss.), Vanni Fucci (Inferno XXIV, 133-151), Corrado Malaspina (Purgatorio VIII, 133 e ss.), Oderisi da Gubbio (Purgatorio XI, 139 e ss.) e infine Cacciaguida nel Paradiso (canto XVII).

Il ricorso alla profezia consente a Dante-personaggio (agens) anche di anticipare narrativamente la drammatica evoluzione che il Dante scrittore (auctor) vede dispiegarsi sotto i suoi occhi. Nella Commedia sono dunque disseminate molte profezie post-eventum, che riguardano fatti della biografia dell'autore (l'esilio) o collettivi (per esempio il trasferimento della sede papale ad Avignone ad opera di Clemente V sotto la pressione dei sovrani di Francia. Tuttavia il messaggio di Dante riguarda anche un misterioso piano provvidenziale, personificato dall'enigmatico veltro, che interverrebbe a punire i responsabili della corruzione morale, come la curia papale e il re di Francia.

Un'altra tematica frequentemente rintracciabile nel poema è il valore-simbolo del numero. Secondo la Bibbia, Dio ha organizzato il cosmo secondo criteri armonici: "tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso" (Sapienza 11, 21). I Padri della Chiesa avevano dedicato grande attenzione alla numerologia, come attestano le opere Libro dei numeri di Isidoro da Siviglia e il libro XV (De Numero) dell'enciclopedia di Rabano Mauro. Dante aveva già sperimentato il simbolismo del nove, multiplo del tre simbolo della Trinità, nella Vita Nuova, dove lo applica a Beatrice: i due si incontrano la prima volta a nove anni, Beatrice rivolgerà il suo primo saluto all'ora nona, ecc.
Nella Commedia i canti sono 100 numero perfetto poiché rappresenta il 10 (moltiplicato per se stesso) denotante compiutezza. Dieci sono Le zone dell'Inferno (nove più l'antinferno); dieci le zone del Purgatorio (antipurgatorio, formato da spiaggia più primi due balzi, poi le sette cornici ed infine il paradiso terrestre); dieci sono le zone del Paradiso (sette cieli planetari, cielo delle stelle fisse, Primo Mobile, Empireo). Il numero simbolico trinitario 3 si trova nel numero delle cantiche, nei versi in terzine, nelle tre guide (Publio Virgilio Marone, Beatrice, San Bernardo) oltre che nelle tre facce di Lucifero, nelle tre fiere del primo canto dell'Inferno, nei tre gradini della porta del Purgatorio. Tre sono i gruppi di peccatori nell'Inferno (incontinenti, violenti, fraudolenti); nel Purgatorio le anime sono divise fra coloro che indirizzarono il loro amore su un oggetto sbagliato, quelli che furono poco solleciti al bene e quelli che amarono troppo i beni mondani; nel Paradiso i beati sono divisi fra gli spiriti che furono dediti alla ricerca della gloria terrena, gli spiriti attivi e gli spiriti contemplativi. Per quanto concerne il 9, i cerchi dell'Inferno sono nove, le cornici del Purgatorio 7, a cui si devono aggiungere Antipurgatorio e Paradiso Terrestre, 9 sono le sfere dei cieli (il decimo, l'Empireo, non è un luogo fisico).

La musica è un altro motivo ricorrente nel poema ed è quindi una presenza frequente nella Commedia. Nel Medio Evo le teorie musicali furono influenzate dal trattato De Musica di Severino Boezio che si rifaceva alla dottrina di Pitagora e al principio di proporzione basato sul numero. L'atmosfera terrifica e dolente dell'Inferno è caratterizzata dalla disarmonia (III, 22-28; V, 46). Nel Purgatorio il canto delle anime ha effetto catartico (purificatorio), creando effetti di rasserenamento ed i riferimenti musicali hanno valore etico. Lo si vede in vari canti: la canzone intonata dal musico Casella (II, 107-108); poi in II, 47; V, 24; VIII, 13-18; X, 58-60; XVVII, 8-9.

Nel Paradiso Terrestre la musica è frequente con le sue melodie (XXVIII, 13-18; XXVIII 40-42; XXVIII 85; XXIX, 22-23; XXI, 97-99; XXXII, 61-63). Il Paradiso è la cantica in cui la musica, intrecciandosi con le immagini luminose, costituisce la sostanza della cantica stessa. Numerosi sono gli esempi di una celeste musica polifonica: XXVII, 1-6, VI, 124-126; VIII, 16-20; XIV, 28-32 e 118-123; XVII, 43-44; XXIII, 97-102 e 109-111; XXVIII, 118-120; XXXII, 95-98; XXXIII, 68-75.[24][25]

La rappresentazione della luce è frequente nel poema e ad essa si contrappongono le tenebre. Tutte le divinità dell'antichità si identificavano con la luce ed il Bene: il Bel semitico, il Ra egizio, l'Ahura Mazda iranico, il Bene di Platone. Attraverso il neoplatonismo la luce entra nella tradizione cristiana soprattutto grazie a Sant'Agostino e a Dionigi Areopagita in cui sono frequenti le immagini di Dio come luce, fuoco, fontana luminosa. Nella filosofia Scolastica fu elaborata la "teologia della luce" da Roberto Grossatesta e san Bonaventura da Bagnoregio nel XIII secolo. L'Inferno è invece il regno delle tenebre. Dante si smarrisce nella selva oscura(I, 2) e cerca di salire su un colle illuminato dal sole ( I, 13-18, 37-43). La prima cantica è il regno che scaturisce dalla privazione di Dio e quindi è senza luce. L'Inferno è cieco mondo (IV, 13; XXVII, 25), cieco / carcere (X, 58-59; XXII, 103), valle buia (XII, 86). I cerchi infernali sono scuri (XXV, 13), l'aria è morta (I, 17), nera (V, 51), sanza tempo tinta (III, 29); l'acqua dell'Acheronte è bruna (III, 118); la vegetazione della selva dei suicidi è di color fosco (XIII, 4). Attraverso la scura natural burella (Inf. XXXIV, 98) Dante e Virgilio giungono nel Purgatorio dove la luce riconquista lo spazio. Il sole è simbolo di Dio, l'alto Sol (Purg. VII, 26), l'alto lume (Purg. XIII, 85). Dante giunge sull'Antipurgatorio alle prime ore del mattino (I, 13-30; 107, 115), l'ascesa alla montagna avviene al sorgere del sole (II, 1) e l'arrivo sul Paradiso Terrestre al momento dello splendere della luce (XXVII, 112-133). Il sole concede ai due poeti di vedere l'accesso alla montagna (I, 107-108). La luce solare è presente in vari passi (XIII, 16-18, XVII, 70-75). Ovviamente è il Paradiso il regno della luce che è la sostanza stessa del regno celeste. Dante guidato da Beatrice, allegoria della grazia e della teologia, sale per lo ciel di lume in lume (XVII, 115) attraverso al materia eterea dei cieli: Luna (II, 34-36), Mercurio (V, 94-96), Venere (VIII, 13-15), Sole (X, 41), Marte (XIV, 85-86), Giove (XVIII; 68-69), Saturno (XXI, 13). I cieli sono fatti di materia eterea e pertanto riflettono all'esterno la luce che ricevono dal sole. Gli angeli vengono rappresentati come fuochi (IX, 77), facelle (XXIII, 94), scintille (XXVIII, 91), splendori (XXIX, 138). I beati hanno un corpo etereo e sono luci, lumi, faville (VIII, 8; XVIII, 101), stelle cadenti (XV, 16), rubini (XIX, 4-6), gioie (IX, 37), lapilli (XX, 16), fuochi (XX, 34; XXII, 119), fiammelle (XXI, 136), lucerne (VIII, 19; XXIII, 28), lampe (XVII, 5). Dio è etterna luce (V, 7-8), viva luce (XIII, 55-57). La Candida rosa dei beati è fatta di luci e fiamme splendenti (XXXI, 1-24) e, alla fine del poema, all'arcobaleno è associata la sostanza stessa della luce divina (XXXIII, 116-120).[26]

Le tre guide

Il viaggio ultraterreno di Dante richiede l'appoggio di una guida, in quanto il protagonista rappresenta l'uomo smarrito in conseguenza del peccato e pertanto incapace di recuperare da solo la retta via. Per l'intero cammino che si svolge attraverso il baratro dell'Inferno e su per la montagna del Purgatorio la guida prescelta è Virgilio, l'antico poeta latino autore dell'Eneide. Egli, sebbene pagano, per l'alto valore morale della sua poesia, rappresenta la saggezza naturale, la ragione della cui luce l'uomo ha bisogno per riscattarsi e rendersi disponibile a comprendere la Rivelazione. Comunque la figura di Virgilio non rimane chiusa in una schematica funzione allegorica; essa, in virtù della capacità poetica di Dante, assume il ruolo di un personaggio di grande rilievo:ora egli si anima di sollecitudine paterna e riesce a rassicurare con la sua rasserenante protezione Dante sbigottito dagli orrori dell'Inferno, ora, specialmente nel Purgatorio, resta soggetto all'incertezza, al timore e vive un suo dramma personale, in quanto diversamente da Dante egli è escluso dalla salvezza. Il suo compito si conclude nel Paradiso terrestre in quanto Virgilio, estraneo al mondo della fede, non può guidare Dante a comprendere il mistero divino che gli si svelerà nel Paradiso. Per questo occorre l'intervento della scienza teologica, che viene rappresentata dalla nuova guida, Beatrice, la quale condurrà Dante dalla cima del Purgatorio alle soglie dell'Empireo.

Anche nel caso di Beatrice il significato allegorico si arricchisce di componenti che fanno della sua figura un personaggio altamente poetico. Beatrice è pur sempre la donna angelica che ha illuminato la giovinezza del poeta: adesso, divenuta beata, risplende di una luce che si esprime nel suo sguardo e nel suo sorriso, rendendola bella in modo indicibile. Beatrice spiega al poeta con un linguaggio dotto ardui problemi teologici, ma lo fa salire attraverso i cieli con la forza del suo sorriso, cioè con la forza di un amore che è il riflesso di quello divino.

Dopo aver condotto Dante all'interno dell'anfiteatro occupato dai beati, Beatrice ritorna al suo seggio da dove appare al poeta cinta di un'aureola luminosa e il ruolo di guida viene assunto nel momento conclusivo del viaggio da San Bernardo, il quale per la sua vita dedita, già in Terra, alla contemplazione, appare singolarmente adatto a sostenere Dante nel momento in cui, con l'aiuto della preghiera di tutti i beati, e in particolare della Vergine, riuscirà ad entrare in diretta comunione con la viva presenza di Dio.

Modelli e fonti

Lingua

Uno dei problemi più ardui della filologia italiana è lo studio della lingua dei principali autori della nostra tradizione letteraria. Tale problema è connesso strettamente allo studio della tradizione manoscritta delle opere. Nel caso di Dante, la questione è molto più complessa e delicata in quanto nel poema dantesco si è tradizionalmente identificata l'origine stessa della lingua italiana. La definizione di "padre della lingua italiana", spesso utilizzata per Dante, non è solo una teoria della critica contemporanea; generazioni di lettori, a partire dai primi commentatori fino ai moderni esegeti, non hanno potuto fare a meno di confrontarsi, anche quando hanno anteposto alla Commedia altri modelli linguistici e letterari, con il poema sacro. Ad esempio, la teorizzazione del Bembo nelle Prose della volgar lingua, in quanto fondamentalmente normativa, tendeva a canonizzare un modello linguistico più vicino a Petrarca che a Dante. Ciononostante, nelle Prose, il poema è comunque il testo più importante cui fare riferimento, anche e soprattutto in prospettiva critica, per la sua ricchezza linguistica e lessicale.

Tuttavia, l'importanza irrinunciabile della Commedia è dimostrata dal peso attribuito al poema dantesco nella compilazione del primo Vocabolario degli Accademici della Crusca. Poiché il numero di citazioni della Commedia supera di gran lunga quello di qualsiasi altra opera e poiché è evidente che l'influenza di un vocabolario sullo sviluppo storico di una lingua è senz'altro superiore a quello di ciascuna singola opera, ne risulta dimostrata la centralità del poema per la coscienza linguistica e letteraria italiana.
La storia della tradizione manoscritta dimostra d'altronde quanto il processo di copia del poema abbia contribuito fin dalle origini alla formazione di un volgare letterario italiano. Tuttavia, l'esatta forma della lingua dantesca è ancora oggetto di studio e di dibattito, così come accade per le maggiori opere della letteratura antica. Solitamente, viene considerata una soluzione efficace basarsi sulla lingua del testimone più antico di un'opera.
Nel caso della Commedia, si tratta del manoscritto Trivulziano 1080.
Stile

Dante non si può scindere dalla tradizione poetica provenzale, come dalla poesia provenzale non si può separare lo Stil Novo di cui Dante fu insigne rappresentante. Stile e linguaggio danteschi derivano da modi caratteristici della letteratura latina medievale: giustapposizione sintattica (brevi elementi successivi) cesure, stacchi, uno stile che non conosce la fluidità e il modo mediato e legato dei moderni. Dante ama l'espressione concentrata, il rilievo visivo e rifugge dai legami logici, il suo linguaggio è essenziale.

A differenza di Petrarca che utilizzava un linguaggio semplice e puro, caratterizzato da un ristrettissimo numero di parole, secondo un criterio unilinguistico, Dante nella Commedia adotta una grande ampiezza di lessico e di registri stilistici, dal più basso e "comico" nel senso medioevale del termine, al più alto e "sublime". Si parla dunque di plurilinguismo dantesco.

Studi e fonti

Sull'istruzione di Dante la ricerca è tuttora aperta; quasi sicuramente non frequentò regolarmente un'istituzione di studi superiori, e tuttavia la sua opera dimostra perfetta conoscenza delle discipline delle Arti, insegnate come base comune a tutte le facoltà universitarie. È stata avanzata l'ipotesi di suoi contatti con un gruppo di filosofi averroisti bolognesi. Quasi sicuramente studiò la poesia toscana, nel momento in cui la Scuola poetica siciliana, un gruppo culturale originario della Sicilia, stava cominciando ad essere conosciuta in Toscana. I suoi interessi lo portarono a scoprire i menestrelli ed i poeti provenzali e la cultura latina. Scritta in toscano volgare.

Evidente è la sua devozione per Virgilio (Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, / tu se' solo colui da cu'io tolsi / lo bello stilo che m'ha fatto onore, Inferno v. 85 canto I)) anche se la Divina Commedia mette in gioco una complessa tradizione classica e cristiana esaltando la cultura del Nostro; volendo ricordare alcune fonti si può iniziare dal verso 32 dell'Inferno "Io non Enea, io non Paulo sono" in cui sono presentati i due testi chiave sui quali si basa la sua opera: l'Eneide, (in particolare il canto VI) e la seconda Lettera ai Corinzi di s.Paolo, là dove racconta del suo rapimento estatico.

Numerosi altri testi agiscono sulla fantasia di Dante, dal Commentario di Macrobio al Somnium Scipionis (su una parte del libro VI della Repubblica di Cicerone), in cui viene narrata la visione delle sfere celesti e la dimora delle grandi anime, all'Apocalisse di S. Giovanni, come la meno nota Apocalisse apocrifa di s. Paolo (condannata da S. Agostino, ma molto diffusa nel basso Medioevo) che contiene alcune descrizioni delle pene infernali e la prima generica definizione dell'esistenza del Purgatorio. Il tema della visione ebbe grande fortuna nel Medioevo, e molti di questi racconti d'esperienze mistiche erano note a Dante, come la Navigatio sancti Brendani, la Visio Tungdali e i Dialoghi di s.Gregorio Magno. Anche la coeva escatologia ebraica e musulmana sembra essere stata presente a Dante: in particolare, si pensa abbia potuto leggere le opere di Hillel da Verona, che trascorse gli ultimi anni della sua vita a Forlì, morendovi poco prima dell'arrivo di Dante in quella città. Per quanto riguarda elementi della cultura islamica che potevano essere presenti al mondo di Dante, sono stati molto rilevanti gli studi di Miguel Asín Palacios, di Enrico Cerulli, di Bruno Nardi e di Louis Massignon.

Molto spesso è Dante, presentando i vari autori nella sua opera, a lasciare una visione superficiale della sua biblioteca; ad esempio, nel cielo del Sole (canti X e XII) del Paradiso incontra due corone di spiriti sapienti, e tra questi mistici, teologi, canonisti, filosofi vi si ritrova Ugo di San Vittore, Graziano, Pietro Lombardo, Gioacchino da Fiore ecc.

Altre fonti più recenti e di più superficiale incidenza nella Divina vanno considerati i rozzi poemetti di Giacomino da Verona (De Ierusalem coelesti e De Babilonia civitate infernali) il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva, con la descrizione dei regni dell'Aldilà, e la Visione del monaco cassinese Alberico. Da ricordare anche il poemetto allegorico-didascalico Detto del Gatto lupesco (XII secolo), viaggio allegorico di un cavaliere-eroe che deve superare tre ostacoli, simbolo del male, per raggiungere la beatitudine eterna.

Sulla biblioteca classica di Dante ci si deve accontentare di deduzioni interne ai suoi testi, delle citazioni dirette e indirette che essi contengono; si può affermare che accanto al nome di Virgilio compaiono Ovidio, Stazio e Lucano, cui seguono i nomi di Tito Livio, Plinio, Frontino, Paolo Orosio, che già erano presenti, con l'aggiunta di Orazio e l'esclusione di Stazio, nella Vita Nuova (XXV, 9-10), così ci si accorge che questi erano i poeti più diffusi e più letti nelle scholae medievali lasciando aperta l'ipotesi di una loro frequentazione da parte di Dante.