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DBI
di Mario Themelly
Nacque a Perugia il 25 sett. 1896 da Vincenzo ed Emilia Sperandeo.
Gli obblighi di servizio del padre, un preside di scuola secondaria,
napoletano d'origine, segnarono, con una serie di trasferimenti, i
primi anni della sua giovinezza. Compì gli studi liceali a
Firenze e qui diede i precoci segni della sua vocazione di storico
collaborando a due riviste, le Cronacheletterarie e Pluralia, con
note bibliografiche e succinte recensioni. È da ricordare un
breve scritto sulle Memorie di F. Crispi pubblicato in Pluralia
(III, 1) nel gennaio 1912: mentre era in corso la guerra di Libia il
giovanissimo C. esprime, nel serrato contesto d'una ricostruzione di
storia diplomatica, la sua adesione ad una politica di potenza e
d'espansione.
Seguì a Napoli gli studi universitari, fu allievo di
Michelangelo Schipa e si laureò nel 1917 con una tesi su "Le
origini del partito liberale napoletano", un lavoro che doveva
costituire il nucleo della monografia Luigi Blanch e il partito
liberale moderato, che vide la luce a Napoli nel 1922. In quegli
anni collaborò con G. De Ruggiero alla preparazione de Il
pensiero politico meridionale nei sec. XVII e XVIII. Il suo nome
è ricordato nella prefazione alla prima edizione (Bari 1921)
dell'opera. Dal 1920 insegnò storia, dapprima nel liceo di
Castellammare di Stabia, poi nel R. Collegio militare della
Nunziatella di Napoli. Entrò nell'orbita crociana: in una
pagina autobiografica (Cultura e politica a Napoli, pp. 10 ss.), il
C. ricorda come sino dal 1917 il Croce gli avesse affidato
l'edizione d'una testimonianza "preziosa" per intendere la vita del
Mezzogiorno durante la dominazione spagnola, gli Avvertimenti ai
nipoti di Francesco d'Andrea (in Studio giuridico napoletano, III
[1917]; IV [1919]:rist. col titolo I ricordi di un avvocato
napoletano del Seicento: F. D'Andrea, Napoli 1923). Questo lavoro
segnò il primo approccio del C. ai problemi della vita
culturale e politica del Viceregno, un filone di ricerca che sarebbe
rimasto a lungo dominante nella sua attività di studioso.
Sempre per designazione del Croce fece parte, come "rappresentante
del Mezzogiorno" (così ricorda nella citata pagina
autobiografica) della missione italiana incaricata di studiare
nell'archivio di Simancas i documenti dell'età spagnola in
Italia. I risultati di queste ricerche, con le quali il C. intendeva
richiamare l'attenzione degli studiosi su un periodo che aveva
assicurato al Mezzogiorno una posizione di primo piano nella storia
intellettuale italiana del '600 e del '700, furono pubblicati in una
serie di saggi che apparvero nei primi anni Venti del secolo su
Napoli nobilissima. sull'Arch. stor. delle prov. napolet. e la cui
parte più notevole fu raccolta in Lo Studio di Napoli
nell'età spagnola (Napoli 1924) e in Storia generale
dell'univ. di Napoli, ibid. 1924, pp. 203-431.
Nel 1926, prendendo spunto dalla recente pubblicazione di La storia
di Napoli di B. Croce, il C. formulava in un importante saggio,
Storia politica d'Italia e Storia del Regno di Napoli (in Rivista
st. it., XLIII[1926], 4, pp. 229-248) il proprio progetto di lavoro
storico. Con maggior risolutezza del Croce, sottolineava che la
storia del Mezzogiorno, pur svolgendosi nella sua
peculiarità, poteva essere ripensata solo nella prospettiva
di una storia delle origini dell'unità nazionale.
Respingeva come "una chimera" la ipotesi di "storia universale", di
storia enciclopedica: non gli sembrava accettabile che lo storico
assolvesse al suo compito riunendo gli "sparsi contributi"
dell'indagine economica, artistica, filosofica, religiosa. Lo
scrivere storia non poteva nascere da uno "scambio di servizi" (come
in seguito si dirà) ma dalla capacità dello storico di
concentrarsi su un solo aspetto della realtà, "quello che
più fortemente colpiva la sua fantasia", e di ricostruire,
attraverso quello, tutti gli altri. Poiché il C. credeva che
solo lo Stato fosse "il principio costitutivo della materia
storica", considerava la storia esclusivamente come storia
etico-politica, ma intendeva questa categoria con tale ampiezza da
abbracciare in essa gran parte della realtà. La storia
etico-politica non doveva restringersi, almeno nel progetto, alla
sola storia dello Stato, ma doveva investire "anche ciò che
è, fuori dello Stato, sia che cooperi con esso, sia che si
sforzi di modificarlo, rovesciarlo, sostituirlo". Doveva dunque
comprendere "la formazione degli istituti morali, religiosi, le
sette rivoluzionarie, ... i sentimenti e i costumi, le fantasie, i
miti ... non solo lo Stato ma l'antistato, ... la vita morale del
popolo nel quale sono in atto o in potenza le tendenze - destinate a
mutare la sua organizzazione". Nella recente opera del Croce sul
Regno di Napoli il C. trovava la conferma della linea di sviluppo
che aveva colto nei suoi diversi studi sulla storia del Mezzogiorno.
Risaliva "dal fenomeno alla formula" e gli si chiariva il senso
della storia meridionale. Si manifestava in essa un processo
iniziato dalla monarchia spagnola col soffocamento del brigantaggio
e col riordinamento della finanza, promosso dai Borbone nel
Settecento "quando lo Stato tentò di nuovo una grande
politica europea, armò un forte esercito, preparò una
buona marina", rivelantesi contemporaneamente nella società
civile con il movimento della cultura e con le riforme. Ma, dopo
l'illusione riformatrice, la monarchia borbonica si era "fatta
plebea" con la reazione del '99, e tale aveva continuato ad essere
sino al 1860. L'ampiezza di questo impianto nel quale la storia,
intesa come lotta tra governo e popolo, è articolata entro
una concezione dello sviluppo che alle spinte del potere statale
alterna il movimento della società civile, ricorda le grandi
linee, ma anche i limiti, del celebre disegno delle lezioni
ottocentesche di F. Guizot.
Gli studi che seguirono lungo il corso dei decenni, seguenti (furono
gli anni dell'insegnamento universitario a Messina: 1925-34; a
Palermo: 1935; a Pavia: 1936-41; a Napoli: 1941-71; del matrimonio:
1932; della nascita dei figli: 1932, 1936; della vicepresidenza
dell'Istituto per la storia del Risorgimento: 1952) diedero corpo
con minutissime analisi condotte su una fitta serie di nodi, di
problemi, di personaggi, di testi esemplari, alla sua concezione del
Risorgimento meridionale: un movimento radicato nella tradizione
locale e insieme connesso alla coscienza italiana ed europea, un
processo legato al Rinascimento, alla crisi del Seicento e al
riformismo illuministico del Settecento, culminante nel nodo
rivoluzionario-napoleonico. Tutta la storia posteriore può
essere intesa come "il drammatico fallimento della parte migliore
del paese nello sforzo di rassodare i risultati del Decennio
dapprima col tentativo rivoluzionario del '20, poi col tentativo di
collaborazione con Ferdinando durante la prima metà del suo
regno" (Galasso). Il bilancio, dunque, del Risorgimento meridionale
sembra concludersi con l'ideale della monarchia amministrativa, con
l'eredità del liberalismo moderato e con la crisi della
classe dirigente.
È noto che del suo Risorgimento il C. non volle ricostruire
il processo in una narrazione di vasto respiro: forse la "naturale
ritrosia" (Scirocco) lo trattenne dall'impegnarsi in un'opera di
ripensamento e di sintesi, certo è che tutta la sua
ricchissima produzione testimonierà come la sua intelligenza
storica fosse potentemente attratta dallo studio dei testi, dal
riscontro erudito delle testimonianze, e come, attraverso la
ricostruzione filologica dell'opera e del pensiero dei suoi autori,
di F. D'Andrea, di F. Pignatelli, di V. Cuoco, di P. Colletta, di L.
Blanch e di tanti altri minori, egli abbia saputo penetrare nella
coscienza politica di tutta un'età.
Una collocazione a parte nel complesso dell'opera cortesiana spetta
agli studi ch'egli dedicò a F. De Sanctis, curandone
l'edizione completa degli scritti in una serie di quindici volumi,
iniziata nel 1930 e interrotta dalla morte. Questi studi sono
apparsi agli storici come un "secondo filone" (Scirocco, 1973)
accanto a quello sin'ora descritto; e questo "secondo filone"
è parso costituire una "giustapposizione" o una
"contraddizione" (Galasso) nei confronti del precedente. Non si
scorge infatti la saldatura tra l'eredità del Mezzogiorno
liberale moderato derivante dal riformismo illuministico e dalla
monarchia amministrativa napoleonica e la fioritura liberale e
democratica del pensiero desanctisiano. Questa contraddizione (anche
se nel lavoro storiografico del C. costituisce una felice
contraddizione) lascerebbe aperto e irrisolto il problema
dell'inferiore coerenza del Risorgimento meridionale cortesiano
(Galasso).
In realtà il progetto che era balenato al C. nel 1926 fu solo
in parte realizzato. Nonostante lo spazio concesso al movimento
autonomista delle province nel 1820 e poi alle lotte demaniali e ai
problemi della terra, la sua storia fu solo marginalmente la storia
dell'antistato; rimase quella delle classi dirigenti, delle
élites intellettuali. Influì su questa chiusura, che
non era una chiusura teoretica, accanto alla lezione crociana ed
all'inclinazione alla filologia, "qualcosa del pessimismo di G.
Fortunato" (Galasso), ma soprattutto il suo convincimento che nel
processo risorgimentale italiano la pressione delle esigenze sociali
fosse riuscita ad esprimersi solo sotto il segno capovolto della
reazione, dalla Santafede al brigantaggio. Attaccato nel 1952 per
queste sue posizioni, difese la concezione del Risorgimento come
processo politico-culturale: "quando nego l'importanza di una
questione sociale nel Risorgimento - affermò - nego la
presenza nella classe politica, liberali e democratici, di una
precisa e consapevole volontà di risolvere in forme
conseguentemente democratiche i rapporti sociali. Questo, se volete,
è il limite del nostro Risorgimento, limite che è
spiegato sia dalle preoccupazioni conservatrici, sia dalle
particolari caratteristiche di formazione spirituale, culturale
delle élites risorgimentali, che furono, ed insisto su questo
punto, minoranze nate dalla cultura".
Trascorse gli ultimi anni della sua esistenza nella mai intermessa
attività d'insegnamento e di studio. Nei suoi scritti del
1970 e 1971, accanto ai consueti temi dell'età napoleonica
fanno spicco i titoli desanctisiani che avanzano i problemi della
democrazia e della educazione della nuova Italia.
Morì a Napoli il 7 febbr. 1972.