DA COMO, Ugo

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Uomo politico e storico italiano (Brescia 1869 - Lonato 1941). Deputato di sinistra dal 1904 al 1919, senatore dal 3 ott. 1920, fu sottosegretario alle Finanze (1914) e al Tesoro (1914-17), ministro per l'Assistenza militare e le pensioni di guerra (1919). Ritiratosi a vita privata nel 1925, si dedicò a studi storici (tra l'altro curò l'edizione dei Comizi nazionali di Lione, 3 voll., 1934-40), al cui incremento destinò tutto il suo patrimonio.

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DBI

di Lauro Rossi


Nacque a Brescia il 16 marzo 1869 da Giuseppe, professore di scienze esatte, e da Fanny Biseo. Suo padre, dotato di notevole cultura (era anche scrittore e poeta), politicamente vicino alle posizioni di G. Zanardelli, lo introdusse nell'Ateneo, il più prestigioso istituto culturale della città, dove, il giovane D. Ancontrò Gabriele Rosa e Giuseppe Cesare Abba. Frequentato il locale liceo "Arnaldo", egli si trasferì a Roma dove conseguì la laurea in giurisprudenza con una tesi di diritto delle colonie in cui sosteneva l'importanza delle conquiste coloniali per fare grande una nazione.

Incerto tra l'insegnamento, per il quale si sentiva portato, e l'avvocatura, si dedicò a quest'ultima anche per le pressioni esercitate su di lui dallo Zanardelli, amico di famiglia. Questi lo volle nel suo studio bresciano e gli affidò incarichi di notevole responsabilità, sollecitandolo nel frattempo ai primi impegni politici. Nel 1892 divenne membro del Consiglio comunale di Lonato (Brescia) e, qualche tempo dopo, assessore comunale di Brescia. Nel settembre 1894 sposò Maria Glisenti, figlia di un noto industriale.

Nel 1904, sostenuto dagli amici bresciani seguaci dello Zanardelli, si presentò candidato alle elezioni e venne eletto deputato per il collegio di Lonato. Restò alla Camera anche nelle due successive legislature (XXIII e XXIV) occupandosi soprattutto dei problemi finanziari e della Pubblica Istruzione. Fu relatore di alcune proposte di legge come quella sulla riforma degli esami nelle scuole medie ed elementari (1907). Rifiutate alcune offerte di partecipazione a governi (tra le quali una di Giolitti, che nel 1911 voleva affidargli l'incarico di sottosegretario alla Pubblica Istruzione), accettò, nel marzo 1914, di far parte dei primo ministero Salandra quale sottosegretario alle Finanze. Nel novembre dello stesso anno fu poi nominato sottosegretario al Tesoro nel secondo governo Salandra (si batté per la sua nomina Paolo Carcano, titolare del dicastero); carica che gli venne confermata nel successivo governo Boselli (giugno 1916-ottobre 1917).

Favorevole all'intervento in guerra "per vedere finalmente risolta la questione delle terre irredente", durante il conflittò si occupò in particolare dei problema delle pensioni di guerra, a proposito del quale denunciò a più riprese "l'inadeguatezza e i limiti" della legislazione italiana. In un inteivento dell'agosto 1917, (Appunti sulle pensioni di guerra, in Nuova Antologia, 1° ag. 1917), al termine di una circostanziata analisi dei provvedimenti presi in materia dai più evoluti paesi europei, dimostrava le carenze della normativa italiana nel campo dell'assistenza alle vedove e agli orfani e come si dovesse notevolmente sveltire la procedura per la concessione delle pensioni.

La sua competenza e scrupolosità, che portarono ad un effettivo miglioramento della situazione pensionistica di guerra, gli valsero, il 23 giugno 1919, nel primo governo Nitti, la nomina a ministro dell'Assistenza militare e Pensioni di guerra.

Egli riuscì quasi a raddoppiare l'organico ed a sistemare il ministero, istituito nel 1917, in una sede adeguata (l'ex hotel Majestic). Si batté inoltre per far approvare una serie di provvedimenti come il sistema della presunzione per le infermità e le malattie contratte ed aggravate in guerra, la gradualità degli assegni e il reinserimento degli invalidi e dei mutilati nella realtà lavorativa. Ma soprattutto risultò snellita la procedura delle pratiche (si passò da circa 8.000 a 30.000 incartamenti esaminati in un mese).

Nelle elezioni del novembre 1919, le prime effettuate con il sistema dello scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale, il D. tuttavia non fu rieletto. Nella lista in cui si era presentato, l'Unione democratica bresciana, fu sopravanzato di circa 400 voti dal radicale Carlo Bonardi, unico eletto. Rassegnate le dimissioni, il dicastero da lui presieduto fu soppresso e le sue attribuzioni affidate al ministero del Tesoro, che istituì nel giugno 1920 un apposito sottosegretariato.

La delusione per la mancata rielezione (imputabile forse alla scarsa partecipazione alla campagna elettorale nel collegio dovuta ai pressanti impegni romani) non lo distolse, comunque, dalla vita politica. Nominato senatore il 3 ottobre del 1920, il D. si occupò di problemi finanziari e coloniali. In un intervento del 1922 denunciava l'abuso di decreti-legge e la sistematica esautorazione degli organi parlamentari da parte del governo Facta. Assunse anche in questi anni cariche tecnico-amministrative di un certo rilievo, quali la presidenza dei Comitato centrale per la liquidazione e l'immediato pagamento dei risarcimenti e dei danni di guerra e, nel 1923, la presidenza della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (ora Istituto nazionale della previdenza sociale), incarico che tenne sino al 1925. Nel giugno '24 gli fu offerto il dicastero dell'Economia nazionale che rifiutò per "non accondiscendere alle transazioni e alle adattabilità della politica attiva". In seguito al delitto Matteotti e alla drastica svolta impressa da Mussolini con le leggi speciali del principio del '25, prese le distanze dal regime finendo con l'appartarsi nel suo castello di Lonato. Qui riprese i suoi studi e il suo impegno culturale occupandosi in maniera più continua dell'Ateneo di Brescia, del quale, dal 1912 al '20 era stato presidente, e arricchendo la sua biblioteca, già piuttosto cospicua (arrivò a contare circa 30.000 volumi), di codici, di incunaboli ed altre preziose testimonianze dei primi secoli della stampa a Brescia e nel suo circondario. Nel settembre 1926, inoltre, entrò a far parte del Consiglio centrale della Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano.

Risale a questo periodo la sua più intensa produzione storiografica. Nel '26 uscì, a Bologna, La Repubblica bresciana, opera nella quale delinea le vicende del governo rivoluzionario del 1797, facendo soprattutto risaltare le doti morali dei protagonisti. Il volume, sorretto da un solido impianto documentario, risulta un po' appesantito dal tono magniloquente da cui è pervaso. Nel 1928 apparve, sempre a Bologna, un lavoro sulla vita culturale lonatese del Cinquecento: Umanisti del secolo XVI. Pier Francesco Zini, suoi amici e congiunti nei ricordi di Lonato, sacro ed ameno recesso sulla riviera di Benaco, nel quale ricostruisce il dibattito di quegli anni e i maggiori contributi dei singoli autori. Del 1930 è poi la monografia Girolamo Muziano (1528-1592). Note e documenti (Bergamo), nella quale illustra i momenti salienti della vita e le opere principali dei pittore nato a Brescia ma operante a Roma. Il lavoro non fu favorevolmente accolto dalla critica in quanto giudicato poco approfondito nell'analisi iconografica.

Tra il 1934 e il '40 vide la luce a Bologna il suo lavoro di maggior respiro: I Comizi nazionali di Lione per la costituzione della Repubblica italiana, curato per la Reale Accademia dei Lincei.

L'opera, che si articola in tre volumi per complessivi cinque tomi, pone al centro del suo esame l'Assemblea dei notabili della Cisalpina, riunita da Napoleone Bonaparte a Lione nel dicembre 1801 per discutere ed approvare la costituzione di quello Stato. Nell'avvenimento il D. individua uno dei momenti cruciali della vita italiana: quello in cui si possono rilevare i germi dei futuro movimento nazionale. Ma il poderoso lavoro si fa apprezzare soprattutto per la grande quantità di materiale documentario anche inedito che riporta (atti, verbali, epistolari e memorie dell'epoca). Meno soddisfacente appare il commento storico del D., che a parte il tono enfatico, risente troppo di uno schema interpretativo legato all'individuazione dei prodromi del Risorgimento, trascurando dei tutto l'analisi delle reali coordinate della situazione politica e sociale. Tuttavia l'opera rimane strumento indispensabile per chi si avvicini all'argomento.

Il D. morì nel suo castello di Lonato il 5 sett. 1941, disponendo l'istituzione di una