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    di Gennaro Incarnato
    
    Nato a Napoli il 7 giugno 1908 da Stefano, avvocato di origine
    pugliese inurbatosi di recente e artefice della sua fortuna, ed
    Emilia Faraone, figlia di commercianti di, relativa agiatezza,
    cominciò a studiare presso il consolato germanico, poi al
    liceoginnasio "Vittorio Emanuele II", per iscriversi infine alla
    Scuola militare della Nunziatella (1923). L'accurata istruzione
    integrò la severa educazione familiare tesa a salvaguardare
    una dignità ed un decoro con fatica raggiunti e difficili da
    mantenere in una città come Napoli in permanente e gravissima
    crisi economica.
    
    Alla Nunziatella si tendeva a sviluppare "l'attitudine al comando"
    ponendo l'accento sull'educazione fisica intesa come coercizione e
    disciplina. Le aspirazioni del C. ne furono frustrate accentuandone
    le tendenze al ribellismo, tipiche di tanti meridionali e
    l'indirizzo precoce agli studi storico-filosofici nella ricerca di
    un'identità ristretta al piano culturale, dati gli ostacoli
    frapposti dall'ambiente circostante ad altre vie di sviluppo
    più organiche e meno unilaterali. Le stesse riserve verso
    l'autoritarismo ed il culto delle gerarchie che avevano provocato la
    rottura con l'ambiente della Nunziatella, da cui uscirà nel
    1926, lo allontanarono da un'adesione piena al fascismo.
    
    Introdotto in casa Croce da Floriano Del Secolo, ne accettò
    pienamente le idee, attirandosi con la sua prima pubblicazione Il
    dramma religioso dello spirito moderno e la Rinascenza, Napoli 1929
    (di cui già nel 1923 aveva mandato un'saggio al Croce), in
    cui prese posizione contro il Gentile, gli attacchi violenti dei
    coetanei fascisti. Lo difese sin dal '29 C. Di Marzio che gli
    aprì le porte del Meridiano di Roma nel '37 e gli
    evitò guai peggiori. Erano gli anni del "consenso" al regime;
    la pregiudiziale antifascista e la frequenza di casa Croce non
    impedirono al C., come ad altri, la collaborazione a giornali o
    periodici del regime, ormai tanto forte da poter controllare e
    tollerare la "fronda" liberale. L'assidua presenza in casa Croce lo
    gratificava e sembrava soddisfarlo pienamente.
    
    I numerosi studi sul De Sanctis, culminati nella biografia, la
    continuazione dei lavori sulla Rinascenza e la Riforma sfociati nel
    lavoro su Valdés e infine le ricerche sulla vita culturale di
    Napoli nell'800 rivelano tutti l'impronta del Croce. Tuttavia si
    può cogliere una costante del pensiero del C., la tendenza
    alla mediazione, non tanto espressione di debole sincretismo, quanto
    costante rifiuto di ogni estremismo, che gli faceva preferire il
    sereno misticismo di Valdés ai rigori di Calvino ed il
    tentativo di mediazione della cultura umanistica col vecchio mondo
    della Chiesa e della cultura medioevale alla rottura drammatica
    della Riforma. 16 un equilibrio raggiunto a fatica, non scevro di
    contraddizioni, presenti soprattutto negli studi su Napoli. La
    ricerca appassionata e puntuale sulla vita del primo Ottocento
    napoletano (Napoli romantica, Milano 1942) non poteva non approdare
    alla constatazione del suo carattere provinciale. Le masse vi
    appaiono come comparse di secondo piano, quasi bozzetti a
    completamento di un disegno il cui protagonista è lo sviluppo
    culturale. Scarsi i riferimenti al ciclo economico europeo, non
    propriamente favorevole a Napoli, il malessere napoletano
    interpretato come un'incapacità tutta locale di liberarsi dai
    languori e dalle malinconie romantiche di origine più
    spirituale che socioeconomica. La mediazione, eterno mito del C.,
    riemerge con l'esortazione all'unione dei giusti per la salvezza e
    lo sviluppo. Tale gli è già apparso il messaggio
    dell'ultimo De Sanctis, di cui, a conclusione di numerosi saggi e la
    pubblicazione (Milano 1943) del famoso Viaggioelettorale, traccia
    una biogr. (2 ed., ibid. 1944). Nel 1930, per venire incontro ad
    aspirazioni familiari, il C. si laureò in giurisprudenza e
    nel 1932, seguendo i suoi reali interessi, in lettere e filosofia.
    Le fortune familiari registrano nel 1933 un tracollo che lo spinse a
    concorrere ad un posto di ordinatore nelle biblioteche, un ruolo
    subalterno per il quale non veniva ancora richiesta l'iscrizione al
    partito fascista. Nel 1936 fu trasferito alla Nazionale di Firenze,
    sempre mantenendo ed ampliando i contatti con l'opposizione liberale
    al fascismo; corrispondeva con il conte Sforza ed aveva rapporti di
    amicizia e scambi epistolari con Vinciguerra, Rosselli, Casati,
    Ramat, Russo ed altri, anche se spesso si aveva la sensazione che
    fosse frequentato più perché allievo ed intimo di casa
    Croce che per i suoi meriti intrinseci. Tra il 1930 ed il 1940
    l'adesione al sistema crociano era del resto indiscussa. Malgrado
    una tendenza all'accentuazione dei valori individuali emergente
    dagli studi sul Berdjaev (di cui lo colpirà durevolmente la
    critica al marxismo), sul Valdès e dal taglio stesso degli
    studi sul De Sanctis, l'emancipazione non era così
    consapevole come tenterà ad affermare in seguito.
    
    Nel settembre 1940 l'intercettazione di una lettera da parte della
    polizia, che ne interpretò malamente il contenuto,
    provocò il suo internamento nel campo di concentramento di
    Colfiorito di Foligno, i cui rigori furono mitigati dal confino a
    Montemurro Lucano. Qui maturò la sua crisi politica e la
    rottura col Croce. La convivenza con oppositori socialisti,
    anarchici e comunisti aveva su di lui un effetto contraddittorio. Il
    contatto con uomini che, non solo si opponevano al fascismo sino
    alle ultime conseguenze, ma che non disdegnavano nei loro programmi
    di far uso degli stessi mezzi coercitivi del fascismo, sia pure per
    fini ad esso antitetici, lo indusse alla revisione e all'abbandono,
    dell'antifascismo.
    
    La compilazione di un volume celebrativo del Croce, una laboriosa
    ricerca degli studi sul filosofo dallo stesso prima affidatagli e
    poi toltagli, sancì la rottura definitiva con questo, anche
    se un compromesso rese possibile la pubblicazione L'opera
    filosofica, storica e letteraria di B. Croce, Bari 1942), dopo
    strascichi giudiziari.
    
    Risolto il dissidio col fascismo, tornò nelle biblioteche,
    stavolta alla Braidense di Milano; collaborò nel 1941 alla
    rivista Popoli dell'Istituto per gli studi di politica
    internazionale, diretta da F. Chabod. Nel 1942 conseguì la
    libera docenza in storia della filosofia; fu professore di ruolo di
    storia e filosofia nei licei, e nell'aprile 1943 ottenne, sia pure
    non a pieni voti, un giudizio di maturità in un concorso, poi
    annullato, a professore di storia della filosofia,
    nell'università di Napoli. Nel 1949 conseguì la libera
    docenza in storia moderna.
    
    L'armistizio lo colse a Roma in contatto col movimento "L'unione
    nazionale" di P. Martini, antifascista di tendenze moderate e
    conciliatrici; il movimento venne poi stroncato in seguito
    all'arresto dello stesso Martini, il quale finì trucidato
    alle Fosse Ardeatine. Il C. ritornò a Milano con un giudizio
    negativo sull'antifascismo del quale coglieva solo gli atteggiamenti
    scomposti di una fazione politica che per spirito di parte sembra
    gioire dalla disfatta. A Milano stampò il suo B. Croce
    (Milano 1944). Il momento ed il luogo della pubblicazione, cui venne
    data ampia risonanza con l'anticipata apparizione della polemica
    prefazione del C. sulle colonne del Corriere della sera, nella
    Milano della ormai condannata Repubblica di Salò, gli
    offrirono la soddisfazione di una momentanea popolarità.
    
    Mussolini mostrò d'apprezzarne l'opera e, con la mediazione
    del Biggini, ministro della Cultura, s'incontrò col C.,
    libero docente all'università di Milano, proprio in
    virtù dei suoi precedenti di antifascista. In una lettera al
    Biggini del 21 ottobre 1944 il C. scriveva: "Il Duce ha scelto il
    momento buono per parlare il linguaggio della conciliazione
    sconfessando così quello della minaccia e dell'intimidazione
    usate da molti gerarchi e gerarchetti. Gli antifascisti hanno dubbi
    perché temono di avere a che fare con un movimento di
    copertura a sinistra del fascismo. Il Duce si deve liberare del
    passato e puntare sulla vecchia fama di socialista. La gente odia la
    Muti ed ha fatto buona impressione l'eliminaziene della banda Koch,
    una polizia costituita da masnadieri" (Archivio di Stato di Napoli,
    Carte Cione, 73). Sembra che Mussolini mirasse a servirsi del C. per
    attenuare e confondere i rancori degli antifascisti.
    
    Il C., sfruttando le tendenze "liberali" favorite da Mussolini dopo
    il discorso alla brigata Resega, fondò, col suo consenso, il
    Raggruppamento nazionale repubblicano socialista, col motto
    "Repubblica e socializzazione" ed un organo di stampa dalla testata
    mazziniana L'Italiadel popolo. Al movimento non erano estranee
    connivenze e strumentalizzazioúi come il rilascio di alcuni
    dirigenti democristiani, operato a fini puramente propagandistici.
    Si attirò così l'ostilità violenta dell'ala
    estremista del fascismo ormai troppo compromessa. Il 31 marzo 1945
    Cesare Spinelli, direttore dell'Ente italiano audizioni radiofoniche
    gli negò la pubblicità per il giornale, considerando
    il suo "un tentativo di conciliazione sul piano dell'antifascismo".
    Una polemica con l'Associazione dei mutilati provocò
    l'assalto all'Italiadel popolo e la sua chiusura dopo appena dodici
    fascicoli, che riprese, ancora per un numero, le pubblicazioni il 24
    aprile, un giorno prima della Liberazione.
    
    Il C. dovette sottostare ai rigori dell'epurazione, rivelatisi per
    sua stessa ammissione meno duri del previsto. Venne reintegrato nel
    1946 al posto di professore e nel 1948 riammesso nel servizio
    universitario a Napoli. I numerosi attacchi ne stimolarono il
    temperamento di polemista che si esercitava con virulenza a vari
    livelli. I sarcasmi sul Merlo giallo di A. Giannini, e nei giornali
    locali ("6 e 22" e il Monsignor Perelli)offrono un quadro comico ed
    esasperato di troppi disinvolti opportunismi. Sulle colonne del
    Brancaleone e del Meridiano v'è un'appassionata difesa della
    sua azione al tempo della Repubblica sociale che lo spingeva a
    scriverne la storia (Storia della Repubblica sociale italiana,
    Caserta 1948; 2 ed. 1951).
    
    Nel 1946 il C. aveva pubblicato a Roma La filosofia della
    personalità ove la polemica anticrociana si stemperava in una
    graduale adesione a valori tradizionali e nel recupero del
    cattolicesimo cui approderà, salutato con soddisfazione, ma
    non con convinzione, dagli organi ecclesiastici. Del resto non
    rinunciava alle premesse storiciste e restava a mezza via tra
    l'adesione mistica al cristianesimo ed un'accettazione piena del
    neotomismo. I numerosi lavori filosofici sono le tappe di questo
    processo (Dall'idealismo al cristianesimo, Napoli 1960, Fede e
    ragione nella storia, Bologna 1963, ristampa dell'opera sul
    Valdés, Napoli 1963, e Leibniz, ibid. 1964).
    
    Collaborò alla rivista di C. Ottaviano Sophia, a Rassegna ea
    Palaestra, tenne corsi di filosofia all'università di Napoli;
    abbandonato l'insegnamento nei licei, prestò servizio presso
    la Direzione generale dell'istruzione media non statale.
    Aderì alle illusioni provocate in tanti dalla protesta
    dell'"Uomo qualunque" ma ne uscì per contrasti con G.
    Giannini. Entrò nel Movimento sociale italiano con una
    posizione personale espressa con la sua rivista Nazionalismo
    popolare fondata nel'1951; precedentemente aveva collaborato agli
    organi ufficiali del partito con articoli su Rivolta ideale epoi sul
    Secolo d'Italia.
    
    Rimproverava al gruppo dirigente l'esasperazione del nazionalismo e
    della gerarchia e l'abbandono delle tendenze socializzatrici
    dell'ultimo Mussolini. Sospetto ai superstiti uommi di Salò,
    malgrado i suoi sforzi, non entrò mai nella direzione
    nazionale dei partito.
    
    Sull'onda dello spostamento a destra del 1952, espressione
    soprattutto dei disagio del Sud, venne eletto prima consigliere e
    poi assessore allo Stato civile della giunta di Napoli capeggiata da
    A. Lauro. Nel 1953 si presentò candidato al Senato, senza
    essere eletto. Ormai deluso dei Movimento sociale aderì alla
    Democrazia cristiana, ove però non svolse una milizia attiva,
    pur collaborando nel 1960 a Europa sociale di S. Riccio.
    
    Nel 1953 aveva iniziato la collaborazione al Roma (Napoli) di Lauro,
    cui si, aggiunge quella più sporadica al Tempo (Roma)di
    Angiolillo e alla Gazzetta del Mezzogiorno (Bari). Si accese di
    speranza per il contenuto sociale del messaggio di Giovanni XXIII e
    per le speranze suscitate dal mito di Chruščëv, di cui guardava
    con simpatia l'esperimento (Aldi là della cortina, Napoli
    1962).
    
    Intanto portò a termine la Bibliografia crociana (Roma-Milano
    1956) e riprese gli studi su F. De Sanctis e i suoi tempi (Napoli
    1960)per cui ottenne il premio Napoli nel 1961.Ancora una
    miscellanea di saggi sul concetto di estetica (L'età di
    Dedalo, ibid. 1960)affianca la rievocazione di personaggi e momenti
    della vita meridionale del Paradiso dei diavoli, Milano 1949, Il
    suoconcetto finale dell'esistenza si può cogliere in due
    volumi di impressioni di viaggi, Quest'Europa (Napoli [1958])e
    Fascino del mondo arabo (Bologna 1962).
    
    Il C. morì a Napoli il 12 giugno 1965.