COSMO, Umberto

 

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DBI

di Albertina Vittoria

Proveniente da una famiglia di patrioti liberali, nacque a Vittorio Veneto (Treviso) il 5 giugno 1868 da Domenico e Angelina Cortuso. Dopo aver studiato nel seminario della sua città, frequentò l'università di Padova, dove ebbe maestro il carducciano Guido Mazzoni, e si laureò in lettere nel 1889. Iniziò giovanissimo la carriera di studioso e letterato dirigendo la Rassegna padovana di storia letteraria e di arte e si dedicò all'insegnamento dapprima nella scuola media di Sciacca, quindi nel liceo "Dettori" di Cagliari e in quello di Terni; nel 1898 si trasferì a Torino e insegnò nel liceo "Giobertis, dove ebbe tra gli allievi P. Gobetti, e successivamente al "D'Azeglio".

Conseguì nel 1904 la libera docenza in letteratura italiana e dal 1911 al 1913 sostituì A. Graf nell'insegnamento presso la facoltà torinese di lettere. La sua attività di critico e di studioso si era articolata in questi anni sui due temi che avrebbe ripercorso per tutta la vita, Dante e s. Francesco, ai quali fu avvicinato, come ricordava nella dedica all'Ultima ascesa, dalla madre, "spirito francescano", e dal padre.

Collaboratore di varie riviste, principalmente del Giornale storico della letteratura italiana, ma anche della Nuova Rivista storica, del Giornale dantesco e degli Studi danteschi, il C. già nel 1891 aveva raccolto in volume i Primi saggi sull'originalità dantesca e sulla stampa della Commedia e delle opere minori dell'Alighieri nel Seicento; aveva altresì curato Le osservazioni sulla "Divina Commedia" di D. Alighieri del secentista N. Villani (Città di Castello 1894); la figura di s. Francesco era stata invece oggetto di vari saggi e dei lavoro Gli eroi dell'amore di Dio (Veronapadova 1896).

Nell'università di Torino - che nei primi anni del Novecento annoverava insegnanti come L. Einaudi, A. Graf, F. Ruffini, G. Solari, A. Loria - il C. ebbe tra gli allievi Palmiro Togliatti, che ne ha ricordato le ascendenze desanctisiane e hegeliane (Gramsci, Milano 1949, p. 110), e Antoffio Gramsci che così ha descritto la sua figura e quell'ambiente culturale: "Mi pareva che tanto io come il Cosmo, come molti intellettuali del tempo (si può dire nei primi quindici anni del secolo) ci trovassimo su un terreno comune che era questo: partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza religione e s'intende senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire" (Lettere dal carcere, Torino 1947, p. 132).

II C., che già nell'ambito degli studi e delle ricerche univa all'erudizione e all'amore per la poesia motivazioni di fondo umane e morali, non aveva trascurato in quegli anni e nei precedenti anche un impegno di tipo civile e politico: seppur per pochi mesi, nel 1895, durante la pennanenza in Sardegna, era stato iscritto al Partito socialista italiano; a Torino si era impegnato negli enti di mutua difesa professionale, divenendo nel 1902 segretario dell'Associazione fra gli insegnanti scuole medie della provincia e, più tardi, presidente del comitato esecutivo della Camera federale degli impiegati civili di aziende pubbliche e private; nel giugno 1914 intervenne nella campagna elettorale in favore dei socialista M. Bonetto e invitò a Torino G. Salvemini perché prendesse parte a comizi in suo favore; collaboratore del Grido del popolo, scrisse tra l'altro nel fascicolo del 23 ott. 1917 sul tema dei Socialisti e la libertà doganale, numero organizzato da Gramsci per rilanciare la propaganda antiprotezionistica.

Un rapporto della prefettura di Treviso - che dal 1896 inviava sporadicamente informazioni sul C. al ministero degli Interni - in data 7 sett- igi 1, così definiva le sue posizioni politiche: "E di ottima condotta privata, generalmente stimato per le doti morali e per la coltura non comune. Professa apertamente principi socialisti con tendenza riformista e ne fa attiva propaganda, massime fra gli impiegati dello Stato nella sua qualità di Presidente della Camera federale degli impiegati civili. Non è il caso di considerarlo menomamente pericoloso per l'ordine pubblico" (Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale).

Convinto pacifista, durante la prima guerra mondiale denunciò gli entusiasmi degli interventisti e si avvicinò, distaccandosi progressivamente e definitivamente dal PSI, al neutralismo giolittiano. Nel 1917 divenne redattore politico - e più tardi letterario - della Stampa: per i suoi atteggiamenti non conformisti e non atti a suscitare il consenso dei nazionalisti, cosi come per i suoi fini interventi di critica letteraria, fu tra i più apprezzati e autorevoli scrittori del quotidiano torinese. Tuttavia, in seguito a due articoli non firmati dal titolo Come ci avviammo a Novara e La fatal Novara (16 e 17 marzo 1917), nei quali sosteneva - in polemica con un articolo di Ruffini sul Corriere della sera che si richiamava a proposito di Caporetto alla sconfitta di Novara - che in entrambe le occasioni erano stati commessi gravi errori militari e che né allora il partito democratico né ora quello socialista avevano niente a che vedere con l'episodio, il C. fu accusato di disfattismo dai circoli nazionalisti e dai professori V. Cian e C. Corrado: deferito alla magistratura dal Comitato di difesa, benché prosciolto da ogni accusa, venne sospeso per tre mesi dall'insegnamento.

In questa occasione ricevette l'aiuto e la solidarietà di B. Croce che depose a suo favore nell'inchiesta testimoniando di aver incontrato più volte il C. nei giorni di Caporetto e di aver "veduto e sentito come egli fosse straziato da profonda angoscia e bramoso di adoperarsi in tutti i modi alla valida continuazione della nostra difesa contro il nemico s e ricordando che "non solo si dette subito all'opera di assistenza dei profughi: ma volse la sua mente a concetti politici da divulgare per la stampa" (Epistolario, I, Scelta di lettere curata dall'autore, Napoli 1967, p. 28). Anche Gramsci intervenne in difesa del C. con due articoli sull'Avanti! del 27 aprile e 4 maggio 1918 in cui denunciava non solo l'inchiesta ma anche come ciò che il "clan professorale" voleva ottenere fosse "la caccia all'uomo, il suo bando dalla convivenza civile".

Gramsci era legato da profonda stima e amicizia al C.: un'"idea fissa" - così la definiva Gramsci (Lettere dal carcere, p. 114) - del C. dal 1917 era che scrivesse un saggio su Machiavelli; nel 1918 il C. si era poi offerto di fare una cernita dei corsivi scritti da Gramsci per l'Avanti! con il titolo Sotto la mole, che avrebbe pubblicato "con una prefazione molto benevola" (ibid., p. 137). L'amicizia era però destinata a rompersi con il graduale, ma definitivo, divergere delle posizioni politiche e in particolare in seguito all'articolo del C. Franca parola agli operai sulla Stampa del 3 nov. 1920, in cui invitava il proletariato a stare in guardia dalle liste comuniste e dal gruppo dei "goliardi gaudenti" dell'Ordine nuovo. Il suo ex allievo rispose con parole dure e risentite sull'Avanti! del 5 novembre (Franche parole ad un borghese) affermando che il C. si era "accomunato ai peggiori gazzettieri del Popolo, della Stampa, del Momento" e si era "schierato con gli imbroglioni e coi "cattivi" italiani".

Gramsci avrebbe ricordato questo episodio in una lettera alla cognata del 23 febbr. 1931, affermando come in qualche modo la rottura si fosse ricomposta quando, delegato del partito comunista all'esecutivo dell'Internazionale comunista, diretto a Mosca nel maggio 1922, si fermò di passaggio a Berlino dove incontrò il C., allora segretario e consigliere dell'ambasciatore Frassati: "Era in preda a una commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto dolore gli avessi procurato nel 1920 e come egli intendesse l'amicizia per i suoi allievi di scuola" (Lettere dal carcere, p. 115). Del C. Gramsci in carcere serbava "un ricordo pieno di affetto e direi di venerazione", ritenendolo "di una grande sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che è propria dei grandi eruditi e studiosi" (ibid.). Gli scrisse a proposito della Vita di Dante - che gli era stata inviata per il tramite di P. Sraffa - ed ebbe uno scambio di idee a proposito dei decimo canto dell'Inferno e del rapporto tra struttura e poesia, come annotava anche nei Quaderni.

All'indomani della presa del potere da parte del fascismo, il C. si dimise dall'incarico di consigliere del Frassati e tornò in Italia: da allora, anche per il suo passato di socialista e di antiinterventista, fu oggetto di controlli polizieschi e di perquisizioni, fin quando, nel 1926, venne destituito dall'insegnamento liceale per "incompatibilità" fra il suo pensiero e le direttive del regime fascista.

"Ricordo ancora la nostra impressione - ha scritto uno dei suoi alunni al "D'Azeglio", Norberto Bobbio, sottolineando il ruolo di maestro di vita che il C. ebbe per molti allievi e lo stupore che essi provarono per la sospensione dall'insegnamento - dopo la prima lezione su Dante: ci lesse il primo verso della Divina Commedia, e tutta la lezione fu dedicata al commento di quel solo verso, con tal dovizia di analisi filologiche, di raffronti testuali, di osservazioni biografiche, che ci parve di essere entrati in un altro mondo … L'ora di Cosmo in complesso era quella che meno assomigliava ad un'ora di scuola" (Tre maestri, in Italia civile. Ritratti e testimonianze, Manduria-Bari-Perugia 1964, p. 141).

Costretto anche ad interrompere la collaborazione alla Stampa, il C. si dedicò all'insegnamento privato e continuò a tenere, in qualità di libero docente, corsi di letteratura italiana all'università, fin quando nel 1932 fu esonerato anche da questi. In questi anni portò a compimento le sue opere principali, frutto ed elaborazione degli studi maturati dalla fine del secolo in poi.

Oltre alle edizioni della Divina Commedia da lui curatel nel 1930 apparve la Vita di Dante, quanto di meglio si possegga sull'argomento (come è stata definita dal critico più accurato del C., Bruno Maier), trattandosi di un lavoro "egualmente lontano dalla compilazione erudita e dalla "vita" romanzata", di una "rappresentazione esauriente dei dramma dell'uomo e del poeta, rievocato nei suoi termini effettivi e nel preciso colore del tempo" (Gli studi danteschi di U. C., introduzione alla seconda edizione della Guida a Dante, Firenze 1962, pp. XXVIII, XXXI). Nel 1936 vide la luce quella che da più parti è stata ritenuta l'opera maggiore del C., L'ultima ascesa, dove sono trattati tutti i temi del Paradiso, con una puntuale ricostruzione della condizione spirituale di Dante negli anni in cui concepì la terza cantica e prendendo in considerazione i molteplici elementi che concorsero all'alta creazione artistica. Postuma, per la cura dell'allievo F. Arese, uscì nel 1947 l'ultima fatica nella quale era impegnato, la Guida a Dante. Nel campo dell'agiografia francescana aveva raccolto nel 1941 i suoi studi nel volume Con madonna Povertà.

Come studioso e critico di Dante, pur "di formazione critico-metodologica positivistica - ha scritto L. Martinelli -, lungi dal condividere certi eccessi "documentaristici" e l'arido eruditismo di quella scuola, il C. fu sempre incline alla considerazione del risultato artistico della formazione e della cultura di Dante e ai valori poetici della sua opera. D'altro canto la costante valutazione delle coordinate di pensiero e di cultura che sostanziano la fantasia poetica di Dante, di cui il critico percepì, in maniera quasi drammatica, l'alta tensione morale, non lo dispose ad accettare la soluzione offerta dal Croce al grosso problema della poesia dantesca, la cui distinzione tra una struttura impoetica e la poesia sembrò allo studioso tale da compromettere l'unità dei poema, che egli individuava nel concetto fulcro "dell'ordine universale" e nello spirito eticoreligioso che tutto lo sostanzia".

Alla fine del maggio 1931 il C. venne arrestato per aver ideato e sottoscritto una lettera di solidarietà a Benedetto Croce, definito da Mussolini "imboscato della storia" per il discorso in Senato contro i Patti lateranensi. Il C. veniva condannato dalla questura di Torino a cinque anni di confino; tra i firmatari, U. Segre, P. Treves, G. Muggia e F. Antonicelli a tre, mentre gli altri venivano ammoniti. In seguito per tutti fu adottata l'ammonizione e vennero rilasciati ad eccezione del C. che fu confinato ad Ustica dal 16 luglio al 25 agosto, allorché "con determinazione ministeriale" fu prosciolto e liberato.

Nella lettera, che fu fatta circolare all'università ma non venne recapitata perché sequestrata dalla polizia (firmata inoltre da M. De Bernardi, L. Geymonat, M. Mila), veniva espresso lo sdegno per l'accusa di "imboscato", "perché tutti, pur separati in diversissimi campi, abbiamo visto in voi e vediamo l'uomo dalla pura coscienza, l'assertore dell'ideale nel reale, il lottatore indefesso e implacabile. Quanti hanno avvicinato l'opera vostra, sanno come tutta la vostra ricerca di filosofo sia guidata da una ansia di più alta moralità, sanno che tutta la vostra fatica di storico è ispirata da un intenso amore per l'Italia; sanno infine come la vostra vita sia contrasto, lotta; e vi dicono perciò oggi la loro certezza, la loro fede che "l'imboscato" non desisterà dal lottare! E guardiamo, a voi, come al solo che abbia levato la sua voce in nome di quella coscienza morale, la quale continua ora unicamente a volere la dolorosa conquista della propria libertà" (D. Zucaro, Benedetto Croce, i Patti lateranensi e l'antifascismo torinese, in Mondoperaio, XXI [1968], n. 5-6, p. 34).

Vigilato dalla polizia, trascorse questi anni osteggiato nell'attività di insegnante e di studioso (nel 1940 il ministro della Cultura Popolare Pavolini si oppose alla sua nomina a direttore della collana di classici italiani della casa editrice UTET), impegnato nelle proprie ricerche e nella composizione dei volumi danteschi e francescani, confortato dall'amicizia di colleghi come S. Debenedetti, M. Bartoli, L. Salvatorelli e di allievi come N. Bobbio, L. Ginzburg, F. Antonicelli, F. Arese, A. Del Noce.

Il C. morì a Corio Canavese, dove era sfollato, il 18 nov. 1944, mentre stava portando a termine la Guida a Dante, colpito da collasso cardiaco alla notizia, rivelatasi infondata, che il figlio Giandomenico, combattente tra i partigiani piemontesi, era rimasto ucciso in un rastrellamento.