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DBI
di Maria Rosaria Ostuni
Nacque a Pistoia il 6 apr. 1872 da Paolo e da Luigia Candia di Gavi.
La famiglia era originaria di Novi Ligure. Compì gli studi
universitari in Svizzera, dove si era trasferito intorno al 1890.
Nel 1901 conseguì la laurea in medicina presso
l'università di Losanna e per alcuni anni, fino al 1905, fu
assistente presso la cattedra di igiene, batteriologia e medicina
sperimentale dell'università di Ginevra. Negli stessi anni e
nella stessa università seguì i corsi di
giurisprudenza riuscendo ad ottenere la seconda laurea.
Nel 1902 fu incaricato dal Commissariato generale dell'emigrazione
(CGE) di studiare le condizioni degli operai italiani in Svizzera ed
i risultati della sua minuziosa indagine furono pubblicati a cura
dello stesso CGE (L'emigrazione italiananella Svizzera, in
Bollettino dell'emigrazione, n. 12 del 1903).
Il CGE venne istituito con la legge 31 genn. 1901 n. 23, come
ufficio speciale per la tutela dell'emigrazione. Non ebbe, almeno
nei primi anni, vita facile per gli ostacoli frapposti alla sua
azione dalle società di navigazione e per l'azione di freno
al suo decollo esercitata dal ministero degli Esteri, da cui, sia
pure in modo anomalo, dipendeva. Il CGE non costituiva una direzione
generale del ministero degli Esteri, ma dipendeva direttamente dal
ministro; aveva a capo come commissario generale un funzionario
d'alto grado che poteva provenire da qualsiasi comparto dello Stato
- e, di fatto, furono commissari generali: un direttore della"
divisione statistica del ministero d'Agricoltura, Industria e
Commercio (L. Bodio), un ammiraglio (L. Reynaudi), un consigliere di
Stato (p. Di Fratta), due deputati (L. Rossi e G. Gallina), un
diplomatico (E. Mayor des Planches) ed, infine, il D. (l'unico che
provenisse dall'interno stesso del CGE) - dal quale veniva
distaccato ed al quale faceva ritorno: e questa "estraneità"
del commissario generale non ebbe, almeno fino alla prima guerra
mondiale, conseguenze benefiche.
Gli armatori avevano desiderato che il CGE non nascesse; una volta
nato, desiderarono che non funzionasse. La legge n. 23, approvata
dopo anni di lenta e contrastata gestazione, fu un compromesso tra
due progetti, d'iniziativa parlamentare l'uno, governativo l'altro,
contrastanti tra loro soprattutto riguardo al problema degli agenti
d'emigrazione, giudicati quasi universalmente come loschi figuri che
battevano il paese per fare incetta di emigranti da "vendere" alle
compagnie. Con l'approvazione della legge fu formalmente abolita la
figura dell'agente d'emigrazione e si cercò di limitare il
monopolio delle compagnie affidando allo Stato - e, per esso, al CGE
- il compito di fissare l'altezza massima dei noli: da qui le ire
delle società di navigazione e le iniziative per limitare i
già scarsi poteri del CGE.
D'altra parte, all'interno del Parlamento, che, mediante alcuni
organismi di controllo quali il Consiglio dell'emigrazione e la
Commissione parlamentare di vigilanza sulla gestione del fondo
dell'emigrazione, influenzava la linea politica del CGE, operavano,
accanto ai rappresentanti degli armatori, quelli degli agrari.
Questi volevano che l'emigrazione non venisse tutelata, ma impedita:
più numerosi partivano gli emigranti, più salivano i
salari nelle campagne.
Quando il D. ebbe dal CGE l'incarico di studiare le condizioni degli
emigrati italiani in Svizzera, aveva gia alle spalle una vasta
esperienza nel campo dell'ernigrazione. Dall'ottobre 1894
all'ottobre 1895 aveva diretto a Ginevra IlPensiero italiano, un
giornale caratterizzato dalla ricchezza delle informazioni utili
agli emigrati. Dal novembre 1895 a tutto il 1898 s'impegnò
insieme ad Antonio Vergnanini (segretario dell'Unione socialista di
lingua italiana e fondatore di un segretariato italiano per
l'emigrazione) nell'organizzare la "Colonia italiana",
un'istituzione di assistenza nata col contributo dell'intera
comunità italiana di Ginevra e finita per i contrasti interni
alla comunità stessa. Nonostante ciò le realizzazioni
della "Colonia" furono molte e varie: dalla scuola serale per adulti
alla biblioteca, dal dispensario medico alla concessione di sconti
per l'acquisto di farmaci, dall'ufficio di informazioni e di
collocamento al lavoro alla consulenza legale. Stampava, perfino, un
bollettino-guida sul mercato del lavoro nella Confederazione.
Il D., nel frattempo, continuava a studiare (inchiesta sui
lavoratori italiani impiegati nei cantieri dei Sempione e sulle
condizioni abitative degli immigrati nelle città) e avviava e
stringeva rapporti con tutti coloro che in Svizzera avevano a che
fare con l'emigrazione, dalle autorità consolari agli
operatori politici.
Gli anni di fine secolo furono di cambiamenti e di lotte all'interno
delle comunità italiane in Svizzera: agli emigrati politici e
ai pochi operai specializzati si era aggiunta una manodopera in
massima parte non qualificata e alla quale erano riservati i lavori
edili più faticosi e lo sterramento per la costruzione di
strade e ferrovie. All'interno di questo mondo variegato operavano
insieme uomini e strutture diversissimi, di volta in volta alleati o
avversari. C'era l'Unione socialista italiana in Svizzera (poi
Unione socialista di lingua italiana e infine Partito socialista
italiano in Svizzera, ancora alla ricerca di una politica aderente
alle cose) e c'era la "Bonomelli" (il patronato cattolico di
assistenza agli emigranti), c'erano gli anarchici e i predicatori
evangelici, i consoli che seguivano ex officio gli emigrati e gli
intellettuali che li studiavano.
Sono, questi, anni fondamentali per il D.: è uno studioso dei
problemi dell'emigrazione, ma opera sul campo; dirige (e, in
pratica, scrive interamente) IlPensiero italiano, che E. Sella
definì "il più importante periodico ... politico
liberale che sia stato pubblicato con simile scopo [per
l'emigrazione] in Svizzera" (Emigrazioneitaliana in Svizzera, Torino
1899); ma lavora col socialista Vergnanini nell'organizzazione della
"Colonia italiana"; è in rapporti amichevoli con L. Einaudi,
ma ne intrattiene di altrettanto cordiali con G. M. Serrati; gode
della protezione e della stima del console a Ginevra, L. Basso, che
ne favorisce la collaborazione col CGE, ma è ben introdotto
negli ambienti radicaleggianti e sovversivi.
Nel 1904 ebbe inizio la sua carriera nell'amministrazione statale:
con r.d. 29 sett. 1904 venne nominato addetto d'emigrazione a
Ginevra col compito principale di organizzare un servizio per gli
emigrati vittime di infortuni sul lavoro.
La crescita del flusso migratorio verificatasi in quegli anni
evidenziò tutti i limiti e le inadempienze delle strutture
consolari nella tutela degli emigrati: potenziare l'attività
dei consoli o creare una figura ad hoc più agile e
piùrispondente allo scopo? Il Consiglio dell'emigrazione
giunse a questa conclusione: "L'opera dei consoli non può
bastare. Quand'anche tutti si potessero dire ottimi, rimarrebbe il
vincolo della residenza. Raramente gli operai possono andare dal
console; deve la protezione andare da loro". E fissò il
criterio di "scegliere individui che abbiano consuetudine di
rapporti con gli operai, evitando il doppio pericolo che siano
troppo legati alle autorità locali o troppo avversi alle
medesime" (Rendicontid. Consiglio dell'emigrazione, in Bollettino
dell'emigrazione, n. 10 del 1904).
Furono così nominati in via sperimentale due addetti
d'emigrazione: G. Pertile a Colonia e il D. a Ginevra. I loro
compiti erano: essere informati di continuo sulle condizioni del
mercato di lavoro nella propria zona; visitare gli operai italiani
sul posto di lavoro per accertarne le condizioni e sostenerli con
informazioni ed aiuti in tutto quanto atteneva appunto al lavoro;
mantenere la piùstretta neutralità in caso di scioperi
ed adoperarsi per una soluzione pacifica dei conflitti col padron-
favorire istituzioni e provvedimenti in ato. favore degli operai.
Il D. svolse un'attività intensa e venne via via allargando
la sua sfera d'azione. Soltanto nel 1907-1908 sorvegliò 589
casi d'infortunio e per 210 di essi ottenne la liquidazione per
complessive 408.669 lire, intervenne in 96 vertenze di lavoro e
riusci a comporne 53, scrisse 15.685 lettere (Relazione del C.G.E.
sui servizi dell'emigrazione per il periodo aprile 1907-aprile1908).
Nel 1905 pubblicò una Carta del lavoro, cioèun grafico
della Confederazione elvetica con l'indicazione dei lavori edilizi,
idraulici e ferroviari, che successivamente fu aggiornata e
ristampata. Entrato in servizio (1º ott. 1904) continuò
a pubblicare il Bollettino del lavoro, che nel 1910 superò i
confini svizzeri e divenne Bollettino del lavoro per l'emigrante
italiano all'estero. Preparò guide per gli emigranti e
manuali sugli infortuni. Alla decisione del CGE di regolamentare la
figura dell'"addetto" e di creare a Ginevra un ufficio d'emigrazione
(r.d. 2 dic. 1906) certamente non fu estranea l'attività del
De Michelis. Il suo dinamismo e la sua grande capacità di
lavoro non potevano risolvere e non risolsero i problemi degli
emigrati italiani in Svizzera, allora circa 200.000, ma giovarono
alla sua carriera. Con r.d. 13 ott. 1912 il D., che nei mesi
precedenti aveva riorganizzato l'ufficio di Milano del CGE, venne
nominato commissario dell'emigrazione.
La promozione del D. non dovette far gioire quanti avevano subito
danni dalle sue iniziative e dal suo attivismo. In particolare, il
D. nel 1912 aveva contribuito a far fallire un progetto di linea di
navigazione italobrasiliana che aveva il non recondito scopo di
attirare contadini italiani nelle "fazendas". Egli, inoltre, aveva
fatto passare un'interpretazione dell'art. 24 della legge del 1901
(responsabilità del vettore in caso di reiezione
dell'emigrante dal porto di sbarco) più favorevole
all'emigrante.
Gli interessi colpiti reagirono con una violenta campagna di stampa
in cui si distinse IlResto del carlino. Naturalmente le accuse non
toccarono minimamente queste questioni; riguardarono, invece, la
scarsa tutela dell'emigrazione, la mancata pubblicazione della
relazione annuale del CGE, la correttezza formale di alcune nomine
(come appunto quella del D., avvenuta non per concorso) e il
dualismo esistente tra il personale consolare e quello del CGE.
L'obbiettivo era il D., il tiro era alto, ma, in definitiva, ci si
sarebbe contentati della sua testa.
Il commissario generale Gallina si vide costretto ad invocare
un'inchiesta parlamentare, che giudicò salomonicamente dando
ragione ad accusatori (il D. avrebbe "talvolta invaso le
attribuzioni spettanti al commissario generale" e non avrebbe
evitato "di disgregare l'armonia tra i colleghi" del CGE) e ad
accusati ("Circa il successo delle innovazioni attuate da De
Michelis, molti risultati ne fanno fede") e lasciando praticamente
le cose inalterate. Il D. ne patì una revoca della nomina a
commissario (r.d. 25 giugno 194), carica in cui fu peraltro presto
reintegrato (r.d. 28 febbr. 1915).
C'è da chiedersi se quest'esito non sia da attribuire ad
appoggi potenti almeno quanto le forze interessate ad una gestione
meno efficiente dei compiti istituzionali del CGE. Una suggestiva
chiave di lettura potrebbe essere quella dell'appartenenza, sicura
per il 194, del D. alla massoneria. Nella seconda metà del
1913, egli, proveniente dalla massoneria svizzera, venne affiliato
col trentatreesimo grado alla massoneria di palazzo Giustiniani. Ma
che le cose siano andate in questo modo e che in modo simile siano
potute andare più tardi, quando il D. rappresentò
l'Italia all'Organizzazione internazionale del lavoro, allo stato
attuale degli studi e delle fonti, è soltanto un'ipotesi.La
guerra di lì a pochi mesi avrebbe dissolto gli ultimi echi
dell'inchiesta. Lo stato di guerra, mentre allentò la
pressione degli armatori sul CGE, moltiplicò gli interventi e
gli spazi d'azione di quest'ultimo. Alla gestione dei vecchi servizi
si aggiunsero il rimpatrio dei connazionali e l'assistenza agli
internati, la mobilitazione degli italiani all'estero, la
concessione di sussidi e il servizio di nulla osta per il rilascio
di qualsiasi passaporto.
Il D., per parte sua, negoziò abilmente con la Francia
accordi per i fosfati tunisini, per il carbone alle industrie
italiane e per l'invio di manodopera italiana alle industrie
francesi e pose contemporaneamente le basi per un trattato di lavoro
firmato poi il 30 sett. 1919.
Italia e Francia avevano stabilito sin dal 1904 una
convenzione-quadro, che non disciplinava direttamente in materia di
lavoro ma stabiliva soltanto l'obbligo di negoziare una serie di
accordi speciali almeno informati al principio generale della
parificazione del trattamento dei lavoratori dei due paesi. Erano
seguiti alcuni limitati accordi. Dal 1916, facendo leva sul
crescente bisogno di operai in Francia, le trattative furono riprese
e portarono, nell'agosto-settembre 1919, alla firma del trattato in
cui fu sancita la parità di trattamento in materia di
assistenza, previdenza e legislazione del lavoro tra lavoratori
italiani e francesi. A riconoscimento di quest'attività il D.
fu nominato vicecommissario generale dell'emigrazione il 7 nov. 1918
e commissario generale il 14 ott. 1919.
Il D., divenuto capo del CGE, tentò di portare avanti con
decisione una politica che da tempo aveva elaborato. Già nel
marzo del 1917, in Consiglio d'emigrazione, aveva ribadito
l'opportunità di disciplinare l'emigrazione e di organizzarla
per assicurarle le più vantaggiose condizioni d'impiego. Sia
pure con riserve di tipo liberista, questa linea passò
all'interno del Consiglio e fu formalizzata con la promulgazione del
"Testo unico dei provvedimenti sulla emigrazione e sulla tutela
giuridica degli emigranti" (r.d. 13 nov. 1919, n. 2205, convertito,
solo molto più tardi, nella legge n. 473, del 17 apr. 1925).
Gli stessi eventi del dopoguerra spingevano in questa direzione.
Infatti, la previsione di dover addirittura frenare l'esodo
all'estero si dimostrò presto inconsistente. Gli sbocchi si
restrinsero progressivamente mentre cresceva la tensione sociale nel
paese: le vie praticabili divennero quindi strette ed obbligate. Le
iniziative che allora il D. curò particolarmente, tese - come
s'è detto - a vigilare e valorizzare l'emigrazione, furono:
qualificazione professionale dell'emigrante in patria, inchiesta
continuativa sui possibili mercati di lavoro all'estero, controllo
sistematico dei contratti individuali.1 stipulazione di nuovi ed
articolati contratti di lavoro, viaggi di propaganda all'estero per
mitigare le posizioni antimmigratorie nordamericane, progettazione
di iniziative capitalistiche di colonizzazione e di appalto in altri
paesi.
In una prospettiva economicistica dell'emigrazione - essa avrebbe
dovuto svolgersi non solo nella forma del lavoro salariato, che non
rendeva quanto avrebbe potuto agli emigranti ed al paese, ma essere
anche impiegata in imprese finanziate dal capitale italiano - il D.
creò nel 1920 l'Istituto nazionale per la colonizzazione e le
imprese di lavoro all'estero (INCILE). Nelle intenzioni del D. esso
avrebbe dovuto coinvolgere banche, società di navigazione e
rappresentanti della grande industria; in realtà ebbe appoggi
solo formali e fu dotato di un capitale irrisorio (2.500.000 di
lire).
La creatura del D., elaborata sul modello tedesco, trovò
tiepidi sostenitori negli ambienti stessi del CGE: il Consiglio
dell'emigrazione si divise nel giudizio sul nuovo ente ed attese di
vederlo alla prova dei fatti. Questi mancarono e l'INCILE
sopravvisse nella forma di sindacato di studi. Migliore fortuna ebbe
negli anni successivi l'Istituto nazionale di credito per il lavoro
italiano all'estero (ICLE), creato ancora dal D. nel 1923, ma sorto
per volere di Mussolini e dotato di un capitale di 100 milioni.
Manca sull'ICLE uno studio approfondito. 1 giudizi espressi non
sono, però, positivi. F. Balletta, ad esempio, in IlBanco di
Napoli e le rimesse degli emigranti 1914-1925 (Napoli 1972),
sostiene che, pur favorendo gli investimenti all'estero, esso
contribuì a ridurre la quantità di risparmi inviati in
Italia dagli emigranti. La sua attività fu, comunque, spesso
oggetto di polemiche e si concretò in colonizzazioni africane
e in imprese edilizie, di tipo abbastanza speculativo, in America
latina.
Con l'avvento del fascismo, la politica migratoria non subì,
almeno per alcuni anni, sostanziali revisioni benché il CGE
venisse privato dell'autonomia fino ad allora goduta e aggregato
all'apparato del ministero degli Esteri nel gennaio del 1923: era il
preludio alla soppressione, avvenuta nell'aprile 1927, e costituiva
momento obbligato della politica accentratrice perseguita dal regime
per il quale, per di più, anche l'emigrazione doveva avere
forti valenze politiche. Nel 1927 il fascismo dava inizio alla
politica demografica ed operava le prime scelte africane per
l'emigrazione la quale diventava così motivo dichiarato di
una politica "imperiale".
È lecito avanzare qualche dubbio sul fatto che il D.
condividesse interamente queste scelte, almeno a giudicare da
informazioni di polizia. Sta però di fatto che nel 1924 i
fasci all'estero gli offrirono la tessera fascista onoraria e che in
una lettera a Mussolini del 1941 egli datò la sua adesione
"spontanea" al fascismo nell'estate del 1924, dopo il delitto
Matteotti. Ma, problemi di datazione a parte, spontanea o opportuna
che fosse, l'adesione al fascismo del D. fu una scelta. Non si
spiegherebbero altrimenti i grandi servizi resi da lui al fascismo
in campo internazionale. Già membro della delegazione
italiana alla Conferenza della pace come esperto di questioni di
lavoro e d'emigrazione, il D., dal 1920 al 1936, rappresentò
il governo italiano nel consiglio d'amministrazione dell'Ufficio
internazionale del lavoro e fu capo delle delegazioni italiane alle
conferenze internazionali del lavoro. In questa veste, sin dal 1923,
Si adoperò a Ginevra perché E. Rossoni, rappresentante
delle corporazioni fasciste, venisse riconosciuto come delegato
operaio italiano e spese tutta l'influenza ed il prestigio di cui
godeva per contrastare le proteste che, a nome della Confederazione
generale del lavoro, annualmente venivano avanzate dai delegati
operai di altri paesi. Inoltre, tra il 15 ed il 31 maggio 1924,
presiedette, dopo averla organizzata, una conferenza internazionale
dell'emigrazione e dell'immigrazione, priva di risultati pratici per
l'emigrazione ma trasformatasi in un'affermazione di prestigio per
il nuovo regime essendo presenti i delegati di 59 paesi.
Se l'adesione al fascismo non fosse stata una scelta non si
spiegherebbe che il suo scritto più importante degli anni
Trenta sia intitolato Lacorporazione nel mondo.
Quest'opera, pubblicata a Milano nel 1934, fuun approdo naturale:
nei primi anni Venti il D. propugnava l'integrazione di capitale e
lavoro nazionali all'estero; nel 1927, alle riunioni
dell'Organizzazione internazionale del lavoro, auspicava la
collaborazione triangolare tra possessori di terre e materie prime,
di capitali e di lavoro; nel 1934sosteneva che capitali ed uomini di
paesi sovrappopolati, cooperanti tra loro e sotto la guida di grandi
organismi internazionali come la Società delle nazioni o
l'Organizzazione internazionale dei lavoro o l'Istituto
internazionale d'agricoltura, sfruttassero direttamente le risorse
naturali inutilizzate in particolare in Africa. Era la
legittimazione preventiva delle ragioni più tardi accampate
dal fascismo per portare la guerra in Etiopia.
Nel gennaio 1929 G. Bottai lo propose senatore enumerandone i grandi
meriti fascisti, e Mussolini ne approvò la proposta. Dopo lo
scoppio della seconda guerra mondiale il D. entrò
progressivamente nell'ombra e vi rimase dalla caduta del fascismo
alla morte, avvenuta a Roma il 14 ott. 1951.