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DBI
di Luigi Ambrosoli
Nacque a Milano il 6 ott. 1785 da Vitaliano, di
famiglia comitale assai facoltosa per le estese
proprietà terriere, e da Antonia dei marchesi Casnedi.
L'11 ottobre del 1806 sposò Teresa Casati, che era pure
appartenente ad una famiglia aristocratica. Il C. non
aveva fatto mistero dei suoi sentimenti
antibonapartiani; non tollerava l'assolutismo
dell'imperatore ed il fatto che l'Italia fosse stata
ridotta ad una dipendenza francese. Nel 1814, al momento
del rapido crollo del Regno d'Italia, nonostante la
giovane età emerse tra i personaggi più influenti ed
ascoltati e rappresentò l'orientamento dei cosidetti
"Italici puri", cioè di quel gruppo politico che puntava
sulla costituzione di uno Stato italiano indipendente,
in contrapposizione a coloro i quali sostenevano la
causa di Eugenio Beauharnais. Fu tra i firmatari di una
petizione che, in data 19 apr. 1814, chiedeva la
convocazione dei tre Collegi elettorali perché
decidessero sulla sorte futura del Regno; il suo nome
appariva accanto a quello del generale Pino, di L. Porro
Lambertenghi, di A. Trivulzio, di A. Manzoni, di G.
Ciani. Ma il giorno seguente la situazione precipitò:
gli Italici puri intesero imporre al Senato, riunitosi
in quel giorno, lo scioglimento e la convocazione dei
comizi elettorali; la folla invase il palazzo del Senato
ed ottenne che il presidente predisponesse il decreto di
convocazione dei Collegi e lo dichiarasse approvato; non
soddisfatta, assaltò la casa del ministro delle Finanze
Prina e finì per ucciderlo.
Il C., che era stato presente a questi avvenimenti, fu
accusato di esserne stato il massimo ispiratore, e
responsabile persino della misera fine del Prina.
Secondo la relazione del senatore L. Armaroli (Sulla
Rivoluzione di Milano seguita nel giorno 20 apr.
1814..., Parigi, novembre 1814), il C. si sarebbe
avventato contro il ritratto di Napoleone dipinto
dall'Appiani e l'avrebbe forato con l'ombrello. Ma nella
Lettera ad un amico, che pubblicherà il 15 marzo 1815,
il C. affermerà con estrema decisione di non essere
neppure entrato, il 20 apr. 1814, nell'aula del Senato,
mentre riconfermava quello che era stato il suo
atteggiamento politico espressosi nella richiesta di
convocazione dei Collegi elettorali perché la nazione
avesse modo di manifestare direttamente i propri
intendimenti. È vero che, il 20aprile, accanto agli
Italici puri si trovarono anche gli austriacanti e che
la decisa opposizione del C. e dei suoi amici, in odio
al Bonaparte e, quindi, ad Eugenio Beauharnais, al piano
di F. Melzi avrebbe favorito il ritorno dell'Austria; ma
è vero anche che il C. perseguiva un programma politico
confortato dalla dichiarazione dell'esule italiano A.
Bozzi Granville, ufficiale della marina britannica
venuto in missione segreta nel 1814 nella penisola, che,
secondo l'opinione inglese, se non tutta l'Italia almeno
il Regno italico avrebbe potuto rimanere indipendente.
Del resto la difesa del C. fu apprezzata da U. Foscolo,
che era stato testimone degli avvenimenti dell'aprile
1814 a Milano.
Tre giorni dopo l'eccidio del Prina i Collegi elettorali
furono convocati e decisero di nominare una deputazione,
a far parte della quale fu chiamato anche il C., che
avrebbe dovuto perorare la causa italiana presso gli
alleati riuniti a Parigi richiedendo l'indipendenza, e
un principe e una costituzione liberali. La deputazione
giunse a Parigi nei primi giorni del maggio 1814 ed ebbe
modo di avvertire molto presto come la situazione
italiana fosse ormai irreparabilmente compromessa.
Il C. fu il più combattivo dei deputati lombardi;
approfittando delle amicizie e del prestigio del suo
nome egli cercò di rimuovere le difficoltà, ma ogni
tentativo fu vano. Il 18 maggio egli s'incontrò con lord
Castlereagh giudicando come l'estrema speranza fosse
legata all'atteggiamento dell'Inghilterra. Ma il
ministro britannico non intendeva compromettere
l'alleanza con l'Austria e non intendeva neppure
eccedere nelle concessioni liberali. La sua risposta fu
completamente negativa così che al C. non rimase altro
che fare un dignitoso e preciso discorso sulle
conseguenze che avrebbe potuto avere il "sacrificio
della propria esistenza politica" che si imponeva
all'Italia riducendola a provincia austriaca. Senza
risultati furono gli incontri che la delegazione
lombarda ebbe poi con lo zar Alessandro di Russia e con
l'imperatore d'Austria il quale si limitò ad invitarli
ad essere sudditi "docili e tranquilli". A questo punto
la delegazione ritenne esaurito, con totale insuccesso,
il suo compito e si sciolse. Intanto, in Lombardia,
l'Austria prendeva possesso di tutto l'apparato
governativo e amministrativo.A Parigi il C. aveva
incontrato il rivoluzionario Filippo Buonarroti, l'amico
e compagno di Babeuf, il più profondo conoscitore
dell'organizzazione settaria europea; può essere stato
quest'incontro a convincere il C. dell'opportunità di
inserirsi in una società segreta per dare l'apporto che
desiderava alla causa della libertà. Ma, rientrato a
Milano, dovette soprattutto preoccuparsi di respingere
le gravi accuse che, nel frattempo, erano state elevate
nei suoi confronti sulla responsabilità dell'eccidio del
ministro Prina; fu allora che scrisse e pubblicò la
Lettera ad un amico, nella quale precisava quale era
stata la sua parte negli eventi del 20aprile. Il C. era
rimasto estraneo alla congiura fomentata dagli ufficiali
del disciolto esercito, italico nella seconda metà del
1814, anche se con alcuni congiurati era certamente in
rapporti di amicizia. Del resto durante i viaggi
effettuati in Italia negli anni immediatamente
successivi egli ebbe, secondo il rapporto confidenziale
del governatore di Roma alla polizia austriaca di
Milano, contatti con personaggi sospetti per le loro
simpatie liberali a Roma, a Napoli, in Calabria, in
Sicilia.
Il C. divenne convinto assertore, sotto l'influenza
delle idee romantiche, della funzione della letteratura
per la formazione di una coscienza liberale; insieme con
L. Porro Lambertenghi fu, nel 1818, il promotore morale
e finanziario del "foglio azzurro" intitolato Il
Conciliatore, di cui furono compilatori L. di Breme, P.
Borsieri, G. Berchet e S. Pellico. Il primo numero fu
pubblicato il 3 sett. 1818, l'ultimo, il 21 ott. 1819,
quando i promotori ritennero opportuno sospendere il
periodico per i continui, pressanti interventi della
censura austriaca; agli inizi del 1819 il C. aveva
scritto all'amico fiorentino Capponi: "Il Conciliatore è
castrato e perseguitato in modo scoraggiante, ma egli in
ogni caso non morrà che di morte violenta".
Il C. fu collaboratore del Conciliatore con articoli
arguti e dotti, che rivelano le sue doti letterarie, la
vastità degli interessi ed il suo particolare
riferimento ai problemi dell'istruzione. Il Viaggio di
un abitante della luna sul globo terrestre (3dic. 1818)
era carico di allusioni alla situazione della Lombardia
che non sfuggirono al governatore austriaco. Di analoga
ispirazione la Vita d'un orso scritta da lui medesimo
(13 dic. 1818). Ne Le citazioni (28 genn. 1819)
affermava, l'esigenza che gli storici indicassero le
fonti delle loro affermazioni. Quattro articoli dedicò
alla recensione dell'opera di G. L. Reynier
sull'economia pubblica e rurale dei Celti, dei Germani e
di altri popoli del Nord e del centro d'Europa (23
maggio, 10 e 27 giugno, 22 luglio 1819). Sull'invenzione
dell'arte di istruire i sordomuti e sui risultati
raggiunti s'intrattenne in tre ampi contributi (19 ag.,
2 e 26 sett. 1819).
Mentre il Conciliatore tramontava, il C. collaborava a
far sorgere in Milano le scuole di mutuo insegnamento,
che si richiamavano al metodo lancasteriano e che aveva
avuto modo di conoscere, con ogni probabilità, durante
il viaggio effettuato nel 1814 in Inghilterra mentre
altre istituzioni educative aveva visitato in Francia e
in Svizzera. Nel gennaio 1819 egli avanzò all'autorità
austriaca la richiesta di autorizzazione a costituire la
Società centrale per la propaganda e il mantenimento
delle scuole di mutuo insegnamento in Lombardia, alla
quale collaborarono G. Beccaria, C. Londonio e G.
Pecchio che ne fu il segretario e che, con numerosi
articoli sul Conciliatore, ne illustrò le finalità e il
metodo. L'autorizzazione giunse nel marzo, e
nell'ottobre la prima scuola milanese di mutuo
insegnamento, frequentata da duecento alunni, funzionò
in S. Agostino di fronte al palazzo abitato dal C. in
via Monte di Pietà. La seconda scuola, di trecento
alunni, fu aperta agli inizi del 1820 nella parrocchia
di S. Nazaro, a S. Caterina. Nel suo entusiasmo per
l'iniziativa, il C. s'illudeva sull'effettivo
conseguimento dei risultati previsti; ma il riunire così
gran numero di giovani impegnandoli in una "attività"
scolastica era pur sempre una grande opera di educazione
sociale. Se ne accorse la autorità austriaca che
cominciò a guardare con sospetto la scuola di mutuo
insegnamento della quale, dopo aver respinto la
richiesta di aprire una sezione femminile, decretò la
fine nel gennaio 1821 giustificando il provvedimento con
il fatto che erano state aperte scuole elementari minori
secondo il regolamento austriaco. Il C. era stato tra
gli intellettuali del suo tempo uno dei più avveduti nel
comprendere che lo sviluppo economico e la nuova
organizzazione industriale della produzione esigevano
una manodopera dotata, almeno, dell'istruzione di base.
Nel 1818 il C. aveva compiuto un nuovo viaggio in
Francia e in Inghilterra. Nei primi giorni di settembre,
a Londra, era stato aggregato alla massoneria di rito
scozzese alla quale era stato presentato dal duca di
Sussex, fratello del reggente. Aveva incontrato il
Foscolo, cui aveva rimproverato l'atteggiamento troppo
ostile e polemico nei confronti degli Italiani, ai quali
attribuiva la completa responsabilità delle loro
sciagure. A Parigi rivide il Buonarroti e incontrò
alcuni degli oppositori liberali della restaurata
monarchia borbonica. Il viaggio aveva avuto una
motivazione principalmente economica; il C. aveva
infatti acquistato il macchinario fabbricato a Londra
per la produzione del gas illuminante, aveva commesso
all'industria inglese Hill macchine per la filatura del
lino, e aveva ordinato a Boulton e Watt la costruzione
di una macchina a vapore da spedire a Genova per essere
collocata su un piroscafo per la navigazione sul Po. Al
suo ritorno a Milano, nel gennaio 1819, egli poté
concretare i risultati del viaggio; la macchina per la
produzione del gas illuminante fu installata in casa
Porro e diede ottimi risultati; la macchina a vapore fu
collocata sul piroscafo costruito a Genova e battezzato
"Eridano", che cominciò a navigare sul Po.
Questa attività economica aveva consentito al C. di
riempire le giornate e sottrarsi alla grigia ed
oppressiva atmosfera della Restaurazione alla quale, fin
dall'inizio, aveva dimostrato di non volersi adattare.
Ma nel progresso economico, come in quello
intellettuale, egli aveva individuato uno degli stimoli
alla redenzione italiana ed alla sua indipendenza. Il
raggiungimento dell'autonomia economica avrebbe potuto
recare con sé, come conseguenza, il raggiungimento
dell'autonomia politica.
Fallì, invece, il progetto del C. di creare in Milano un
ateneo che ospitasse conferenze, letture, corsi
d'istruzione tecnica, spettacoli teatrali e fosse
collocato in un grande bazar con giardini pubblici
coperti per l'inverno e i giorni di pioggia, caffé,
ristoranti, bagni, alberghi, la borsa. L'ateneo avrebbe
dovuto costituire il nuovo centro della città dandole un
ulteriore, grande impulso.
Intanto l'azione settaria, d'ispirazione carbonara anche
se con ramificazioni e denominazioni diverse, si era
intensificata. I moti del luglio 1820 nel Regno di
Napoli ne furono la prima testimonianza. In Piemonte e
in Lombardia era sorta la Federazione, alla quale
avevano aderito quasi tutti i giovani ufficiali
dell'esercito sardo di idee liberali e gli esponenti
della aristocrazia e della borghesia lombarda che meno
tolleravano la dominazione austriaca. Il C., per la sua
precedente iniziazione settaria, non solo fu tra i primi
federati ma assunse nella setta una posizione di
rilievo; divenne il tramite tra i federati piemontesi e
i federati lombardi nei mesi che precedettero
l'insurrezione del marzo 1821.
Tra la fine d'agosto e gli inizi del settembre 1820 il
C. fu cercato dal conte E. Perrone di San Martino,
colonnello piemontese, e, successivamente, da un
capitano Marenco per conto di Carlo Alberto. In un
incontro a Vigevano il Perrone espose al C. il piano dei
federati e del principe di Carignano: richiesta della
costituzione e, nel caso di abdicazione del re a favore
di Carlo Alberto, guerra all'Austria per la conquista
della Lombardia. Il C., secondo la deposizione fatta
dinanzi alla autorità inquirente austriaca dopo
l'arresto, si sarebbe mostrato molto perplesso.
Comunque, i rapporti tra federati piemontesi e lombardi
dovettero continuare nonostante che l'arresto,
nell'ottobre 1820, del Pellico e del Maroncelli dovesse
creare non pochi timori.
Quando l'insurrezione scoppiò e, essendosi allontanato
da Torino dopo l'abdicazione Vittorio Emanuele I, Carlo
Alberto ebbe la reggenza del regno, alcuni giovani
lombardi passarono al di là del Ticino per sollecitare
l'intervento sardo in Lombardia. Qui era stato
progettato che, non appena le truppe piemontesi avessero
varcato il confine, vi sarebbero state la sollevazione e
la formazione di un governo provvisorio e di milizie
cittadine che avrebbero collaborato alla cacciata degli
Austriaci; il C. era stato designato, naturalmente, come
l'uomo che avrebbe avuto le maggiori responsabilità in
quel delicato momento. Va detto che, negli ultimi giorni
di febbraio, alla vigilia della insurrezione piemontese,
il C. era caduto ammalato e tale rimase per diverse
settimane tanto da far temere per la sua stessa
esistenza; non aveva potuto prendere parte diretta agli
avvenimenti, e apprese a letto le notizie
dell'insurrezione, della reggenza di Carlo Alberto,
della concessione della costituzione, dell'intervento
austriaco richiesto dal nuovo re Carlo Felice, della
sconfitta e della dispersione degli insorti.
La polizia austriaca macinò lentamente la sua indagine:
il C. fu arrestato nella sua casa il 13 dic. 1821 dopo
aver cercato invano di sottrarsi con uno stratagemma
agli agenti. Il processo durò quasi due anni e si
concluse nel novembre 1823 con la condanna a morte del
C. e di altri sei imputati detenuti e nove contumaci.
Il C. aveva scelto la strada della confessione più ampia
gettando, nel contempo, le responsabilità maggiori delle
iniziative ritenute criminose sui compagni che si erano
messi in salvo lontano dalla Lombardia e che non erano
raggiungibili dalla giustizia austriaca. Aveva però
dimenticato che il codice austriaco puniva con la
medesima pena sia colui che si riteneva responsabile di
tradimento sia colui che, essendo a conoscenza di un
piano criminoso, non avesse sporto la denuncia alla
autorità. L'abile inquisitore austriaco Salvotti riuscì
ad avere dinanzi il quadro preciso della attività
cospirativa dal quale emergeva con sufficiente certezza
che il C. ne era stato il capo o l'esponente più
rappresentativo, così come era già emerso dalla
confessione di uno dei congiurati, C. de Castillia.
Nonostante che la polizia non fosse stata in grado di
fornire alla commissione speciale cui spettò la
istruttoria del processo prove decisive, la confessione
del Castillia, l'ampia deposizione del C. stesso, le
ammissioni del Pallavicino, del Borsieri e dell'Arese
consentirono al tribunale di ricostruire abbastanza
attendibilmente la cospirazione dei federati.
Nonostante che la commissione di prima istanza, pur
riconoscendo la "gravità delle colpe" del C. gli avesse
attribuito il "gran merito di avere sparso massima luce
sulla cospirazione, non solo lombarda, ma per così dire
europea", l'imperatore confermò la pena di morte. Il
vecchio Confalonieri, con la nuora Teresa ed il fratello
di questa Gabrio, si recò a Vienna; dovette attendere
due settimane per essere ricevuto dall'imperatore dal
quale non ebbe, però, promesse di clemenza. Ritornata a
Milano, Teresa promosse una petizione di grazia che
raccolse le firme della più qualificata aristocrazia
lombarda e fu portata a Vienna da Gabrio Casati con una
lettera dell'arcivescovo Gaysruck. Finalmente, l'8 genn.
1824, dopo essersi ulteriormente accertato
dell'impressione negativa suscitata in Milano dalla
condanna a morte del C., l'imperatore si decise a
commutare la pena capitale con il carcere duro a vita da
espiare nella fortezza morava dello Spielberg.
Il C. lasciò Milano con gli altri compagni la notte dal
4 al 5 gennaio; la comitiva fece tappa a Villaco, dove,
il C. essendosi ammalato, fu necessaria una sosta di
dieci giorni. Mentre i compagni furono fatti proseguire
per Brünn, la città dello Spielberg, il C. fu dirottato
per Vienna perché, ritenendolo depositario di conoscenze
molto precise sul movimento rivoluzionario europeo, il
Metternich volle incontrarlo e lo intrattenne a lungo
senza ricavarne però alcuna rivelazione.
Movendo dalla stessa convinzione che il C. poteva essere
un importantissimo informatore, gli furono offerti, allo
Spielberg, un alloggio e un vitto privilegiati rispetto
a quello degli altri carcerati. Gli furono anche messi a
fianco cappellani che avrebbero potuto carpirgli dei
segreti: ma non raggiunsero alcun risultato perché in
realtà il C. non aveva molto altro da aggiungere a
quanto aveva già confessato. Rimasero assai tesi, nel
carcere, i rapporti tra il C. e il Pallavicino, il quale
attribuiva la sua condanna alle deposizioni di lui.
Invano Teresa si recò più volte a Vienna per supplicare
la riduzione della pena e il trasferimento in un carcere
più umano; nel 1829 ella pensò persino a un progetto di
evasione che fallì. Teresa morì l'anno successivo, il 26
sett. 1830, dopo aver inviato un'ultima supplica
all'imperatore; la morte fu ignorata dal C. la cui
salute nel frattempo, continuava a declinare. La grazia
venne alla fine del 1835 da parte del nuovo imperatore
Ferdinando, in forma di deportazione forzata in America
e perdita dei diritti civili. Fu trasferito a Gradisca e
finalmente, il 29 nov. 1836, fu imbarcato a Trieste;
dopo tre mesi di navigazione raggiunse New York ancor
più stremato nel fisico e nel morale. Negli Stati Uniti
poté godere di libertà ed anche dei mezzi necessari per
condurre un'esistenza agiata. Il soggiorno americano non
durò a lungo; fuggì e nel settembre 1837 era già a
Parigi, dove il governo, per timore di urtarsi con
l'Austria, lo allontanò. Si trasferì allora nel Belgio,
dove fu ospite dei vecchi amici Arrivabene e Arconati.
Successivamente fu alle isole Hyerès, ad Algeri, ad
Antibes e nel 1840, in seguito ad amnistia, poté
ritornare a Milano dove viveva ancora suo padre. Viaggiò
in Egitto e in Palestina, alla ricerca di un clima
meglio confacente alle sue condizioni di salute.
Morì il 10 dic. 1846 a Hospenthal, nel Cantone di Uri,
assistito da Sofia O' Ferral, la donna irlandese che era
stata l'affettuosa compagna degli ultimi anni della sua
vita. Il 30 dic. 1846 la salma fu trasportata a Milano:
le onoranze funebri, celebrate in S. Fedele, furono il
pretesto di una dimostrazione popolare.