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Filosofo italiano del diritto (Bologna 1878-Genova 1970). Neokantiano, partendo dall'affermazione che l'idea della giustizia si pone come principio etico supremo, condizione di universalità e di oggettività della legge, definisce quest'ultima un rapporto oggettivo di azioni possibili tra soggetti la cui validità è garantita proprio dal riferimento al principio della giustizia. Le Lezioni di Filosofia del Diritto (1930) e La Giustizia (1922-23) sviluppano questa impostazione teoricamente e storicamente, come superamento del positivismo. Del Vecchio fu fondatore e direttore della Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto.
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DBI
    
    di Vittorio Frosini
    
    Nacque il 26 ag. 1878 a Bologna da Giulio Salvatore, professore di
    statistica nell'università, e da Ida Cavalieri. Trasferitosi
    il padre all'università di Genova, il D. vi compì i
    suoi studi e si laureò in giurisprudenza col massimo dei voti
    e la lode. Nel 1902 apparvero le sue prime pubblicazioni: un
    articolo sulla rivista IlConvito di Genova, un altro sulla Rivista
    ligure di scienze lettere ed arti, e i due primi saggi scientifici,
    dedicati l'uno a L'evoluzione della ospitalità (sulla Rivista
    italiana di sociologia) e l'altro, intitolato Ilsentimento
    giuridico, sulla Rivista italiana per le scienze giuridiche,
    l'autorevole rivista che usciva a Torino.
    
    Questi due saggi mostrano già una notevole maturità di
    ingegno e l'impegno dello studioso: il primo di essi ebbe, anche a
    distanza di molti anni, diverse traduzioni in lingue straniere; il
    secondo contiene in nuce uno dei motivi costanti e caratteristici
    del pensiero del D., destinato ad avere larghi sviluppi in seguito,
    giacché tratta del sentimento della giustizia.
    
    Nel 1903 il D. iniziò il suo insegnamento universitario di
    filosofia del diritto, che avrebbe proseguito per cinquant'anni,
    nell'università di Ferrara, e pubblicò a Genova il suo
    primo libro, Le dichiarazioni dei diritti dell'uomo e del cittadino
    nella rivoluzione francese, in cui si rifletteva il suo interesse
    politico alimentato dalla frequentazione con gli ambienti
    repubblicani genovesi.
    
    Intanto il D. aveva iniziato anche i suoi viaggi e i contatti
    personali con studiosi stranieri, attività che egli
    proseguì con molta cura per tutta la vita, agevolando
    così la conoscenza delle sue opere all'estero e lo scambio di
    esperienze e iniziative culturali. Frequentò
    l'università di Berlino, dove conobbe alcuni dei più
    famosi filosofi del diritto, come G. Lasson e J. Kohler, e dove
    perfezionò la conoscenza della lingua tedesca. Nel 1906 si
    trasferì all'università di Sassari e nel 1909 a quella
    di Messina, dove conseguì l'ordinariato; chiamato nel 1910
    all'università di Bologna, passò nel I 920 a quella di
    Roma.
    
    Furono quelli gli anni suoi particolarmente fecondi di opere: nel
    1905 apparve a Bologna il volume Ipresupposti filosofici della
    nozione del diritto, che divenne il primo della sua fondamentale
    trilogia, giacché ad esso seguirono nel 1906, sempre a
    Bologna, Il concetto del diritto, e nel 1908, a Torino, Ilconcetto
    della natura e il principio del diritto. Tutte e tre le opere
    vennero poi raccolte insieme sotto il titolo di Presupposti,
    concetto e principio del diritto (Trilogia) (Milano 1959), ma
    già nel 1914 erano apparse riunite in un solo volume,
    intitolato The formal bases of law, presso la Boston Book Company;
    la fama del D. aveva dunque raggiunto una larga espansione,
    confermata dalla ristampa dell'opera nel 1921 a New York e dalla sua
    inclusione nella prestigiosa "The modern legal philosophy series".
    
    Il pensiero filosofico-giuridico del D. trovò nella ricordata
    trilogia la sua compiuta espressione. Appare emblematica la formula
    definitoria del concetto del diritto da lui allora proposta e
    mantenuta negli scritti successivi, che suona così: "Il
    diritto è la coordinazione obiettiva delle azioni possibili
    tra più soggetti, secondo un principio etico che le
    determina, escludendone l'impedimento". Formula questa di evidente
    derivazione da quella enunciata da Kant: "il diritto è
    l'insieme delle condizioni, per le quali l'arbitrio di ognuno
    può accordarsi con l'arbitrio degli altri secondo una legge
    universale di libertà". A differenza di Kant il D. poneva
    tuttavia una distinzione fra il concetto del diritto (inteso come
    pura forma logica) e l'idea di diritto (intesa come forma
    deontologica), che considerava come un criterio di valutazione del
    diritto positivo.
    
    La personalità filosofica del D. fu comunque annoverata fra
    quelle degli appartenenti alla corrente neokantiana del principio
    del secolo, che fioriva allora in Germania, e lo stesso. D.
    rivendicò spesso, del resto, la sua sostanziale
    fedeltà alla originaria ispirazione kantiana del suo
    pensiero. Per questa comunanza di interessi mentali con la
    tradizione filosofica dell'idealismo tedesco, il D., che si era
    affermato subito come un risoluto critico del positivismo filosofico
    e giuridico, poté essere anche considerato come un
    neoidealista, ed a tale titolo si deve l'accoglienza di un suo
    articolo sulla rivista La Critica di B. Croce nel 1911, intitolato
    La comunicabilità del diritto e le idee del Vico:documento
    questo della stima di cui era circondato il D., giacché la
    rivista crociana era poco aperta alla collaborazione esterna alla
    cerchia dei seguaci del Croce, dal quale vennero in seguito
    osservazioni critiche corrosive sul conto dell'opera del Del
    Vecchio.
    
    Accanto alla produzione scientifica di filosofia del diritto, il D.
    venne svolgendo (come si è già visto con l'esempio del
    suo lavoro sulla "dichiarazione dei diritti") una rilevante
    attività di studioso di filosofia politica, alla quale
    associò, dopo la guerra di Libia, anche quella di scrittore
    di attualità politica, orientandosi verso l'ideologia
    nazionalista.
    
    Nel 1912 Uscì, sul Giornale d'Italia, un suo articolo
    apologetico della guerra libica, intitolato La bontà della
    guerra;il 3sett. 1913, su L'Idea nazionale (organo di stampa del
    movimento nazionalista) un articolo Sulla massoneria;e nel 1915
    apparve l'opuscolo Le ragioni morali della nostra guerra, pubblicato
    a cura dell'Associazione nazionale tra i professori universitari di
    Firenze, che venne ristampato e distribuito agli ufficiali
    combattenti per disposizione del Comando supremo.
    
    Arruolatosi volontario nel 1915, nominato sottotenente di
    artiglieria, rifiutò di passare nel corpo della giustizia
    militare (come avrebbe avuto diritto per la sua posizione
    universitaria) e si recò al fronte, dove ottenne due
    promozioni e la medaglia di bronzo al valor militare (per due volte
    era stato proposto per la medaglia d'argento). Avendo contratto la
    tubercolosi in servizio, nel 1917 venne ricoverato nell'ospedale
    militare di Venezia.
    
    Nell'agosto del 1921, trovandosi a Bologna per le vacanze estive, si
    iscrisse al locale fascio di combattimento; fu perciò il
    primo, e per qualche tempo il solo, professore
    dell'università di Roma con tessera fascista, a cui si
    aggiunsero il brevetto della marcia su Roma e il titolo di "i
    antemarcia". Ricoprì successivamente l'incarico di segretario
    del Sindacato fascista dei professori universitari di Roma e le
    cariche di membro del direttorio del fascio romano e dei direttorio
    federale di Roma. Entrato a far parte della milizia fascista (MVSN),
    raggiunse rapidamente il grado di console. Queste benemerenze
    acquisite nel regime favorirono la sua nomina, per volontà
    dello stesso Mussolini, a rettore dell'università di Roma nel
    novembre 1925.
    
    Al compito di organizzazione dell'università romana il D.
    dedicò una energica operosità per due anni, e ne
    fornì il resoconto nel volume su L'università di Roma,
    da lui stesso curato (Roma 1927) l'ultimO anno del suo rettorato.
    Fra i suoi meriti nella gestione rettoriale vanno ricordati
    l'avviamento alla soluzione integrale del problema edilizio,
    l'istituzione di una mensa per gli studenti, il restauro delle
    finanze con il riordinamento della contabilità arretrata: al
    compiersi del biennio egli chiuse la sua gestione amministrativa con
    un avanzo di oltre un milione di lire.
    
    Gli anni Venti avevano. segnato uno svolgimento e un approfondimento
    del suo pensiero, per cui alla riflessione sui temi di logica
    filosofica, che avevano caratterizzato la Trilogia, seguì
    quella sui temi di etica e di politica, segnata dall'apparizione del
    suo saggio su La giustizia.
    
    Esso fu, in origine, il testo del discorso tenuto il 19 nov. 1922
    (quasi negli stessi giorni, dunque, dell'avvento del fascismo al
    potere) per l'inaugurazione dell'anno accademico
    nell'università di Roma, e venne perciò pubblicato
    nell'Annuario dell'università per l'anno accademico 1922-23.
    Arricchito di note d'una larga e precisa erudizione filosofica, fu
    ripubblicato sulla Rivista internazionale di filosofia del diritto e
    poi in un volumetto nel 1924 a Bologna, con l'aggiunta di altri
    scritti, fu ristampato nel 1946 e poi di nuovo nel 1959 in un volume
    edito dalla casa editrice cattolica Studium di Roma. Questa vicenda
    editoriale si può considerare come rappresentativa di quello
    che sarà il percorso spirituale del D., e che farà
    accogliere il suo lavoro del 1922 dalla cultura cattolica, nel 1946,
    come un contributo di riconosciuta ortodossia.
    
    L'opera conobbe, nel corso degli anni che vanno dalla sua
    apparizione alla edizione conclusiva, una straordinaria fortuna
    all'estero, essendo stata tradotta in nove lingue e pubblicata in
    undici paesi stranieri, compresi quelli dell'America latina. Questo
    successo è una conferma del carattere aperto, anzi
    universale, dell'indagine condotta dal D. sull'argomento, nella
    quale egli sostenne che una concezione formale della giustizia
    coincide con la giuridicità, ma che la coscienza giuridica
    avverte una esigenza più alta ed assoluta della giustizia
    come valore assoluto della persona umana.
    
    R interessante qui rilevare come il D. riconoscesse a fondamento del
    principio di giustizia "il riconoscimento eguale e perfetto, secondo
    la pura ragione, della qualità di persona, in sé come
    in tutti gli altri, e per tutte le possibili interferenze tra
    più soggetti", e insieme affermasse che la stessa nozione di
    giustizia comporta "un originario diritto alla solitudine" (ed.
    1959, p. 125), così anticipando il tema del diritto alla
    riservatezza o right to privacy, da lui trattato anche in un
    apposito saggio del 1957, Diritto, società e solitudine,
    apparsosulla rivista Filosofia.
    
    In quegli stessi anni, che segnano la sua intensa attività
    accademica nell'università di Roma, il D. svolse una
    rilevante operosità didattica e organizzativa anche in un
    più vasto campo culturale, riuscendo a fare della sua
    cattedra romana un punto di riferimento per gli studiosi di
    filosofia del diritto d'ogni paese. Dell'anno 1920-21, in cui
    iniziò il suo insegnamento, sono le Lezioni di filosofia del
    diritto, prima apparse sotto forma di dispense litografate, poi in
    forma di volume a stampa nel 1930, sotto la qual forma raggiunsero
    la tredicesima edizione nel 1965 (Milano).
    
    L'opera venne tradotta in nove lingue (fra cui la giapponese nel
    1941) e nella sua edizione spagnola raggiunse l'ottava edizione nel
    1964, sicché essa fu veicolo di cultura italiana su un piano
    che può ben dirsi mondiale.
    
    Nel 1921 il D. assunse la direzione dell'Archivio giuridico, che
    fece risorgere a nuova vita dopo una interruzione decennale, e nello
    stesso anno fondò la Rivista internazionale di filosofiadel
    diritto, alla quale assicurò larga diffusione in Italia e
    all'estero, con una costante libertà di interessi mentali,
    che caratterizzò la collaborazione; essa divenne dunque
    davvero "internazionale" nella diffusione e nei contenuti.
    
    Lo stesso atteggiamento di liberalità egli mantenne sempre
    nei confronti degli allievi, fra i quali fecero spicco alcuni come
    Guido Gonella e Giuseppe Capograssi, entrambi dotati di forte
    personalità e di risolute convinzioni politiche di
    ispirazione antifascista, ed entrambi cattolici osservanti.
    
    Nella sua casa romana il D. intanto raccoglieva, grazie anche ai
    proventi della sua professione legale, una ricchissima biblioteca
    specializzata di filosofia del diritto, che per sua destinazione
    divenne patrimonio dell'Istituto di filosofia del diritto da lui
    fondato nel 1933.
    
    Nel 1936 fondò la Società italiana di filosofia del
    diritto (la cui designazione venne in seguito mutata in quella "di
    filosofia giuridica e politica"), della quale fu il presidente fino
    alle dimissioni forzate del 1938 e che tornò a presiedere al
    suo ritorno nell'università, organizzandone i congressi
    nazionali tenuti a partire dal 1953, e continuando così, dopo
    la cessazione dell'insegnamento, ad esercitare un suo magistero di
    notevole influenza sui giovani studiosi della disciplina. Ripresa
    anche la direzione della rivista, vi continuò a collaborare
    egli stesso fino al 1967.
    
    Nel periodo, che va dal 1920 al 1938, il D. venne anche accentuando
    il suo interesse per i problemi di etica e di filosofia politica.
    Sul terreno della filosofia sociale, sostenne che "lo Stato, nella
    sua più alta e perfetta espressione, non può essere
    altro che la sintesi armonica dei diritti della persona", e che esso
    anzi è una persona umana in grande (secondo l'originaria
    concezione platonica della polis). Questo Stato egli affermò
    trovare attuazione nello Stato corporativo fascista, stabilendo una
    equazione fra ideale e realtà, che ha del resto precedenti
    esempi anche in altri grandi filosofi, come G. F. Hegel, da lui
    tuttavia tenacemente avversato.
    
    Alla dimostrazione di questo assunto egli dedicò diversi
    saggi, che furono anch'essi tradotti in varie lingue straniere, e
    che costituirono pertanto strumenti di notevole propaganda politica
    del regime fascista all'estero; i più significativi vennero
    raccolti nel volume Saggi intorno allo Stato (Roma 1935).
    
    Per il carattere cauto delle affermazioni politiche in essi
    contenute, che miravano a presentare lo Stato-persona del regime
    fascista come rispettoso dei valori tradizionali, il D. poté
    ripubblicarli (con l'esclusione di alcuni e con l'aggiunta di altri
    di nuova composizione) nel volume Studi sullo Stato, Milano 1958. In
    tale volume è compreso anche il saggio Stato e società
    degli Stati, che riprende il tema del corso tenuto nel 1931
    all'Accademia di diritto internazionale dell'Aja su La
    Société des nations au point de vue de la philosophie
    du droit international, pubblicato nel Recueil des cours
    dell'Accademia di quell'anno, e il saggio su Individuo, Stato e
    corporazione, testo di una conferenza tenuta il 30 apr. 1934
    all'università di Zurigo.
    
    In tali saggi, che il D. poté ripresentare ai suoi lettori in
    circostanze storiche assai mutate da quelle del tempo della stesura
    originaria, si può cogliere la oscillazione o irresolutezza
    del suo pensiero politico fra l'adesione (peraltro convinta) al
    regime di dittatura fascista vigente in Italia, e il richiamo sempre
    fortemente avvertito ad una diversa tradizione culturale e politica,
    di cui I. Kant rappresentava per lui il modello insuperato.
    
    Da segnalare ancora in questi anni la polemica che aveva avviato in
    sede culturale contro il neoidealismo italiano e in particolare
    contro le figure di B. Croce (a cui dedicò nel 1936 una
    noterella divenuta famosa, Croce e Don Ferrante, apparsa sulla
    Rivista internazionale di filosofia del diritto) e di G. Gentile,
    che pure era una eminente personalità del regime e professore
    nella stessa università di Roma. Questi suoi atteggiamenti
    non dovettero certo favorire la sua permanenza nell'ufficio del
    rettorato, che aveva lasciato, come si è visto, nel novembre
    1927, pur continuando ad esercitare un ruolo importante nella vita
    accademica romana: dopo essere stato prima direttore della nuova
    Scuola di scienze politiche, poi, divenuta questa facoltà, ne
    fu preside; dal 1930 al 1938 divenne preside della facoltà di
    giurisprudenza, in cui introdusse per la prima volta l'assistentato.
    
    Il 25 ott. 1938 giungeva al D. una comunicazione del rettorato con
    cui, poiché "dalla scheda di censimento personale risulta
    appartenente alla razza ebraica", veniva sospeso dal servizio; in
    data 14 dicembre dello stesso anno veniva dispensato dal servizio,
    in obbedienza alle disposizioni "per la difesa della razza
    italiana"; il 21 dicembre veniva soppressa, per disposizione del
    ministero della Cultura popolare, la Rivista internazionale di
    filosofia del diritto, da lui fondata e diretta fin dal 1921; il 21
    luglio 1940, per disposizione del ministero della Educazione
    nazionale, veniva dichiarato decaduto dalla presidenza della
    Società italiana di filosofia del diritto. anch'essa da lui
    fondata nel 1936, perché "non appartenente alla razza
    ariana". Aveva così inizio per il D. un periodo di terribili
    difficoltà, che con lui condivise la moglie Tina Valabrega.
    
    Si apre, a questo punto, il capitolo della conversione religiosa del
    D. al cattolicesimo, che in quelle particolari condizioni storiche
    potrebbe parere frutto di opportunismo, giustificato d'altronde
    dalla terribile crudezza degli avvenimenti dell'epoca. Va
    però precisato, che seppure la conversione fu dovuta alla
    influenza ed alla iniziativa di un suo assistente universitario,
    Guido Gonella, che gli fece anche da padrino al battesimo, quella
    conversione maturò su un terreno di convinzioni filosofiche e
    morali già dissodato che, come si è visto, emerge fin
    dagli anni '20 da suoi lavori sul concetto di giustizia.
    
    L'aiuto, materiale e spirituale, che gli diede G. Gonella, in una
    situazione di estremo disagio e pericolo come fu quella della
    occupazione nazista di Roma (durante la quale il D. trovò
    rifugio in un istituto di suore) fu determinante per la sua scelta
    morale; ma va altresì ricordato l'aiuto che ricevette anche
    da un altro dei suoi allievi, Rinaldo Orecchia, anch'egli cattolico
    fervente e partecipe dell'ambiente vaticano.
    
    Costretto al silenzio ed all'oscurità per qualche anno, il D.
    riprese la sua attività di scrittore nel 1941 con un articolo
    sui diritti subiettivi pubblicato su Azione francescana, a cui
    seguì nel 1943 un altro su La parola del S. Padre Pio XII e i
    giuristi, apparso su una pubblicazione del Vaticano, e un altro
    ancora Sulfondamento della giustizia penale pubblicato nel gennaio
    1944 su L'Osservatore romano. IlD. era così ormai integrato
    nella cultura cattolica e ne aveva ricevuto un riconoscimento
    ufficiale.
    
    Liberata Roma dall'occupazione nazista, fu reintegrato nella
    cattedra, con una lettera del ministro della Pubblica Istruzione
    Guido De Ruggiero del 4 ag. 1944, e l'11 settembre seguente riprese
    le lezioni all'università.
    
    Il 18 novembre dello stesso anno il ministero della Pubblica
    Istruzione ordinava però la sospensione dal servizio a
    seguito dell'apertura, l'11 nov. 1944, di un procedimento di
    epurazione a carico del D., "per aver attivamente partecipato alla
    vita politica del fascismo", "per aver dato prova di
    faziosità fascista per aver ingiustamente inflitto la censura
    al professore ebreo Levi Della Vida" e "per aver ricoperto la
    qualifica di antemarcia". La Commissione per l'epurazione del
    personale universitario, con un provvedimento amministrativo del 6
    genn. 1945, esimeva il D. dall'accusa di essere stato fondatore del
    fascio di Madrid nel 1923 (di cui il D. si era incautamente vantato,
    per aver assistito alla costituzione di quel fascio all'estero);
    dichiarava che "la censura iscritta al Levi Della Vida era un atto
    amministrativo senza carattere politico e quindi senza
    faziosità fascista" e riconosceva che "non risulta che il
    prof. Del Vecchio ha dato prova di settarietà e intemperanza
    fascista", per cui limitava la sanzione alla sospensione per un anno
    dall'ufficio e dallo stipendio. Il D. protestò contro.questo
    provvedimento con la pubblicazione di un volumetto fuori commercio,
    Una nuova persecuzione contro un perseguitato (Roma 1945), patetica
    apologia di un filosofo.
    
    Nel 1947 riprese l'attività dell'insegnamento (durante la sua
    assenza, la cattedra era stata tenuta da Widar Cesarini Sforza) e
    quella culturale con la sua abituale solerzia, ricucendo
    pazientemente il lungo strappo verificatosi nella sua esistenza. Nel
    1958 l'università di Coimbra gli conferiva la laurea honoris
    causa.
    
    Al volume, che era stato da lui curato e pubblicato a Roma nel 1936,
    Iproblemi della filosofia del diritto nel pensiero dei giovani, che
    raccoglieva i risultati delle esercitazioni svolte dagli studenti
    negli anni 1926-1935, fece seguito (Milano 1955) un'altra opera
    dallo stesso titolo, che raccoglieva analoghi lavori svolti negli
    anni 1935-1953. I libri da lui pubblicati conobbero nuove edizioni e
    traduzioni, e nuovi saggi apparvero su diverse riviste, poi raccolti
    in volumi. Nel 1929, in occasione dei suo venticinquennio di
    insegnamento, erano apparsi due grossi volumi di studi in suo onore,
    a cui avevano contribuito filosofi del diritto di diverse nazioni
    (il secondo volume si apriva con un saggio di H. Kelsen); nel 1961
    venne pubblicato a Milano in suo onore un volume di Scritti vari di
    filosofia del diritto, con contributi di studiosi italiani.
    
    Il D. riprese anche l'attività pubblicistica, specialmente
    dopo la cessazione dell'insegnamento, ma si orientò verso la
    collaborazione con riviste e giornali della Destra estrema, in
    particolare con Il Secolo d'Italia, giornale del Movimento sociale
    italiano; nei suoi articoli riaffiorarono gli antichi motivi
    dell'ideologia nazionalista dei suoi anni giovanili. Uno degli
    ultimi, apparso su La Rivolta del popolo nel 1965, fu dedicato alle
    Memorie mazziniane a Genova.
    
    Il D. ebbe, accanto ai suoi preminenti interessi
    filosofico-giuridici, anche interessi di storia locale per la sua
    città natale, Bologna, a cui rimase sentimentalmente legato,
    e interessi letterari: pubblicò infatti anche qualche
    raccolta di versi, in italiano (di ispirazione classicheggiante) e
    in dialetto bolognese, questi ultimi non privi di arguzia. Fu un
    fervido ammiratore di G. D'Annunzio, con cui ebbe corrispondenza, e
    nel 1959 tenne un discorso celebrativo su di lui in Campidoglio.
    
    Trascorse gli ultimi anni, in amara solitudine, a Genova, dove
    morì il 28 nov. 1970.