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Storico della letteratura italiana (Montevarchi 1841 - Firenze 1927), presidente della Società dantesca, senatore (dal 1906). Socio nazionale dei Lincei (1901). Acuto conoscitore della storia della lingua (Per la lingua d'Italia un vecchio accademico della Crusca, 1923), collaborò alla compilazione del Vocabolario della Crusca (della quale accademia fu l'ultimo arciconsolo e il primo presidente); pubblicò importanti ricerche su testi italiani antichi (Leggende del sec. XIV, 1863), sul Poliziano (Prose volgari inedite e poesie latine e greche di Angelo Poliziano, 1867; altri studî in Florentia, 1897), sulla Cronica di Dino Compagni (Dino Compagni e la sua Cronica, 3 voll., 1879-81; Storia esterna, vicende, avventure d'un piccol libro de' tempi di Dante, 2 voll., 1917-18; e inoltre l'edizione per la nuova serie dei Rerum Italicarum Scriptores, fasc. 117-119, 1913) e sull'età di Dante (Beatrice nella vita e nella poesia del sec. XIII, 1891; Da Bonifacio VIII ad Arrigo VII, pagine di storia fiorentina per la vita di Dante, 1899; un'ediz. commentata della Divina Commedia, ecc.).
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DBI
di Lucia Strappini
Nacque il 20 dic. 1841 a Montevarchi (prov. Arezzo) da Angelo e
Clotilde Del Nobolo. Il padre, medico condotto, aveva tradotto in
volgare toscano gli otto libri dei trattato di Aulo Cornelio Celso
Della medicina (pubbl. con il testo latino a fronte, a cura del D. a
Firenze, nel 1904). Dopo aver frequentato le scuole a Cortoga e a
Castiglion Fiorentino, si iscrisse alla facoltà di
giurisprudenza dell'università di Siena e poi di Pisa,
laureandosi nel 1860.
Fin da giovanissimo aveva cominciato a scrivere e a stampare
composizioni poetiche di vario genere, dalla prima canzone Per la
monacazione di Virginia Guasti (Firenze 1854), fino alla Canzone
della croce (ibid. 1858), che fu oggetto di un violentissimo attacco
sul Passatempo di P. Farifani, al quale rispose con altrettanta
decisione G. Carducci, in difesa del giovane poeta (l'art. del
Carducci fu ristampato da G. Chiarini in Memorie della vita di G.
Carducci, Firenze 1912, pp. 496-501). Gli elogi del Carducci si
ripeterono in occasione della pubblicazione del volume di Liriche
del D. (Pisa 1862) e cementarono un rapporto di amicizia,
efficacemente testimoniato dal ricco carteggio che si
sviluppò intensissimo all'inizio, poi più
sporadicamente, pure continuando fino alla morte del Carducci,
esercitando una profonda influenza sulla formazione culturale e gli
interessi del giovane Del Lungo. Nel 1863 questi cominciò a
collaborare all'Archivio storico di G. C. Vieusseux, collaborazione
ininterrotta per tutta la vita, e pubblicò un'antologia, ad
uso delle scuole, Prose e poesie scelte in ogni secolo della
letteratura italiana (Firenze 1861), secondo un orientamento
pedagogico e divulgativo che fu costante anche negli anni
successivi. Per interessamento del Carducci il D. ottenne
l'insegnamento di materie letterarie al liceo di Faenza, donde
passò a Casale Monferrato, Siena, Pistoia, Firenze. Divenuto
nel 1868 accademico della Crusca (poi, dal 1914, arciconsolo) e
compilatore della quinta edizione del Vocabolario, abbandonò
(1875) definitivamente l'insegnamento, rifiutando anche la
successiva offerta di una cattedra di letteratura italiana
all'università di Milano, per dedicarsi interamente alla
ricerca. Come presidente dell'Accademia della Crusca ne decise, nel
1913, il trasferimento dal convento di S. Marco al palazzo Medici
Riccardi. Fu anche per lunghi anni presidente della Società
dantesca italiana, accademico dei Lincei, socio ordinario, poi
presidente, della Deputazione di storia patria. Collaborò per
58 anni alla Nuova Antologia, di cui tenne anche la rubrica
"Bollettino bibliografico" (1866-1869). Senatore del Regno dal 1906
(18ª categoria) partecipò attivamente, con numerose
conferenze e interventi, alla mobilitazione nazionale durante la
prima guerra mondiale, e si schierò decisamente contro
l'azione diplomatica del governo Giolitti nel corso della
discussione in Senato per la ratifica del primo trattato di Rapallo
(dicembre 1920), sostenendo l'italianità di Fiume e della
Dalmazia (vedi i suoi interventi e conferenze raccolti in Dalmazia
italiana, Bologna 1921).
Morì a Firenze il 4 maggio 1927.
Già dalle sue prime pubblicazioni emerge il grande interesse
che andò sempre più consolidandosi, per la letteratura
medioevale e umanistica, toscana in particolare, in sintonia con
l'insegnamento e la prospettiva culturale carducciana che, in quel
periodo, si concretizzava, nell'attenzione ai testi e alla lingua
della tradizione letteraria italiana, nonché alla
ricostruzione storico culturale delle fasi della storia nazionale
ritenute più significative rispetto alle esigenze della vita
culturale risorgimentale e postunitaria. Il primitivo orientamento
del D. per la poesia si risente in tutta la sua produzione per il
privilegio sempre assegnato nei suoi studi a questa forma letteraria
nello svolgimento secolare della vita nazionale; ed anche nella cura
della lingua e dello stile che accomunò il D. prosatore a
quell'area di scrittori e intellettuali italiani sensibili alla
purezza della forma espressiva e che vedevano nella lingua
cinquecentesca un modello esemplare di espressione letteraria.
Il grande valore attribuito dal D. alla tradizione letteraria, nella
formazione della cultura e della coscienza nazionale, in una
dimensione che ne esalta le componenti cattoliche e moderate,
è dichiarato con chiarezza già nel discorso su Parini
nella storia del pensiero italiano (Firenze 1870, poi ristampato in
Pagine letterarie e ricordi, ibid. 1893).
Qui si ritrova il grande amore per la letteratura dei primi secoli
che si concretizzò ben presto, e prima di tutto, nella
pubblicazione di testi antichi curati e commentati con precisione
filologica e documentaria. Alle Leggende del sec. XIV, 2voll.,
Firenze 1863, seguirono tra l'altro: Giacoppo, novella, e la
Ginevra, novella incominciata. Dall'originale d'anonimo
quattrocentista nell'Archivio mediceo, Bologna 1865; Prose volgari
inedite e Poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini
Poliziano, raccolte e illustrate, Firenze 1867; La Cronica domestica
di messer Donato Velluti scritta fra il 1367 e il 1370 (in
collaboraz. con G. Volpi), ibid. 1914, Dal carteggio e dai
documenti: pagine di vita di Galileo (in collaborazione con A.
Favaro), ibid. 1915; Gli amori del Magnifico Lorenzo. Diporto
mediceo di I. Del Lungo e due novelle di Lorenzo de' Medici ora per
la prima volta pubblicate col nome di lui, Bologna 1923; Le Selve e
la strega di Poliziano, ibid. 1925;del Savonarola le Poesie. Con
l'aggiunta di una Canzone pel bruciamento delle vanità e
preceduta da notizie storiche di C. Guasti e I. Del Lungo, Lanciano
1914, Il carteggio inedito di Tommaseo e Capponi (1833-1874) (in
collaboraz. con P. Prunas), 4 voll., Bologna 1911-1932.
Aderendo ai programmi e alla metodologia della scuola storica, il D.
si mostrò sempre convinto assertore della necessità
che ogni autore fosse collocato all'interno di un preciso e
dettagliato quadro di riferimenti storici, attinenti la biografia
minuziosamente ricostruita, i caratteri documentabili della cultura
e della letteratura del tempo, gli elementi essenziali della vita
politica e sociale, come si manifesta attraverso fatti e dati
precisi. Tutto ciò rappresentando l'intelaiatura di una
costruzione che doveva poggiare interamente su quella
attività erudita e filologica, di riedizione e restaurazione
dei testi antichi, senza la quale ogni operazione critico-estetica
sarebbe risultata segnata dalla astrattezza o dall'"idealismo", come
si imputava allora alla precedente scuola romantica. L'analisi,
dunque, accurata e minuziosa, opposta alle sintesi non suffragate da
puntuali documentazioni e riferimenti storici e bibliografici; e
l'utilizzazione di metodologie di ricerca che facevano riferimento a
discipline come la filologia, appunto, la paleografia, la
coniparatistica, considerate sostanziale strumento di ogni studio
storico e critico. Questo tipo di concezione della letteratura, di
impronta positivistica, benché spesso approdasse a una certa
angustia e riduttività di prospettiva critica e di
valutazione estetica, ebbe tuttavia il merito di ricondurre
l'attenzione degli studiosi sulla necessità di far precedere
ogni giudizio sui testi letterari da una attenta e verificabile
conoscenza analitica dei testi, dei documenti, dei fatti letterari e
storici. Su questa linea si collocò il lavoro del D., fino
ancora ai primi decenni del XX secolo, quando i metodi della scuola
storica parvero ormai decisamente messi in crisi dall'offensiva del
neoidealismo crociano. Se un'impronta si può ritrovare
costante e ininterrotta nell'attività del D., è la
pervicace adesione a un impianto di ricerca e di studio che non
subì la menoma scossa nonostante si fosse sviluppato lungo
più di mezzo secolo, e che fu caratterizzato dalla passione
per la ricerca dei fatti, dei documenti, dei dati, considerati in
una dimensione assoluta e autosufficiente, come se lo spessore della
critica e della storia letteraria potesse essere interamente
riempito dall'accumulo dei fatti, dei dati e delle notizie e potesse
essere sostenuto da un'ispirazione genericamente etica e civile,
piuttosto che da un'idea precisa che orientasse e guidasse la stessa
ricerca verso una più profonda comprensione dei fenomeni
esaminati e dei dati raccolti.
Esemplare di tale impostazione metodologica e pratica è la
prima opera importante pubblicata dal D., l'edizione critica della
Cronica di D. Compagni, prima ad uso delle scuole, con il titolo La
Cronica fiorentina di Dino Compagni, delle cose occorenti ne' tempi
suoi, riveduta sopra i manoscritti e commentata (libro I, Milano
1870; libro II, ibid. 1872); poi corredata di ampi studi con i tre
volumi Dino Compagni e la sua Cronica (Firenze 1879-1887), il
secondo dei quali ne riporta il testo riveduto sul manoscritto del
secolo XIV e commentato, mentre nel terzo è riprodotto il
testo secondo il codice Laurenziano Ashburnhamiano. Seguì
un'ulteriore edizione, La Cronica di Dino Compagni (Città di
Castello 1913-1914), che ricalca tuttavia quella precedente, mentre
la parte saggistica compresa nel primo volume fu ristampata, con
l'aggiunta di altre numerose e accuratissime ricerche, in Storia
esterna, vicende, avventure d'un piccol libro de' tempi di Dante, 2
voll., Milano-Napoli 1917-1918.
La spinta allo studio e all'approfondimento del Compagni e della sua
opera era venuta al D. dalla volontà di confutare i numerosi
assertori italiani e stranieri della non autenticità della
Cronica, che facevano capo allo studioso tedesco P. Scheffer
Boichorst, il quale, in Florentiner Studien (1874), aveva sostenuto
il carattere apocrifo dell'operetta del Compagni. Sfruttando a fondo
tutte le risorse dell'erudizione, dell'analisi filogica, della
documentazione storica e letteraria sul Compagni e sulla sua epoca,
il D. non solo dimostrò inconfutabilmente
l'autenticità della Cronica, ma tese a valorizzarla in quanto
testo massimamente significativo della vita socioculturale del
Comune medioevale.
Il commento minuziosissimo al testo, corredato da una mole imponente
di documentazione e di dati essenziali per l'intelligenza
dell'opera, rende ancora oggi il lavoro del D. di grande
utilità per gli studiosi; mentre rimane documento
interessante di quel metodo storico che, pure con i suoi limiti,
rappresentò una effettiva e profonda svolta negli studi
letterari, in Italia, nel secondo Ottocento.
L'indagine sul Compagni rappresentò per il D. una sorta di
preliminare e di supporto al gruppo di studi che in maggior misura
lo occupò per tutta la vita, concernente la vita e la figura
intellettuale di Dante e la Divina Commedia. Sulla rivendicazione,
di impronta carducciana, della vitalità della tradizione
linguistica e letteraria nazionale, poggiano tutti gli studi
danteschi del D., nella convinzione, comune a molta parte degli
intellettuali ottocenteschi, che la lingua e la letteratura della
tradizione rappresentassero il nucleo morale e civile della
coscienza nazionale. In questa chiave della figura di Dante si
sottolineavano, naturalmente, taluni aspetti piuttosto che altri, si
tendeva a privilegiare la sua biografia sulla poesia, si innalzava
la Commedia a un isolamento assoluto e straordinario, rispetto alla
stessa restante opera dantesca; insomma la riscoperta di Dante come
figura esemplare della cultura nazionale rischiava di oscurarne i
profondi contorni poetici e culturali, mentre lo scavo accurato e
minuto attorno alla sua vita e alla Firenze del'300, raramente
veniva ricondotto a un quadro d'insieme che permettesse di superare
l'immagine simbolica di una figura modello come quella dantesca.
Gli studi danteschi del D. sono caratterizzati soprattutto dalla
mole di dati e di notizie storiche ed erudite che contribuiscono
alla determinazione di fasi salienti della vita di Dante e degli
avvenimenti storicopolitici della sua epoca. Sono di questa natura:
Dell'esilio di Dante (Firenze 1881), discorso commemorativo del 27
genn. 1302, al quale nella stampa il D. aggiunse una ricca appendice
di documenti storici relativi alla vita di Dante fuori della
Toscana; Dante ne' tempi di Dante (Bologna 1888), raccolta di
discorsi che, sempre servendosi di documenti e indicazioni accurate,
mirano a delineare i contorni della vita comunale fiorentina; Il
volgare fiorentino nei tempi di Dante (Firenze 1888), nel quale
documentò con ricchezza di dati la fiorentinità del
lessico dantesco; la raccolta di conferenze La figurazione storica
del Medio Evo italiano nel poema di Dante, 2 voll. (ibid. 1891),
nella quale più che altrove, a giudizio di alcuni critici,
sembra riflettersi la visione riduttivamente storica del D. che gli
fa vedere la Commedia come mero specchio della vita sociale e
culturale dei tempi di Dante; Dal secolo e dal poema di Dante. Altri
ritratti e studi (Bologna 1898), che comprende una serie di ricerche
sulla vita di Dante nella prospettiva, mai realizzata dal D., di
curarne una biografia completa.
Da questi scritti danteschi, come dai molti altri che andò
pubblicando su riviste o esponendo in discorsi e conferenze, emerge
la tendenza del D. a concentrare l'attenzione molto più sui
riferimenti storici della biografia e dell'opera di Dante, che sugli
elementi intrinseci alla struttura e alla costruzione della
Commedia. La convinzione del D. è che la grandezza di Dante
sta "nell'aver trasformato il materiale greggio e resistente in un
lavoro mirabile per sicurezza ed armonia di linee ...; nell'averlo
saputo far servire, non tanto al soggettivo disegno d'una creazione
fantastica, quanto a un intendimento universale e perpetuo di civile
moralità" (Dal secolo e dal poema di Dante, pp. 164 s.);
queste parole rendono bene ragione dei pregi come dei limiti del suo
lavoro. che si riscontrano anche negli studi che dedicò a
diversi aspetti della vita italiana trecentesca. Da Bonifazio VIII
ad Arrigo VII. Pagine di storia fiorentina per la vita di Dante,
Milano 1899, (rist. con il titolo I Bianchi e i Neri. Pagine di
storia fiorentina per la vita di Dante, Firenze 1921) ricostruisce
dettaghatamente, e con il consueto scrupolo documentario, le forme
istituzionali del Comune fiorentino, i suoi rapporti con
l'autorità papale e con quella imperiale, i modi e i canali
di manifestazione dello scontro politico a Firenze, permettendo di
collocare in un quadro oggettivo di riferimenti le due illustri
figure in quelle lotte coinvolte, e la profonda influenza che tali
vicende esercitarono sulla loro opera. Si può citare ancora
Beatrice nella vita e nella poesia del sec. XIII, Roma 1890 (rist.
con appendice di documenti, Milano 1891), discorso pronunciato in
occasione del sesto centenario della morte; al quale si legano
Firenze artigiana nella storia e in Dante, Firenze 1906 e La donna
fiorentina del buon tempo antico, ibid. 1906, raccolta di conferenze
tenute a Roma e a Firenze. Questa gran mole di lavoro si ritrova poi
concentrata nel commento alla Divina Commedia che il D.
pubblicò a Firenze nel 1926 e che fu accolto positivamente
dagli studiosi proprio per la precisione e la ricchezza
dell'apparato informativo e stoficodocumentario.
Il D. affiancò all'attività di ricercatore ed
esploratore di archivi e biblioteche un continuo impegno di
conferenziere, legato alle sue cariche pubbliche, in parte, ma
soprattutto sostenuto dalla sua profonda intenzionalità
divulgativa e dal suo gusto per l'oratoria che, a giudizio dei
contemporanei, gli permetteva di intrattenere gli uditori con grande
efficacia di eloquio e di argomentazione. Discorsi e conferenze su
diversi argomenti tenuti in ogni parte d'Italia sono raccolti nei
volumi: Conferenze fiorentine, Milano 1901; Patria italiana, 2
voll., Bologna 1910-12; Lingua e dialetto nelle commedie del
Goldoni, Firenze 1911.
A vari canti della Commedia il D. dedicò molte letture
pubbliche raccolte in Prolusione alle tre Cantiche e commento
all'Inferno, Firenze 1922. Vanno infine ricordati i saggi dedicati
quasi interamente al Poliziano: Florentia. Uomini e cose del
Quattrocento, Firenze 1897; La prosa di Galileo (in collaboraz. con
A. Favaro), ibid. 1925 (rist. con nuova presentazione di C.
Luporini, Firenze 1957); Per la lingua d'Italia un vecchio
accademico della Crusca, Bologna 1923, che comprende i suoi studi
linguistici come compilatore del Vocabolario. Questo ampio arco di
interessi e di pubblicazioni testimonia efficacemente un impegno
costante del D., che, benché relativamente ai margini
rispetto al più influente e significativo ambito della
cultura scientifica e accademica, rimane tuttavia sufficientemente
rappresentativo di una fase della vita culturale ottocentesca che
confidava nella ricerca erudita e nella divulgazione sistematica
come strumento di formazione civile e morale.