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I Costituti di Federico Gonfalonieri, a cura di FRANCESCO SALATA.
(Istituto storico italiano per L'età moderna e contemporanea. Fonti
per la storia d'Italia); volumi 3, Bologna, Zanichelli, 1940-41, in
4, pp. X-306, 328, 337. L. 50 ogni volume.
Dove fossero andati a finire i Costituti di Federico Confalonieri,
era rimasto finora per i biografi del conte un problema insoluto. Il
Cusani nella sua Storia di Milano (Milano, 1865-84, VIII,
p. 6) aveva scritto che quei documenti erano stati consultati
superficialmente da Giuseppe Rovani nel 1863, e che in seguito egli
stesso li aveva esaminati per oltre due mesi; più tardi il
Bonfadini, nel suo Mezzo secolo di patriottismo (Milano,
Treves, 1886, p. 173), scriveva che i volumi del processo erano
conservati in archivio in bell'ordine e in regolari cartelle. Ma
quando il D'Ancona, negli anni che corrono dalla pubblicazione da
lui curata delle Memorie e lettere del Confalonieri (Milano, Hoepli,
1890) e la stesura della biografia del conte (Federico
Confalonieri, Milano, Treves, 1898), potè consultare gli Atti
del processo a carico del Confalonieri e compagni, che si trovano
nel R. Archivio di Stato di Milano, nulla potè rinvenire dei
Costituti, che erano miracolosamente scomparsi. Da allora,
nonostante le accurate ricerche condotte non solo in Italia, ma
anche in Austria, dei Costituti non si era potuto ritrovare la
traccia.
In mancanza del testo completo ed autentico di quei documenti, gli
storici ed i biografi del conte Confalonieri si erano serviti della
Relazione del Salvotti, l'istruttore del mastodontico processo,
della quale la seconda parte, intitolata Risultato e voto,
fu pubblicata dal D'Ancona nell'opera citata (pp. 339-99), mentre la
prima, che comprende le sole emergenze di fatto, fu pubblicata più
tardi dal Luzio nei Nuovi documenti sul processo Confalonieri
(Roma, 1908). Il Sandonà, poi, rese note le relazioni mensili del
Salvotti all'Imperatore, pubblicandole nella rivista Il Risorgimento
Italiano (1910), come Contributo alla storia dei processi del
1821; e documenti assai notevoli il Rinieri, avendo in archivi
privati ritrovato l'estratto di alcuni dei Costituti, li pubblicò
nel volume intitolato I Costituti del conte Confalonieri e il
Principe di Carignano (Torino, Streglio, 1902).
Stava a tal punto l'indagine e la conoscenza dei documenti
riguardanti il processo del Confalonieri, quando, nell'autunno del
1924, il Salata, lavorando nel Haus-Hofund Staatsarchiv di Vienna,
ebbe la fortuna ed il merito di ritrovare finalmente i 53 Costituti
mancanti negli atti del processo di Milano, che ora, rivendicati
all'Italia e depositati nel R. Archivio di Stato di Milano, vedono
la luce nella bella edizione delle Fonti dell'Istituto storico per
l'età moderna e contemporanea.
Il ritrovamento di questi documenti non è di poca importanza:
interpretazioni diverse e quasi opposte sulle qualità e
sull'atteggiamento del Confalonieri erano derivate agli studiosi,
oltre che da differenti posizioni mentali, anche da diverse
supposizioni su quel che potessero essere con esattezza questi
documenti: e mentre il D'Ancona era d'opinione che non convenisse
prestar fede eccessiva alla versione che delle deposizioni del
Confalonieri dava il Salvotti nella sua Relazione, il Luzio, di
contro, pensava che il Salvotti fosse stato fedelissimo nel
riportare le parole del Conte, delle quali, secondo lui, non era
stata alterata una sola parola. Il Luzio suffragava, la sua opinione
col confronto che egli faceva e che al D'Ancona non era stato
possibile della Relazione del Salvotti con quei brani dei Costituti
resi ormai noti dalla pubblicazione del Rinieri.
Dobbiamo dire che in tale questione, nonostante il tono polemico un
po' accentuato nel quale era incorso nella sua riabilitazione del
Salvotti, il Luzio si trovava dalla parte della ragione, e che il
sospettato svisamento delle parole del Confalonieri, che
sarebbestato attuato dal Salvotti, era soltanto un parto della
fantasia patriotticamente eccitata del D'Ancona. Ma ciò che
tranquillamente possiamo affermare noi ora, in possesso, grazie al
Salata, degli interi Costituti, non poteva certo esser chiaro al
D'Ancona.
Ma v'ha di più. Un anonimo scrittore reazionario della Civiltà
Cattolica, autore di un articolo su I Costituti del conte
Confalonieri, pubblicato nell'annata 1902 di quella rivista,
nella puntata del 18 ottobre scriveva queste auree parole: "I
Costituta del Confalonieri non furono distrutti, come si vuole dare
ad intendere: furono lasciati nell'Archivio del Tribunale di
Milano, allorquando le truppe austriache abbandonarono, dopo l'esito
della battaglia di Magenta, in tutta fretta Milano e la Lombardia;
l) furono visti e studiati da Alessandro Cusani; furono conosciuti
da Cesare Cantò, e da altre persone che non accade nominare. Perchè
dunque nasconderli? Perchè non dare alla pubblica opinione il
pascolo della verità, ed impor fine una volta alle leggende? Forse
che si ha paura, che col far conoscere i Costituti di Federico
Confalonieri, di Silvio Pellico, di Pietro Maroncelli... ne debba
crollare l'edilizio dell'Italia una?". Nella mente di questo
scrittore, dunque, la mancata pubblicazione dei Costituti del
Confalonieri si doveva ad una specie di complotto organizzato dal
Bonfadim e dal D'Ancona, i quali avrebbero tenuto celati quei
documenti, per paura che da essi dovesse rimanere sminuita la figura
del Conte milanese ed indebolita la posizione dell'Italia unita.
La verità, come appare chiara, è ben diversa, e la fin qui mancata
pubblicazione dei Costituti del Confalonieri non si doveva a nessun
complotto, ma semplicemente al fatto che i documenti mancavano
effettivamente all'Archivio di Stato di Milano, ed erano finora
rimasti irreperibili anche alle ricerche compiute a Vienna ed
altrove. Quali poi siano state le vicende cui andarono soggetti i
Costituti dal lontano anno del processo milanese al 1924, quando
furono ritrovati dal Salata, è ciò che sapremo non appena sarà
pubblicato il quarto volume di quest'opera, nel quale il Salata
promette, oltre che di tracciare la storia interna ed esterna del
processo, anche di render conto delle vicende dei fascicoli
contenenti gli originali dei Costituti del Confalonieri, dal 1824 al
ritrovamento a Vienna, e di spiegare l'enigma della scomparsa, per
tanti anni, degli importanti documenti. In questo ultimo volume, che
conterrà quindi i risultati della fatica del Salata rispetto alla
documentazione della biografia del Conte, l'illustre storico farà
uscire un capitolo sulla figura del Confalonieri, dall'arresto alla
consegna allo Spielberg, nella luce della documentazione, ora
definitiva, ed un capitolo che servirà di guida archivistica e di
saggio bibliografico del processo milanese istituito pei moti del
1821.
Sui Costituti, che vedono ora finalmente la luce nell'edizione
originale ed integrale, si possono facilmente fare alcune
osservazioni. Innanzi tutto notiamo che gli interrogatori del
Confalonieri possono essere distinti in tre fasi. Una prima fase,
quando alla direzione della Commissione governativa non si trova
ancora il Salvotti ma il Menghin, comprende i primi 15 Costituti, ed
è caratterizzata da una regolare condotta degli interrogatori,
durante i quali il Confalonieri, pur facendo tutte quelle
deposizioni che formeranno gli argomenti basilari dell'accusa, può
parlare con una certa relativa serenità, non ostacolato da nessuna
particolare astuzia o da particolari insistenze da parte della
Commissione inquirente. In questo periodo, infatti, lo Strassoldo
così scriveva al principe di Mettermeli (D'Ancona, op. cit., p.
228): “Mr. Confalonieri a subì quelques interrogatoires, mais la
commission voyant qu'il s'abstenoit avéc soin de faire des
révélations, a cru de ne pas entrer en détails vis a vis de lui, et
s'occupe à recueillir des preuves assez fortes pour pouvoir le
convaincre des faits, qui sont à sa charge.”
È però da notare che fin dai primi interrogatori il
Confalonieri adotta nelle sue deposizioni quel piano che.
consigliatogli dallo stesso Menghin, finirà per essergli fatale:
quello cioè di non negare, ma di ammettere i fatti, facendo però
delle riserve ch'egli s'illudeva potessero servire a salvarlo non
dico dalla severità del Governo austriaco, ma addirittura dalla
condanna; sosteneva il Confalonieri, cioè, che la loro non era stata
una congiura, ma solo il tentativo di preparare un ostacolo
all'anarchia che si sarebbe certamente scatenata il giorno in cui
gli Austriaci, come essi stessi dichiaravano di voler fare di fronte
all'avanzare della rivoluzione piemontese, avessero abbandonato la
Lombardia; e che, quanto ai suoi rapporti coi rivoluzionari
piemontesi, egli, lungi dal chiamarli, li aveva dissuasi dal tentare
l'invasione dei territori italiani soggetti all'Austria,
spontaneamente dettando il testo della lettera inviata al San
Marzano, quella lettera che egli credeva il miglior documento della
propria innocenza e che doveva invece servire agli accusatori (e dal
punto di vista giuridico del Governo austriaco lo era infatti) quale
prova suprema della colpevolezza del Conte.
La distinzione ch'ei voleva fare tra il pensiero e il
sentimento da un lato, e l'azione dall'altro, forse era vera
scriveva il D'Ancona a p. 131 dell'op. cit., ma realmente, in un
processo, statario, codesta sottigliezza era tale da comprometterlo,
più che aiutarlo: e i giudici non ne tennero conto, anzi vi
trovarono argomento a tenerlo confesso.
Ad una seconda fase dell'inquisizione si possono riferire i
Costituti che vanno dal sedicesimo quando per la prima volta ne
assume la direzione il terribile e destrissimo Salvotti al
ventiduesimo, cioè dal 1 giugno all'11 agosto 1822. In questo
periodo gli interrogatori divengono per il Confalonieri una tortura
morale assai maggiore di quanto non fossero stati fino ad allora:
egli insiste più volte nella stessa domanda, sperando che
l'inquisito si decida a confessare e non resista sulla negativa: gli
si fa ripetere il già deposto per ottenere contraddizioni che
possono essere sfruttate ai fini dell'accusa; i colloqui prendono un
ritmo più serrato, quasi drammatico, l'inquirente penetra più
addentro non solo nei particolari che interessano l'istruttoria del
processo, ma anche nei più riposti angoli della coscienza del povero
detenuto. In una parola, si sente la mente direttrice del Salvotti,
che prende in mano gli sparsi fili della congiura e della
istruttoria. Questi Costituti sono insomma, come scrive il Salata,
il primo attacco a fondo del Salvotti contro il sistema difensivo
del Confalonieri.
Infine una terza ed ultima fase negli interrogatori si può vedere
nei Costituti dal ventitreesimo in poi, cioè da quando, ad aggravare
la posizione del Confalonieri, sopravvengono nuovi arresti del
Treccino, dell'Arese e del Tonelli e nuove deposizioni, degli ultimi
due e di Carlo De Castillia; più tardi ancora altre deposizioni,
come quelle del Duoco, rendono disperata la difesa del Conte. Da
allora il sistema difensivo del Confalonieri si va man mano
sfasciando sotto l'acuta indagine e le dure insistenze del Salvotti,
ed appare sempre più chiara la fine alla quale è destinato il Conte.
Di ciò il Salvotti era naturalmente il primo a rendersi conto, tanto
che, a mo' di commento al XXV Costituto, scriveva nella sua
Relazione: “Questo Costituto non poteva non avere esercitato
sull'animo dello inquisito qualche impressione. Il sogno della sua
innocenza, che aveva fino allora accarezzato, erasi dileguato. Il
sentimento della sua colpa era stato da lui stesso, quantunque a
stento, chiaramente espresso, ed egli conosceva oggimai che anche la
tavola che lo doveva salvare dal suo naufragio, la purità, cioè,
delle sue intenzioni, non era più cosi sicura come se lo aveva
dapprima immaginato, dappoiché dovette confessare che non sempre
seppe resistere alla seduzione dell'esempio e al carattere delle
circostanze in che trovavasi inviluppato. Lo inquisito deliberò
quindi, quasi ad espiazione delle sue anteriori reticenze e
menzogne, di offrire al Governo il tributo di tutte quelle notizie,
che sulla macchinazione italiana e sui legami all'estero erano a lui
pervenute.”
Il 24 dicembre 1822 avveniva il quarantottesimo interrogatorio, ed
al Confalonieri venivano concessi tre giorni per preparare la sua
difesa; ma, prolungato questo periodo per la malattia del Conte,
questi veniva nuovamente interrogato il 4 gennaio 1823; presentata
la difesa, tre altri interrogatori, gli ultimi, avvenivano il 16
gennaio, il 4 febbraio e l'il febbraio 1823.
Sul processo molto è stato già scritto: né sempre con equità. Il
disprezzo e l'odio, dei quali fu in ogni tempo fatto oggetto il
Salvotti, che mise il suo innegabile grande ingegno al servizio dei
nostri oppressori, fecero vedere il male ed il brutto anche dove non
c'erano. Seppure con tono talvolta inopportuno, molta parte di vero
è stata ristabilita dal Luzio, nella sua monografia critica sul
Salvottj. Ma se troppo oltre si era andati nel supporre istinti
quasi ferini nel Salvotti, e crudeltà ed irregolarità inaudite
nell'amministrazione giudiziaria austriaca, bisogna pur riconoscere
che non si è mancato poi di procedere troppo oltre nella tentata
riabilitazione di quegli uomini e di quei sistemi. Che gli
interrogatori siano stati pel povero Confalonieri una continua
tortura morale, per il regolamento austriaco, per il modo con cui
erano condotti, per le particolari astuzie degli inquirenti, e
soprattutto del Salvotti, è cosa che non si può negare. Ce ne
offrono una prova le nobili e coraggiose parole con le quali il
Confalonieri si levava nella difesa a protestare contro i metodi con
i quali erano stati condotti gli interrogatori, in un atteggiamento
di ribellione nel quale par che l'inquisito si levi a giudice dei
suoi giudici, come, quasi trent'anni più tardi, farà, nel suo
discorso finale di difesa, un altro nobile martire del Risorgimento,
Silvio Spaventa.
“Il Codice di un Governo mite per natura - scriveva
dunque il Confalonieri nella sua difesa-, paterno per principio,
indulgente per ereditaria abitudine, è nei delitti di Stato di una
spaventosa severità; né si mostra in questo caso si sollecito
protettore del prevenuto come in ogni altro. Non oserei al vostro
cospetto esprimere questo sentimento, se una lunga e trista
esperienza, di cui mi trovo io stesso la vittima, non me ne avesse
fatalmente convinto. Spaventosa è la latitudine che abbraccia la
definizione del delitto di alto tradimento; fatale anche ai più
leggermente colpevoli può divenirne la letterale applicazione. Né
questo è il più; la non rivelazione elevata essendo a delitto, e la
minima consapevolezza potendo esser colpita dall'arresto, interclusa
rimane ogni via al sacro sussidio delle testimonianze. Finalmente,
non mi sia conteso il dirlo, angustia terribilmente l'animo del
prevenuto il trovarsi posto al cospetto di una Legge che non
conosce, spogliato dell'inviolabil diritto della propria difesa.
Posciaché l'illusorio nome di difesa non può competere ai tre giorni
dalla Legge accordati onde far fronte a sterminata procedura, e ciò
senza comunicazione degli Atti, ed a persona della Legge stessa
affatto ignara. No, il sacro diritto della propria difesa non è
dall'Austriaco Codice tutelato; e nei delitti di Stato è il trionfo
della verità compromesso dallo sgomento e dal pericolo dei
testimoni.”
Che poi gli interrogatori siano stati condotti nella maniera più
spossante per gli inquisiti, è altra cosa che non si può più negare.
E quando il Luzio scrive che non duravano più di quattro o al
massimo cinque ore, afferma cosa non vera, come si può controllare
dalla presente edizione integrale dei Costituti, nella quale sono
sempre segnate le ore di inizio e di chiusura degli interrogatori.
Sei ore durarono gli interrogatori 18, 22, 25, 36, 42 e 44; sei ore
e mezzo gli interrogatori 10, 11, 12, 14, 17, 20, 23, 40 e 41; sette
ore il 16, 24, 26, 28, 30, 35 e 47; sette ore e mezzo il 32, 43 e
48; otto ore e mezzo, infine, il 9° ed il 21° interrogatorio: onde,
invertendo l'affermazione del Luzio, dobbiamo dire che gli
interrogatori più brevi ai quali fu sottoposto il Confalonieri
durarono cinque o al minimo quattro ore che son già molte e non
furono i più frequenti.
Questo esempio, molto significativo nelle sue cifre eloquenti, può
bastare à dimostrare che nel reagire alla tendenza partigiana della
storiografia liberale dell' 800 gli storici più recenti hanno potuto
alla loro volta oltrepassare la linea del giusto e dell'equo. A
parte poi la questione di un fondamentale punto di vista nel
giudizio etico-politico, che ci porterebbe ad un discorso troppo
lungo ed inopportuno in questa sede.
PAOLO ROMANO