Corriere della Sera

 

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Il Corriere della Sera nacque nel febbraio del 1876 quando Eugenio Torelli Viollier, direttore de La Lombardia, e Riccardo Pavesi, editore della medesima, decisero di fondare un nuovo giornale.

Il primo numero venne annunciato dagli strilloni in piazza della Scala domenica 5 marzo 1876, con la data del 5-6 marzo. Per il lancio venne scelta la prima domenica di Quaresima (tradizionalmente quel giorno i giornali milanesi non uscivano). Il Corriere sfruttò quindi l'assenza di concorrenza; però per non farsi inimicare l'ambiente, devolvette in beneficenza il ricavato del primo numero.

La foliazione era di quattro pagine, stampate in 15 000 copie. Come sede del nuovo giornale fu scelto un luogo di prestigio, la centralissima Galleria Vittorio Emanuele. Tutto il giornale era raccolto in due stanze ed era fatto da tre redattori (oltre al direttore) e da quattro operai. I tre collaboratori di Torelli Viollier erano suoi amici:

    * Raffaello Barbiera, veneto, che aveva rinunciato al suo impiego al Comune di Venezia per inseguire le sue velleità letterarie. Aveva conosciuto Torelli casualmente ad un pranzo pochi mesi prima della fondazione del giornale.
    * Ettore Teodori Buini originario di Livorno, colto, amico personale di Eugenio da dieci anni, poliglotta, definito "personaggio salgariano", era il caporedattore.
    * Giacomo Raimondi, l'unico nato nella città dove si pubblicava il giornale, dal passato tumultuoso di volontario nel corso delle guerre risorgimentali. Di idee vagamente socialiste, già collaboratore del Sole, fondatore de l'Economista, collaboratore del Gazzettino Rosa, l'aveva lasciato quando il periodico aveva deciso di aderire all'Internazionale marxista. I quattro anni precedenti il suo approdo al Corriere erano stati di vera e propria indigenza.

Collaboravano al giornale anche la moglie del Buini, Vittoria Bonacina, che traduceva alcuni dei romanzi pubblicati sulle pagine del Corriere, e la stessa moglie di Torelli, Maria Antonietta Torriani, scrittrice di romanzi d'appendice con lo pseudonimo "marchesa Colombi". Per le indispensabili corrispondenze da Roma si era offerto di collaborare gratuitamente Vincenzo Labanca, vecchio amico di Torelli Viollier. Per l'estero c'erano accordi con l'Agenzia Stefani e l'Havas.

L'amministratore del giornale era il fratello di Eugenio, Titta Torelli. Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia esterna, che possedeva uno stanzone nei sotterranei della Galleria Vittorio Emanuele.

Dall'editoriale del nº 1 del «Corriere della Sera»: Al Pubblico

"Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d'altri tempi. La tua educazione politica è matura. L'arguzia, l'esprit ti affascina ancora, ma l'enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d'una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v'ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica [sic] e veniamo a parlarti chiaro.

Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: "Siamo moderati, siamo conservatori". Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto; perché hanno dato all'Italia l'indipendenza, l'unità, la libertà, l'ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da' papi che la tennero durante undici secoli. [...]

Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch'ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, e - per conseguenza - il potere.[...] L'Italia unificata, il potere temporale de' papi abbattuto, l'esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l'opera del partito moderato.

Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi, entrate ne' nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Non c'è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c'è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. [...] Gli è che il partito moderato non è un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti. È un partito di movimento e di progresso.

Sennonché, tenendo l'occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l'istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i maestri; di non voler proscrivere l'insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il suffragio universale, se l'estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili [sic] e nervose delle città. [...]

[Conclusione] A' giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un'inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell'emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni".

Nei giorni successivi le vendite del quotidiano si assestarono sulle 3 000 copie. Il prezzo di un numero era di 5 centesimi (un soldo) a Milano, 7 fuori città. Il giornale era così composto: la prima pagina ospitava l'articolo di fondo, la cronaca del fatto più rilevante e i commenti al fatto. La seconda era dedicata alla cronaca politica italiana e straniera. La terza pagina ospitava la cronaca milanese e le notizie telegrafiche. La quarta pagina era dedicata alla pubblicità. I caratteri venivano stampati in corpo 10. Il Corriere andava in macchina alle 14 per essere distribuito circa due ore dopo, e usciva con una doppia datazione (5-6 marzo, per esempio), poiché la lentezza dei trasporti faceva sì che spesso giungesse nelle altre regioni l'indomani. La doppia datazione sarebbe perdurata fino al 1902.

Il 18 marzo 1876, tredici giorni dopo l'uscita del primo numero, avvenne una svolta nella storia del giornale: Riccardo Pavesi fu eletto al Parlamento. Nonostante appartenesse al partito dei moderati, decise di spostarsi a sinistra, cioè dalla parte che aveva vinto a livello nazionale. Quindi cambiò l'indirizzo politico de La Lombardia e cercò di persuadere Torelli Viollier a fare altrettanto al Corriere, ma gli venne opposto un netto rifiuto. Pavesi allora uscì dal Corriere; il direttore decise di continuare con i tre redattori e i quattro operai.

La fattura del Corriere, come di quasi tutti i giornali dell'epoca, era artigianale: la scrittura degli articoli, tranne che per le corrispondenze da Roma, era "fatta in casa", non essendoci cronisti (li aveva solo Il Secolo). La maggior parte del lavoro era affidata alla penna ed alle forbici (per i dispacci "adattati") di Torelli Viollier, con un ritmo d'aggiornamento di 2/3 giorni per le notizie interne e di 10/15 per l'informazione proveniente dall'estero. Il giornale non aveva una tipografia propria (con i conseguenti problemi di gestione dell'autonomia del giornale) e limitava al massimo la pubblicazione di disegni ed incisioni, che invece erano frequenti sul concorrente Secolo.

La tiratura cominciò a salire decisamente nel 1878. Al principio dell'anno re Vittorio Emanuele II fu colto da un'improvvisa malattia che lo portò alla morte. Tutti i giornali italiani diedero ampio spazio all'avvenimento, ma dopo la sua morte tornarono a pubblicare le solite notizie. Torelli Viollier invece continuò a trattare la notizia della morte del re per un'ulteriore settimana. Ciò fece aumentare le vendite da 3000 a 5600 copie; le vendite salirono nel resto dell'anno fino a sfondare a dicembre quota 7000 copie giornaliere.

Nel consueto articolo di fine anno, che Torelli Viollier pubblicava prima delle festività natalizie, il direttore del Corriere ringraziò i lettori e confermò il suo impegno a trattarli non come avventori [...], ma come amici e soci in un'impresa comune, giacché come tali li consideriamo, e tali sono".

Dagli anni ottanta Milano iniziò ad essere investita da una rapida trasformazione economica e sociale. Un nuovo ceto di commercianti e industriali (di origine né patrizia né liberale) si affermò come nuova forza emergente. Il Corriere seppe intercettare questo nuovo pubblico e in pochi anni riuscì ad attirare la sua attenzione.

Nel 1881 la diffusione raggiunse stabilmente le 10.000 copie giornaliere. Nell'articolo di fine anno (Programma per l'anno 1882), Torelli annunciò il potenziamento dell'uso del telegrafo per la trasmissione dei pezzi dei corrispondenti, che fino ad allora si erano avvalsi prevalentemente del servizio postale. Il direttore voleva che anche le notizie dall'estero giungessero in tempi rapidi: nel 1882 inviò i primi corrispondenti all'estero del Corriere, nelle città di Parigi, Londra e Vienna. Nel Programma per l'anno 1883 Torelli annunciò che non avrebbe più utilizzato i rendiconti dell'agenzia Stefani per quanto riguarda i lavori del Parlamento, ma avrebbe raccolto le notizie in proprio.

Nel 1883, grazie alla nuova rotativa (König & Bauer) capace di produrre 12.000 copie l'ora, il Corriere cominciò a stampare due edizioni al giorno. Il giornale uscì con un'edizione nel primo pomeriggio e una seconda in serata. Alla fine del 1885 il Corriere produceva quasi esclusivamente notizie in proprio. Torelli Viollier poteva affermare che ben di rado il Corriere stampa notizie ritagliate da altri fogli e le forbici della redazione, che sono il redattore capo di molti giornali, arrugginiscono[8].

Dal 1883 al dicembre 1885 le vendite passarono da 14.000 a 30.000. Il Corriere vendeva il 58% delle copie in Lombardia, il 20% tra Piemonte ed Emilia (seguendo le direttrici delle linee ferroviarie), il resto era distribuito in Veneto, Liguria, Toscana e in alcune città delle Marche e dell'Umbria. Nella città di Milano, il Corriere era il secondo quotidiano, davanti a La Perseveranza e dietro a Il Secolo. Tuttavia, mentre il Secolo aveva alle spalle il sostegno di una casa editrice (la Sonzogno)[9], il Corriere doveva contare solamente sulle proprie forze.

La forza del giornale stava nell'alleanza tra Torelli Viollier e il nuovo socio, l'industriale Benigno Crespi: il primo desideroso di fare un giornale moderno; il secondo attento ai bilanci ma anche sensibile ad effettuare investimenti, anche cospicui, per mantenere il giornale competitivo. L'ingresso di Crespi quale proprietario e finanziatore del Corriere aveva portato all'acquisto di una seconda macchina rotativa (che aveva permesso un miglioramento della fattura delle pagine e un aumento consistente delle copie stampate), all'incremento dei servizi telegrafici e all'assunzione di nuovi collaboratori, scelti da Torelli in completa indipendenza. I redattori del Corriere diventarono sedici.

A partire dalla seconda metà degli anni ottanta le colonne del Corriere ospitarono stabilmente varie rubriche giornaliere, nate sperimentalmente negli anni precedenti. Le principali furono:

    * la rubrica letteraria, pubblicata di lunedì (nata nel 1879),
    * la Cronaca dalle grandi città, realizzata dagli inviati nelle principali città italiane (dal novembre 1883),
    * La Vita, consigli di igiene e di economica domestica (apparsa nel 1885),
    * La Legge, dove un esperto legale rispondeva ai lettori (nata nel 1886).

Il quotidiano continuava a pubblicare in ogni numero un romanzo d'appendice a puntate.
Le pagine a disposizione erano sempre quattro, di cui una (la quarta) dedicata in gran parte alla pubblicità.

Nel 1886 Torelli Viollier inventò la figura del "redattore viaggiante", ovvero il cronista che sceglieva un itinerario e scriveva tutto quello che vedeva: fatti, persone, storie, ecc. Nello stesso anno per la prima volta le copie vendute del giornale sorpassarono le copie distribuite in abbonamento. Alla fine del decennio le vendite raggiunsero 60.000 copie, ponendo il Corriere tra i giornali più venduti del Nord Italia.

I nomi dei giornalisti che lavoravano al Corriere cominciarono ad essere noti: Paolo Bernasconi (inviato a Parigi), Dario Papa, Barattani, Barbiera, Mantegazza. Fece la sua prima comparsa il medico e criminologo Cesare Lombroso. I collaboratori fissi e saltuari erano circa 150. A partire dal 1888 il Corriere spostò la prima edizione all'alba ed arretrò la seconda edizione al pomeriggio, tradizionalmente letta dai lombardi dopo il lavoro. L'edizione mattutina serviva a far arrivare il giornale nelle regioni più lontane entro il giorno di pubblicazione. Nel 1889 il giornale si trasferì in via Pietro Verri, nel palazzo di Benigno Crespi.

Nel 1890 venne inaugurata la terza edizione, diversa e con notizie aggiornate. Era evidente lo sforzo del Corriere di fornire un prodotto completo al fine di conquistare sempre più larghe fette di mercato. A partire dagli anni novanta il Corriere offrì ai suoi lettori articoli di prima mano anche da luoghi diversi dalle capitali europee: si pensi ai corrispondenti di guerra in Africa.

Nel 1896 Torelli Viollier assunse il venticinquenne Luigi Albertini come segretario di redazione, ruolo inesistente all'epoca in Italia e ritagliato su misura: Albertini mostrava già spiccate doti organizzative e conoscenze tecniche[10], mentre non aveva alle spalle una solida carriera giornalistica. Albertini si impose agli occhi dei colleghi per il piglio organizzativo e la capacità decisionale. Doti che espresse anche in occasione delle proteste di maggio del 1898: fu Albertini infatti a decidere di mandare tutto il personale in cerca di nuove notizie nelle strade di Milano.

Proprio i fatti di maggio segnarono una svolta nella direzione del quotidiano. La linea di Torelli Viollier venne messa in discussione finché il 1º giugno il fondatore decise di rassegnare le dimissioni da direttore politico. I proprietari installarono alla direzione Domenico Oliva di area conservatrice, editorialista e deputato. Luigi Albertini, ancora lontano dai vertici del Corriere, nel resto dell'anno viaggiò nelle principali capitali europee, per studiare la fattura dei più moderni quotidiani stranieri, accrescendo le proprie conoscenze tecniche.

Il bilancio del Corriere della Sera 1899/1900 vide un ridimensionamento delle principali voci del giornale. Nell'assemblea del 14 maggio 1900 i proprietari espressero le loro preoccupazioni per il futuro del Corriere. Luigi Albertini, che era stato promosso direttore amministrativo all'inizio dell'anno, si unì al coro esprimendo le proprie rimostranze sulla gestione del giornale. Oliva per tutta risposta rassegnò le dimissioni. Il 26 aprile era morto Eugenio Torelli Viollier. In luglio i proprietari assegnarono ad Albertini l'incarico di gerente responsabile (cioè direttore responsabile); Albertini entrò anche nel capitale sociale con una piccola partecipazione. Non fu nominato nessun nuovo direttore politico, per cui Albertini riunificò le funzioni di direttore amministrativo e gerente responsabile.

In soli sei anni Albertini seppe raddoppiare le vendite portandole da 75 000 a 150 000, surclassando il diretto concorrente Il Secolo e diventando il primo quotidiano italiano per diffusione (nelle pubblicità, Il Secolo si era fregiato del titolo di "più diffuso quotidiano italiano"). La prima pagina è a sei colonne.

Nascono in questo periodo alcuni periodici collegati al prodotto-Corriere pensati per un pubblico eterogeneo: La Domenica del Corriere (8 gennaio 1899), popolare, "La Lettura" (gennaio 1901), diretto dal commediografo Giuseppe Giacosa e rivolto al pubblico colto, il "Romanzo mensile" (aprile 1903), che raccoglie i romanzi d'appendice pubblicati a puntate sul Corriere, il Corriere dei Piccoli (27 dicembre 1908), periodico a fumetti per ragazzi.

Intanto, nel 1904 era stata inaugurata la nuova sede (modellata su quella del Times di Londra) al civico 28 di via Solferino, in un palazzo progettato dall'architetto Luca Beltrami. Da allora il Corriere mantenne sempre lo stesso indirizzo. In tipografia vennero installate le quattro nuove rotative Hoe, fatte venire dagli Stati Uniti. La nuova tecnologia permette di portare la foliazione prima a 6 pagine, poi a 8. Nel 1907 il Corriere pubblicò i reportage del proprio inviato più famoso, Luigi Barzini senior dal raid Pechino-Parigi. Gli articoli vennero pubblicati in Terza pagina. Albertini creò lo schema della Terza che poi venne adottato da tutti gli altri quotidiani: apertura con l'elzeviro, una spalla di varietà, il taglio con corrispondenza dall'estero e in più rubriche e corsivi. Il 18 dicembre 1907 da Fort Monroe, negli Stati Uniti, Barzini senior trasmise in esclusiva italiana per il Corriere il primo articolo via telegrafo senza fili.

Attestato su posizioni liberal-conservatrici, il Corriere si schierò contro la politica di Giovanni Giolitti; principale sostenitore della Campagna di Libia (1911-12), fu il capofila dell'interventismo italiano nella prima guerra mondiale. Durante la direzione di Albertini, dal 1900 al 1925, il Corriere conobbe un crescendo inarrestabile: 275 000 copie nel 1911, che salirono a 400 000 nel 1918, grazie all'interesse per la guerra mondiale, per toccare quota 600 000 nel 1920. Il braccio destro di Albertini fu Eugenio Balzan, direttore amministrativo dell'azienda-Corriere, noto per la sua puntigliosità nel sorvegliare i conti. In questo periodo scrissero per la Terza pagina del quotidiano lombardo molte fra le firme più prestigiose della cultura italiana, come Giosuè Carducci, Ada Negri, Gabriele D'Annunzio, Benedetto Croce, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Luigi Capuana, Renato Simoni, Giuseppe Antonio Borgese, Francesco Pastonchi e Massimo Bontempelli. Albertini ottenne un contratto d'assoluta esclusiva con i prestigiosi collaboratori, accorgimento che permise al giornale di realizzare pagine culturali di altissimo livello.

Nell'ottobre del 1921 Luigi Albertini fu designato membro della missione italiana alla Conferenza sul disarmo negli armamenti navali di Washington. Rimase formalmente direttore del Corriere, ma cooptò il fratello Alberto alla carica di condirettore, lasciandogli tutte le funzioni operative.

Il regime fascista (che prese il potere il 28 ottobre 1922) mostrò insofferenza per l'indipendenza politica del giornale, già a partire da quel giorno, quando bloccò l'uscita del quotidiano. Il 27, infatti, Benito Mussolini contattò personalmente Luigi Albertini chiedendo al giornale di tenere una linea neutrale. Il tentativo finì malamente. Per ritorsione, quella stessa notte il comando militare fascista di Milano ordinò la chiusura della tipografia, impedendo l'uscita del quotidiano il giorno 28.

Dopo il Delitto Matteotti (10 giugno 1924) il Corriere, nonostante i tentativi di intimidazione, rappresentò la voce indipendente e più autorevole contro il regime. La tiratura toccò alte vette: ottocentomila copie al giorno ed un milione la domenica [15]. Furono effettuati centinaia di sequestri di copie del Corriere in varie parti d'Italia, di cui 12 ordinati dalla sola Prefettura di Milano. Il 2 luglio 1925 i magistrati milanesi arrivarono a minacciare la soppressione della testata.
Nel novembre 1925, dopo una serie di diffide e intimidazioni, il regime fascista ottenne le dimissioni di Albertini dalla direzione e la sua uscita dalla società editrice del quotidiano. Tramite cavilli giuridici [16], la famiglia Crespi, detentrice della maggioranza delle quote della società, ne acquistò anche la quota in mano agli Albertini, rimanendo il proprietario unico. Il 28 novembre Albertini scrisse il suo ultimo articolo di fondo.

Dopo l'uscita di scena di Albertini lasciarono il giornale: Alberto Tarchiani (redattore capo), Mario Borsa e Carlo Sforza (editorialisti di politica estera), Luigi Einaudi (editorialista di economia), Francesco Ruffini (giurista e storico), Augusto Monti (esperto di pedagogia e problemi dell'istruzione), Ettore Janni (critico letterario), Guglielmo Emanuel e Luciano Magrini (inviati speciali) ed altri redattori e inviati. La direzione fu affidata temporaneamente a Pietro Croci, corrispondente da Parigi. Gli subentrò Ugo Ojetti, mente più incline alla letteratura che alla politica. Ojetti assunse Orio Vergani, che divenne una delle firme di punta del Corriere; inoltre decise il cambiamento nell'aspetto grafico della pagina, che passò da sei a sette colonne. Ojetti guidava il giornale da Milano, ma la pagina politica del Corriere era fatta a Roma, dove il regime aveva collocato un suo uomo, Aldo Valori.
Ad Ojetti seguì la debole direzione di Maffio Maffii, durante la quale iniziò la fascistizzazione del quotidiano milanese. Sotto l'imposizione del regime, il Corriere si conformò alle esigenze della dittatura: uso tassativo dell’agenzia ufficiale Stefani e delle disposizioni di Achille Starace, il vice segretario del partito fascista. Nel 1928 venne assunto il ventiduenne Dino Buzzati. Fece una lunga carriera al Corriere e nei settimanali del gruppo.

Alla fine del 1928 sbarcò a via Solferino un vero giornalista, Aldo Borelli, proveniente dalla direzione de La Nazione di Firenze. Borelli, abilmente, riuscì ad arginare l'ingerenza del fascismo sul Corriere: lasciò che ad occuparsi della politica fosse la redazione romana, che riceveva e pubblicava le veline del regime. Confermò il capo redattore Oreste Rizzini e si concentrò sulla pagina culturale. Continuarono a collaborarvi le grandi firme dei tempi di Albertini: Bontempelli, Borgese, Croce, D'Annunzio, Ada Negri, Pirandello, Simoni e Pastonchi. Ad essi si aggiunsero: Corrado Alvaro, Silvio D'Amico, Giovanni Gentile, Arnaldo Fraccaroli, Giovanni Papini e Attilio Momigliano. Consulente di Borelli per le pagine culturali fu il critico Pietro Pancrazi.

Nel 1929 il Corriere cominciò a pubblicare anche recensioni cinematografiche. La novità fu accolta inizialmente con sorpresa, poiché il cinema era ritenuto un argomento «non serio», ma i brillanti articoli di Filippo Sacchi fecero ricredere anche i più diffidenti. Nel 1934 il Corriere si dotò di una nuova rotativa Hoe . Nello stesso anno cominciò a produrre in proprio le fotografie da pubblicare sul giornale. Nel 1935 anche Borelli, come Ojetti pochi anni prima, decise un aumento delle colonne della pagina, che passarono da 7 a 8. Alcuni numeri dell'azienda-Corriere: nel 1935 lavoravano per il giornale (e i suoi periodici illustrati) quasi 1.500 persone, fra redattori, collaboratori, tipografi, impiegati. Durante gli anni trenta Borelli assunse una schiera di giovani che, negli anni seguenti, divennero tra i migliori giornalisti italiani: Indro Montanelli (che al giornale conobbe Dino Buzzati, di cui divenne grande amico), Guido Piovene, Paolo Monelli e Gaetano Afeltra. Nel 1936 fu assunto Michele Mottola, destinato a diventare, negli anni cinquanta, vicedirettore.

Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra. Il 14 febbraio 1943 la sede del Corriere fu bombardata. I danni furono ingenti, ciò costrinse l'editore a trasferire in periferia tre rotative e altri macchinari. Il 25 luglio del 1943, alla caduta del fascismo, Borelli pagò per tutti e fu allontanato, venendo sostituito da Ettore Janni, il più anziano degli antifascisti di via Solferino, che durò fino all'8 settembre. Particolarmente duri i toni assunti dal quotidiano durante la Repubblica Sociale di Mussolini; il direttore in questi anni fu Ermanno Amicucci.