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Il Corriere della Sera nacque nel febbraio del 1876 quando Eugenio
Torelli Viollier, direttore de La Lombardia, e Riccardo Pavesi,
editore della medesima, decisero di fondare un nuovo giornale.
Il primo numero venne annunciato dagli strilloni in piazza della
Scala domenica 5 marzo 1876, con la data del 5-6 marzo. Per il
lancio venne scelta la prima domenica di Quaresima (tradizionalmente
quel giorno i giornali milanesi non uscivano). Il Corriere
sfruttò quindi l'assenza di concorrenza; però per non
farsi inimicare l'ambiente, devolvette in beneficenza il ricavato
del primo numero.
La foliazione era di quattro pagine, stampate in 15 000 copie. Come
sede del nuovo giornale fu scelto un luogo di prestigio, la
centralissima Galleria Vittorio Emanuele. Tutto il giornale era
raccolto in due stanze ed era fatto da tre redattori (oltre al
direttore) e da quattro operai. I tre collaboratori di Torelli
Viollier erano suoi amici:
* Raffaello Barbiera, veneto, che aveva
rinunciato al suo impiego al Comune di Venezia per inseguire le sue
velleità letterarie. Aveva conosciuto Torelli casualmente ad
un pranzo pochi mesi prima della fondazione del giornale.
* Ettore Teodori Buini originario di Livorno,
colto, amico personale di Eugenio da dieci anni, poliglotta,
definito "personaggio salgariano", era il caporedattore.
* Giacomo Raimondi, l'unico nato nella
città dove si pubblicava il giornale, dal passato tumultuoso
di volontario nel corso delle guerre risorgimentali. Di idee
vagamente socialiste, già collaboratore del Sole, fondatore
de l'Economista, collaboratore del Gazzettino Rosa, l'aveva lasciato
quando il periodico aveva deciso di aderire all'Internazionale
marxista. I quattro anni precedenti il suo approdo al Corriere erano
stati di vera e propria indigenza.
Collaboravano al giornale anche la moglie del Buini, Vittoria
Bonacina, che traduceva alcuni dei romanzi pubblicati sulle pagine
del Corriere, e la stessa moglie di Torelli, Maria Antonietta
Torriani, scrittrice di romanzi d'appendice con lo pseudonimo
"marchesa Colombi". Per le indispensabili corrispondenze da Roma si
era offerto di collaborare gratuitamente Vincenzo Labanca, vecchio
amico di Torelli Viollier. Per l'estero c'erano accordi con
l'Agenzia Stefani e l'Havas.
L'amministratore del giornale era il fratello di Eugenio, Titta
Torelli. Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia
esterna, che possedeva uno stanzone nei sotterranei della Galleria
Vittorio Emanuele.
Dall'editoriale del nº 1 del «Corriere della Sera»:
Al Pubblico
"Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime
libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare
dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle
gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d'altri tempi. La
tua educazione politica è matura. L'arguzia, l'esprit ti
affascina ancora, ma l'enfasi ti lascia freddo e la violenza ti
dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un
trave d'una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una
parola non è che una parola, e sai che in politica,
più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al
fatto, come dice il proverbio, v'ha un gran tratto. Noi dunque
lasciamo da parte la rettorica [sic] e veniamo a parlarti chiaro.
Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un
giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi
conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una
perifrasi. Ora dice apertamente: "Siamo moderati, siamo
conservatori". Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori
prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto;
perché hanno dato all'Italia l'indipendenza, l'unità,
la libertà, l'ordine. In grazia loro si è veduto
questo gran fatto: Roma emancipata da' papi che la tennero durante
undici secoli. [...]
Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch'ebbe per suo
organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze
degli elettori, e - per conseguenza - il potere.[...] L'Italia
unificata, il potere temporale de' papi abbattuto, l'esercito
riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l'opera del
partito moderato.
Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto
ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi,
entrate ne' nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che
udite? Assai più censure che lodi. Non c'è occhi
più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i
difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non
c'è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel
deplorarli. [...] Gli è che il partito moderato non è
un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti.
È un partito di movimento e di progresso.
Sennonché, tenendo l'occhio alla teoria, non vogliamo perdere
di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i
pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler
decretare l'istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i
maestri; di non voler proscrivere l'insegnamento religioso se tale
abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il
suffragio universale, se l'estensione del suffragio deve porci in
balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili
[sic] e nervose delle città. [...]
[Conclusione] A' giornali dello scandalo e della calunnia
sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della
verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie
decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in
un'inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo
dell'emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera
potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a
dolersi altri che gli avversari comuni".
Nei giorni successivi le vendite del quotidiano si assestarono sulle
3 000 copie. Il prezzo di un numero era di 5 centesimi (un soldo) a
Milano, 7 fuori città. Il giornale era così composto:
la prima pagina ospitava l'articolo di fondo, la cronaca del fatto
più rilevante e i commenti al fatto. La seconda era dedicata
alla cronaca politica italiana e straniera. La terza pagina ospitava
la cronaca milanese e le notizie telegrafiche. La quarta pagina era
dedicata alla pubblicità. I caratteri venivano stampati in
corpo 10. Il Corriere andava in macchina alle 14 per essere
distribuito circa due ore dopo, e usciva con una doppia datazione
(5-6 marzo, per esempio), poiché la lentezza dei trasporti
faceva sì che spesso giungesse nelle altre regioni
l'indomani. La doppia datazione sarebbe perdurata fino al 1902.
Il 18 marzo 1876, tredici giorni dopo l'uscita del primo numero,
avvenne una svolta nella storia del giornale: Riccardo Pavesi fu
eletto al Parlamento. Nonostante appartenesse al partito dei
moderati, decise di spostarsi a sinistra, cioè dalla parte
che aveva vinto a livello nazionale. Quindi cambiò
l'indirizzo politico de La Lombardia e cercò di persuadere
Torelli Viollier a fare altrettanto al Corriere, ma gli venne
opposto un netto rifiuto. Pavesi allora uscì dal Corriere; il
direttore decise di continuare con i tre redattori e i quattro
operai.
La fattura del Corriere, come di quasi tutti i giornali dell'epoca,
era artigianale: la scrittura degli articoli, tranne che per le
corrispondenze da Roma, era "fatta in casa", non essendoci cronisti
(li aveva solo Il Secolo). La maggior parte del lavoro era affidata
alla penna ed alle forbici (per i dispacci "adattati") di Torelli
Viollier, con un ritmo d'aggiornamento di 2/3 giorni per le notizie
interne e di 10/15 per l'informazione proveniente dall'estero. Il
giornale non aveva una tipografia propria (con i conseguenti
problemi di gestione dell'autonomia del giornale) e limitava al
massimo la pubblicazione di disegni ed incisioni, che invece erano
frequenti sul concorrente Secolo.
La tiratura cominciò a salire decisamente nel 1878. Al
principio dell'anno re Vittorio Emanuele II fu colto da
un'improvvisa malattia che lo portò alla morte. Tutti i
giornali italiani diedero ampio spazio all'avvenimento, ma dopo la
sua morte tornarono a pubblicare le solite notizie. Torelli Viollier
invece continuò a trattare la notizia della morte del re per
un'ulteriore settimana. Ciò fece aumentare le vendite da 3000
a 5600 copie; le vendite salirono nel resto dell'anno fino a
sfondare a dicembre quota 7000 copie giornaliere.
Nel consueto articolo di fine anno, che Torelli Viollier pubblicava
prima delle festività natalizie, il direttore del Corriere
ringraziò i lettori e confermò il suo impegno a
trattarli non come avventori [...], ma come amici e soci in
un'impresa comune, giacché come tali li consideriamo, e tali
sono".
Dagli anni ottanta Milano iniziò ad essere investita da una
rapida trasformazione economica e sociale. Un nuovo ceto di
commercianti e industriali (di origine né patrizia né
liberale) si affermò come nuova forza emergente. Il Corriere
seppe intercettare questo nuovo pubblico e in pochi anni
riuscì ad attirare la sua attenzione.
Nel 1881 la diffusione raggiunse stabilmente le 10.000 copie
giornaliere. Nell'articolo di fine anno (Programma per l'anno 1882),
Torelli annunciò il potenziamento dell'uso del telegrafo per
la trasmissione dei pezzi dei corrispondenti, che fino ad allora si
erano avvalsi prevalentemente del servizio postale. Il direttore
voleva che anche le notizie dall'estero giungessero in tempi rapidi:
nel 1882 inviò i primi corrispondenti all'estero del
Corriere, nelle città di Parigi, Londra e Vienna. Nel
Programma per l'anno 1883 Torelli annunciò che non avrebbe
più utilizzato i rendiconti dell'agenzia Stefani per quanto
riguarda i lavori del Parlamento, ma avrebbe raccolto le notizie in
proprio.
Nel 1883, grazie alla nuova rotativa (König & Bauer) capace
di produrre 12.000 copie l'ora, il Corriere cominciò a
stampare due edizioni al giorno. Il giornale uscì con
un'edizione nel primo pomeriggio e una seconda in serata. Alla fine
del 1885 il Corriere produceva quasi esclusivamente notizie in
proprio. Torelli Viollier poteva affermare che ben di rado il
Corriere stampa notizie ritagliate da altri fogli e le forbici della
redazione, che sono il redattore capo di molti giornali,
arrugginiscono[8].
Dal 1883 al dicembre 1885 le vendite passarono da 14.000 a 30.000.
Il Corriere vendeva il 58% delle copie in Lombardia, il 20% tra
Piemonte ed Emilia (seguendo le direttrici delle linee ferroviarie),
il resto era distribuito in Veneto, Liguria, Toscana e in alcune
città delle Marche e dell'Umbria. Nella città di
Milano, il Corriere era il secondo quotidiano, davanti a La
Perseveranza e dietro a Il Secolo. Tuttavia, mentre il Secolo aveva
alle spalle il sostegno di una casa editrice (la Sonzogno)[9], il
Corriere doveva contare solamente sulle proprie forze.
La forza del giornale stava nell'alleanza tra Torelli Viollier e il
nuovo socio, l'industriale Benigno Crespi: il primo desideroso di
fare un giornale moderno; il secondo attento ai bilanci ma anche
sensibile ad effettuare investimenti, anche cospicui, per mantenere
il giornale competitivo. L'ingresso di Crespi quale proprietario e
finanziatore del Corriere aveva portato all'acquisto di una seconda
macchina rotativa (che aveva permesso un miglioramento della fattura
delle pagine e un aumento consistente delle copie stampate),
all'incremento dei servizi telegrafici e all'assunzione di nuovi
collaboratori, scelti da Torelli in completa indipendenza. I
redattori del Corriere diventarono sedici.
A partire dalla seconda metà degli anni ottanta le colonne
del Corriere ospitarono stabilmente varie rubriche giornaliere, nate
sperimentalmente negli anni precedenti. Le principali furono:
* la rubrica letteraria, pubblicata di
lunedì (nata nel 1879),
* la Cronaca dalle grandi città,
realizzata dagli inviati nelle principali città italiane (dal
novembre 1883),
* La Vita, consigli di igiene e di economica
domestica (apparsa nel 1885),
* La Legge, dove un esperto legale rispondeva ai
lettori (nata nel 1886).
Il quotidiano continuava a pubblicare in ogni numero un romanzo
d'appendice a puntate.
Le pagine a disposizione erano sempre quattro, di cui una (la
quarta) dedicata in gran parte alla pubblicità.
Nel 1886 Torelli Viollier inventò la figura del "redattore
viaggiante", ovvero il cronista che sceglieva un itinerario e
scriveva tutto quello che vedeva: fatti, persone, storie, ecc. Nello
stesso anno per la prima volta le copie vendute del giornale
sorpassarono le copie distribuite in abbonamento. Alla fine del
decennio le vendite raggiunsero 60.000 copie, ponendo il Corriere
tra i giornali più venduti del Nord Italia.
I nomi dei giornalisti che lavoravano al Corriere cominciarono ad
essere noti: Paolo Bernasconi (inviato a Parigi), Dario Papa,
Barattani, Barbiera, Mantegazza. Fece la sua prima comparsa il
medico e criminologo Cesare Lombroso. I collaboratori fissi e
saltuari erano circa 150. A partire dal 1888 il Corriere
spostò la prima edizione all'alba ed arretrò la
seconda edizione al pomeriggio, tradizionalmente letta dai lombardi
dopo il lavoro. L'edizione mattutina serviva a far arrivare il
giornale nelle regioni più lontane entro il giorno di
pubblicazione. Nel 1889 il giornale si trasferì in via Pietro
Verri, nel palazzo di Benigno Crespi.
Nel 1890 venne inaugurata la terza edizione, diversa e con notizie
aggiornate. Era evidente lo sforzo del Corriere di fornire un
prodotto completo al fine di conquistare sempre più larghe
fette di mercato. A partire dagli anni novanta il Corriere
offrì ai suoi lettori articoli di prima mano anche da luoghi
diversi dalle capitali europee: si pensi ai corrispondenti di guerra
in Africa.
Nel 1896 Torelli Viollier assunse il venticinquenne Luigi Albertini
come segretario di redazione, ruolo inesistente all'epoca in Italia
e ritagliato su misura: Albertini mostrava già spiccate doti
organizzative e conoscenze tecniche[10], mentre non aveva alle
spalle una solida carriera giornalistica. Albertini si impose agli
occhi dei colleghi per il piglio organizzativo e la capacità
decisionale. Doti che espresse anche in occasione delle proteste di
maggio del 1898: fu Albertini infatti a decidere di mandare tutto il
personale in cerca di nuove notizie nelle strade di Milano.
Proprio i fatti di maggio segnarono una svolta nella direzione del
quotidiano. La linea di Torelli Viollier venne messa in discussione
finché il 1º giugno il fondatore decise di rassegnare le
dimissioni da direttore politico. I proprietari installarono alla
direzione Domenico Oliva di area conservatrice, editorialista e
deputato. Luigi Albertini, ancora lontano dai vertici del Corriere,
nel resto dell'anno viaggiò nelle principali capitali
europee, per studiare la fattura dei più moderni quotidiani
stranieri, accrescendo le proprie conoscenze tecniche.
Il bilancio del Corriere della Sera 1899/1900 vide un
ridimensionamento delle principali voci del giornale. Nell'assemblea
del 14 maggio 1900 i proprietari espressero le loro preoccupazioni
per il futuro del Corriere. Luigi Albertini, che era stato promosso
direttore amministrativo all'inizio dell'anno, si unì al coro
esprimendo le proprie rimostranze sulla gestione del giornale. Oliva
per tutta risposta rassegnò le dimissioni. Il 26 aprile era
morto Eugenio Torelli Viollier. In luglio i proprietari assegnarono
ad Albertini l'incarico di gerente responsabile (cioè
direttore responsabile); Albertini entrò anche nel capitale
sociale con una piccola partecipazione. Non fu nominato nessun nuovo
direttore politico, per cui Albertini riunificò le funzioni
di direttore amministrativo e gerente responsabile.
In soli sei anni Albertini seppe raddoppiare le vendite portandole
da 75 000 a 150 000, surclassando il diretto concorrente Il Secolo e
diventando il primo quotidiano italiano per diffusione (nelle
pubblicità, Il Secolo si era fregiato del titolo di
"più diffuso quotidiano italiano"). La prima pagina è
a sei colonne.
Nascono in questo periodo alcuni periodici collegati al
prodotto-Corriere pensati per un pubblico eterogeneo: La Domenica
del Corriere (8 gennaio 1899), popolare, "La Lettura" (gennaio
1901), diretto dal commediografo Giuseppe Giacosa e rivolto al
pubblico colto, il "Romanzo mensile" (aprile 1903), che raccoglie i
romanzi d'appendice pubblicati a puntate sul Corriere, il Corriere
dei Piccoli (27 dicembre 1908), periodico a fumetti per ragazzi.
Intanto, nel 1904 era stata inaugurata la nuova sede (modellata su
quella del Times di Londra) al civico 28 di via Solferino, in un
palazzo progettato dall'architetto Luca Beltrami. Da allora il
Corriere mantenne sempre lo stesso indirizzo. In tipografia vennero
installate le quattro nuove rotative Hoe, fatte venire dagli Stati
Uniti. La nuova tecnologia permette di portare la foliazione prima a
6 pagine, poi a 8. Nel 1907 il Corriere pubblicò i reportage
del proprio inviato più famoso, Luigi Barzini senior dal raid
Pechino-Parigi. Gli articoli vennero pubblicati in Terza pagina.
Albertini creò lo schema della Terza che poi venne adottato
da tutti gli altri quotidiani: apertura con l'elzeviro, una spalla
di varietà, il taglio con corrispondenza dall'estero e in
più rubriche e corsivi. Il 18 dicembre 1907 da Fort Monroe,
negli Stati Uniti, Barzini senior trasmise in esclusiva italiana per
il Corriere il primo articolo via telegrafo senza fili.
Attestato su posizioni liberal-conservatrici, il Corriere si
schierò contro la politica di Giovanni Giolitti; principale
sostenitore della Campagna di Libia (1911-12), fu il capofila
dell'interventismo italiano nella prima guerra mondiale. Durante la
direzione di Albertini, dal 1900 al 1925, il Corriere conobbe un
crescendo inarrestabile: 275 000 copie nel 1911, che salirono a 400
000 nel 1918, grazie all'interesse per la guerra mondiale, per
toccare quota 600 000 nel 1920. Il braccio destro di Albertini fu
Eugenio Balzan, direttore amministrativo dell'azienda-Corriere, noto
per la sua puntigliosità nel sorvegliare i conti. In questo
periodo scrissero per la Terza pagina del quotidiano lombardo molte
fra le firme più prestigiose della cultura italiana, come
Giosuè Carducci, Ada Negri, Gabriele D'Annunzio, Benedetto
Croce, Luigi Pirandello, Grazia Deledda, Luigi Capuana, Renato
Simoni, Giuseppe Antonio Borgese, Francesco Pastonchi e Massimo
Bontempelli. Albertini ottenne un contratto d'assoluta esclusiva con
i prestigiosi collaboratori, accorgimento che permise al giornale di
realizzare pagine culturali di altissimo livello.
Nell'ottobre del 1921 Luigi Albertini fu designato membro della
missione italiana alla Conferenza sul disarmo negli armamenti navali
di Washington. Rimase formalmente direttore del Corriere, ma
cooptò il fratello Alberto alla carica di condirettore,
lasciandogli tutte le funzioni operative.
Il regime fascista (che prese il potere il 28 ottobre 1922)
mostrò insofferenza per l'indipendenza politica del giornale,
già a partire da quel giorno, quando bloccò l'uscita
del quotidiano. Il 27, infatti, Benito Mussolini contattò
personalmente Luigi Albertini chiedendo al giornale di tenere una
linea neutrale. Il tentativo finì malamente. Per ritorsione,
quella stessa notte il comando militare fascista di Milano
ordinò la chiusura della tipografia, impedendo l'uscita del
quotidiano il giorno 28.
Dopo il Delitto Matteotti (10 giugno 1924) il Corriere, nonostante i
tentativi di intimidazione, rappresentò la voce indipendente
e più autorevole contro il regime. La tiratura toccò
alte vette: ottocentomila copie al giorno ed un milione la domenica
[15]. Furono effettuati centinaia di sequestri di copie del Corriere
in varie parti d'Italia, di cui 12 ordinati dalla sola Prefettura di
Milano. Il 2 luglio 1925 i magistrati milanesi arrivarono a
minacciare la soppressione della testata.
Nel novembre 1925, dopo una serie di diffide e intimidazioni, il
regime fascista ottenne le dimissioni di Albertini dalla direzione e
la sua uscita dalla società editrice del quotidiano. Tramite
cavilli giuridici [16], la famiglia Crespi, detentrice della
maggioranza delle quote della società, ne acquistò
anche la quota in mano agli Albertini, rimanendo il proprietario
unico. Il 28 novembre Albertini scrisse il suo ultimo articolo di
fondo.
Dopo l'uscita di scena di Albertini lasciarono il giornale: Alberto
Tarchiani (redattore capo), Mario Borsa e Carlo Sforza
(editorialisti di politica estera), Luigi Einaudi (editorialista di
economia), Francesco Ruffini (giurista e storico), Augusto Monti
(esperto di pedagogia e problemi dell'istruzione), Ettore Janni
(critico letterario), Guglielmo Emanuel e Luciano Magrini (inviati
speciali) ed altri redattori e inviati. La direzione fu affidata
temporaneamente a Pietro Croci, corrispondente da Parigi. Gli
subentrò Ugo Ojetti, mente più incline alla
letteratura che alla politica. Ojetti assunse Orio Vergani, che
divenne una delle firme di punta del Corriere; inoltre decise il
cambiamento nell'aspetto grafico della pagina, che passò da
sei a sette colonne. Ojetti guidava il giornale da Milano, ma la
pagina politica del Corriere era fatta a Roma, dove il regime aveva
collocato un suo uomo, Aldo Valori.
Ad Ojetti seguì la debole direzione di Maffio Maffii, durante
la quale iniziò la fascistizzazione del quotidiano milanese.
Sotto l'imposizione del regime, il Corriere si conformò alle
esigenze della dittatura: uso tassativo dell’agenzia ufficiale
Stefani e delle disposizioni di Achille Starace, il vice segretario
del partito fascista. Nel 1928 venne assunto il ventiduenne Dino
Buzzati. Fece una lunga carriera al Corriere e nei settimanali del
gruppo.
Alla fine del 1928 sbarcò a via Solferino un vero
giornalista, Aldo Borelli, proveniente dalla direzione de La Nazione
di Firenze. Borelli, abilmente, riuscì ad arginare
l'ingerenza del fascismo sul Corriere: lasciò che ad
occuparsi della politica fosse la redazione romana, che riceveva e
pubblicava le veline del regime. Confermò il capo redattore
Oreste Rizzini e si concentrò sulla pagina culturale.
Continuarono a collaborarvi le grandi firme dei tempi di Albertini:
Bontempelli, Borgese, Croce, D'Annunzio, Ada Negri, Pirandello,
Simoni e Pastonchi. Ad essi si aggiunsero: Corrado Alvaro, Silvio
D'Amico, Giovanni Gentile, Arnaldo Fraccaroli, Giovanni Papini e
Attilio Momigliano. Consulente di Borelli per le pagine culturali fu
il critico Pietro Pancrazi.
Nel 1929 il Corriere cominciò a pubblicare anche recensioni
cinematografiche. La novità fu accolta inizialmente con
sorpresa, poiché il cinema era ritenuto un argomento
«non serio», ma i brillanti articoli di Filippo Sacchi
fecero ricredere anche i più diffidenti. Nel 1934 il Corriere
si dotò di una nuova rotativa Hoe . Nello stesso anno
cominciò a produrre in proprio le fotografie da pubblicare
sul giornale. Nel 1935 anche Borelli, come Ojetti pochi anni prima,
decise un aumento delle colonne della pagina, che passarono da 7 a
8. Alcuni numeri dell'azienda-Corriere: nel 1935 lavoravano per il
giornale (e i suoi periodici illustrati) quasi 1.500 persone, fra
redattori, collaboratori, tipografi, impiegati. Durante gli anni
trenta Borelli assunse una schiera di giovani che, negli anni
seguenti, divennero tra i migliori giornalisti italiani: Indro
Montanelli (che al giornale conobbe Dino Buzzati, di cui divenne
grande amico), Guido Piovene, Paolo Monelli e Gaetano Afeltra. Nel
1936 fu assunto Michele Mottola, destinato a diventare, negli anni
cinquanta, vicedirettore.
Il 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra. Il 14 febbraio
1943 la sede del Corriere fu bombardata. I danni furono ingenti,
ciò costrinse l'editore a trasferire in periferia tre
rotative e altri macchinari. Il 25 luglio del 1943, alla caduta del
fascismo, Borelli pagò per tutti e fu allontanato, venendo
sostituito da Ettore Janni, il più anziano degli antifascisti
di via Solferino, che durò fino all'8 settembre.
Particolarmente duri i toni assunti dal quotidiano durante la
Repubblica Sociale di Mussolini; il direttore in questi anni fu
Ermanno Amicucci.