DE MICHELIS, Giuseppe

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DBI

di Maria Rosaria Ostuni

Nacque a Pistoia il 6 apr. 1872 da Paolo e da Luigia Candia di Gavi. La famiglia era originaria di Novi Ligure. Compì gli studi universitari in Svizzera, dove si era trasferito intorno al 1890. Nel 1901 conseguì la laurea in medicina presso l'università di Losanna e per alcuni anni, fino al 1905, fu assistente presso la cattedra di igiene, batteriologia e medicina sperimentale dell'università di Ginevra. Negli stessi anni e nella stessa università seguì i corsi di giurisprudenza riuscendo ad ottenere la seconda laurea.

Nel 1902 fu incaricato dal Commissariato generale dell'emigrazione (CGE) di studiare le condizioni degli operai italiani in Svizzera ed i risultati della sua minuziosa indagine furono pubblicati a cura dello stesso CGE (L'emigrazione italiananella Svizzera, in Bollettino dell'emigrazione, n. 12 del 1903).

Il CGE venne istituito con la legge 31 genn. 1901 n. 23, come ufficio speciale per la tutela dell'emigrazione. Non ebbe, almeno nei primi anni, vita facile per gli ostacoli frapposti alla sua azione dalle società di navigazione e per l'azione di freno al suo decollo esercitata dal ministero degli Esteri, da cui, sia pure in modo anomalo, dipendeva. Il CGE non costituiva una direzione generale del ministero degli Esteri, ma dipendeva direttamente dal ministro; aveva a capo come commissario generale un funzionario d'alto grado che poteva provenire da qualsiasi comparto dello Stato - e, di fatto, furono commissari generali: un direttore della" divisione statistica del ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio (L. Bodio), un ammiraglio (L. Reynaudi), un consigliere di Stato (p. Di Fratta), due deputati (L. Rossi e G. Gallina), un diplomatico (E. Mayor des Planches) ed, infine, il D. (l'unico che provenisse dall'interno stesso del CGE) - dal quale veniva distaccato ed al quale faceva ritorno: e questa "estraneità" del commissario generale non ebbe, almeno fino alla prima guerra mondiale, conseguenze benefiche.

Gli armatori avevano desiderato che il CGE non nascesse; una volta nato, desiderarono che non funzionasse. La legge n. 23, approvata dopo anni di lenta e contrastata gestazione, fu un compromesso tra due progetti, d'iniziativa parlamentare l'uno, governativo l'altro, contrastanti tra loro soprattutto riguardo al problema degli agenti d'emigrazione, giudicati quasi universalmente come loschi figuri che battevano il paese per fare incetta di emigranti da "vendere" alle compagnie. Con l'approvazione della legge fu formalmente abolita la figura dell'agente d'emigrazione e si cercò di limitare il monopolio delle compagnie affidando allo Stato - e, per esso, al CGE - il compito di fissare l'altezza massima dei noli: da qui le ire delle società di navigazione e le iniziative per limitare i già scarsi poteri del CGE.

D'altra parte, all'interno del Parlamento, che, mediante alcuni organismi di controllo quali il Consiglio dell'emigrazione e la Commissione parlamentare di vigilanza sulla gestione del fondo dell'emigrazione, influenzava la linea politica del CGE, operavano, accanto ai rappresentanti degli armatori, quelli degli agrari. Questi volevano che l'emigrazione non venisse tutelata, ma impedita: più numerosi partivano gli emigranti, più salivano i salari nelle campagne.

Quando il D. ebbe dal CGE l'incarico di studiare le condizioni degli emigrati italiani in Svizzera, aveva gia alle spalle una vasta esperienza nel campo dell'ernigrazione. Dall'ottobre 1894 all'ottobre 1895 aveva diretto a Ginevra IlPensiero italiano, un giornale caratterizzato dalla ricchezza delle informazioni utili agli emigrati. Dal novembre 1895 a tutto il 1898 s'impegnò insieme ad Antonio Vergnanini (segretario dell'Unione socialista di lingua italiana e fondatore di un segretariato italiano per l'emigrazione) nell'organizzare la "Colonia italiana", un'istituzione di assistenza nata col contributo dell'intera comunità italiana di Ginevra e finita per i contrasti interni alla comunità stessa. Nonostante ciò le realizzazioni della "Colonia" furono molte e varie: dalla scuola serale per adulti alla biblioteca, dal dispensario medico alla concessione di sconti per l'acquisto di farmaci, dall'ufficio di informazioni e di collocamento al lavoro alla consulenza legale. Stampava, perfino, un bollettino-guida sul mercato del lavoro nella Confederazione.

Il D., nel frattempo, continuava a studiare (inchiesta sui lavoratori italiani impiegati nei cantieri dei Sempione e sulle condizioni abitative degli immigrati nelle città) e avviava e stringeva rapporti con tutti coloro che in Svizzera avevano a che fare con l'emigrazione, dalle autorità consolari agli operatori politici.

Gli anni di fine secolo furono di cambiamenti e di lotte all'interno delle comunità italiane in Svizzera: agli emigrati politici e ai pochi operai specializzati si era aggiunta una manodopera in massima parte non qualificata e alla quale erano riservati i lavori edili più faticosi e lo sterramento per la costruzione di strade e ferrovie. All'interno di questo mondo variegato operavano insieme uomini e strutture diversissimi, di volta in volta alleati o avversari. C'era l'Unione socialista italiana in Svizzera (poi Unione socialista di lingua italiana e infine Partito socialista italiano in Svizzera, ancora alla ricerca di una politica aderente alle cose) e c'era la "Bonomelli" (il patronato cattolico di assistenza agli emigranti), c'erano gli anarchici e i predicatori evangelici, i consoli che seguivano ex officio gli emigrati e gli intellettuali che li studiavano.

Sono, questi, anni fondamentali per il D.: è uno studioso dei problemi dell'emigrazione, ma opera sul campo; dirige (e, in pratica, scrive interamente) IlPensiero italiano, che E. Sella definì "il più importante periodico ... politico liberale che sia stato pubblicato con simile scopo [per l'emigrazione] in Svizzera" (Emigrazioneitaliana in Svizzera, Torino 1899); ma lavora col socialista Vergnanini nell'organizzazione della "Colonia italiana"; è in rapporti amichevoli con L. Einaudi, ma ne intrattiene di altrettanto cordiali con G. M. Serrati; gode della protezione e della stima del console a Ginevra, L. Basso, che ne favorisce la collaborazione col CGE, ma è ben introdotto negli ambienti radicaleggianti e sovversivi.

Nel 1904 ebbe inizio la sua carriera nell'amministrazione statale: con r.d. 29 sett. 1904 venne nominato addetto d'emigrazione a Ginevra col compito principale di organizzare un servizio per gli emigrati vittime di infortuni sul lavoro.

La crescita del flusso migratorio verificatasi in quegli anni evidenziò tutti i limiti e le inadempienze delle strutture consolari nella tutela degli emigrati: potenziare l'attività dei consoli o creare una figura ad hoc più agile e piùrispondente allo scopo? Il Consiglio dell'emigrazione giunse a questa conclusione: "L'opera dei consoli non può bastare. Quand'anche tutti si potessero dire ottimi, rimarrebbe il vincolo della residenza. Raramente gli operai possono andare dal console; deve la protezione andare da loro". E fissò il criterio di "scegliere individui che abbiano consuetudine di rapporti con gli operai, evitando il doppio pericolo che siano troppo legati alle autorità locali o troppo avversi alle medesime" (Rendicontid. Consiglio dell'emigrazione, in Bollettino dell'emigrazione, n. 10 del 1904).

Furono così nominati in via sperimentale due addetti d'emigrazione: G. Pertile a Colonia e il D. a Ginevra. I loro compiti erano: essere informati di continuo sulle condizioni del mercato di lavoro nella propria zona; visitare gli operai italiani sul posto di lavoro per accertarne le condizioni e sostenerli con informazioni ed aiuti in tutto quanto atteneva appunto al lavoro; mantenere la piùstretta neutralità in caso di scioperi ed adoperarsi per una soluzione pacifica dei conflitti col padron- favorire istituzioni e provvedimenti in ato. favore degli operai.

Il D. svolse un'attività intensa e venne via via allargando la sua sfera d'azione. Soltanto nel 1907-1908 sorvegliò 589 casi d'infortunio e per 210 di essi ottenne la liquidazione per complessive 408.669 lire, intervenne in 96 vertenze di lavoro e riusci a comporne 53, scrisse 15.685 lettere (Relazione del C.G.E. sui servizi dell'emigrazione per il periodo aprile 1907-aprile1908). Nel 1905 pubblicò una Carta del lavoro, cioèun grafico della Confederazione elvetica con l'indicazione dei lavori edilizi, idraulici e ferroviari, che successivamente fu aggiornata e ristampata. Entrato in servizio (1º ott. 1904) continuò a pubblicare il Bollettino del lavoro, che nel 1910 superò i confini svizzeri e divenne Bollettino del lavoro per l'emigrante italiano all'estero. Preparò guide per gli emigranti e manuali sugli infortuni. Alla decisione del CGE di regolamentare la figura dell'"addetto" e di creare a Ginevra un ufficio d'emigrazione (r.d. 2 dic. 1906) certamente non fu estranea l'attività del De Michelis. Il suo dinamismo e la sua grande capacità di lavoro non potevano risolvere e non risolsero i problemi degli emigrati italiani in Svizzera, allora circa 200.000, ma giovarono alla sua carriera. Con r.d. 13 ott. 1912 il D., che nei mesi precedenti aveva riorganizzato l'ufficio di Milano del CGE, venne nominato commissario dell'emigrazione.

La promozione del D. non dovette far gioire quanti avevano subito danni dalle sue iniziative e dal suo attivismo. In particolare, il D. nel 1912 aveva contribuito a far fallire un progetto di linea di navigazione italobrasiliana che aveva il non recondito scopo di attirare contadini italiani nelle "fazendas". Egli, inoltre, aveva fatto passare un'interpretazione dell'art. 24 della legge del 1901 (responsabilità del vettore in caso di reiezione dell'emigrante dal porto di sbarco) più favorevole all'emigrante.

Gli interessi colpiti reagirono con una violenta campagna di stampa in cui si distinse IlResto del carlino. Naturalmente le accuse non toccarono minimamente queste questioni; riguardarono, invece, la scarsa tutela dell'emigrazione, la mancata pubblicazione della relazione annuale del CGE, la correttezza formale di alcune nomine (come appunto quella del D., avvenuta non per concorso) e il dualismo esistente tra il personale consolare e quello del CGE. L'obbiettivo era il D., il tiro era alto, ma, in definitiva, ci si sarebbe contentati della sua testa.

Il commissario generale Gallina si vide costretto ad invocare un'inchiesta parlamentare, che giudicò salomonicamente dando ragione ad accusatori (il D. avrebbe "talvolta invaso le attribuzioni spettanti al commissario generale" e non avrebbe evitato "di disgregare l'armonia tra i colleghi" del CGE) e ad accusati ("Circa il successo delle innovazioni attuate da De Michelis, molti risultati ne fanno fede") e lasciando praticamente le cose inalterate. Il D. ne patì una revoca della nomina a commissario (r.d. 25 giugno 194), carica in cui fu peraltro presto reintegrato (r.d. 28 febbr. 1915).

C'è da chiedersi se quest'esito non sia da attribuire ad appoggi potenti almeno quanto le forze interessate ad una gestione meno efficiente dei compiti istituzionali del CGE. Una suggestiva chiave di lettura potrebbe essere quella dell'appartenenza, sicura per il 194, del D. alla massoneria. Nella seconda metà del 1913, egli, proveniente dalla massoneria svizzera, venne affiliato col trentatreesimo grado alla massoneria di palazzo Giustiniani. Ma che le cose siano andate in questo modo e che in modo simile siano potute andare più tardi, quando il D. rappresentò l'Italia all'Organizzazione internazionale del lavoro, allo stato attuale degli studi e delle fonti, è soltanto un'ipotesi.La guerra di lì a pochi mesi avrebbe dissolto gli ultimi echi dell'inchiesta. Lo stato di guerra, mentre allentò la pressione degli armatori sul CGE, moltiplicò gli interventi e gli spazi d'azione di quest'ultimo. Alla gestione dei vecchi servizi si aggiunsero il rimpatrio dei connazionali e l'assistenza agli internati, la mobilitazione degli italiani all'estero, la concessione di sussidi e il servizio di nulla osta per il rilascio di qualsiasi passaporto.

Il D., per parte sua, negoziò abilmente con la Francia accordi per i fosfati tunisini, per il carbone alle industrie italiane e per l'invio di manodopera italiana alle industrie francesi e pose contemporaneamente le basi per un trattato di lavoro firmato poi il 30 sett. 1919.

Italia e Francia avevano stabilito sin dal 1904 una convenzione-quadro, che non disciplinava direttamente in materia di lavoro ma stabiliva soltanto l'obbligo di negoziare una serie di accordi speciali almeno informati al principio generale della parificazione del trattamento dei lavoratori dei due paesi. Erano seguiti alcuni limitati accordi. Dal 1916, facendo leva sul crescente bisogno di operai in Francia, le trattative furono riprese e portarono, nell'agosto-settembre 1919, alla firma del trattato in cui fu sancita la parità di trattamento in materia di assistenza, previdenza e legislazione del lavoro tra lavoratori italiani e francesi. A riconoscimento di quest'attività il D. fu nominato vicecommissario generale dell'emigrazione il 7 nov. 1918 e commissario generale il 14 ott. 1919.

Il D., divenuto capo del CGE, tentò di portare avanti con decisione una politica che da tempo aveva elaborato. Già nel marzo del 1917, in Consiglio d'emigrazione, aveva ribadito l'opportunità di disciplinare l'emigrazione e di organizzarla per assicurarle le più vantaggiose condizioni d'impiego. Sia pure con riserve di tipo liberista, questa linea passò all'interno del Consiglio e fu formalizzata con la promulgazione del "Testo unico dei provvedimenti sulla emigrazione e sulla tutela giuridica degli emigranti" (r.d. 13 nov. 1919, n. 2205, convertito, solo molto più tardi, nella legge n. 473, del 17 apr. 1925).

Gli stessi eventi del dopoguerra spingevano in questa direzione. Infatti, la previsione di dover addirittura frenare l'esodo all'estero si dimostrò presto inconsistente. Gli sbocchi si restrinsero progressivamente mentre cresceva la tensione sociale nel paese: le vie praticabili divennero quindi strette ed obbligate. Le iniziative che allora il D. curò particolarmente, tese - come s'è detto - a vigilare e valorizzare l'emigrazione, furono: qualificazione professionale dell'emigrante in patria, inchiesta continuativa sui possibili mercati di lavoro all'estero, controllo sistematico dei contratti individuali.1 stipulazione di nuovi ed articolati contratti di lavoro, viaggi di propaganda all'estero per mitigare le posizioni antimmigratorie nordamericane, progettazione di iniziative capitalistiche di colonizzazione e di appalto in altri paesi.

In una prospettiva economicistica dell'emigrazione - essa avrebbe dovuto svolgersi non solo nella forma del lavoro salariato, che non rendeva quanto avrebbe potuto agli emigranti ed al paese, ma essere anche impiegata in imprese finanziate dal capitale italiano - il D. creò nel 1920 l'Istituto nazionale per la colonizzazione e le imprese di lavoro all'estero (INCILE). Nelle intenzioni del D. esso avrebbe dovuto coinvolgere banche, società di navigazione e rappresentanti della grande industria; in realtà ebbe appoggi solo formali e fu dotato di un capitale irrisorio (2.500.000 di lire).

La creatura del D., elaborata sul modello tedesco, trovò tiepidi sostenitori negli ambienti stessi del CGE: il Consiglio dell'emigrazione si divise nel giudizio sul nuovo ente ed attese di vederlo alla prova dei fatti. Questi mancarono e l'INCILE sopravvisse nella forma di sindacato di studi. Migliore fortuna ebbe negli anni successivi l'Istituto nazionale di credito per il lavoro italiano all'estero (ICLE), creato ancora dal D. nel 1923, ma sorto per volere di Mussolini e dotato di un capitale di 100 milioni.

Manca sull'ICLE uno studio approfondito. 1 giudizi espressi non sono, però, positivi. F. Balletta, ad esempio, in IlBanco di Napoli e le rimesse degli emigranti 1914-1925 (Napoli 1972), sostiene che, pur favorendo gli investimenti all'estero, esso contribuì a ridurre la quantità di risparmi inviati in Italia dagli emigranti. La sua attività fu, comunque, spesso oggetto di polemiche e si concretò in colonizzazioni africane e in imprese edilizie, di tipo abbastanza speculativo, in America latina.

Con l'avvento del fascismo, la politica migratoria non subì, almeno per alcuni anni, sostanziali revisioni benché il CGE venisse privato dell'autonomia fino ad allora goduta e aggregato all'apparato del ministero degli Esteri nel gennaio del 1923: era il preludio alla soppressione, avvenuta nell'aprile 1927, e costituiva momento obbligato della politica accentratrice perseguita dal regime per il quale, per di più, anche l'emigrazione doveva avere forti valenze politiche. Nel 1927 il fascismo dava inizio alla politica demografica ed operava le prime scelte africane per l'emigrazione la quale diventava così motivo dichiarato di una politica "imperiale".

È lecito avanzare qualche dubbio sul fatto che il D. condividesse interamente queste scelte, almeno a giudicare da informazioni di polizia. Sta però di fatto che nel 1924 i fasci all'estero gli offrirono la tessera fascista onoraria e che in una lettera a Mussolini del 1941 egli datò la sua adesione "spontanea" al fascismo nell'estate del 1924, dopo il delitto Matteotti. Ma, problemi di datazione a parte, spontanea o opportuna che fosse, l'adesione al fascismo del D. fu una scelta. Non si spiegherebbero altrimenti i grandi servizi resi da lui al fascismo in campo internazionale. Già membro della delegazione italiana alla Conferenza della pace come esperto di questioni di lavoro e d'emigrazione, il D., dal 1920 al 1936, rappresentò il governo italiano nel consiglio d'amministrazione dell'Ufficio internazionale del lavoro e fu capo delle delegazioni italiane alle conferenze internazionali del lavoro. In questa veste, sin dal 1923, Si adoperò a Ginevra perché E. Rossoni, rappresentante delle corporazioni fasciste, venisse riconosciuto come delegato operaio italiano e spese tutta l'influenza ed il prestigio di cui godeva per contrastare le proteste che, a nome della Confederazione generale del lavoro, annualmente venivano avanzate dai delegati operai di altri paesi. Inoltre, tra il 15 ed il 31 maggio 1924, presiedette, dopo averla organizzata, una conferenza internazionale dell'emigrazione e dell'immigrazione, priva di risultati pratici per l'emigrazione ma trasformatasi in un'affermazione di prestigio per il nuovo regime essendo presenti i delegati di 59 paesi.

Se l'adesione al fascismo non fosse stata una scelta non si spiegherebbe che il suo scritto più importante degli anni Trenta sia intitolato Lacorporazione nel mondo.

Quest'opera, pubblicata a Milano nel 1934, fuun approdo naturale: nei primi anni Venti il D. propugnava l'integrazione di capitale e lavoro nazionali all'estero; nel 1927, alle riunioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro, auspicava la collaborazione triangolare tra possessori di terre e materie prime, di capitali e di lavoro; nel 1934sosteneva che capitali ed uomini di paesi sovrappopolati, cooperanti tra loro e sotto la guida di grandi organismi internazionali come la Società delle nazioni o l'Organizzazione internazionale dei lavoro o l'Istituto internazionale d'agricoltura, sfruttassero direttamente le risorse naturali inutilizzate in particolare in Africa. Era la legittimazione preventiva delle ragioni più tardi accampate dal fascismo per portare la guerra in Etiopia.

Nel gennaio 1929 G. Bottai lo propose senatore enumerandone i grandi meriti fascisti, e Mussolini ne approvò la proposta. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale il D. entrò progressivamente nell'ombra e vi rimase dalla caduta del fascismo alla morte, avvenuta a Roma il 14 ott. 1951.