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Generalità
Poema allegorico in endecasillabi concatenati in terza rima composto in volgare da Dante Alighieri. Comprende 100 canti (uno introduttivo e 33 per ognuna delle tre cantiche: Inferno, Purgatorio, Paradiso) e descrive poeticamente l'itinerario dell'uomo – soggetto concreto di attività morale – dalla presa di coscienza delle proprie tendenze erronee e potenzialità buone al possesso del Bene infinito.
La genesi e il pensiero
Alla genesi dell'opera concorsero le più vitali esperienze biografiche e spirituali dell'Alighieri, così che – nell'unità di un'invenzione artistica originalissima – essa è la "summa" delle riflessioni dantesche sull'amore e la conoscenza, sulla fede e la filosofia, sulla politica e l'etica. La meditazione interiore di Dante, iniziatasi a livello del puro sentimento con la Vita nuova, si volse ben presto a problemi etici e sociali, e, mentre l'uomo faceva le sue prove nelle cure della politica cittadina (cui seguì il bando), nello scrittore e nel poeta assunse le forme d'una riflessione filosofica e conoscitiva che – resa più viva e sofferta dall'esperienza dell'esilio – trovò prima espressione nel Convivio. Nel trattato filosofico non solo emergono concetti politici fondamentali (quali la necessità e romanità dell'impero), ma anche il senso e l'importanza di un'eticità che trascende l'impegno politico di parte e le considerazioni contingenti. La meditazione etica e politica nasce ora in Dante dalla considerazione della tragica situazione presente, dovuta al disinteresse degli imperatori e alla corruzione della curia romana. Priva della guida dell'imperatore (rimedio all'umana cupidigia) e del papa (detentore dell'insegnamento evangelico), l'intera umanità non può perseguire i due fini, naturale e soprannaturale, cui è provvidenzialmente ordinata: la felicità terrena, fondata sull'esercizio delle virtù morali e intellettuali; la beatitudine eterna, frutto delle virtù teologali, che in terra si pregusta nella vita della Grazia.
Mutuata dai classici la convinzione del valore conoscitivo e didattico della poesia, Dante (interrotti Convivio e De vulgari eloquentia) attua quindi l'idea di un'opera di più vasto respiro, poetica nella forma, che, in assenza delle guide provvidenziali, gli consenta di cercare per sé e indicare agli altri la "diritta via" per giungere rettamente ai due fini, ponendo sé e la propria vicenda narrativa come concreto exemplum di rappresentazione universalmente valida. Nasce così la Commedia, sulla scia dei grandi poemi allegorici della latinità medievale e insieme della medievale esegesi dell'Eneide e dell'Ecloga IV di Virgilio, nonché radicalmente ispirata alla tradizione del pensiero biblico e cristiano.
In essa l'Alighieri mostra i mali del presente e ne addita il rimedio nell'obbedienza ai provvidenziali disegni divini non meno che nell'attiva e razionale partecipazione dell'uomo alla loro realizzazione nel mondo delle cose e dello spirito: protagonista e insieme narratore della propria esperienza, mentre "agisce" singolarmente, Dante si pone su un piano più alto di insegnamento e di giudizio, descrivendo il colpevole rifiutarsi dello spirito a se stesso nell'Inferno, la possibilità del riscatto nel Purgatorio, la felicità suprema dell'appagamento spirituale nel Paradiso.
La lettera e l'allegoria
Argomento del poema è la narrazione letterale del viaggio oltremondano di Dante, che ha inizio il venerdì santo del 1300. Smarritosi in una selva e ostacolato nel tentativo di uscirne da tre fiere (una lonza, un leone, una lupa), il poeta è soccorso da Virgilio, inviato dal Cielo in suo aiuto. Ha inizio così la discesa nell'Inferno, baratro in forma di cono rovesciato che si sprofonda sotto la superficie dell'emisfero boreale fino al centro della Terra, suddiviso in nove cerchi. Vi sono racchiusi personaggi mitici e storici di ogni tempo, puniti in un crescendo di gravità secondo le disposizioni al male teorizzate nell'Etica aristotelica: incontinenza, matta bestialità, malizia. Gli incontinenti occupano i cerchi dal secondo al quinto: essi sono i lussuriosi (tra i quali Paolo e Francesca), i golosi, gli avari e prodighi, gli iracondi e accidiosi. La matta bestialità o violenza è punita nel settimo cerchio, distinto nei tre gironi dei violenti contro il prossimo, dei violenti contro se stessi (tra i quali è Pier delle Vigne) o contro le proprie cose, e dei violenti contro Dio, contro la natura (come Brunetto Latini) e contro l'arte. La malizia o frode è punita nell'ottavo cerchio o Malebolge, dove sono coloro che commisero frode ai danni di chi non si fidava, distribuiti in dieci bolge (seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari), e nel nono cerchio, dove sono i traditori, che frodarono coloro che si fidavano, divisi in quattro zone: Caina (traditori dei parenti), Antenora (traditori della patria, tra i quali è il Conte Ugolino), Tolomea (traditori degli ospiti) e Giudecca (traditori dei benefattori). Non rientrano in questa ripartizione, perché sono al di fuori dello schema aristotelico delle colpe, ma non possono essere ignorate dal poeta cristiano, le anime del Limbo, che non hanno conosciuto il vero Dio (I cerchio) e quelle degli eretici che a Dio si sono ribellati (VI cerchio), tra i quali è Farinata degli Uberti. Nel vestibolo sono confinati gli ignavi. Al fondo è confitto Lucifero, che tormenta in eterno i traditori della Divinità (Giuda) e dell'Impero (Bruto e Cassio).
Per un passaggio naturale i due poeti pervengono quindi alle sponde del Purgatorio (montagna altissima, circondata dal mare australe, posta agli antipodi di Gerusalemme) e ne salgono le sette balze. In esse le anime dei morti in grazia di Dio purificano, in ordine decrescente di gravità, le colpe connesse con i sette peccati capitali, secondo le tendenze erronee che l'amore naturale, in sé retto, può assumere nell'uomo: desiderio del male del prossimo, negligenza nell'amore verso Dio, eccessivo amore ai beni terreni. Il desiderio del male si purifica nelle tre cornici dei superbi (tra i quali il miniatore Oderisi da Gubbio), degli invidiosi (come la senese Sapia) e degli iracondi (come Marco Lombardo); della negligenza nell'amore verso Dio o accidia si fa espiazione nella quarta cornice; infine, dell'amore per eccesso dei beni terreni si fa ammenda nelle ultime tre cornici, degli avari e prodighi (tra i quali ultimi è Stazio), dei golosi (dei quali fa parte Forese Donati, amico di Dante) e dei lussuriosi (e, tra loro, Dante incontra Guido Guinizzelli). Prima del Purgatorio propriamente detto è l'Antipurgatorio, dove sono le anime dei negligenti che tardarono a pentirsi, distinti nelle quattro schiere dei morti scomunicati (tra i quali è Manfredi), dei pigri, dei morti violentemente (come Buonconte da Montefeltro), dei principi.
Sulla cima del Purgatorio è il Paradiso terrestre, sede naturale dell'uomo prima del peccato d'origine: ivi, a dieci anni dalla sua scomparsa, Dante ritrova Beatrice, anima beata. Ella presiede alla sua finale confessione e purificazione che, insieme alla contemplazione della processione mistica simboleggiante la storia dell'umanità e della Chiesa, prepara il pellegrino a salire al Paradiso celeste. La struttura di esso, dedotta dal sistema tolemaico, comprende nove cicli concentrici e ruotanti intorno alla terra. Essi sono contenuti dall'Empireo, sede immobile di Dio e dei beati, i quali tuttavia compaiono nei singoli cieli (cui Dante è innalzato da Beatrice) per render comprensibile il criterio di proporzionalità tra ricompensa eterna e grado di perfezione spirituale delle anime. Il primo cielo è quello della Luna, dove sono gli spiriti che mancarono ai voti: tra loro è Piccarda Donati. Seguono i cieli di Mercurio (spiriti attivi, tra i quali è Giustiniano), di Venere (spiriti amanti), del Sole (spiriti sapienti, tra i quali sono San Tommaso e San Bonaventura, che fanno l'elogio, rispettivamente, di San Francesco e di San Domenico), di Marte (spiriti militanti, tra i quali è Cacciaguida), di Giove (spiriti giusti, che formano la figura di un'aquila), di Saturno (spiriti contemplanti, tra i quali sono San Pier Damiani e San Benedetto), delle Stelle Fisse, del Primo Mobile. Contemplati, nell'Empireo, il consesso dei beati e degli angeli e la finale gloria di Beatrice, Dante gode infine per un istante la visione diretta di Dio nella sua essenza trinitaria.
Sul piano allegorico, l'itinerario di Dante, personaggio e viandante, corrisponde alla storia interiore e concreta della sua anima. Egli parte dalla presa di coscienza della propria negazione di essere spirituale, simboleggiato dalla selva e dalle tre fiere, figure delle passioni radicali dell'umana natura: lussuria, superbia, cupidigia. Il primo passo verso la salvezza è il recupero della razionalità, cui presta la sua voce Virgilio, poetico simbolo della vita dello spirito (di cui anche l'arte è espressione) e insieme della romanità, sentita come momento provvidenziale della storia umana. L'esperienza spirituale di Dante procede quindi con il formarsi, attraverso esempi storicamente concreti, di un giudizio morale e religioso sull'uomo, considerato nella sua vicenda terrena, ma giudicato in rapporto al proprio destino di anima immortale. In tal modo, nelle figure di incontinenti, di violenti, di fraudolenti, di traditori, il poeta viene tipologicamente conoscendo la sempre più colpevole e volontaria rinuncia dell'uomo al retto esercizio della volontà e razionalità. L'Inferno è infatti la rappresentazione per via di immagini del negarsi dello spirito a se stesso nel cosciente rifiuto delle proprie caratteristiche vitali, del suo farsi istinto, bestia, inerte materia; ma, nello stesso tempo, anche del progressivo riscatto del protagonista, attraverso un giudizio, per ora solo negativo, che diverrà costruttiva purificazione nel Purgatorio.
Ivi, attraverso la personale, faticosa ascesa e l'altrui espiazione contemplata e spiritualmente sofferta, Dante restaura in sé la perfezione di natura, frutto dell'attiva esplicazione delle quattro virtù cardinali, senza le quali non può dispiegarsi il concreto esercizio del libero arbitrio, caratteristica dell'uomo e fondamento del suo terreno operare nell'ambito di una società civilmente organizzata. L'esperienza dantesca del Purgatorio deve essere infatti ricondotta al concetto di socialità come amore e virtù in atto: pienezza e circolarità dello spirito che riconosce nell'arte e nella storia, oltre che nei fondamenti di una civile convivenza, gli elementi validi non solo allo sviluppo di un'individuale spiritualità, ma anche di un rapporto interumano all'insegna della comunicabilità.
Riconquistata la propria naturale perfezione (riconosciutagli, nel congedo, da Virgilio), a Dante si apre ora la vita della Grazia, cui lo introduce Beatrice, succedendo al "dolce pedagogo": il nucleo della Commedia, quanto all'invenzione, è forse proprio in quest'incontro, in cui la prima ispiratrice dell'uomo e poeta Dante, ora anima beata e sempre (come e più che nella Vita nuova) specchio del Divino, riprende il suo ruolo, riapparendogli al centro della "sacra rappresentazione" della storia dell'umanità e della Chiesa. Qui è anche il punto di sutura tra la ricerca personale del poeta e quella, universale, cui tende tutta la storia umana, dal peccato originale alla rivelazione al drammatico presente. La sovrannaturale, gioiosa conclusione di tale ricerca è la beatitudine celeste rappresentata nel Paradiso, poetica immagine di quel rinnovamento spirituale e civile che Dante sperimenta in sé e sogna per l'intera umanità, e insieme celebrazione dei due temi (legati ancora a Beatrice) dell'amore e della conoscenza. La coralità delle immagini e delle rappresentazioni, la luce dello sguardo dell'amata e degli spettacoli celesti sono l'espressione della caritas perfetta che anima la città di Dio e procede dalla diretta conoscenza di Lui e dalla gioiosa obbedienza alla Sua volontà. Essa si esprime nella pronta adesione ai desideri di Dante, nelle celebrazioni agiografiche, nel rimprovero al mondo sviato non meno che nell'insegnamento delle verità scientifiche, filosofiche, teologiche, e tocca il vertice da un lato nell'investitura morale che il poeta riceve da Cacciaguida, dall'altro nella finale visione di Dio che spiritualmente unisce il pellegrino ancora militante con i beati della Chiesa trionfante.
La poesia e lo stile
Nei suoi contenuti etici, speculativi, religiosi, la Commedia è anzitutto sicura glorificazione della poesia come altissima espressione dello spirito umano e come mezzo di conoscenza. Nelle tre cantiche non solo le varie componenti appaiono mirabilmente fuse nell'invenzione poetica, ma è anche riconquistata l'unità tra vita spirituale ed espressione artistica affermata al tempo della Vita nuova. Così i personaggi esemplari del poema non si pongono come astratte personificazioni, ma sono realtà concrete di una vita e di una cultura di volta in volta considerate, superate o esaltate alla luce di un giudicare tutto spirituale, in cui tuttavia il poeta conserva la capacità di tratteggiare con mano sicura le singole personalità e le loro riflessioni (vedi i contenuti di vita poetica e sentimentale, di dignità civile, culturale, umana negli episodi di Francesca, Farinata, Brunetto, Ulisse, nell'Inferno; vedi, nel Purgatorio, la poesia dei sentimenti e le meditazioni sull'arte, in particolare negli incontri con Bonagiunta, Guido Guinizzelli, Arnaut Daniel). Tale giudizio e varietà artistica di rappresentazione si dispiegano come celebrazione della personale convinzione religiosa e come poetica sintesi della spiritualità del poeta nel Paradiso, là dove i grandi temi della politica, della moralità, della scienza, della fede si ripropongono nelle alte narrazioni di Giustiniano e Cacciaguida, nelle "vite" dei santi e nei loro accorati o sdegnati appelli all'umanità, nella geometrica, intellettuale poesia delle immagini-simbolo.
Di tanto complessa creazione artistica è componente e fondamentale espressione lo stile, la cui caratteristica è il plurilinguismo, fondato sull'opzione per lo stile "mediano" o "comico", che consente al poeta di toccare tutti i registri dell'umana comunicabilità, dal tragico al realistico, dal lirico al grottesco, dal metaforico al didascalico. Superando e riassumendo tutte le passate esperienze di pensiero e d'arte dell'autore e del suo tempo, esso si avvale del recupero di arcaismi e latinismi, della coniazione di neologismi, dell'uso di francesismi e provenzalismi, di voci dialettali: consumata espressione di altissima tecnica e d'arte raffinata, sia che Dante affronti, entro la cupa atmosfera infernale, la rappresentazione poetica dello scontro tra carne e spirito (culminante nelle rime "aspre e chiocce"), sia che svolga quei temi sereni e vitali del Purgatorio (perdono e pentimento, amore e amicizia, carità fraterna e attesa di Dio) che, attraverso la sostenuta allegoria liturgica del Paradiso terrestre, conducono senza soluzione di continuità al linguaggio dell'ineffabile del Paradiso. In esso ispirazione lirica e solenne concettosità dottrinale, potenza fantastica e alta retorica, contenuti simbolici e capacità descrittive della parola sono esaltate e fuse in una poesia d'ineguagliata altezza.
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La Commedia o Divina Commedia è un poema di Dante Alighieri,
scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua
volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304 e il
1321, la Commedia è l'opera più celebre di Dante,
nonché una delle più importanti testimonianze della
civiltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo,
è ritenuta da alcuni il più grande capolavoro della
letteratura di tutti i tempi.
Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno,
Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti
(tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il
poeta narra di un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni che lo
condurrà fino alla visione della Trinità. La sua
rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano
è un culmine della visione medioevale del mondo sviluppatasi
nella Chiesa cattolica.
L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì
in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto
toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede
l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua
diffusione, e fino all'avvento della stampa, in un ampio numero di
manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del
commento al testo, dando vita a una tradizione di letture e di studi
danteschi mai interrotta; si parla così di secolare commento.
La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha
comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del
testo critico.
Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio
Petrocchi. Più di recente due diverse edizioni critiche sono
state curate da Antonio Lanza e Federico Sanguineti.
La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della
letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine
morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e
immediata delle cose), è profondamente innovativa,
poiché, come è stato rilevato in particolare negli
studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e
drammatica della realtà. È una delle letture obbligate
del sistema scolastico italiano.
Titolo
Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o
Comedìa, dal greco κωμωδία (komodìa, composto di
kòme, villaggio, e odé, canto; letteralmente canto del
villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la
sua opera [Inferno XVI, 128] (Inferno XXI, 2). In seguito il titolo
di "divina" le venne dato da Boccaccio. Nell'Epistola (la cui
paternità dantesca non è del tutto certa) indirizzata
a Cangrande della Scala, Dante ribadisce il titolo latino
dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione,
non moribus.[7] In essa vengono addotti due motivi per spiegare il
titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome
di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un
inizio difficoltoso per il protagonista, si conclude con un lieto
fine, e uno stilistico. Infatti lo stile nonostante sia sublime,
tratta anche tematiche turpi tipiche di uno stile umile, secondo
l'ottica cristiana di accogliere anche gli aspetti più bassi
del reale, pur di raggiungere il cuore di tutta l'umanità.
Nel poema, infatti, si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla
"selva oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla
redenzione finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo
luogo, i versi sono scritti in volgare e non in latino che, sebbene
esistesse già una ricca tradizione letteraria in lingua del
sì, continuava ad essere considerata la lingua per eccellenza
della cultura.
L'aggettivo divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio
nel Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il
periodo in cui si pensa sia stato cominciato il poema. La dizione
Divina Commedia, però, divenne comune solo da metà del
Cinquecento in poi, quando Ludovico Dolce, nella sua edizione
veneziana del 1555, riprese il titolo boccacciano.
Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due
volte all'interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce
"poema sacro". Dante non rinnega il titolo Commedia, anche
perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i singoli
canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la
possibilità di revisionare ciò che già era
stato reso pubblico. Il termine "Commedia" dovette sembrare
riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui
lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiati rispetto
ai canti che compongono l'Inferno; infatti nell'ultimo canto, il
sostantivo Commedia viene sostituito da poema sacro. Il discorso
sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa all'interno della
sua opera, contraddicendo se stesso ma anche le sue fonti, è
molto più vasto ed esteso.
Argomento
«Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!
Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del bene ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12»
Il racconto dell'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con
un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intero poema), nel
quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo
smarrimento spirituale; si ritrae, infatti, "in una selva oscura",
allegoria del peccato, nella quale era giunto poiché aveva
smarrito la "retta via", quella della virtù (si ritiene che
Dante si senta colpevole, più degli altri, del peccato di
lussuria, che infatti, contrariamente alla tipica visione cattolica,
nell'Inferno e nel Purgatorio è posto sempre come il meno
grave tra i peccati puniti). Tentando di trovarne l'uscita, il poeta
scorge un colle illuminato dalla luce del sole; tentando di salirvi
per avere più ampia visuale, però, viene ostacolato da
tre belve: una lonza (lince), allegoria della lussuria, un leone,
simbolo della superbia, e una lupa, che rappresenta
l'avidità, i tre vizi che stanno alla base di ogni male.
Tanta è la paura che il trio incute, che Dante cade
all'indietro, lungo il pendio.
Risollevandosi, scorge l'anima del grande poeta Virgilio, a cui
chiede aiuto. Virgilio rivela che per arrivare alla cima del colle
ed evitare le tre bestie feroci, bisognerà intraprendere una
strada diversa, più lunga e penosa, attraverso il bene e il
male, profetizza che il trio sarà fatto morire da un alquanto
misterioso Veltro[8], si presenta come l'inviato di Beatrice, la
donna amata da Dante (morta a soli ventiquattro anni), la quale
aveva interceduto presso Dio affinché il poeta fosse redento
dai peccati; Virgilio e Beatrice sono in realtà due allegorie
rispettivamente della ragione e della teologia: il primo in quanto
considerato il poeta più sapiente della classicità, la
seconda in quanto scala al fattore, secondo la visione elaborata da
Dante nella Vita Nuova.
Dalla collina di Gerusalemme su cui si trova la selva, Virgilio
condurrà Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio
perché attraverso questo viaggio la sua anima possa
risollevarsi dal male in cui era caduta. Poi Beatrice
prenderà il posto di Virgilio, sarà lei la guida di
Dante nel Paradiso. Virgilio, nel racconto allegorico, rappresenta
la ragione, ma la ragione non basta per giungere fino a Dio;
è necessaria la fede, e Beatrice rappresenta questa
virtù. Virgilio inoltre, non ha conosciuto Cristo, non
è battezzato e perciò non gli è consentito di
avvicinarsi al seggio dell'Onnipotente.
Inferno
Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto
III (nel precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a
Virgilio riguardo al viaggio che stanno per compiere). Dante e
Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti
alla grande porta su cui sono impressi i versi celeberrimi che
aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne
speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in
Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano
perché ormai bisogna andare avanti. In questo luogo senza
tempo e senza luce, l'Antinferno, stazionano per sempre gli ignavi,
ossia quelli che in vita non vollero prendere posizioni, ed ora sono
ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo (Inferno)
perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel
secondo sarebbero un motivo di possibile vanto. La loro punizione
consiste nel correre nudi dietro ad una bandiera senza stemma ed
essere perennemente punti da vespe e da mosconi; poco più in
là sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale),
stanno provvisoriamente le anime che devono raggiungere l'altra
riva, in attesa che Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga
nella sua barca e le traghetti di là.
Giovanni Stradano (1523-1605): Inferno, Mappa
L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli
numerati, sempre più stretti che si succedono in sequenza e
formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più
stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed
è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue enormi
ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena.
In questo Inferno, ad ogni peccato, corrisponde un cerchio, ed ogni
cerchio successivo è più profondo del precedente e
più vicino a Lucifero; più grave è il peccato,
maggiore sarà il numero del cerchio.
Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo.
Qui stanno le anime dei puri che non ricevettero il battesimo e che
però vissero nel bene; vi si trovano anche - in un luogo a
parte dominato da un "nobile castello" - gli antichi "spiriti magni"
che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio
stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro
entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il
secondo guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica
in quale cerchio infernale ogni anima dovrà scontare la sua
pena. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove
sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime di Semiramide, Cleopatra
ed Elena di Troia. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e
Francesca[9] che raccontano la loro storia e passione amorosa. Ai
lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo cerchio, i
golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una
pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo
guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da
Plutone, stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere
destinate a scontrarsi per l'eternità mentre fanno rotolare
massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.
Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige,
nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e
qui i protagonisti hanno un alterco con Filippo Argenti; i due Poeti
vengono traghettati sulla riva opposta dalla barca di
Flegiàs, quinto guardiano infernale. Lì, sull'altra
sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i
peccatori consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa
della città, i due sono bloccati dai demoni e dalle Erinni;
entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo Michele, e
vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta
fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si
trovano all'interno di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici
incontrano il ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più
famosi personaggi dell'Inferno dantesco. Assieme a lui è
presente Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido.
Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il
settimo cerchio lungo uno scosceso burrone (l'alta ripa), alla fine
del quale si trova il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume
di sangue bollente presidiato dai Centauri. Questo fiume costituisce
il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio. Vi
sono puniti i violenti contro il prossimo; tra essi il Minotauro,
ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. Oltre il fiume, sull'altra
sponda è il secondo girone, (che Dante e Virgilio raggiungono
grazie all'aiuto del centauro Nesso); qui stanno i violenti contro
sé stessi, i suicidi trasformati in arbusti secchi, feriti e
straziati per l'eternità dalle Arpie; tra loro troviamo Pier
delle Vigne); nel secondo girone stanno anche gli scialacquatori,
inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è
una landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio nella Parola,
nella Natura e nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i
sodomiti (tra cui Brunetto Latini) e gli usurai. A quest'ultimo
girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto
XVII.
Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio, scendono per un burrato
(burrone) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto umano,
zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così
raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i
traditori in chi non si fida. L'ottavo cerchio è diviso in
dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I
cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il
basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge
sono puniti, nell'ordine, ruffiani e seduttori, adulatori,
simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri
fraudolenti - tra cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia
(Maometto) e i falsari.
Ulisse racconta ai due viandanti il suo ultimo viaggio; qui si vede
che Dante non era a conoscenza della predizione di Tiresia sulla
morte di Ulisse e perciò ne inventa la fine in un gorgo
marino al di là delle Colonne d'Ercole, simbolo per Dante
della ragione e dei limiti del mondo. Tra i falsari, nella decima
bolgia, troviamo il "folletto" Gianni Schicchi; infine i due
accedono al IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori in
chi si fida.
Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque
gelate della ghiaccia di Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina
(dal nome di Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i
traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore,
il Troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno
i peccatori come lui, traditori della patria; nella terza, Tolomea
(dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare fece uccidere
il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine
nella quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che
tradì Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori.
Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolino della Gherardesca che
narra della sua segregazione nella Torre della Muda con i figli e la
loro morte per fame, segregazione e morte volute dall'Arcivescovo
Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come
un demone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del
suo aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi traditori:
Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota;
la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche di
Lucifero, che qui ha la sua dimora. Giuda si trova nella bocca
centrale, a suggello della maggiore gravità del proprio
tradimento.
Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono
una grotta e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede
più la schiena di Lucifero e Virgilio gli spiega che ora si
trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi la natural
burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del
Purgatorio, alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le
stelle".
Purgatorio
Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio
si ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva
interamente ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la
montagna del Purgatorio, creata con la terra che servì a
scavare il baratro dell'Inferno, quando Lucifero fu buttato fuori
dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio. Usciti dal cunicolo, i due
giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che
svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo cominciare a
salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da scalare,
tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il
varco più vicino; sono questi la prima schiera dei
negligenti, i morti scomunicati, che hanno dimora
nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti
dell'antipurgatorio Dante incontra Manfredi di Svevia. Assieme a
coloro che tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza
e ai principi negligenti, infatti, essi attendono il tempo di
purificazione necessario a permettere loro di accedere al Purgatorio
vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano i
principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede
indicazioni ad un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano
della valletta, il concittadino di Virgilio Sordello, che
sarà la guida dei due fino alla porta del Purgatorio.
Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita,
i due varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da
un angelo recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere
vita propria, e preceduto da tre gradini, il primo di marmo bianco,
il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso.
L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul
gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro
la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che aveva
ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo
regno.
Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime
scontano i loro peccati per purificarsi prima di accedere al
Paradiso. Al contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano
maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna,
nella I cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle colpe
più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso
terrestre, i peccatori più lievi. Le anime non vengono punite
in eterno, e per una sola colpa, come nel primo regno, ma scontano
una pena pari ai peccati commessi durante la vita.
Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella
seconda gli invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli
accidiosi, nella quinta gli avari e i prodighi. In questa cornice ai
due viaggiatori si unisce l'anima di Stazio dopo un terremoto e un
canto Gloria in excelsis Deo (Dante riteneva Stazio convertito al
cristianesimo); questi si era macchiato in vita di eccessiva
prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo
cinquecento anni di espiazione in quella cornice aveva sentito il
desiderio di assurgere al Paradiso, si offre di accompagnare i due
fino alla sommità del monte, attraverso le cornici sesta,
dove espiano le loro colpe i golosi che appaiono magrissimi, e
settima, dove stanno i lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante
ritiene che Stazio si sia convertito grazie a Virgilio e alle sue
opere, che hanno aperto gli occhi al poeta latino: egli, infatti,
grazie all'Eneide e alle Bucoliche ha capito l'importanza della fede
cristiana e l'errore del vizio della prodigalità: come un
lampadoforo, Virgilio ha fatto luce a Stazio rimanendo però
al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un profeta
inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in
tempo solo ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è
costretto a soggiornare per l'eternità nel Limbo. Ascesi alla
settima cornice, i tre devono attraversare un muro di fuoco, oltre
il quale si diparte una scala, che dà accesso al Paradiso
terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti
qui, il luogo dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del
peccato, Virgilio e Dante si devono congedare, poiche il poeta
latino non è degno di guidare il toscano fin nel Paradiso, e
sarà Beatrice a farlo.
Quindi Dante si imbatte in Matelda, la personificazione della
felicità perfetta, precedente al peccato originale, che gli
mostra i due fiumi Letè, che fa dimenticare i peccati, ed
Eunoè, che restituisce la memoria del bene compiuto, e si
offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco
dopo. Beatrice rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi
vedere senza il velo: Dante durante i rimproveri cerca di scorgere
il suo vecchio maestro Virgilio che ormai non c'è più.
Dopo aver bevuto le acque del Letè e poi dell'Eunoè,
infine, Dante segue Beatrice verso il terzo ed ultimo regno: il
Paradiso.
Paradiso
Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al
Paradiso e, accanto a Beatrice, vi accede volando ad altissima
velocità. Egli sente tutta la difficoltà di raccontare
questo trasumanare, andare cioè al di là delle proprie
condizioni terrene, ma confida nell'aiuto dello Spirito Santo (il
buon Apollo) e nel fatto che il suo sforzo descrittivo sarà
continuato da altri nel tempo (Poca favilla gran fiamma seconda...
canto I, 34).
Philipp Veit (1793-1887): San Bernardo di Chiaravalle
Il Paradiso è composto da nove cerchi concentrici, al cui
centro sta la Terra; in ognuno di questi cieli, dove risiede un
pianeta diverso, stanno i beati, più vicini a Dio a seconda
del loro grado di beatitudine. Ma le anime del Paradiso non stanno
meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di
quella che ha, poiché la carità non permette di
desiderare altro se non quello che si ha; Dio, al momento della
nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una
certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa
che essi godono diversi livelli di beatitudine. Prima di raggiungere
il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco.
Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai
voti fatti (Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono
coloro che in Terra fecero del bene per ottenere gloria e fama, non
indirizzandosi al bene divino (Arcangeli); nel terzo cielo, quello
di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti (Principati); nel
quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà);
nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti
per la fede (Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli
spiriti governanti giusti (Dominazioni)
Dante e Beatrice rivolti verso l'Empireo (Gustave Doré)
Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli
"spiriti contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più,
come invece aveva fatto finora; il suo sorriso, infatti, da qui in
poi, a causa della vicinanza a Dio, sarebbe per Dante insopportabile
alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In questo cielo risiedono
gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza Dante fino al
cielo delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i
beati, ma nel quale si trovano le anime trionfanti, che cantano le
lodi di Cristo e della Vergine Maria, che qui Dante riesce a vedere;
da questo cielo, inoltre, il poeta osserva il mondo sotto di
sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e
misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini). Prima di
proseguire Dante deve sostenere una sorta di "esame" in Fede,
Speranza, Carità, da parte di tre professori particolari: San
Pietro, San Giacomo e San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo
al pianeta, Dante e Beatrice assurgono al nono cielo, il Primo
Mobile o Cristallino, il cielo più esterno, origine del
movimento e del tempo universale (Serafini).
In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto
luminosissimo, contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti
attorno ad esso; il punto, spiega Beatrice, è Dio, e attorno
a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità di
virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo,
dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di
anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine
Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i
più grandi santi e le più importanti figure delle
Sacre Scritture, come Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e
inoltre Eva, Rachele, Sara e Rebecca
Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie
all'intercessione di Maria alla quale San Bernardo (guida di Dante
per l'ultima parte del viaggio) aveva chiesto aiuto perché
Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino,
penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo
così la perfetta unione di tutte le realtà, la
spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto più
centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre
persone della Trinità, il secondo del quale ha immagine
umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di
Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero
il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis[10] la sua
anima è presa da un'illuminazione e si placa, realizzata
dall'armonia che gli dona la visione di Dio, dell'amor che move il
sole e l'altre stelle.
Data di composizione
Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante scrisse ciascuna
delle cantiche della Commedia e gli studiosi hanno formulato ipotesi
anche contrastanti in base a prove e indizi talvolta discordanti. In
linea di massima la critica odierna colloca:
L'inizio della stesura dell'Inferno nel biennio
1304-1305 oppure in quello 1306-1307, in ogni caso dopo l'esilio
(1302). Salvo l'eccezione del riferimento al papato di Clemente V
(1305-1314), spesso indicato come un possibile ritocco
post-conclusione, non vi si trovano accenni a fatti successi dopo il
1309. Al 1317 risale la prima menzione in un documento (un registro
di atti bolognese, con una terzina dell'Inferno copiata sulla
copertina), mentre i manoscritti più antichi che ci sono
pervenuti risalgono al 1330 circa, una decina di anni dopo la morte
di Dante.
La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si
accavallò con l'ultima parte dell'Inferno e in ogni caso non
contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il 1313. Tracce della sua
diffusione si riscontrano già nel 1315-1316.
Il Paradiso viene collocato tra il 1316 e il
1321, data della morte del poeta.
Non ci è pervenuta nessuna firma autografa di Dante, ma sono
conservati tre manoscritti della Commedia copiati integralmente da
Giovanni Boccaccio, il quale non si servì di una fonte
originaria, ma di manoscritti a loro volta copiati. Si deve anche
immaginare che Dante si spostò molto in vita per via
dell'esilio, quindi non potendo portarsi dietro molte carte è
probabile che i manoscritti originali si disperdessero sin dalle
prime diffusioni.
Struttura
La Divina Commedia è composta da tre cantiche che comprendono
un totale di cento canti: la prima cantica (Inferno) è di 34
canti (33 hanno argomento l'Inferno; uno, il primo, è proemio
all'opera intera), le altre due cantiche, Purgatorio e Paradiso,
sono di 33 canti ciascuna. Il primo canto dell'Inferno viene
considerato un prologo a tutta l'opera: in questo modo si ha un
canto iniziale più 33 canti per ciascuna cantica, con un
chiaro riferimento numerico alla Trinità.
Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate di versi
endecasillabi. La lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115
versi ad un massimo di 160; l'intera opera conta complessivamente
14.233 versi. La Divina Commedia è dunque superiore in
lunghezza sia all'Eneide virgiliana (9.896 esametri), sia
all'Odissea omerica (12.100 esametri), ma più breve
dell'Iliade omerica (15.683 esametri). In ogni caso, se altre opere,
anche molto più lunghe, sono state composte dalla tradizione
e dai vari poeti che nel tempo le hanno ampliate ed arricchite, la
Divina Commedia è un'opera straordinaria perché frutto
dell'intelletto di un solo uomo, autore di tutti e 14.233 versi.
La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia
cristiana medievale, arricchita da una straordinaria
creatività immaginativa.
Struttura cosmologica
La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la
rappresentazione cosmologica dell'immaginario medievale. Il viaggio
all'Inferno e nel monte del Purgatorio rappresentano infatti
l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera,
dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre
il Paradiso è una rappresentazione simbolico-visuale del
cosmo tolemaico.
L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una
cavità di forma conica interna alla Terra, allora concepita
come divisa in due emisferi, uno di terre e l'altro di acque. La
caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre inorridite al
contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere,
cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale
aveva il suo ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al
centro della semisfera occupata dalle terre emerse, ovvero dal
continente euroasiatico. Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al
centro della semisfera acquea, si ergeva l'isola montagnosa del
Purgatorio, composta appunto dalle terre fuoriuscite dal cuore del
mondo all'epoca della ribellione degli angeli. In cima al
Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto
biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo. Come si
vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra
sferica, ma le sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico,
privo di simmetria sferica. Alla sfericità della Terra,
infatti, non corrisponde una simmetria generale nella distribuzione
delle terre emerse e della presenza umana; le direzioni passanti per
il centro della Terra non sono equivalenti: quella che passa per
Gerusalemme e per la montagna del Purgatorio ha un ruolo
privilegiato, il che richiama le concezioni della Grecia arcaica, ad
esempio di Anassimandro.
Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione
cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti di Tolomeo, e
risistemata dai teologici cristiani secondo le esigenze della nuova
religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima di Beatrice,
Dante attraversa dunque i nove cieli del cosmo
astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende il Pleroma
infinito (Empireo) in cui ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto
contatto con la visione di Dio. Ai nove cieli corrispondono
nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento circolare
intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento
rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto -
questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta
dalla Metafisica di Aristotele.
La struttura cosmologica della Commedia è strettamente
connessa alla struttura dottrinale del poema, per cui la
collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine delle anime
(ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi
intendimenti di ordine morale e teologico.
In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti
luoghi: