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Confucio, latinizzazione (probabilmente ad opera di Matteo Ricci o
comunque dei missionari gesuiti del XVI secolo) dagli ideogrammi
(孔子) Kǒngzǐ in Pinyin o K'ung-tzu in Wade-Giles (孔夫子) Kǒng Fūzǐ in
Pinyin o K'ung-fu-tzu in Wade-Giles ovvero Maestro Kong) (28
settembre 551 a.C. – 479 a.C.) è stato un filosofo cinese. La
differenza tra Kǒngzǐ e Kǒng Fūzǐ riguarda il secondo termine cui
è aggiunto un titolo onorifico.
La sua speculazione filosofica ha dato origine ad una intera
tradizione culturale, il Confucianesimo (Rújiā 儒家): i suoi
insegnamenti hanno influenzato profondamente il pensiero e lo stile
di vita cinese, coreano, giapponese e vietnamita.
Confucio visse in Cina nell'ultima parte del Periodo delle primavere
e degli autunni (781 a.C. – 477 a.C.), un'epoca di anarchia,
d'instabilità politica e di diffusa corruzione, dominata
dalle guerre tra stati feudali, che – senza soluzione di
continuità – si trascinerà nell'epoca successiva, il
Periodo dei regni combattenti, (476 a.C. – 206 a.C.), che
culminerà con l'unificazione della Cina sotto un unico
sovrano.
La sua filosofia si basava sull'etica personale e politica, sulla
correttezza delle relazioni sociali, sulla giustizia, sul rispetto
dell'autorità familiare e gerarchica, sull'onestà e la
sincerità. La difesa di questi valori gli assicurò
sotto la dinastia Han (206 a.C.–220 d.C.) un ruolo preminente
rispetto ad altre dottrine come il legismo (Fǎjiā 法家) e il taoismo
(Dàojiā 道家).
Il pensiero confuciano fu introdotto in Europa dal gesuita Matteo
Ricci, che fu il primo a latinizzare il nome di Kǒngfūzǐ in
Confucio.
I suoi insegnamenti sono raccolti nei Dialoghi (Lùnyǔ 論語),
una raccolta di aforismi e frammenti di discorsi compilata molti
anni dopo la sua morte dai suoi discepoli. Sebbene, infatti, per
più di duemila anni la tradizione lo abbia ritenuto autore o
curatore di tutti i Cinque Classici, gli storici moderni non
ritengono di poter attribuire con certezza a Confucio nessuno
scritto fra quelli che la tradizione lega al suo nome.
Cenni biografici
Secondo la tradizione, Confucio nacque nella città di Zou
nello Stato di Lu (ora parte dell'odierna provincia di Shandong) il
29 settembre del 551 a.C., durante il Periodo delle primavere e
degli autunni. In quest'epoca si situa anche l'inizio del movimento
filosofico delle Cento scuole di pensiero.
Sempre secondo la biografia tradizionale, riportata da Sima Qian
nelle sue Memorie di uno storico, il padre di Confucio, che
apparteneva ad una famiglia nobile impoverita discendente dalla
dinastia Shang, aveva sposato a sessantacinque anni, in seconde
nozze, una fanciulla di quindici anni. Un matrimonio del genere,
secondo le consuetudini dell'epoca, era da considerarsi un'unione
illecita (yěhé 野合). Confucio perse il padre all'età di
tre anni, e fu allevato dalla madre, che riuscì ad
assicurargli un'istruzione anche se la famiglia viveva in
povertà.
Non ci sono notizie certe sulla vita di Confucio. La sua ascesa
sociale lo pone nell'ambito della classe emergente Shì (士), a
metà tra la vecchia nobiltà e la gente comune, alla
quale, come Confucio, appartenevano uomini di talento ma di origini
modeste che cercavano di raggiungere una posizione elevata grazie
alle proprie doti intellettuali. Egli stesso, riferiscono i
Dialoghi, vantava le sue umili origini che lo avrebbero spinto a
sviluppare le sue capacità. Molto della vita del filosofo
è pervenuto dalla raccolta postuma dei "Detti di Confucio",
redatta dai suoi discepoli attorno al 411 a.C. – 404 a.C., seppure
la datazione della compilazione è tuttora discussa. In tale
opera è esposto il pensiero filosofico – morale, così
come si illustrano i precetti dettati dal maestro.
Infine, vari capitoli trattano della vita privata di Confucio. Si
legge che dettò i suoi pensieri ai suoi discepoli molto
avanti negli anni (capitolo 7.5), che era moderato e parco (capitolo
7.16), che seguiva una vita molto appartata e modesta preferendo la
campagna alla città (capitolo 7.19), che digiunava spesso e
volentieri ((capitolo 7.13) e mangiava procacciandosi il cibo da
sè e cucinandolo di persona (capitolo 7.27), che amava
insegnare non ricevendo compenso ma unicamente qualche piccola
offerta in natura (capitolo 7.29), che la scuola attirava molti
adepti fino a diventare elitaria (capitolo 8.9) e molto additata ad
esempio di educazione (capitoli 8.13 - 8.17), ma che al contempo
dava fastidio ai potenti che emarginarono il maestro e la scuola
perché davano fastidio (capitolo 9.2), tanto che dovettero
fuggire ed il maestro stesso rischiò la vita (capitoli 9.5 e
11.23), che furono costretti a ripiegare su umili e miseri mestieri
pur di vivere (capitoli 9.6 - 9.7), che vissero per un certo periodo
in esilio fuori dalla Cina (capitolo 9.14), ma anche che la scuola
divenne negl'ultimi tempi assai interessante per le autorità
di diversi stati feudali in cui al tempo la Cina era suddivisa
(capitolo 11.7) e che il maestro nell'ultima decade di vita divenne
ambasciatore e rispettato uomo di corte (capitoli 10,2 - 10.4;
capitoli 10.15 - 10.20), nonostante la morte del figlio Li (capitolo
11.8) e dell'allievo prediletto Yan Hui (capitoli 11.7 - 11.11) ed
il tradimento dell'allievo Rau Qin (capitolo 11.17). Anche molti dei
suoi allievi – vi si legge – fecero carriera sia durante la vita del
maestro, che dopo la sua dipartita (capitoli 11.24 - 11.25). Secondo
Mencio (370 a.C. – 289 a.C.), Confucio si sarebbe occupato
dell'amministrazione di negozi e di pascoli e bestiame.
Probabilmente svolse compiti amministrativi per il governatore della
provincia. Sima Qian, riferisce che dopo i cinquant'anni Confucio
divenne ministro della giustizia del duca di Lu, ma fu in seguito
costretto a dimettersi e ad andare in esilio. Iniziò quindi
un lungo viaggio attraverso gli stati di Wei, Song, Chen, Cai, e
Chu, cercando impiego presso i governanti come consigliere..
Tornato nello stato di Lu, trascorse gli ultimi anni dedicandosi
agli studi e all'insegnamento, circondato da un numero crescente di
discepoli.
Insegnamenti
Libro dei riti
Nei Dialoghi, Confucio si presenta come un "messaggero che nulla ha
inventato", il cui compito è quello di trasmettere la
sapienza degli antichi. Grande importanza è data allo studio:
il libro si apre proprio col carattere cinese che indica lo studio,
xué (cinese semplificato: 学, cinese tradizionale: 學). Lungi
dal tentare la costruzione di un sistema filosofico, Confucio
invitava i suoi discepoli a riflettere profondamente su se stessi e
sul mondo, approfondendo la conoscenza del passato da cui trarre
insegnamento attraverso lo studio degli antichi testi.
In un periodo storico segnato dalle divisioni e da guerre sanguinose
fra stati feudali, Confucio ripropose il concetto di Mandato del
cielo (天命 pinyin: Tiānmìng) che avrebbe potuto riunificare la
Cina e ridare finalmente pace e prosperità al popolo. Ma allo
stesso tempo, l'interpretazione confuciana del Mandato del cielo era
innovativa, poiché egli pensava ad un trono sul quale si
sarebbero succeduti sovrani scelti sulla base della loro statura
morale, non della parentela di sangue, capaci di diffondere la
virtù fra il popolo senza il bisogno di leggi dure e
restrittive.
La concezione confuciana del jūnzi (君子), termine che prima di
Confucio indicava la nobiltà di sangue, è piuttosto
quella della nobiltà d'animo (spesso junzi è tradotto
come uomo superiore), acquisita con la pratica delle virtù.
Il suo insegnamento, dunque, benché principalmente orientato
alla formazione dei futuri uomini di potere, era aperto a tutti, non
solo ai figli della nobiltà.
Gli insegnamenti di Confucio furono raccolti e organizzati dai suoi
discepoli nei Dialoghi circa ottant'anni dopo la morte del maestro
(401 a.C.).
Filosofia
Sebbene in Cina i precetti di Confucio siano stati seguiti per
secoli come una religione, si discute ancora se il Confucianesimo
possa essere considerato una religione. I testi confuciani, infatti,
non esprimono una concezione chiara della divinità, e
trascurano molti aspetti della spiritualità, come la natura
dell'anima.
I principi del Confucianesimo raccolsero un grande favore
soprattutto perché si fondavano in larga parte sulla
tradizione e le credenze già radicate nella tradizione
cinese. Confucio esaltò infatti la lealtà familiare,
il culto degli antenati, il rispetto degli anziani da parte dei
giovani (e secondo interpretazioni posteriori, la sottomissione
della moglie al marito), proponendo la famiglia come base di un
governo ideale. Guardava al passato con nostalgia ed esortava i
potenti ad ispirarsi agli antichi modelli di virtù.
Gli studiosi sono oggi molto cauti nell'attribuire a Confucio
specifiche affermazioni, poiché non esistono testi che
possano essere fatti risalire a lui con certezza. I principi del
confucianesimo sono stati infatti elaborati nei secoli, in un corpus
di scritti che si è andato creando ed accrescendo soprattutto
nel periodo fra la sua morte e la fondazione dell'impero cinese nel
221 a.C.
Discepoli
Confucio ebbe molti discepoli e seguaci, in Cina e in Estremo
Oriente.
I discepoli di Confucio e il suo unico nipote, Zisi, assicurarono
continuità agli insegnamenti filosofici del maestro dopo la
sua morte. Pur basandosi sul pensiero etico e politico confuciano,
due dei suoi seguaci più celebri, Mencio (IV secolo a.C.) e
Xun Zi (III secolo a.C.) ne enfatizzarono aspetti radicalmente
diversi tra loro, anche sulla questione dell'autoritarismo.
Durante la dinastia Song, Zhu Xi (1130-1200) rinnovò il
confucianesimo con idee mutuate dal taoismo e dal buddhismo. Il
rinnovamento operato da Zhu Xi divenne in seguito un'ortodossia
incontestata. Solo con l'avvento della Repubblica popolare cinese si
è abolito l'insegnamento dei Quattro Libri e dei Cinque
classici confuciani.
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IL CONFUCIANESIMO
A cura di Ernesto Riva
Caratteristiche generali del pensiero cinese
Con quella indiana e quella ebraica, la cultura cinese è fra
le più antiche civiltà che si siano perpetuate senza
interruzioni sino ad oggi. Essa ha mantenuto una serie di caratteri
peculiari che ne hanno salvaguardato l'originalità. I
differenti atteggiamenti mentali coinvolgono l'idea stessa di
religione e di divinità, di bene e di male, di trascendenza e
di spirito, e il rapporto individuo-società e
individuo-universo. A differenza della storia europea in cui il
ruolo della Chiesa è stato determinante, e così pure
l'antagonismo tra Stato e Chiesa e le guerre di religione, in Cina
la religione non soltanto è stata subordinata allo Stato, ma
è stata funzionale più alla condizione sociale
dell'uomo piuttosto che allo sviluppo di una dimensione
individualistica. La storia cinese non ha in pratica conosciuto la
contrapposizione fra un ordinamento politico ed uno soprannaturale
che lo trascende e travalica (come nel caso della Chiesa) ed i
rapporti fra Impero e Chiesa buddhista non sono paragonabili a
quelli fra le Chiese cristiane e gli Stati europei. Del resto, se
per religione intendiamo un fenomeno analogo a quello
giudaico-cristiano, difficilmente potremmo rintracciarlo in Cina.
Religioni istituzionali e religioni diffuse si equilibrano e si
intersecano a differenti livelli, nel sincretismo della cosiddetta
religione popolare come nell'interazione tra taoismo, buddhismo e
confucianesimo. Il cinese può venerare più
divinità di religioni diverse senza che questo gli crei dei
problemi perché è fondamentale per lui la funzione
pratica della religione, e non la sua identificazione. Esempi di
religione istituzionale sono il buddhismo e il taoismo, in quanto
posseggono una propria organizzazione ecclesiastica, propri culti e
dottrine. La religione diffusa, invece, è costituita da culti
come quello rivolto agli antenati o alle divinità celesti.
In campo religioso non esiste una fede monoteistica, né
l'idea di un Dio personale in diretta relazione con l'individuo.
Ciò significa inoltre l'assenza dell'esclusivismo di un "Dio
geloso", di un'assoluta opposizione fra una divinità
identificata con il Bene e il demonio identificato con il Male.
Significa anche assenza di un rapporto personale e individuale con
la divinità, che in campo etico si traduce in un diverso
concetto di responsabilità che deve fare i conti con i legami
fra il soggetto e il suo gruppo sociale. Anche l'idea di
retribuzione ne viene influenzata perché è spesso
intesa come una conseguenza automatica di un certo comportamento
umano, ed il ruolo degli spiriti e delle divinità popolari
è ridotto ad una funzione contrattualistica e propiziatoria.
La multifunzionalità dei templi contribuisce quindi al
consolidamento dei legami familiari, alla protezione della
comunità locale e del suo benessere, della salute
individuale, dell'ordine morale, dello Stato e dell'ordinamento
politico.
Il pensiero cinese non ha neppure conosciuto il dualismo
spirito-materia e l'opposizione fra anima e corpo - caratteristici
della tradizione occidentale - e la conseguente distinzione fra il
sensibile ed il razionale. Il termine xin indica la mente ma anche
il cuore, vale a dire la sede del pensiero e allo stesso tempo delle
emozioni e delle reazioni sensoriali. La funzione razionale non
è intesa in Cina come la più alta nell'uomo,
contrapposta alle passioni e agli istinti. La ragione non è
neppure prerogativa dell'anima che, secondo la dottrina ad es.
cristiana, avrebbe la capacità di discernere fra il bene e il
male, e di compiere liberamente il bene o il male. In Cina si
preferisce un universo in continua trasformazione, costituito da una
sostanza fondamentale, la cui dinamicità (evoluzione ed
involuzione, nascite e morti, contrazione ed espansione) è
dovuta alla polarità di energie opposte ma complementari. In
Cina è assente una concezione assoluta ed esclusiva degli
opposti, intesi piuttosto come bipolarità complementari, come
interazione e alternanza.
Confucio
In Cina la filosofia non è staccata dalla vita, e la sua
pratica è considerata inseparabile dalla teoria. In Cina vi
sono stati pochissimi filosofi di professione. Quasi tutti i grandi
filosofi cinesi hanno ricoperto delle cariche amministrative nel
governo, oppure sono stati artisti. In Cina, insomma, i filosofi
vengono ritenuti tali soprattutto per le loro caratteristiche
morali. Non è concepibile che un uomo cattivo possa essere un
buon filosofo, o che un buon filosofo possa essere un uomo malvagio.
La prova reale di una filosofia è la sua capacità di
trasformare i suoi sostenitori in uomini più grandi.
Biografia di Confucio
Il nome Confucio è dovuto ai missionari del secolo 17°
che latinizzarono il nome del saggio cinese K'ung fu tzu (ovvero
maestro Kung) in Confucius. Confucio nacque a Tsou, una borgata
dello stato di Lu (odierna Chueh-li nello Shantung) nel 551 a.C (il
27 agosto o il 28 settembre). Suo padre era governatore di Tsou e di
stirpe nobile. Confucio rimase orfano di padre a tre anni. La
famiglia si trovò in condizioni disagiate e Confucio dovette
fare molti sacrifici e lavori umili. Si sposò a 19 anni, ed
ebbe due figli, un maschio e una femmina. Nello stesso periodo
ricoprì modesti incarichi governativi. Ma la sua vocazione
era l'insegnamento e nel 530 a.C. aprì una scuola in cui
erano ammessi tutti quelli che dimostravano di avere intelligenza,
buona volontà e dai quali si faceva pagare a seconda delle
possibilità. La sua era una scuola di tipo tradizionale, in
cui si insegnavano le sei arti: riti, musica, tiro con l'arco, guida
dei carri, annali, calcolo. Quando, nel 528 a.C., gli morì la
madre, Confucio si uniformò ai riti che prescrivevano al
figlio in lutto di non esercitare alcuna carica pubblica per tre
anni e allora egli si ritirò a vita privata. Dedicò
questo periodo allo studio delle discipline a lui preferite: musica,
riti e testi antichi. Questo studio profondo gli permise di tradurre
in massime la saggezza degli antichi e di formulare poi norme che
dovevano regolare il comportamento dell'uomo quale membro di una
società. In seguito, per ampliare le sue conoscenze, nel 515
a.C. si recò a Loyang, la capitale del regno di Chou, dove la
musica e i riti erano stati tramandati nella loro purezza originale.
Pare che in questo periodo abbia incontrato Lao Tzu. Confucio
ritornò poi a Lu e riprese l'insegnamento. Nel 514 il sovrano
di Lu dovette fuggire per motivi politici e chiese ospitalità
al duca di Ch'i. Confucio seguì il sovrano in esilio. Alla
morte del sovrano il ducato di Lu passò nel 509 a.C. al duca
Ting e Confucio ottenne finalmente, nel 501 a.C. (aveva ormai
cinquant'anni), un incarico politico. Il duca Ting lo nominò
governatore di Chung-Tu, capitale dello stato di Lu, permettendogli
di attuare il sogno della sua vita: dimostrare sul piano pratico la
fondatezza delle sue idee etiche e politiche. La sua amministrazione
si rivelò talmente perfetta che poté essere paragonata
al periodo aureo dei sovrani mitici ed inoltre le leggi penali non
vennero più applicate perché non furono commessi
più crimini.
I felici risultati ottenuti gli valsero però l'invidia e
l'inimicizia della corte e Confucio fu costretto ad andarsene da Lu.
Cominciò così le sue peregrinazioni, che durarono ben
tredici anni, attraverso vari stati. Ritornò a Lu quando
aveva ormai 69 anni. Il nuovo duca, Ngai, lo onorò, lo
invitò a corte ma non gli affidò nessuna carica
pubblica. Egli allora si dedicò, con i suoi discepoli, a
raccogliere e a riordinare i testi antichi e scrisse una cronaca di
Lu, intitolata Primavere e autunni. Si dice che, sette giorni prima
di morire, un sogno l'avvertisse della prossima fine. Dopo aver
recitato alcuni versi del Libro delle Odi ("Ecco come frana il monte
T'ai/il grande albero viene abbattuto/e il saggio sfiorisce come un
fiore) e avere ancora una volta espresso il suo rammarico per non
essere riuscito a far accettare ai principi le sue idee, si
ritirò nella sua stanza e morì. Era il 479 a.C.
L'insegnamento di Confucio
L'insegnamento del maestro cinese è stato esclusivamente
orale. Egli era convinto che la verità si possa cogliere
concretamente e in singole situazioni, mentre ogni tentativo di
elaborare un quadro completo non fa che impoverirne o travisarne
l'infinita ricchezza. Non c'è alcun tentativo di definire
concetti o di elaborare principi e teorie come fanno invece i
filosofi occidentali. Spesso Confucio si limita a ricorrere al
modello analogico, associando un esempio antico ad un episodio
presente, o limitandosi a brevi osservazioni concrete.
Tutto quello che ci è pervenuto del suo pensiero è
raccolto nei cosiddetti Quattro Libri (Ssu Shu), che sono opera di
discepoli. Essi sono I Dialoghi, Il Grande Studio, L'Invariabile
Mezzo e il Libro di Mencio.
I Dialoghi sono il libro più antico. Esso consta di 11.705
caratteri ed è diviso in venti libri, ognuno dei quali
è chiamato col nome dei due caratteri che lo iniziano. Gli
insegnamenti sono fatti sotto forma di massime, aforismi o brevi
dialoghi senza legame tra loro. Confucio era convinto di aver
ricevuto dal Cielo (T'ien) una missione da compiere. I suoi
discepoli credevano fermamente in lui e nel suo mandato. Confucio
era legittimista: non vedeva altra possibilità per sanare i
mali della società se non con la restaurazione degli antichi
valori morali, degli usi rituali e delle istituzioni del passato;
ristabilire insomma l'ordinamento feudale come era agli inizi della
dinastia Chou. Per salvare la società egli insisteva che per
prima cosa bisognava salvare l'uomo. Per riuscire in ciò,
egli si rivolgeva in primo luogo a quelli che considerava i
responsabili del disordine sociale: i principi. Essi dovevano essere
consci delle loro responsabilità e dei loro doveri e dovevano
prendere esempio dalle sagge istituzioni dei re santi
dell'antichità che si erano preoccupati prima di tutto della
felicità del loro popolo. "Vi è governo quando il
principe (si comporta) da principe, il ministro da ministro, il
padre da padre, il figlio da figlio"(Dialoghi, 12,11). Ognuno doveva
quindi mantenere la posizione che gli competeva ed attenersi ai
doveri che gli imponeva la propria qualifica e rango. Secondo
Confucio, "governare è correggere. Se induci il popolo a
correggersi, chi oserà non correggersi?" (Dialoghi, ibid.).
Per aiutare i principi ad attuare quanto era necessario al buon
governo, egli intendeva preparare per essi dei consiglieri abili,
onesti, saggi e fidati. Secondo l'ideale confuciano, essi avrebbero
dovuto possedere le virtù morali del chun-tzu, ovvero l'uomo
saggio, perfetto. Quest'uomo non era necessariamente un nobile per
nascita bensì un uomo virtuoso. Se il consigliere tendeva
alla perfezione, ne derivava anche un miglioramento dell'uomo
comune, del suddito, che seguendo l'esempio di colui che lo
governava, diventava un suddito docile e fedele. Nel Grande Studio
è detto: "Dal Figlio del Cielo all'ultimo del popolo, per
tutti la cosa principale è perfezionare la propria persona"
(par. 6). Nel commento si fa rilevare che il perfezionamento si
ottiene quando si riescono a dominare le passioni, non ci si crea
delle illusioni e si riesce ad essere sinceri con se stessi;
ciò permette al saggio di vedere com'è veramente il
mondo e gli dà la possibilità di poterlo giudicare
obiettivamente. Ciò che conferisce all'uomo i sentimenti di
umanità, giustizia, altruismo ecc. viene chiamato da Confucio
col termine jen: si tratta di una virtù unica e completa in
se stessa, che riassume tutta la legge morale oggettiva. In
più vi è il li (ordine, etichetta), che si riferiva ai
riti e alle cerimonie, ma esprimeva anche le norme che dovevano
regolare i rapporti umani ed era quindi un codice di comportamento
morale e sociale in una società organizzata gerarchicamente.
Questi due concetti costituiscono la base del confucianesimo.
Quando chiedevano a Confucio di spiegare che cosa fosse jen, egli
dava parecchie definizioni. Jen è "amare gli uomini";
è "conoscere gli uomini" (Dialoghi, 12,22). Altrove
dirà che per attuare lo jen è necessario "rispetto,
magnanimità, sincerità, sollecitudine, benevolenza.
Chi rispetta non offende, chi è magnanimo si guadagna le
folle, chi è sincero ottiene la fiducia degli altri, chi
è sollecito porta a compimento, chi è benevolo
è adatto a comandare gli uomini" (Dialoghi, 17,6). Anche il
modo di comportarsi è jen: "fuori di casa comportati come
quando ricevi un ospite importante; nel comandare al popolo
comportati come se offrissi il grande sacrificio; ciò che non
vuoi sia fatto a te, non fare agli altri; non suscitare
ostilità nello stato, non suscitare rancori nella famiglia"
(Dialoghi, 12,2). Gli fu chiesto una volta che cosa ne pensasse del
principio per cui bisogna rendere il bene per il male. Confucio
disse: "Con che ripagheresti la clemenza(bene)? Un torto si ripaga
con la giustizia e la clemenza con la clemenza" (Dialoghi, 14,36).
Per Confucio il li pervade tutte le cose, in quanto è la vera
base del governare. Il li rappresenta una completa dottrina sociale
e morale, che si fonda sul principio dell'armonia nei rapporti umani
fondamentali. Essi sono cinque (wu lun): tra principe e suddito, tra
padre e figlio, tra marito e moglie, tra fratello maggiore e
fratello minore, tra amico e amico. Il governo vero e proprio non
è opera degli impiegati statali, ma di ciascun cittadino che
osserva i giusti rapporti con gli altri individui. Quando in una
società esistono dei buoni rapporti tra tutti i cittadini,
allora vuol dire che lo scopo del governo è stato raggiunto.
In altre parole, quando tutti gli individui agiscono moralmente in
tutti i loro rapporti con le altre persone, non vi sono più
problemi sociali. Ecco perché Confucio può dire che
per raggiungere la pace nel mondo è necessario e sufficiente
rettificare i propri cuori o curare la propria vita personale e
porre ordine nella propria vita familiare. Il li comprende anche un
altro concetto molto importante, quello di hsiao, che comunemente
è tradotto con pietà filiale. Essa è la
virtù della venerazione. I genitori sono anzitutto venerati
in quanto la vita stessa è generata da loro. Nel mostrare
venerazione per i genitori, è importante proteggere il corpo
dall'offesa, poiché il corpo viene da essi. Quindi proteggere
il corpo è onorare i genitori. Ma non basta: hsiao non
è solo prestare cure fisiche ai genitori, ma dare loro una
ricchezza emotiva e spirituale. Ugualmente importante, dopo che i
genitori sono morti, gli scopi e i propositi del figlio dovrebbero
essere i propositi e gli scopi che essi non sono riusciti a
raggiungere. Ma hsiao non è solo una virtù familiare:
essa diviene una virtù sociale. Quando i figli apprendono il
rispetto e la venerazione per i loro genitori, arrivano ad avere
rispetto e amore per i loro fratelli e sorelle. E quando hanno fatto
ciò, possono rispettare ed amare tutta l'umanità.
Quando dunque tutte le loro azioni sono dirette dall'amore per
l'umanità, essi agiscono in accordo con lo jen.
Se Confucio sognava un'umanità perfetta, frutto dell'amore,
dell'educazione e dello studio, era però convinto che questa
perfezione non si poteva ottenere se non con l'aiuto del Cielo
(T'ien). Sul concetto di T'ien, le interpretazioni sono discordanti.
Possiamo comunque dire che egli non si discostava da quelle che
erano le idee fondamentali della tradizione antica, e credeva dunque
in un Cielo personalizzato, in cui vedeva l'ordinatore divino della
coscienza morale dell'uomo. Nonostante i decreti celesti siano
infallibili e immutabili (ming), l'uomo rimane responsabile delle
sue azioni, e queste non riescono comunque a contrastare il corso
degli eventi quale è disposto dal Cielo, ma dipendono dalla
malizia dei loro cuori, che cercano i guadagni piuttosto che la
rettitudine. La teoria dell'interazione tra cielo e terra era anche
alla base della teoria del "mandato celeste", già
preesistente a Confucio (a cui poi Mencio diede una sistemazione
organica) come fondamento di legittimazione del potere del sovrano.
D'altronde il confucianesimo stesso, pur essendo sorto come
filosofia e morale secolare, assunse progressivamente una serie di
elementi religiosi, come quelli delle religioni diffuse, elaborando
tutto un sistema di riti di riti ufficiali ed inglobando la
cosmologia delle teorie dello yin e yang e dei cinque elementi
(legno, fuoco, terra, metallo, acqua).
Egli parla pure del Tao, della legge morale cosmica, per seguire la
quale l'uomo doveva praticare il li (cerimonie, riti). Egli quindi
rendeva omaggio agli spiriti degli antenati e compiva i sacrifici
come se essi fossero presenti, ma nello stesso tempo criticava
l'abuso delle cerimonie e dei riti e il comportamento di coloro che
compivano le cerimonie tradizionali, senza la debita reverenza o
che, compiendole, peccavano contro il Cielo: "se si offende il
Cielo, non serve pregare" (Dialoghi, 3,13).
Confucio non si atteggiò mai a superuomo o a profeta. Il suo
era soprattutto un insegnamento pratico, guidato dalla
consapevolezza delle difficoltà del compito che si era
prefisso, del dovere e della responsabilità che si assumeva.
Il suo insegnamento era quindi più esortazione che teoria.
Egli credeva nella bontà dell'uomo e nell'azione benefica
dello studio: "E' difficile che un uomo che abbia studiato per tre
anni non sia diventato buono" (Dialoghi, 8,12). Ma ammoniva:
"Studiare senza meditare è inutile, meditare senza studiare
è pericoloso" (Dialoghi, 2,15). Confucio non si poneva mai al
di sopra degli altri e non si sopravvalutava mai. Inoltre,
modestamente, concludeva: "Io tramando, non creo" (Dialoghi, 7,1).