www.treccani.it
Studioso di economia (Carpi 1883 - Venezia 1952), prof. dal 1920 all'istituto super. di economia e commercio di Venezia. Tra le sue opere: La speculazione di borsa (1913-21), Prospetto dell'economia matematica (1930), Teoria generale dell'equilibrio economico (1942), Teoria matematica delle scelte (1942), Teoria matematica generale (1945-46), Manuale di politica economica (1950), L'inflazione fiscale in Italia (1951), Economia e politica (post., 1963).
*
DBI
di Denis Giva
Nacque a Carpi (Modena) il 2 giugno 1883
da Tommaso ed Elvira Rossi. Laureatosi in scienze economiche
all'università di Venezia nel 1908, fu docente dapprima all'istituto
tecnico commerciale di Rovigo e poi in quello di Ascoli Piceno.
Funzionario dell'Istituto internazionale di agricoltura di Roma, dopo
aver ottenuto la libera docenza all'università di Bologna, tra il 1909
e il 1919 fu successivamente professore incaricato di statistica a
Padova e di politica economica prima a Pisa e poi ordinario a Venezia,
dove fu direttore del laboratorio di economia politica dell'università
Ca' Foscari.
Proveniente da una famiglia benestante, negli anni giovanili degli
studi universitari a Venezia ebbe una vivace esperienza di militante
del movimento socialista. Fu particolarmente attivo nella città natale,
collaborando al giornale socialista locale Luce e svolgendo, in
numerose manifestazioni contadine e antireligiose, un'intensa opera di
propaganda e di proselitismo socialista. A Venezia il D. subì anche una
lieve condanna per avere gridato, nel corso di una manifestazione,
"viva la repubblica sociale" e cantato l'inno dei lavoratori.
Annotato nello schedario dei sovversivi, e schierato su posizioni
intransigenti, il D. aderì alla frazione sindacalista del movimento
socialista, collaborando assiduamente - fin dal 1905 - alla rivista
romana Il Divenire sociale. I primi articoli del D., mentre manifestano
un atteggiamento politico che successivamente doveva rivelarsi solo
come un episodio giovanile, mostrano anche una buona conoscenza delle
opere di Marx ed Engels e dei principali problemi della cultura
socialista tra Ottocento e Novecento. Egli, infatti, non soltanto si
impegnava in una critica della interpretazione positivistica del
marxismo (Carlo Marx e l'idea religiosa e La morale sessuale e la
critica marxista, apparsi entrambi sul Divenire sociale nel 1905 [I,
pp. 78-80 e 317-21]), ma cercava anche di collegare ffirettamente
l'impostazione antistatalistica dei sindacalisti rivoluzionari ai testi
di Marx, prendendo posizione contro la teoria dei riformisti che
sarebbe derivata invece - secondo il D. - dal socialismo della cattedra
(particolarmente significativo a questo proposito è il saggio LoStato
nella concezione marxista, ibid., pp. 272-75).
A questa fase socialista della vita del D. è da ascrivere anche la
collaborazione, fino al 1911, a IlViandante di Milano, a Pagine libere
e a La Democrazia, di indirizzo sindacalista rivoluzionario.
Progressivamente, tuttavia, tanto le posizioni politiche quanto
l'impostazione scientifica del D. si svilupparono lungo linee
differenti da quelle giovanili.
Nel 1912, per esempio, in una conferenza alla casa del popolo di
Rovereto, egli criticava con particolare fermezza il socialismo
riformista, ma adottava ormai una forma di antistatalismo di
derivazione liberale, non più legata alle posizioni rivoluzionarie
degli anni precedenti. Nel '24, d'altra parte, il suo nome scompare
dagli schedari dei sovversivi, a riprova dell'evoluzione del suo
atteggiamento politico e in conseguenza della posizione interventista
assunta in occasione della prima guerra mondiale e del definitivo
distacco dal movimento socialista.
Nell'evoluzione della biografia del D. fu di decisiva importanza
l'influenza esercitata su di lui da Vilfredo Pareto. Come prova il
costante scambio epistolare che il D. intrattenne con lui - scambio che
durò praticamente dal 10 nov. 1909 al 9 genn. 1923 e che è stato
raccolto nei postumi Scritti paretiani, usciti a Padova a cura del
figlio del D., Pietro, del 1961 - egli fu direttamente influenzato
dall'interpretazione paretiana dei compiti dell'economia e dei suoi
rapporti con le altre scienze sociali, in particolare con la sociologia.
Il Giacalone Monaco ha osservato che il D. fu una sorta di "San Paolo
dei paretiani", mettendo in evidenza come l'incontro con la teoria
paretiana - avvenuto nella fase in cui Pareto, dopo aver delineato il
sistema dell'equilibrio generale, stava elaborando il Trattato di
sociologia - abbia significato una vera e propria svolta nella sua
attività scientifica e politica. Il D., infatti, abbandonando le
posizioni socialiste originarie, non solo cercò di sistemare i fenomeni
economici che meglio si prestavano ad una rappresentazione algebrica o
geometrica, aderendo all'impostazione sperimentalista di Pareto, ma
svolse un importante ruolo nella didattica della scienza economica
intesa come disciplina formale e matematica.
Le Lezioni di scienza economica razionale e sperimentale, pubblicate in
seconda edizione a Rovigo nel 1921, con una prefazione di Pareto,
rivelano questo atteggiamento metodologico del D. e lo pongono
senz'altro tra gli economisti italiani che maggiormente hanno operato
per una rigorosa definizione dei confini disciplinari, e perciò anche
dei limiti dell'economia tra le altre scienze sociali.
A questa impostazione di fondo - come mostrano anche gli scritti
successivi - il D. restò sostanzialmente fedele, anche se negli anni
Trenta e Quaranta venne progressivamente meno il suo entusiasmo per la
teoria dell'equilibrio generale e subentrò una visione molto più
articolata dei compiti della "economia pura" nell'analisi della
società. I suoi interessi si volsero allora, da un lato, nella
direzione dell'analisi di lungo periodo e, d'altro lato, allo studio
dei processi politici ed istituzionali che influenzano l'evoluzione
dell'economia nel corso del tempo. Nel coltivarli il D. ripercorse in
qualche misura il medesimo cammino di Pareto, che negli scritti
sociologici della maturità riconobbe i limiti dell'indagine puramente
economica ed individuò anche le determinanti "non logiche" dell'agire
sociale. Questo cammino paretiano del D. ha una sua motivazione
generale nella diagnosi sullo sviluppo delle economie contemporanee che
informò l'ultima fase della sua attività. Il Bordin ha infatti notato
che mentre per il D. la seconda metà dell'Ottocento rappresentava
l'emergenza degli interessi delle classi produttivistiche, l'epoca
successiva consisteva invece nel dominio progressivo degli "interessi e
dei miti delle classi politiche, burocratiche e di massa", dominio
legato all'organizzazione, al peso numerico e alla diffusione delle
ideologie di queste ultime e al contemporaneo declino dei ceti
produttivi emersi con la rivoluzione industriale.
Questa concezione generale della maturità la troviamo applicata in
particolare nel saggio su L'inflazione fiscale in Italia, uscito a
Milano nel 1951 in una collana curata dall'università commerciale
"Luigi Bocconi". Il D. vi si proponeva di svolgere un'analisi
statistica comparata dei "casi della finanza governativa italiana nel
periodo delle due guerre mondiali per gli imperi, nel confronto col
periodo di pace precedente" (p. 10), pervenendo a risultati che
confermavano gli aspetti centrali della sua visione.
Dopo aver discusso gli strumenti metodologici più appropriati per
esaminare, da un punto di vista statistico, le variabili contabili che
possono rappresentare il rilievo acquisito progressivamente dai
trasferimenti di carattere politico su quelli a carattere più
specificamente economico - individuandoli nella emissione di moneta
politica, nel ricorso al credito politico e nell'emissione di prestiti
pubblici, nell'imposizione di tributi ordinari maggiorati o
straordinari e nell'imposizione di contributi obbligatori - il D.
osservava: "Il periodo delle guerre per gli imperi che dura dal '14 è
un periodo di dominio delle classi politiche e burocratiche sulle
classi economiche, nelle forme socialistiche democratiche e
monocratiche parziali o totali di governo. È periodo di forte aumento
delle spese pubbliche, per la preparazione bellica, per la guerra
(colle loro distruzioni di uomini e di cose, nei teatri delle ostilità,
delle occupazioni, delle lotte civili; colle riduzioni delle produzioni
e degli scambi, colle asportazioni), per la ricostruzione. È periodo di
inflazione continua, ora accelerata, ora rallentata, più forte e
persistente colla seconda guerra mondiale che non con la prima e sempre
con le alterazioni delle condizioni delle classi e delle loro
relazioni" (p. 106).
Secondo il D., infatti, l'aumento delle spese governative e la crescita
dei disavanzi pubblici - unite all'inflazione - non rappresentavano
solo la conseguenza dell'impegno bellico, ma potevano essere viste
anche come indici di un più intenso dominio della politica
sull'economia, e quindi delle classi di governo e amministrative su
quelle economiche. Questo dominio si esprime in modo caratteristico nel
sistema fiscale e tributario italiano "nel complesso dei trasferimenti
politici di beni economici da governati a governanti e viceversa, e fra
gruppi di governanti". La teoria paretiana delle élites ha quindi nel
D. una versione economica nello studio, come egli più volte afferma,
dei "sistemi di vincoli di trasferimento politico di beni economici o
dai singoli ai governanti o da singole categorie ad altre categorie di
soggetti economici".
Quest'impostazione, che informa l'attività scientifica del D. nelle
singole opere e trova una vasta applicazione anche nei trattati a
carattere più generale (Corso di politica economica, Padova 1927, e
Teorema generale dell'equilibrio economico, politico-economico e
corporativo. Generalità, ibid. 1937), ha un'espressione particolarmente
significativa nella relazione da lui tenuta al XIV congresso
internazionale di sociologia svoltosi a Roma nel 1951. Dopo aver
affermato che la politica economica - come disciplina sociale - ha il
suo fondamento scientifico nel metodo geometrico-analitico che
l'economia ha preso dalle scienze fisiche, il D. riferiva di "avere
impostato e risolto teoricamente, per un sistema di aggregati politici
che compiono, per ipotesi, soltanto atti politici di comando e di
obbedienza, il problema matematico della determipazione della
composizione del contrasto tra stimoli e vincoli agli atti politici, di
comando e di obbedienza. che danno gli assetti gerarchici degli
aggregati sociali" (Lapolitica e la politica economica come scienze e
la sociologia, p. 669).
Questa soluzione era stata ottenuta dal D. con la formulazione di una
pura teoria matematica del potere politico, basata sulla specificazione
delle equazioni e dei vincoli che descrivono - a suo parere - i diversi
fattori strutturali che definiscono i fenomeni di dominio e di
sudditanza. In particolare egli aveva isolato due sistemi principali di
equazioni con una soluzione determinata, e cioè con un numero di
incognite pari al numero delle equazioni. Da un lato vi erano "le
equazioni dei gusti o della massima soddisfazione politico-economica
dei dirigenti", esprimenti le funzioni-indice del potere politico dei
governanti, e aventi come variabili le quantità di beni economici
trasferite politicamente dai legami posti dai dirigenti stessi. D'altro
lato, vi erano "i sistemi di equazioni di pareggio dei bilanci, delle
porzioni dei redditi prodotti annualmente trasferibili politicamente, e
delle quantità trasferite effettivamente".
Anche se i lavori del D. hanno una espressione significativa in questi
scritti in cui egli affrontava i problemi politici in un'ottica
paretiana, va ricordato che il suo contributo alla conoscenza dei
processi e meccanismi istituzionali dell'economia non si risolve
solamente nello sviluppo della teoria dell'equilibrio generale. Già nel
1913 egli pubblicava a Rovigo un saggio sulla Speculazione di borsa nel
quale, pur essendo incline a considerare i fenomeni speculativi -
soprattutto di carattere commerciale - come "un servizio recato da
certe persone, le quali si assumono i rischi inerenti alle variazioni
di prezzo di certi prodotti nel periodo che intercorre tra la loro
produzione e il loro consurno" (p. 160), e pur muovendo quindi dal
punto di vista armonicistico della scuola neoclassica, mostra una
sicura esperienza dei fenomeni trattati. E infatti il manuale del D. La
borsa (l'ambiente, le operazioni, la storia, la regolamentazione),
uscito a Milano in seconda edizione nel 1928, ebbe diverse edizioni e
una traduzione francese.
Ugualmente si può dire della competenza e finezza con la quale il D.,
riflettendo sulle tradizioni del pensiero italiano e soprattutto
sull'insegnamento di F. Ferrara, si accostò alla storia delle dottrine
economiche. Collaborò a numerose riviste scientifiche, tra le quali la
Rivista di politica economica, la Rivista bancaria, il Giornale degli
economisti, la Nuova Antologia e la Rivista internazionale di scienze
sociali. Fu anche articolista del Resto del carlino del Gazzettino di
Venezia, del Sole, del Globo e del Tempo.
Il D. morì a Venezia il 29 dic. 1952.