Epicarmo Corbino
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Epicarmo Corbino (Augusta, 18 luglio 1890 – Napoli, 25 aprile 1984)
è stato un politico ed economista italiano. Fu deputato
all'Assemblea Costituente, e deputato alla Camera nella I
legislatura.
Vita
Nacque in un'umile famiglia siciliana. Frequentò le scuole
tecniche e, trasferitosi a Catania, conseguì il diploma di
ragioniere. Fu il fratello minore di Orso Mario Corbino, il fisico
direttore dell'Istituto Superiore di Fisica di Via Panisperna,
maestro di Fermi, Pontecorvo, Amaldi (prima noti come “i ragazzi di
Corbino”, appunto), e anch'egli uomo politico (fu ministro con
Ivanoe Bonomi e Benito Mussolini). Diversamente da lui, però,
Epicarmo fu sempre un convinto antifascista ed ebbe uno spirito
liberale.
Nel 1923, benché non fosse laureato, vinse la cattedra di
Economia all'Università di Napoli. Fu anche importante
collaboratore del Giornale degli economisti e Annali di economia.
Nel 1943 partecipò al primo governo Badoglio nella sede di
Brindisi, in qualità di ministro all'Industria e Commercio,
ma se ne dimise nel 1944 per contrasti sulla direzione politica.
Rappresentante liberale alla Consulta, deputato all'Assemblea
Costituente (autore, fra l'altro, dell'emendamento al III comma
dell'art. 33 della Costituzione che recita: «Enti privati
hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza
oneri per lo Stato»), restò a Montecitorio anche nella
prima legislatura repubblicana. “Togliatti, che di Corbino era
personale estimatore, anche se irriducibile avversario politico, fu
visto in più di un'occasione avvicinarsi di qualche banco per
meglio udire le parole di quei discorsi sempre così
brillanti, scoppiettanti e dotti”. Fu ministro del Tesoro nei primi
due gabinetti guidati da Alcide De Gasperi (il primo governo De
Gasperi, durato dal 10 dicembre 1945 al 16 settembre 1946, e il
secondo, che fu in carica dal 13 luglio 1946 al 28 gennaio 1947).
«Se Corbino non ci fosse bisognerebbe inventarlo», disse
Alcide De Gasperi[senza fonte]. In questa veste[non chiaro]
“perseguì una politica economica fondata sulla parsimonia e
sulla corretta amministrazione”, e si oppose in maniera
intransigente al cambio della moneta (proposto dal comunista Mauro
Scoccimarro, ministro delle Finanze). Tale provvedimento
servì a fermare l'inflazione (con l'aiuto decisivo del
governatore della Banca d'Italia, Luigi Einaudi). Ma fu un
provvedimento impopolare, e la sinistra lo impiccò in effigie
in manifestazioni di piazza. Pur di non cambiare le proprie
convinzioni, Corbino, che “mai avrebbe barato al gioco per restare
in sella”, si dimise il 13 settembre 1946 dall'incarico governativo.
Il 18 settembre 1946 fu nominato al suo posto Giovan Battista
Bertone.
Dal 10 maggio 1948 al 3 luglio 1951 fu deputato eletto nel gruppo
parlamentare del Partito Liberale, poi dal 3 luglio 1951 al 24
giugno 1953 entrò nel Gruppo Misto al Parlamento.
Successivamente formò un nuovo partito, l'Alleanza
Democratica Nazionale (ADN), movimento nato per contrastare la
cosiddetta legge truffa proposta dal governo, a cui egli non
aderì (e alla quale aveva tentato di opporsi anche in aula,
proponendo una soluzione di mediazione, denominata "ponte Corbino").
Nel 1953, contro la cosiddetta “legge truffa”, che istituiva un
premio di maggioranza per i partiti, singoli o apparentati tra loro,
che avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi popolari,
Corbino, dissentendo dal PLI, costituì l'Alleanza Democratica
Nazionale. In questo modo si tolsero voti ai gruppi di centro
(così come fece il gruppo Parri-Calamandrei a sinistra), e la
legge non ottenne, anche se per poco, l'effetto sperato. Ma
ciò non bastò a farlo eleggere al Parlamento. Per
questo fu ribattezzato da Sandro Pertini il “Pietro Micca” della
politica.
L'ADN raccolse pochi voti (ma sufficienti, appunto, perché il
premio di maggioranza previsto dalla nuova legge elettorale non
scattasse), e Corbino non riuscì a tornare alla Camera. Si
ritirò quindi dalla vita politica, denunciando in un articolo
sul Giornale che la partitocrazia aveva "ucciso la politica".
Dal 1959 al 1965 fu presidente del Banco di Napoli, di cui diresse
anche la rivista Rassegna economica. In séguito, fino al
1983, Corbino diresse la Banca Provinciale di Napoli. Morì a
Napoli, in età avanzata, il 25 aprile 1984.
Nel 1988 gli è stato intitolato l'Istituto Statale di
Istruzione Superiore di Contursi Terme.
Scritti
L'emigrazione in Augusta (1914)
Economia dei trasporti marittimi (1926)
Annali dell'economia italiana dal 1861 al 1914
(1928-1938)
La battaglia dello Jutland vista da un economista
(1933)
Corso di politica economica e finanziaria (1942)
Racconto di una vita (1972)
E.E.E. - Energia, Ecologia, Economia (1974)
Cronache economiche politiche (1980)
I suoi discorsi parlamentari sono raccolti nel volume Scritti e
discorsi di un liberista e nel saggio Limiti e scelte nella
ricostruzione economica. Collaborò inoltre a molti quotidiani
e riviste.
*
DBI
di Domenico Demarco
Nacque ad Augusta (Siracusa) il 18 luglio 1890
da Vincenzo, modesto artigiano, ma con cultura superiore alla media,
e da Rosaria Imprescia. Egli fu quarto maschio di sette figli, di
cui il secondo, Orso Mario, poi illustre fisico, esercitò un
notevole influsso sul C. per la sua eccezionale personalità.
Le condizioni economiche della famiglia non erano le migliori,
aggravate dalla crisi che attraversava l'artigianato meridionale. Il
C. frequentò le scuole elementari ad Augusta e
proseguì gli studi presso la scuola tecnica locale dove si
licenziò nel 1904. Ebbe tra gli insegnanti di quella scuola
Mario Barbagallo, padre dello storico Corrado, che seppe svegliare
nel giovane talune attitudini che successivamente appariranno
singolari. Diplomato ragioniere nel, 1908, poiché le
condizioni economiche della famiglia non gli consentivano di
frequentare l'università il C. trovò un impiego presso
la ditta dei fratelli Franco, titolari di una grande azienda che
esercitava attività nel campo dell'armamento a vela e il
commercio di vino, cereali e legnami. Questo lavoro divenne per il
C. un fecondo campo di osservazione, poiché qui egli
cominciò ad avere una chiara idea della complessità
del mondo economico e interesse per lo studio dei fatti economici.
In questo periodo si interessò anche alla vita politica
locale, fondando una associazione giovanile operaia, nucleo intorno
al quale sorse più tardi la Camera del lavoro di Augusta, e
partecipò (benché non ancora elettore) alla campagna
per alcune elezioni amministrative. Cominciò anche ad
approfondire gli studi di economia accostandosi ai-classici.
Il C. lasciò i Franco nel maggio del 1911, allorché fu
nominato, per concorso, sottotenente nel corpo delle capitanerie di
porto: comincio allora una fase nuova della sua vita. Il contatto
con il mare e con le attività congiunte lo poneva dinanzi a
problemi molto più complessi di quelli che aveva avuto modo
di osservare entro la ristretta cerchia del suo paese natale. Il C.
prestò servizio undici anni nelle capitanerie: fu a Bari, a
Genova, a Catania, alla Spezia, a Porto Maurizio e a Salonicco.
Cominciò allora a scrivere piccoli saggi, sfruttando per
questo e per la lettura le ore serali: la sua prima pubblicazione fu
una monografia, l'Emigrazione in Augusta (Catania 1914), in cui
analizzava le condizioni delle campagne, dei contadini e degli altri
lavoratori prima del 1900, le cause e lo svolgimento
dell'emigrazione nel campo economico, le ripercussioni nel campo
politico e sociale, i mezzi per impedire l'incremento del fenomeno.
In questi anni, il C. prese contatto con alcuni dei maggiori
economisti italiani che saranno i suoi maestri: G. Mortara, L.
Einaudi, U. Ricci, L. Amoroso, G. Salvemini. Questi gli
pubblicò sull'Unità numerosi articoli intorno a
questioni marittime, raccolti poi nel volume Marina mercantile
italiana (Milano 1919), in cui il C. discuteva dei complessi aspetti
del problema marittimo italiano, caratterizzato dal contrasto di
molteplici interessi, la cui armonizzazione era essenziale per la
rinascita delle energie produttive del paese.
Negli anni della guerra egli riteneva che una grande marina
mercantile fosse necessaria per la vittoria sulla Triplice e,
poiché i bisogni di tonnellaggio erano enormi, dovesse essere
incoraggiato ogni sforzo per il suo aumento; ma, a guerra finita, a
una fase nella quale non si doveva fare questione di costi, ne
subentrava un'altra in cui il principio dell'economicità
riacquistava valore preminente; di qui la condanna del protezionismo
marittimo e dei connessi oneri per lo Stato, che lasciava invece
campo al favoritismo legalizzato.
Tra il 1919 e il 1921,'il C. continuò a studiare intensamente
questo tema, pubblicando il suo primo lavoro organico, Il
protezionismo marittimo in Italia (Roma 1922), che il Mortara
pubblicò anche a puntate sul Giornale degli economisti.
Dalle conclusioni cui il C. perveniva scaturivano indicazioni
drastiche di politica economica marittima. "In qualunque forma -
egli argomentava - il protezionismo marittimo ha costituito per
l'erario una spesa che non trova compensi di ordine politico, che ha
avuto nel campo tecnico risultati relativamente ed assolutamente
esigui e dove li ha trovati ha provocato un danno per l'economia
nazionale" (Il protezionismo, p. 101). "Da qualunque, punto di vista
si consideri il problema del protezionismo marittimo, non si resta
affatto convinti, e per il passato e per l'avvenire, della
necessità di una "grande" marina mercantile, mentre, ai fini
economici e politici della nazione, si deve convenire che sarebbe
più utile al paese lasciare che l'industria dell'armamento si
sviluppi liberamente nell'atmosfera che le creano le condizioni
economiche generali e la politica commerciale dello stato" (ibid.,
p. 100).
In occasione del concorso per la cattedra di politica commerciale e
legislazione doganale presso l'Istituto superiore di scienze
economiche di Napoli, il C. raccolse in due volumetti i suoi
migliori articoli di politica economica apparsi su vari periodici:
Scritti vari (Pontremoli 1922) e Liberismo e protezionismo (ibid.
1922).
Gli Scritti vari presentavano articoli apparsi sull'Unità dal
1917 al 1920, nel volume Marina mercantile e nel quotidiano Corriere
mercantile dal 1917 al 1921. Un primo gruppo di essi si riferiva
alla burocrazia. "Purtroppo, oggi - scriveva il C. - la routine
burocratica si risolve in un lento intorpedimento ed, in definitiva,
in un'atrofia della parte migliore dell'uomo: del cervello. A questo
che bisogna evitare; questo mutamento da uomo in macchina, di un
uomo in uno strumento implacabile ed incosciente di un regolamento
minuzioso, stupido e ingombrante è il più grande
difetto del nostro ordinamento amministrativo" (pp. 15 s.). Il
secondo gruppo conteneva articoli riguardanti la marina mercantile e
specialmente i due provvedimenti varati in materia dai ministri T.
Villa e G. De Nava. Il primo aboliva per i nuovi piroscafi e per
quelli acquistati all'estero le esenzioni tributarie e la dispensa
dalla requisizione, e stabiliva il noleggio di essi da parte dello
Stato, per un biennio, dalla data della loro effettiva entrata in
servizio; perciò - secondo il C. - si trattava di un
complesso organico di disposizioni ispirate a concetti sani, pur se
introdotto in ritardo. L'altro provvedimento risolveva soltanto in
parte i problemi del sistema marittimo italiano: il bisogno assoluto
di tonnellaggio per soddisfare le esigenze di approvvigionamento
alimentare e industriale del paese e i criteri con cui accordare la
protezione alla marina mercantile italiana e alle costruzioni
navali. Il decreto De Nava lasciava insoluto il primo problema, che
era il più grave e il più urgente; quanto ai
provvedimenti di protezione il C. riteneva criticabili le
agevolazioni e le sovvenzioni accordate all'industria armatoriale e
canticristica: ingiustificato sul piano della redditività gli
sembrava il provvedimento in favore degli armatori, troppo oneroso
per lo Stato e per la collettività.
Il terzo gruppo di scritti, relativo ai porti, si chiudeva
riportando una burlesca Petizione dei cinghiali di Montecristo per
un ente portuale. Il quarto e ultimo, sul sindacalismo e sul
protezionismo di classe, oltre ad una relazione presentata nel 1920
al congresso della Lega democratica per il rinnovamento della vita
pubblica italiana - come si chiamò il movimento che faceva
capo al Salvemini e che raccoglieva i suoi simpatizzanti tra gli
amici dell'Unità - e a uno scritto sul Riconoscimento dei
sindacati e la loro funzione nella produzione, conteneva un severo
giudizio sul noto contratto stipulato dallo Stato con la cooperativa
Garibaldi e la critica a una proposta legislativa sul pilotaggio
obbligatorio nei porti italiani.
Del volumetto Liberismo e protezionismo è da ricordare un
lungo scritto inedito, Dialogo sul commercio internazionale e i dazi
doganali, redatto sullo schema dei dialoghi di Platone, in cui si
esponevano in modo divulgativo fatti e considerazioni di cui il
pubblico spesso non aveva cognizione, sicché era portato a
considerare il commercio internazionale sotto l'influenza di timori
insussistenti alla luce della scienza economica.
Dal 1922 il C. pubblicò una lunga indagine su I porti
marittimi italiani, che apparve a puntate sul Giornale degli
economisti (1922: Il porto di Genova, pp. 397-460; 1923: Iporti di
Porto Maurizio, Oneglia, Savona, Spezia e Livorno, pp. 20-45; I
porti dall'Elba a Napoli, pp. 105-134; Iporti dell'Italia
meridionale, pp. 345-370; Iporti da Ancona a Venezia, pp. 477-501;
1924: Iporti della Sicilia, pp. 160-187; I porti di Trieste e Fiume.
I porti della Sardegna, pp. 334-395; Considerazioni generali sui
porti italiani, pp. 371-395).
In essa l'autore esaminava i problemi riguardanti i porti,
l'ordinamento dei lavoro, la questione delle tariffe,
l'amministrazione dei porti, la politica delle opere portuali, i
bisogni dei porti in rapporto con l'economia nazionale. Egli era del
parere che un ingrandimento dei porti fosse un errore sia da un
punto di vista economico sia da un punto di vista politico.
Il 15 genn. 1923, vinto un concorso a cattedra, il C. lasciò
il corpo delle capitanerie di porto e fu nominato professore di
politica commerciale e legislazione doganale presso l'Istituto
superiore di scienze economiche di Napoli. Sopravvenuta la dittatura
fascista, egli le fu fin da principio avverso, non mostrando mai
alcun segno di debolezza verso il regime, neppure quando il fratello
Orso Mario, nell'agosto 1923, fu chiamato da Mussolini a reggere il
ministero dell'Economia Nazionale. Quando, nel 1924, la sua famiglia
si trasferì dalla Spezia a Napoli, il C. frequentò
assiduamente gli ambienti antifascisti. Dopo l'attentato Zaniboni (4
nov. 1925), in seguito al quale si ebbero spedizioni punitive contro
dimore private, con ripercussioni anche nelle università, si
intensificò l'amicizia del C. con B. Croce e, più
ancora, con Giustino Fortunato; la consuetudine con quest'ultimo
lasciò una traccia profonda nel suo spirito.
Nella raccolta da lui curata, In memoria di Giustino Fortunato
(Città di Castello 1933), il C. scriveva: "Qualcuno ha negato
al Fortunato la qualità di uomo di azione. Allora l'azione si
esercitava in Parlamento e davanti ai collegi elettorali; e a
classificare il nostro amico fra gli uomini di azione basta tutta la
sua attività parlamentare, volta ad illustrare la questione
del Mezzogiorno" (p. IX).
Dopo il lavoro sui porti italia ni, il C. pubblicò il
trattato di Economia dei trasporti marittimi (ibid. 1926), in cui
dette una sistemazione organica a questa giovane disciplina
elaborando una quantità enorme di materiale statistico e
pervenendo a risultati di notevole originalità.
Era il frutto di molti anni di studi e di indagini incessanti sul
traffico marittimo. La principale caratteristica del trattato
consisteva proprio nella costante adesione ai fatti; e ciò
segnò una svolta nella elaborazione scientifica della
disciplina. Il quadro che ne risultava, pur nella sua nuda veste
statistica, era di una eloquenza suggestiva, in quanto metteva in
piena luce la profonda trasformazione che si era compiuta
nell'economia mondiale nell'ultimo secolo e mezzo, di cui i radicali
e rapidi progressi dell'industria dei trasporti marittimi, erano
stati uno dei massimi fattori. Sicché dopo la prima guerra
mondiale fu questa del C. una delle prime trattazioni scientifiche
dei problemi della vita internazionale che vedesse la luce in Italia
e una delle più felici espressioni rappresentative
dell'attività italiana nel campo delle scienze economiche.
In quegli anni la sua attività pubblicistica subì
delle drastiche limitazioni. Nel 1934 ci si ricordò che egli
era colpevole di aver firmato il manifesto degli intellettuali
antifascisti (30 apr. 1925), redatto dal Croce, del quale il C. era
stato anzi uno dei promotori nel testo originario preparato da
Guglielmo Ferrero: fu così costretto ad abbandonare perfino
la collaborazione alla rivista L'Ingegnere, su cui scriveva - come
esperto economico - dal 1927. Anche l'adempimento del dovere
universitario poteva nascondere insidie, come il C.
sperimentò nel 1937, quando, per una denuncia anonima, fu
sospeso dall'insegnamento e reintegrato solo perché gli
studenti testimoniarono a suo favore, smentendo l'accusatore.
La necessità di evitare riferimenti agli avvenimenti
contemporanei indusse il C. a indirizzare le sue ricerche nel campo
storico. Egli cercò così forzato riposo alla sua opera
di polemista brillante ed efficace contro il protezionismo e di
studioso di politica portuale e marittima. Verso il 1997
progettò una storia della politica commerciale italiana dal
1861 in poi, cominciando a raccogliere materiale documentario. Ma si
rese subito conto che la politica commerciale non è che uno
dei tanti aspetti della vita economica di un paese e che le
particolari vicende dei commercio con l'estero non sono che il
riflesso dei movimenti di fondo di tutte le forze economiche
nazionali. Partendo da queste premesse, egli ritenne di dover
allargare le sue indagini all'intera economia italiana dal 1861 in
poi e concepì il disegno di quegli Annali dell'economia
italiana, che, esaminando la vita economica di decennio in decennio,
costituiscono una delle fonti più preziose per la storia
economica d'Italia nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale.
Gli Annali assorbirono l'attività del C. per quasi tutto il
decennio che va dal 1927 al 1937.
Il primo volume (Città di Castello 1931) abbracciava il
periodo immediatamente successivo all'Unità; la data del 1870
era stata opportunamente scelta, sia per l'importanza che assunse,
anche nella storia economica e finanziaria dell'Italia, il
completamento dell'unità territoriale con l'eliminazione
dell'ultimo ostacolo alla piena libertà delle comunicazioni
terrestri tra Nord e Sud, sia per il profondo spostamento che si
determinò nell'equilibrio anche economico dell'Europa, a
causa della guerra franco-prussiana. Il C. giudicava la storia
economica di quegli anni facendo sue le parole di Q. Sella,
pronunziate alla Camera nel 1871, quasi a riassumere l'opera dei
governi della Destra nel decennio: "Prendete per punto di partenza
il 1859 o il 1860… Considerate, ponderate tutte le difficoltà
che dovettero superarsi per compiere così grande opera, e se,
dopo tale esame, voi non vi sentite inclinati all'indulgenza… allora
permettetemi di dirvi che il giudizio vostro, più che severo,
sarà ingiusto e immeritato" (Annali…, 2ª ediz., I,
Milano 1981, p. 35). Nel 1931 e nel 1933 il C. riuscì a
pubblicare - sempre a Città di Castello - due altri volumi,
che comprendevano il ventennio successivo della vita economica
italiana, dal 1871 al 1890. Di questo periodo, che ha una importanza
decisiva nella formazione dell'Italia contemporanea, il C. esaminava
in forma analitica tutte le manifestazioni della vita economica:
agricoltura, industria, commercio, comunicazioni, trasporti,
politica economica, circolazione monetaria, credito. E sui due
decenni - in linea con il suo credo liberista - dava un giudizio
molto diverso. Negli anni che andavano dal I870 al 1880 l'Italia
aveva sviluppato le sue risorse ordinatamente, senza fretta, "con il
sicuro istinto che prima o dopo, si sarebbe mess[a] a pari degli
altri popoli civili". Se il secondo decennio si era distinto per
l'opera di consolidamento, il terzo, per il C., era stato un
decennio "abulico". "Si trasforma il regime doganale e non si riesce
a capire chi lo abbia fatto, si lancia. il paese in una guerra
commerciale e tutti ne attribuiscono ad altri la colpa; si inizia
un'impresa coloniale inutile e costosa, non si sa come e
perché; e si trasforma l'avanzo in disavanzo e ciascuno dice
di non saperne nulla!". Nel quarto volume degli Annali (Città
di Castello 1934) il C. conservò per l'ultima volta la
periodizzazione decennale. In conclusione, diceva il C., l'indirizzo
di politica agraria non aveva subito mutamenti; nell'industria si
erano registrati progressi rilevanti, anche se non sempre
proporzionati al potere di assorbimento dei mercato; le direttive di
politica commerciale mostravano una tendenza ad attenuare talvolta i
dazi precedentemente concessi; si era continuato lo sviluppo della
rete ferroviaria; i sacrifici richiesti al contribuente per
l'equilibrio dei bilancio avevano avuto il loro benefico effetto;
alla fine della serie degli scandali bancari il paese si
trovò con un ordinamento bancario risanato e fondato su basi
più solide che in quello precedente, mentre il miglioramento
delle condizioni economiche generali dell'Italia creò le
premesse per un periodo aureo per la nostra moneta.
Passarono quattro anni prima che vedesse la luce il quinto volume
(ibid. 1938), che arrivava fino allo scoppio della guerra mondiale.
Il ritardo si poteva spiegare con la notevole diversità della
materia e con la sua mole e complessità. Fra il 1898 e il
1914 si compiva in Italia una trasformazione profonda e decisiva; e
si, formavano le basi della nuova economia. I segni di una vita
nuova si moltiplicavano in tutti i campi, nella finanza, nella
circolazione monetaria, nel credito, nell'industria, nelle
comunicazioni, nel commercio interno ed estero, nel risparmio, nel
tenore di vita della popolazione. L'emigrazione, l'acuirsi della
"questione meridionale", l'esagerato sviluppo di alcune industrie
erano indici di disagio, ma anche un risveglio di nuovi bisogni, non
avvertiti in un periodo di economia stazionaria. Si accentuano,
infatti, le lotte sindacali, che nei primi anni prendono un aspetto
preoccupante, tale da scuotere la borghesia e farle temere gravi
rivolgimenti sociali. Giudicata per quello che si proponeva di
essere, cioè Annali dell'economia italiana e non storia di
quel periodo, l'opera del C. poteva dirsi riuscita, anche se qualche
critico avrebbe desiderato che nel capitolo dedicato all'agricoltura
fossero messi in luce quali mutamenti si fossero ottenuti nella
tecnica e nelle condizioni di vita delle classi rurali, nella
distribuzione e nella conduzione della terra, nella trasformazione
della vita cittadina e nello sviluppo dei commercio interno (cfr.
Nuova Rivista storia, XXIII [1939], p. 155). Ma bisognava dire che,
trovatosi dinnanzi ad una documentazione di straordinaria ricchezza,
il C. dimostrava di riuscire a dominarla e a offrire sui singoli
argomenti esaminati una trattazione organica, chiara e interessante.
In questi anni un altro importante studio del C. è costituito
dal volume La battaglia dello Jutland vista da un economista (Milano
1933).
Frutto di lunghe e minuziose ricerche bibliografiche, il lavoro pone
il C. fra i critici navali della prima guerra mondiale che meglio ne
abbiano afferrato le caratteristiche. Per il C. la battaglia dello
Jutland fu qualcosa di più del semplice urto delle due
flotte. Essa misurò il valore di due grandiose organizzazioni
economiche nazionali, di due diverse mentalità, le cui
differenze sostanziali erano rintracciabili attraverso lo
svolgimento della politica inglese e tedesca dal 1900 in poi.
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale il C. pubblicò
per la prima volta le sue lezioni universitarie: Corso di potitica
economica efinanziaria (ibid. 1942).
Per il C. la politica economica non era un capitolo dell'econoniJa
politica, bensì un ramo della politica avente per oggetto lo
studio dei fenomeni economici, condizionati dall'attività
legislativa e amministrativa degli enti pubblici; così la
politica economica, della quale fa parte la scienza delle finanze,
pur avendo come premessa dottrinale l'economia politica, studia i
fenomeni economici da un diverso punto di vista, e se per l'aderenza
alla realtà si avvicina alla storia economica, se ne
allontana perché si propone di scoprire delle "leggi".
Accolto il principio dei relativismo storico delle "leggi"
economiche, il C. respingeva la concezione meccanicistica del
sistema economico e anticipava l'indirizzo contemporaneo che,
ponendo alla base della ricerca scientifica l'uomo e
l'umanità, costituisce un significativo rivolgimento della
storia del pensiero economico. È da notare, per la luce che
gettava sulla problematica della disciplina, l'osservazione secondo
la quale, mentre la caratteristica essenziale della politica
economica fino al 1914 era stata la sua universalità (nel
presupposto che l'umanità era costituita da un complesso di
nazioni legate da stretti vincoli di solidarietà), la
caratteristica essenziale della nuova politica economica dopo il
1914 era l'esclusivismo.In questo periodo capitò al C. un
episodio che avrebbe potuto avere gravi conseguenze. Nel 1939 egli
aveva compilato il capitolo dedicato ai Trasporti marittimi per il
volume miscellaneo su La situazione economica internazionale,
promosso dall'università commerciale "Bocconi" di Milano per
dare continuazione alle Prospettive economiche di G. Mortara,
emigrato in Brasile per motivi razziali. Invitato nel 1941 ad
aggiornare per una nuova edizione del libro il suo capitolo, il C.
lo fece tenendo conto delle vicende belliche e, con l'aiuto delle
poche statistiche a disposizione in quel momento, stabilì il
tonnellaggio rimasto in circolazione sotto le varie bandiere. Da
questo studio appariva chiaro, a smentita dei bollettini di guerra,
il progressivo assottigliamento dei naviglio dell'asse Roma-Berlino
e l'altrettanto progressivo aumento di quello anglo-americano. Ma
assolutamente apocalittiche erano le previsioni sul dopoguerra,
quando - secondo il C. - non vi sarebbero state più né
una flotta tedesca, né una flotta giapponese, né una
flotta italiana ma il monopolio assoluto della bandiera americana in
tutti i mari. Il numero del Giornale degli economisti che
pubblicò il suo scritto (Gli effetti della seconda guerra
mondiale sul naviglio mercantile e previsioni per il dopoguerra, n.
s., IV [1942], n. 3-4, pp. 109-118) fu sequestrato e
l'autorizzazione alla pubblicazione del periodico fu revocata.
Fortunatamente a Roma fu deciso di considerare lo scritto un gesto
d'incoscienza di uno "squilibrato"; e il C. se la cavò con la
revoca dell'incarico di elementi di statistica e statistica
marittima presso l'Istituto superiore navale di Napoli, che
ricopriva dal 1924.
Dopo la liberazione di Napoli, il C., rientrato da Contursi (dove si
era rifugiato nel maggio del 1943 con la famiglia per sfuggire ai
bombardamenti aerei), venne proposto dal Comitato di liberazione
nazionale di Napoli al prefetto come presidente della Camera di
commercio, incarico che egli assunse subito data l'urgenza di far
fronte a una situazione molto confusa.
Nel novembre 1943 fu invitato a far parte dei gabinetto Badoglio.
Infatti, essendo rimasti ministri e sottosegretari a Roma dopo l'8
settembre e non volendo il re aprire una crisi di governo - che, in
quel momento, era giudicata troppo pericolosa per le istituzioni -
si stabilì di rivitalizzare il governo esistente, nominando,
con funzioni di ministri, nuovi sottosegretari scelti tra esponenti
moderati non compromessi con il regime fascista e, nello stesso
tempo, non vincolati dalla decisione dei partiti del CLN, i quali
ponevano come pregiudiziale ad ogni forma di collaborazione con la
monarchia l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Pur iscritto al
Partito liberale italiano, il C. riteneva che, poiché la
questione istituzionale non era stata affrontata al momento della
caduta del fascismo, essa dovesse essere accantonata e che tutti
avessero il dovere di collaborare alla formazione di un governo
autorevole, in grado di ottenere dagli Anglo-Americani una
sostanziale attenuazione delle pesanti clausole dell'armistizio.
Egli entrò pertanto nel governo come sottosegretario
all'Industria, Commercio e Lavoro e come alto commissario
all'Alimentazione.
In questi incarichi egli si sforzò di migliorare la
situazione alimentare del paese e di ottenere una modificazione dei
cambio lira-dollaro fissato dagli alleati a 100 lire per dollaro
all'atto dello sbarco in Sicilia (il C. pensava, portando il cambio
a 50 lire di poter attenuare gli effetti provocati dall'infiazione).
Sul primo punto riportò notevoli successi grazie agli aiuti
concessi dagli Americani, ma sul secondo non ottenne nulla.
L'11 febbr. 1944 furono revocati gli incarichi ai vecchi ministri
con la promozione di quanti erano stati fin ad allora formalmente
sottosegretari; quindi il governo si insediava ufficialmente a
Salerno. Il C., ora ministro dell'Industria, si impegnò in
un'azione tesa a finanziare la ricostruzione delle industrie
danneggiate dalle operazioni belliche varando un provvedimento che
consentiva al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia operazioni di
credito industriale. Sul piano politico egli era dei parere che
fosse necessario allargare la base governativa coi far entrare
ufficialmente nel governo i rappresentanti dei partiti del CLN, per
poter far fronte alle pressioni del Comitato di controllo alleato
che esercitava - a suo dire - un'"oppressione in ogni campo": le
trattative, condotte dal C. stesso per incarico di Badoglio,
andarono a vuoto e perciò egli pregò il capo del
governo di sostituirlo. Frattanto però avvenne la cosiddetta
svolta di Salerno, cioè la collaborazione offerta al re dal
leader comunista Togliatti, il quale, accantonata la questione
istituzionale, ritenne opportuno che i partiti del CI-N rompessero
gli indugi entrando nel governo: fu Così Costituito, il 22
apr. 1944, il secondo gabinetto Badoglio, di cui il C. non faceva
parte.
Tornato all'insegnamento, il C. iniziò il corso universitario
del 1944-45 con una prolusione sul tema Limiti e scelte della
ricostruzione economica (Roma 1946).
Vi si additavano chiaramente le necessità degli aiuti
all'Europa, che si concretarono poi nel piano Marshall, e si
affermava l'importanza - per lo sviluppo dell'Italia - della ricerca
scientifica e dell'istruzione professionale. Erano indicate le linee
di politica economica che dovevano presiedere alla ricostruzione:
correggere la sproporzione che esisteva nel 1939 fra le varie
regioni italiane in materia di sviluppo industriale; e dare la
precedenza a investimenti in impianti che, rispondendo a bisogni
immediati, non richiedessero un lungo periodo di ammortamento data
la loro prevedibile rapida obsolescenza in un periodo di impetuoso
sviluppo della tecnica. Si ipotizzava anche una severa imposizione
generale progressiva sul patrimonio che riducesse fortemente le
distanze tra ricchi e poveri. Il problema fiscale gli appariva
strettamente legato al problema monetario in una interdipendenza
reciproca, ma entrambi erano a loro volta subordinati alla soluzione
che si voleva dare alla questione sociale. In proposito egli
osservava: "Se date le condizioni attuali dello spirito pubblico, la
soluzione liberista integrale appare di impossibile attuazione,
anche la soluzione collettiva, al cento per cento, appare piena di
pericoli". Fra le due soluzioni la società oscillerà
come un pendolo. "Ègeneralmente ammesso che l'aspetto
liberale delle forze economiche è il solo capace di
assicurare il massimo di produzione". Qualunque sia la soluzione nel
senso liberale o collettivista, si può ammettere che lo Stato
dovrà, d'ora in avanti, "avere una cura più larga
delle classi povere e dovrà dare a tutti quel senso di
tranquillità sul presente e sull'avvenire al quale ha diritto
ogni creatura umana".
Dal dicembre 1944 il C. iniziò a collaborare con il nuovo
quotidiano napoletano Il Giornale, su cui per alcuni anni fece opera
di volgarizzazione dei principali problemi economici. Nell'autunno
del 1945 fu chiamato a far parte della Consulta nazionale su
designazione della Confindustria. Egli vi si segnalò subito
per un lungo intervento su "Il problema del ceto medio", pronunziato
nella seduta del 27 sett. 1945, in cui si dichiarava fiducioso nella
capacità ricostruttiva del popolo italiano.
Quando, caduto il ministero Parri, si formò il primo
gabinetto De Gasperi (10 dic. 1945), il C. fu chiamato a reggere il
ministero del Tesoro. Uno dei primi problemi che il governo si
trovò ad affrontare fu quello del cambio della moneta,
cioè della sostituzione della moneta allora circolante in
Italia (a quella esistente prima dell'8 settembre si erano aggiunte
le "amlire", moneta emessa dagli Anglo-Americani per far fronte alle
spese sostenute dalle loro truppe durante l'occupazione della
penisola, e la moneta battuta al Nord dalla Repubblica di
Salò).
Sull'opportunità di compiere questa operazione si
fronteggiavano due schieramenti contrapposti, uno favorevole,
facente capo ai partiti di sinistra e al Partito d'azione, l'altro
contrario, rappresentato dalla destra politica ed economica e dalle
forze moderate in genere. Il C., che aveva gia espresso la sua
contrarietà a tale provvedimento prima di entrare nel
governo, fu in seno a questo il più autorevole rappresentante
del secondo gruppo. Le motivazioni che animavano quanti erano
favorevoli al cambio della moneta erano tre: la prima
antinflazionisfica, la seconda fiscale (in quanto il cambio non
doveva essere effettuato alla pari, ma con la deduzione di una
percentuale a titolo di imposta straordinaria sul patrimonio), la
terza politica, che mirava - sottraendo ai privati una massa
monetaria valutata in 600 miliardi di lire dell'epoca - ad
attribuire allo Stato un ruolo centrale nel processo di
ricapitalizzazione del sistema produttivo. Il C. era tutt'altro che
contrario, almeno in linea di principio, ai due primi obiettivi, ma
eccepiva che anzitutto mancavano i necessari strumenti tecnici per
effettuare l'operazione in tempi rapidi, in secondo luogo sosteneva
che questa avrebbe prodotto da un lato una fortissima corsa agli
acquisti da parte dei possessori di biglietti (con la conseguente
forte fiammata inflazionistica), dall'altro un senso di sfiducia
negli operatori privati che stavano procedendo a un rilancio delle
attività produttive. Lo scontro decisivo avvenne nella
riunione del Consiglio dei ministri dell'11 genn. 1946, in cui
prevalse la tesi del C., dopo che si accertò che
l'effettuazione dei cambio (a causa della mobilitazione di uomini e
mezzi necessari) avrebbe comportato il rinvio delle elezioni
amministrative e politiche e del referendum istituzionale; di fronte
a questo pericolo fu lo stesso Togliatti a stilare l'ordine del
giorno conclusivo: "Il Consiglio dei ministri deplora che non sia
possibile procedere, prima dell'inizio delle consultazioni popolari,
al cambio dei segni monetari cartacei, operazione che avrebbe
consentito allo Stato di procedere più rapidamente al
risanamento delle Finanze e, di conseguenza, al miglioramento della
situazione economica generale" (Piscitelli, Del cambio…, p.
33).Questa non fu che una delle spinose questioni maturate in quei
mesi. Ce n'erano altre: la corresponsione del premio della
Repubblica ai lavoratori dipendenti, la introduzione di una imposta
straordinaria sul'patrimonio e di un'imposta del 25% sulle
rivalutazioni dei capitale delle società anonime, l'emissione
di un prestito nazionale per far fronte al deficit dello Stato. Il
C. non era contrario alla corresponsione del premio della
Repubblica, come sollievo alle precarie condizioni delle classi
lavoratrici il cui potere d'acquisto era caduto molto al di sotto
dei livelli d'anteguerra, ma egli riteneva necessario ottenere come
corrispettivo, almeno per due o tre mesi, una tregua salariale e
soprattutto l'introduzione di regole per la risoluzione delle
vertenze che prevedessero precisi vincoli di comportamento (il
premio venne poi concesso con decreto 23 ag. 1946). Circa
l'emissione del prestito per il consolidamento del debito sorsero
contrasti tra il C. e gli altri esponenti del governo, i quali
chiedevano che fosse emesso con diritto di rimborko al termine di
nove anni. Per il C. un prestito consolidato, rimborsabile a termine
a volontà dei portatore, sarebbe stato una novita piuttosto
pericolosa per la finanza pubblica: significava aprire "un baratro
sotto i piedi del ministro del Tesoro del 1955".
In questo periodo la politica del C. fu diretta a favorire la
ripresa dell'industria privata. A questo scopo egli decise di
correggere il rapporto di cambio lira-dollaro, portandolo da 1:100 a
1:250; secondo lui, infatti, la precedente situazione di cambio
"tendeva anche a scoraggiare le nostre esportazioni", rendendole
scarsamente compqtitive e remunerative (L'economia italiana…, p.
325). Altri provvedimenti importanti presi dal C. in quei mesi
riguardavano l'abolizione dell'imposta sugli interessi dei
titóli, dell'imposta straordinaria sugli utili di guerra,
della sovrimposta di negoziazione dei titoli e dei limite alla
distribuzione dei dividendi; la rivalutazione dei redditi ordinari,
secondo coefficienti in linea con la svalutazione monetaria ai fini
della determinazione delle quote di ammortamento; il trasferimento a
capitale delle plusvalenze di rivalutazione. Inoltre, il C. decise
la riduzione del 500% dell'imposta di negoziazione sui titoli
azionari.
Frattanto il C. era stato eletto deputato alla Costituente nelle
liste del Partito liberale italiano (2 giugno), ma poiché
questo non volle partecipare al secondo gabinetto De Gasperi, egli -
per le pressioni del presidente del Consiglio - vi entrò a
titolo personale. Con questa presenza De Gasperi pensava di
tranquillizzare il mondo economico e quella parte dell'opinione
pubblica che vedeva nel C. il simbolo della continuità della
politica economica volta a difendere il valore della lira e a
impedire svolte interventistiche dello Stato nell'economia. Il C.,
infatti, in linea del resto con le posizioni prevalenti nel mondo
accademico, non nascondeva il suo intendimento di ispirarsi al
liberismo economico, ripudiando le esperienze dirigistiche del
fascismo.
Nell'estate vennero al pettine due nodi che dividevano il C. da
altri colleghi di governo: l'imposta sul patrimonio e il problema
della tassazione dei titoli di Stato.
Il C., in linea di principio, non era contrario alla prima (lui
stesso l'aveva proposta nel 1944 in forma piuttosto severa), ma, per
l'impreparazione dell'amministtazione finanziaria ad affrontare
l'operazione, suggeriva che essa fosse realizzata in due fasi, la
prima riguardante i grandi patrimoni, la seconda - a distanza di un
anno - i rimanenti. Egli sosteneva, inoltre, che dovessero essere
esentati da tale imposta i titoli a reddito fisso, perché con
la svalutazione del loro valore reale avevano già pagato
più che a sufficienza: egli sapeva che su questo punto non si
sarebbe trovato d'accordo non solo con il collega delle Finanze, il
comunista Scoccimarro, ma anche con altri membri del governo. Non si
arrivò allo scontro solo perché il C. rassegnò
le dimissioni.
Non avendo alle spalle la copertura di alcun partito politico di
governo, la sua posizione si era fatta molto debole. Fatto oggetto
di pesanti critiche da parte della stampa di sinistra, comunista in
particolare (ma, nello stesso tempo, attaccato anche da parte di
alcuni portavoce dei mondo bancario e imprenditoriale quando, il 30
ag. 1946, perporre un freno alla speculazione che aveva riversato
una considerevole liquidità sui titoli azionari, aveva
annunciato un'imposta del 25% sulle rivalutazioni degli impianti
industriali), di fronte al riaccendersi della spinta
infiazionistica, egli disperò di poter far fronte alla
situazione, soprattutto perché vedeva ridursi la fiducia dei
pubblico nella saldezza della lira, come dimostrava il mancato
rinnovo dei buoni ordinari del Tesoro.
Diveniva in tal modo impossibile anche l'emissione di un prestito
per consolidare il debito: "Un raddrizzamento della situazione -
dirà il C. a posteriori - si sarebbe potuto ottenere solo con
una forte presa di posizione a favore di una politica di decisa
stabilità monetaria; ma io avevo la sensazione netta che,
impostando una nuova battaglia come quella di gennaio, sarei stato
sconfitto, con gravissime ripercussioni sulla posizione della lira.
Le forze inflazionistiche erano riuscite ad isolarmi sul terreno
politico, ponendomi nell'alternativa di scegliere fra l'inflazione e
l'abbandono del governo. Io ero convinto che l'inflazione non fosse,
non dirò inevitabile, ma necessaria. Ma io sapevo
altresì che i miei colleghi di governo, e la quasi
totalità dei partiti che lo sostenevano, non erano dello
stesso parere, ed in queste condizioni non mi restava altro da fare
che lasciare ad altri la responsabilità di una diversa
politica monetaria e finanziaria" (L'economia italiana…, pp. 330
s.).
L'annunzio delle dimissioni fu dato il 2 settembre, ma il C.
aspettò fino al 19 settembre, quando De Gasperi
rientrò dalla conferenza di pace di Parigi, per fare le
consegne al successore, G. B. Bertone. De Gasperi non gli
perdonerà mai quel gesto di rinuncia, anche se la politica
economica della ricostruzione portata avanti dai successivi governi,
prima e dopo le elezioni del 18 apr. 1948 (la linea Einaudi prima e,
quindi, la linea Pella), seguì l'eredità lasciata dal
C., come riconosce una copiosa letteratura storica su quel periodo
(si veda soprattutto il filone che muove dure critiche
all'impostazione data dal C., partendo - come ad esempio il Daneo -
da posizioni neokeynesiane).
Lasciato il governo, il C. partecipò intensamente ai lavori
dell'Assemblea costituente, Anche in questioni di carattere non
economico prevalsero spesso le soluzioni da lui additate come
compromesso tra le opposte tesi.
Così l'emendamento all'articolo 27 del progetto di
costituzione sull'istruzione privata "senza oneri per lo Stato", che
suonava "la Repubblica riconosce ad enti ed a privati la
facoltà di formare scuole ed istituti di educazione",
passò poi nell'art. 33 della Carta. Il C. contribuì
anche a respingere l'istituto dell'"assemblea nazionale", proposto
dalla Commissione dei settantacinque, schierandosi con F. S. Nitti
nel combattere risolutamente l'equivoco della "terza Camera". "Io
ritengo - egli disse nella seduta del 18 ott. 1947 - che se vogliamo
o dobbiamo accettare il principio di una riunione plenaria dei due
organi costituzionali (Camera dei Deputati e Senato della
Repubblica) per il caso della elezione del capo dello stato ed
eventualmente per la dichiarazione di guerra, dobbiamo escluderlo
per tutti gli altri casi, nei quali l'Assemblea verrebbe ad avere la
funzione di una Camera sola superiore alle volontà delle due
Camere che la formano, alterando e sopprimendo addirittura il
principio della bicameralità, che noi abbiamo ripetutamente
votato" (Atti dell'Assemblea costituente, pp. 1338 s.). Al C. si
deve la proposta di affidare al presidente della Camera dei deputati
la presidenza delle sedute a camere riunite per l'elezione del
presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali; ed egli fu
tra coloro che sostennero la soluzione di affidare al presidente dei
Senato la supplenza del presidente della Repubblica in caso di
assenza o di impedimento di questo.
Rieletto deputato il 18 apr. 1948 nelle liste del Partito liberale
italiano, dal 1949 fino alla fine della legislatura fu presidente
della Commissione interparlamentare per le tariffe doganali, che
doveva riformare il testo legislativo risalente al 1921. Nel 1951,
per contrasti sulla linea politica del partito liberale guidato
allora da B. Villabruna, il C. ne uscì. Rimasto, tuttavia,
alla Camera come indipendente, egli si impegnò negli ultimi
mesi della legislatura a combattere aspramente la legge elettorale
"maggioritaria" proposta nell'autunno del 1952 da De Gasperi per
ottenere un rafforzamento dello schieramento centrista - allora al
governo - grazie a un "premio" in seggi da attribuire al gruppo di
partiti "apparentati" che avesse ottenuto la maggioranza assoluta
dei voti: questa operazione era giustificata dai promotori della
legge, in particolare dallo stesso De Gasperi e dal ministro
dell'Interno Scelba, con la necessità di rafforzare la
giovane democrazia italiana dalle insidie mosse dalle opposizioni,
ritenute su posizioni totalitarie (teoria della "democrazia
protetta"). Il C. partecipò alla discussione alla Camera con
un memorabile intervento, tenuto il 9 dic. 1952, in cui lanciava una
proposta di compromesso, passata alla storia parlamentare con il
nome di "ponte Corbino", che prevedeva una notevole attenuazione del
"premio" di maggioranza. Ma la sua proposta fu respinta dal governo.
Approvata la legge nella formulazione governativa, dopo una lunga e
dura battaglia ostruzionistica, il C. non entrò più in
aula trasferendo la sua opposizione nella competizione elettorale.
Egli dette, infatti, vita con altri deputati usciti dai partiti
centristi a una nuova formazione, l'Alleanza democratica nazionale,
che ebbe a Napoli la sua roccaforte. La lotta elettorale fu
durissima. Per poche decine di migliaia di voti, sottratti ai
partiti di centro, la legge maggioritaria non scattò; anche
se Alleanza democratica nazionale, non raggiungendo neppure l'1% dei
voti, non conquistò alcun seggio né alla Camera
né al Senato (il C. si era presentato candidato nel II
collegio senatoriale di Napoli), i 120.000 voti da essa raccolti
furono decisivi.
Questa attività politica, giudicata eterodossa, gli
costò per qualche anno la perdita della collaborazione a
quotidiani e settimanali. Dal giugno 1954 collaborò soltanto
al settimanale L'Europeo di Milano e, occasionalmente,
pubblicò articoli su altri periodici minori, come Via Poli,
notiziario mensile di informazioni per il, personale della
Società romana di elettricità. Nel 1958 il C.
tentò di rientrare al Parlamento, accettando di presentarsi
come indipendente nelle liste della Democrazia cristiana nel III
collegio senatoriale di Napoli; ma la sua sconfitta era quasi
scontata, poiché il candidato con cui doveva competere, G.
Fiorentino del Partito monarchico popolare (la formazione capeggiata
da Achille Lauro), aveva basi elettorali ben più radicate.
Nel 1959 il C. fu designato dal governo alla presidenza dei Banco di
Napoli.
La nomina trovò ostacoli e resistenze politiche, soprattutto
da parte della sinistra democratico-cristiana e laica; ma gli
ambienti economici meridionali furono concordi nel sostenerne la
designazione. Perfino l'Unità, del resto, ne dava notizia con
favore: "Tanto di cappello allo studioso di fenomeni economici e
finanziari … speriamo di poter fare altrettanto per il nuovo
presidente del Banco di Napoli" (11 sett. 1959). Durante i quattro
anni del suo mandato i suoi sforzi furono indirizzati a ricondurre
l'antico istituto di credito meridionale sulla strada indicata dai
suoi fini istituzionali.
Nel 1962 il C. diede alle stampe a Bologna L'economia italiana dal
1860 al 1960, in cui erano raccontati i fatti economici e politici
di maggior rilievo atti a mettere in evidenza le trasformazioni di
fondo dell'economia italiana e a illustrare le soluzioni date, volta
per volta, ai problemi più urgenti, "in una visione diretta a
porre in adeguata prospettiva avvenimenti antichi, poco ricordati, e
fatti recenti, poco conosciuti" (p.V). Se alcune conclusioni
appartenevano agli Annali, il quadro dei tutto nuovo della economia
italiana dal 1914 al 1960 si arricchiva di notizie e giudizi
scaturenti da una diretta esperienza.
Frattanto dal dicembre 1961 il C. aveva iniziato la collaborazione
al Corriere della sera, che gli consentì di attaccare da una
tribuna autorevole e molto ascoltata l'ipotesi politica di
centrosinistra. La sua critica al governo, allora presieduto da A.
Fanfani, divenne sempre più serrata.
"A parte il dissenso tecnico - scriverà nel Racconto di una
vita (Napoli 1972) - io ritenevo che l'Italia non fosse socialmente
matura per un complesso di riforme a sfondo socialista molto
accentuato, senza andare incontro al pericolo di dovere ben presto
rinunziare o al benessere o alla libertà" (p.259). I suoi
articoli provocarono dure reazioni. Nel giugno 1962, mentre
infuriava la battaglia parlamentare per la nazionalizzazione
dell'energia elettrica, le sue critiche al provvedimento in cantiere
furono radicali e i suoi attacchi contro i partiti del
centrosinistra divennero ancora più aspri. L'Avanti! del 5
luglio rispose duramente, invitandolo - essendo il C. presidente di
nomina governativa di un istituto di credito pubblico - a sospendere
le sue critiche o a dare le dimissioni. Egli non smise dal
manifestare la propria indipendenza di giudizio, e continuò a
reggere il Banco di Napoli fino al marzo 1965, quando finalmente -
dopo lunghi contrasti - i partiti di governo riuscirono ad
accordarsi sulla nomina dei suo successore.
Tra gli scritt i di questo periodo sono da ricordare alcuni articoli
apparsi sul Corriere della sera fra il 1963 e il 1970, anno in cui
il C. cessò la sua collaborazione al quotidiano milanese,
raccolti poi nel quinto volume delle Cronache economiche e
politiche: L'importanza politica della Corte dei conti (1963), Le
disarmonie dello sviluppo economico nazionale (1966), La valutazione
del patrimonio artistico nazionale (1967), Aspetti economici e
finanziari del problema delle alluvioni (1967), Aspetti economici e
finanziari della lotta contro l'inquinamento (1970). Il C.
concentrò poi la sua attenzione sugli sviluppi e sulle
possibili soluzioni dei problemi legati alle fonti energetiche e ai
connessi problemi ecologici, cui dedicò il saggio E. E. E.
energia, economia, ecologia (Milano 1974). "I progressi tecnici e le
soluzioni corrispondenti al minimo sforzo - egli scriveva - sono
stati fondamentalmente viziati da due colossali errori, che ora sono
visibili e che si sono manifestati uno già da tempo, e
cioè l'ignoranza del peso del fattore ecologico, e l'altro
apparso repentinamente proprio in questi ultimi mesi, e cioè
quello di avere trascurato il peso dei fattore energetico" (p. 11).
E additava i presupposti apparsi ora "poco fondati" su cui era stato
impostato fin dall'inizio il tenore di vita dei paesi ad economia
avanzata, quale si era sviluppato ed esteso negli ultimi
cinquant'anni, e che era sboccato in una "civiltà della
dilatazione dei consumi" (p. 36), come individui e come
collettività. Questi argomenti furono ripresi, insieme con
altri temi, in conferenze, interventi a convegni, interviste,
raccolti poi nel quinto volume delle Cronache economiche e
politiche: "Le previsioni più logiche del futuro prossimo -
concludeva il C. - consigliano perciò di limitare le nuove
centrali nucleari a quelle indispensabili al fine principale di
ridurre il ricorso al petrolio, e in senso complementare di
premunirsi di una modesta riserva per fronteggiare un'eventuale
parziale ripresa, in attesa di un avvenire migliore, illuminato
anche dalla luce delle nuove scoperte" (p. 226).
Il C. morì a Napoli il 25 apr. 1984.
Opere: Per un elenco completo degli scritti del C. fino al luglio
1960 si rimanda al saggio bibliografico di F. Assante in D. Demarco,
E. C. e l'opera sua, Milano 1961, pp. XCVII-CXLI. Dopo tale data,
oltre a quelli segnalati nel testo, vanno ricordati: Cronache
economiche e politiche, I, (1946-1954), Napoli 1964; II,
(1955-1959), ibid. 1964; III, (1959-1965), ibid. 1965; IV,
(1965-1973), ibid. 1973; V, (1972-1980), Milano 1980; Cinquant'anni
di storia italiana, a cura di D. Demarco, Napoli 1965; Discorsi
elettorali e interventi parlamentari. Dal 1944 al 1958, ibid. 1965.
I cinque volumi di Annali dell'economia italiana dal 1861 al 1914
sono stati ripubblicati a cura dell'IPSOA, Milano 1981-82.
Fonti e Bibl.: Oltre al volume di D. Demarco, E. C. e l'opera sua,
si vedano: I. Gasperini, E. C. (1890-1984), in Giornale degli
economisti e annali di statistica, n. s., XLIII (1984), n. 3-4, pp.
143 s.; M. Lombardi, E. C. In memoriam, in Economia internazionale,
XXXVII (1984), n. 12, pp. 2-4; Id., E. C., in Studi marittimi, VII
(1984), n. 22, pp. 63-68; [G. Palomba] E. C., in Rassegna economica,
XLVIII (1984), pp. 533 s.; E. C. così lo hanno commemorato,
Napoli s. a. (raccolta di articoli apparsi sulla stampa italiana in
occasione della sua scomparsa). Sull'attività governativa del
C. nel 1946 si vedano almeno: E. Piscitelli, Del cambio o meglio del
mancato cambio della monqia nel secondo dopoguerra, in Quaderni
dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla
Resistenza, n. 1, 1969, pp. 3-77 (soprattutto pp. 31-52); Id., Da
Parri a De Gasperi, Milano 1975, ad Indicem; A. Gambino, Storia del
dopoguerra…, Roma-Bari 1975, ad Indicem; C. Daneo, La politica
economica della ricostruzione, 1945-1949, Torino 1975, ad Indicem
(con ampie indicazioni bibliografiche); Annali dell'economia
italiana, X, 1, (1946-1952), Milano 1983, ad In dicem.