Wikipedia
Il Comune è una forma di governo locale che
interessò in età medievale vaste aree dell'Europa
occidentale ma che ebbe origine in Italia centro-settentrionale
attorno all'XI secolo, sviluppandosi, poco più tardi, anche
in alcune regioni della Germania centro-meridionale e nelle
Fiandre. Si diffuse successivamente (in particolare fra la seconda
metà del XII e il XIV secolo) con forme e modalità
diverse anche in Francia, Inghilterra e nella penisola iberica. In
Italia, culla della civiltà comunale, il fenomeno
andò esaurendosi fin dagli ultimi decenni del XIII secolo e
la prima metà del secolo successivo, con la modificazione
degli equilibri politici interni, con l'affermazione sociale di
nuovi ceti e con la sperimentazione di nuove esperienze di governo
(signoria cittadina).
L'istituzione del comune
Con la rinascita delle città nell'XI secolo e la ripresa
delle attività artigianali, i nuovi ceti urbani si
riunirono per liberarsi dai vincoli feudali e dall'autorità
imperiale, creando una nuova realtà politica, il Comune.
Il Comune nacque quindi con l'intento di esprimere la lotta per
l'emancipazione dalla soggezione feudale, che dà luogo a
una profonda trasformazione sociale, caratterizzata dal rifiorire
delle attività commerciali e l'emergere della borghesia.
In realtà il tentativo di ricondurre ad un'unica ragione
storica la nascita del comune non ha fornito buoni esiti: un
fenomeno complesso, esteso diacronicamente e sincronicamente non
può essere originato rigidamente da un unico evento o da
una medesima causa. Fra le teorie sull'origine del comune, tutte
possono essere utilizzate per descrivere fattori incidenti
sull'insorgenza del fenomeno:
* l'opposizione al sistema feudale (anche se, come ha notato Cortese, sorgono comuni anche in zone scarsamente feudalizzate, come l'Italia meridionale e la costa veneta; spesso inoltre famiglie legate a questo sistema favoriscono il sorgere dell'ordinamento comunale e occupano all'interno di esso posizioni di rilievo);
* la presenza di un Vescovo, eletto dal popolo e dunque fornito della legittimazione sia spirituale, sia politica necessaria per legittimare un governo cittadino.
* l'insorgere e l'affermarsi di fenomeni associativi, le coniurationes fra gruppi di cittadini.
* il progressivo complicarsi del sistema
delle relazioni sociali e commerciali frutto della ripresa
economica e demografica che comporta la necessità di una
nuova normazione e di un controllo più efficace sul
territorio.
Organizzazione politica
Il governo del Comune era basato su un Consiglio generale
cittadino che eleggeva dei magistrati, detti consoli, incaricati
della reggenza. All'interno di questo organo collegiale le
deliberazioni sono considerate valide in virtù di un
corretto sviluppo della procedura come la convocazione
dell'assemblea in presenza di un numero minimo di cittadini
appositamente nominati e la verbalizzazione delle decisioni.
Questi, in un primo momento, essendo privi di autorità
esercitavano il proprio compito in rappresentanza del vescovo.
Non siamo in grado di conoscere con esattezza né data,
né luogo di nascita dei comuni. Sappiamo, da alcuni
documenti dell'XI secolo, che i primi rappresentanti delle
collettività furono chiamati Boni homines o Consoli. In
principio i comuni si ponevano come delle magistrature provvisorie
nate per risolvere problemi di un dato momento formate proprio da
“uomini buoni” di cui tutti si fidavano. I consoli prestavano
giuramento di fedeltà davanti alla cittadinanza elencando i
propri obblighi che, insieme a consuetudini scritte e leggi
approvate dal comune, formarono le prime forme di Statuti
Cittadini. Durante il loro operato redigevano il “Breve”, una
sorta di elenco-archivio in cui erano riportate tutte le opere
pubbliche intraprese ma non terminate. Tutti i cittadini che
godevano di diritti urbani si riunivano nel “Parlamento” che era
l’organo fondamentale nella vita di un comune. Per facilitarne la
gestione, spesso quest'organo fu ridotto ad una minoranza di
individui, iniziando l’ascesa di quei gruppi che sarebbero
divenuti dirigenti. Tutti i comuni si assomigliarono per la
presenza di una categoria di individui che godeva di maggiori
diritti rispetto agli altri. Per poter partecipare al potere
comune bisognava essere: maggiorenni, maschi, pagare una tassa di
ammissione, possedere una casa. Ne erano invece esclusi le donne,
i poveri, i servi, gli ebrei e i musulmani non convertiti.
In Italia l’ascesa dei comuni fu ostacolata dal centralismo
normanno nell’Italia meridionale, mentre essi raggiunsero un
eccezionale sviluppo a Nord espandendosi dalle città alle
campagne. Questa crescita fu incoraggiata soprattutto dalle
nobiltà locali per la possibilità tangibile di
sganciarsi dal potere e dal controllo imperiale. Nel corso del
XII-XIII secolo tutti i comuni acquisirono un buon livello di
controllo anche sulla campagna a loro circostante attuando quel
processo che è detto formazione del contado (comitatinanza)
e che comprendeva il Districtus (campagne annesse) e il Comitatus
(campagne che già in origine facevano capo al comune).
Alla fase consolare seguì poi una fase detta podestarile:
il podestà era funzionario di mestiere con compiti di
amministrazione del territorio comunale. Essi erano veri e propri
professionisti, con compiti ben definiti e stipendiati dal comune,
la cui preparazione veniva acquisita con lo studio del diritto
nelle nascenti università. Furono soprattutto le grandi
famiglie di nobili a studiare e a specializzarsi per divenire
podestà in modo da acquisire maggiore potere nel quadro del
territorio comunale.
Durante l'età comunale nacquero anche le Corporazioni di
mestiere, associazioni di mercanti e artigiani riunite secondo il
mestiere che praticavano.
La Dieta di Roncaglia e la Pace di Costanza
Questo stato di cose fu contestato apertamente dagli imperatori
germanici. In particolare l'imperatore Federico I, detto il
Barbarossa, nelle due Diete di Roncaglia aveva spogliato i Comuni
di tutte quelle regalie (diritti) che essi avevano usurpato
all'autorità imperiale: imporre tributi, battere moneta,
eleggere magistrati. Nel 1163, in contrapposizione all'imperatore,
i Comuni del nord Italia costituirono la "lega veronese" che nel
1167 si unì con "lega di Lombardia" divenendo la Lega
lombarda. Dopo alterne vicende il Barbarossa venne duramente
sconfitto nella Battaglia di Legnano (1176) dai Comuni italiani e
nel 1183, con la Pace di Costanza, l'imperatore Federico
Barbarossa riconobbe ufficialmente le prerogative che i comuni
avevano già di fatto conquistato precedentemente.
L'imperatore pertanto concedeva alcuni diritti in ambito
amministrativo, politico e giudiziario, regalie comprese;
rinunciava inoltre alla nomina dei podestà, riconoscendo i
consoli nominati dai cittadini, i quali, tuttavia, dovevano fare
giuramento di fedeltà all'imperatore e ricevere da lui
l'investitura. I Comuni, inoltre, si impegnavano in cambio a
pagare un indennizzo una tantum di 15.000 lire e un tributo annuo
di 2.000, a corrispondere all'imperatore il fodro (ossia il
foraggio per i cavalli, o un'imposta sostitutiva) quando questi
fosse sceso in Italia, e la prerogativa imperiale di giudicare in
appello questioni di una certa rilevanza.
Sostanzialmente la Pace di Costanza sancì la formale
ubbidienza dei Comuni all'imperatore, e il sostanziale
riconoscimento delle autonomie comunali da parte del sovrano.
Crisi del comune
L'istituzione comunale entrò in crisi tra la fine del XII e
l'inizio del XIV secolo. All'origine di questa crisi si collocano
i contrasti sociali che finirono col logorare progressivamente la
tenuta delle antiche magistrature comunali.
Ma la vera causa del fallimento del comune furono i contrasti
sociali al suo interno: le grandi famiglie aristocratiche che si
disputavano il primato in un clima molto vicino a quello delle
lotte feudali; la nobiltà inurbata che aveva dovuto
sostenere le rivendicazioni della borghesia delle Arti, sempre
più potente e intenzionata ad assumere il controllo della
vita politica; infine i ceti meno abbienti che manifestavano la
propria inquietudine: esclusi dai grandi profitti economici e
tenuti ai margini di quella che restava sostanzialmente una
Repubblica oligarchica, spingevano per migliorare la propria
condizione. Il tentativo di affermare i propri diritti
sottraendoli alle famiglie aristocratiche portò a varare in
questo periodo, differenti per ogni Comune, le legislazioni
antimagnatizie che sostanzialmente impedivano l'esercizio nei
pubblici uffici per coloro che fossero dichiarati "magnate".
Ciò aveva comportato l'allontanamento dalla vita pubblica
di tutte le vecchie famiglie aristocratiche.
La legislazione antimagnatizia, a causa della difficoltà ad
individuare gli effettivi "magnati", si rivelò inadeguata,
infatti ancora oggi la storiografia attuale non è riuscita
a comprendere completamente se coloro che furono esclusi dalla
politica lo fossero in virtù di una lotta di potere tra
alcune famiglie per la conquista del Comune o se effettivamente,
in parte, si trattasse di una presa di coscienza dei ceti fino a
quel momento esclusi come il "popolo" e i "mercanti" ovvero la
nuova "borghesia".
Un po' alla volta gli stessi magnati riuscirono ad accordarsi con
i ricchi popolani, chiamati "popolo grasso", i ricchi
commercianti, per fare spesso fronte comune e assumendo di solito
incarichi direttivi. Al di fuori restavano il cosiddetto "popolo
magro", sostanzialmente gli artigiani e il "popolo minuto" ovvero
i lavoratori dipendenti.
I podestà e i capitani del popolo
La figura politica del podestà si sostituì o si
affiancò a quella del consiglio dei consoli che governava i
Comuni medievali a partire dalla fine del XII secolo. Tale carica,
contrariamente a quella di console, doveva essere ricoperta da una
persona non appartenente alla città che andava a governare
(per questo era detto anche podestà forestiero), in modo da
evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e
garantendo quindi l'imparzialità nell'applicazione delle
leggi. Il podestà veniva eletto dalla maggiore assemblea
del comune (Consiglio generale) e durava in carica, di solito, sei
mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti
comunali, dai quali era vincolato, e alla fine del mandato il suo
operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di
sindaci.
Nella pratica il podestà esercitava i poteri esecutivo, di
polizia e giudiziario divenendo di fatto il più importante
strumento di applicazione e controllo delle leggi, anche
amministrative. Con il passare degli anni la carica di
podestà divenne un vero e proprio mestiere esercitato da
professionisti che cambiavano spesso sede di lavoro e ricevevano
un regolare stipendio. Questo continuo scambio di persone e di
esperienze, con il passare del tempo, contribuì a fare in
modo che le leggi e la loro applicazione tendessero a diventare
omogenee in città anche distanti tra loro, ma nelle quali
avevano governato gli stessi podestà. Non aveva, invece,
poteri legislativi né il comando delle milizie comunali che
veniva affidato al capitano del popolo.
La ricerca di maggiore stabilità aveva infatti portato la
borghesia cittadina ad affiancare al podestà, sostenuto dal
ceto più abbiente, una nuova figura, quella del capitano
del popolo, un magistrato, spesso forestiero, che restava in
carica per sei mesi o un anno, ma che finì comunque per
rappresentare gli interessi delle Arti maggiori.
Verso la Signoria cittadina
Ulteriore motivo di crisi dell'antico assetto comunale fu proprio
l'ambizione del patriziato cittadino: la volontà di
espandersi nel contado e ai danni dei Comuni limitrofi dando
così vita ai grandi stati territoriali. Molto spesso, ci
furono casi di influenti "personalità", che assunte cariche
importanti in ambito comunale come la podestarile, riuscirono a
mantenerle per lungo tempo quando non a vita (talvolta rendendole
ereditarie) portando alla scomparsa dell'istituzione comunale e
lasciando il posto alla "signoria cittadina".