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di Alberto Monticone
Nacque a Rionero in Vulture (Potenza) il 24 maggio 1888 daAntonio e
da Maria Donata Vucci, in una famiglia borghese. Compiuti gli studi
liceali nel seminario di Melfi, ove, ebbe modo diAncontrare laici ed
ecclesiastici di rilievo, si laureò in giurisprudenza a
Napoli. I suoi interessi culturali si indirizzavano sulle strutture
e istituzioni del Mezzogiorno, nella scia della tradizione giuridica
napoletana, ma sotto l'influsso della polemica meridionalistica dei
conterranei G. Fortunato e F. S. Nitti. La ricerca storica fu
pertanto uno sbocco naturale; il C. si trasferì a Firenze per
frequentare l'Istituto di studi superiori e di perfezionamento, alla
scuola di G. Salvemini, sotto la cui guida preparò e discusse
nel 1913 la tesi di laurea in lettere, pubblicata nel 1916 a Milano
col titolo L'origine del programma per "l'opinione nazionale
italiana" del 1847-1848 (2 ediz., Milano 1965). Il soggiorno
fiorentino e l'incontro col Salvemini furono determinanti per la sua
formazione storica e per il definitivo orientamento verso i problemi
sociali ed economici dell'Italia moderna, meridionale in
particolare, ma incisero anche sulle scelte politiche del C., che
iniziò allora, sia pure episodicamente, a collaborare a
L'Unità del Salvemini.
L'intervento dell'Italia nella guerra e la chiamata alle armi, se
provocarono una interruzione nell'appena avviata attività C.,
lo misero però in diretto contatto con i problemi nazionali,
visti con gli occhi di un ufficiale meridionale attento alle
reazioni della sua gente al fronte. Subito dopo Caporetto riprendeva
a scrivere sul periodico del Salvemini, condividendone
l'impostazione democratico-interventista pur con una maggiore
attenzione alle forme dell'assistenza ai cont adini soldati e poi ai
reduci. Rispetto al progetto salveminiano di riscatto politico e
culturale delle plebi meridionali, si andava profilando nel C. una
predilezione per il problema del latifondo, connesso alle
responsabilità dello Stato e collocato in una cornice
nazionale e popolare. Al latifondo dedicò diversi articoli
nel corso del 1919 e del 1920.
Alle questioni inerenti alla proprietà e alla utilizzazione
delle terre era rivolta anche l'attività di ricerca dei C.,
che nel 1921 pubblicava a Milano Il problema della terra, con
prefazione di G. Prato (2 ediz., Padova 1963). Si inseriva
così in quella impegnata produzione scientifica che, secondo
i canoni della scuola economico-giuridica, affrontava i temi
più vivi suggeriti dalle trasformazioni della società
nel dopoguerra.
La terra, aspirazione secolare dei "cafoni" e dei "galantuomini" del
Mezzogiorno, fu la grande protagonista delle più
significative opere del C.: la terra come necessità per
l'uomo, e come strumento di riscatto dell'uomo. Il problema della
terra non era affrontato con il fatalistico pessimismo di certo
meridionalismo coevo, né con angusta contrapposizione tra
agricoltura e industria: nelle sue ricerche diveniva fattore
essenziale per un profilo reale della società nel suo
complesso, e mezzo per avvicinarsi alle realtà sociali anche
le più distanti dal mondo contadino. La valutazione
storico-politica era raggiunta attraverso l'analisi di aspetti sino
ad allora poco considerati: regime delle acque, vie di
comunicazione, malattie sociali, funzione degli investimenti. Con
operazione simile a quella compiuta dal Salvemini nel rapporto fra
istruzione ed emancipazione politica e sociale dei contadini, il C.
accostava il tema della distribuzione della proprietà a
quello della conduzione e dei mezzi tecnici, ambientali e sociali,
per un effettivo riformismo. La prospettiva "umanistica" della terra
portò il C. a rinnovare gli studi di storia dell'agricoltura
e a collocarsi al centro dell'indagine sulle origini sociali
dell'Italia contemporanea.
Conseguita la libera docenza in storia moderna, il C. insegnò
dapprima nell'università di Messina (1923-25), Poi (1925-30)
in quella di Cagliari. Se gli anni fra il 1922 e il 1925 furono
assai fecondi per la sua maturazione e per l'estensione dei suoi
interessi alla storia economica della Firenze tardomedievale ed alla
Lombardia ottocentesca, egli non rimase però estraneo alle
vicende dell'avvento al potere del fascismo, giudicato un fatto
negativo per la soluzione dei problemi del Mezzogiorno. Attratto
dalla proposta politica di G. Amendola, il C. prese parte alla
fondazione della Unione meridionale, e poi alla costituzione della
Unione nazionale.
Quando Amendola infatti, in seguito ai buoni risultati elettorali
delle forze da lui animate nel Sud, progettò una nuova
organizzazione per raccogliere i democratici miranti a una effettiva
rinascita meridionale, il C. nel luglio 1924 si incaricò,
insieme con l'amico G. De Ruggiero, di fondare in Basilicata una
sezione dell'Unione meridionale, aderendo poi durante l'estate alle
reazioni ed alle iniziative dei gruppo in seguito al delitto
Matteotti. Firmò il manifesto-programma dell'Unione
nazionale, distribuito a Roma l'8 nov. 1924 nella grande adunanza
che diede l'avvio alla nuova formazione politica, e collaborò
subito alla rivista Il Saggiatore, quindicinale fondato a Napoli da
alcuni intellettuali antifascisti e diretto da G. Marone. Il
manifesto della rivista, pubblicato nel primo numero (10-25 dic.
1924), recava la firma del C. insieme con quelle di V. Arangio Ruiz,
C. Cassola, G. De Ruggiero, L. De Simone, A. Fraccacreta, M. Grieco,
G. Ingrosso, S. Macchiaroli e G. Marone, ed era una recisa
professione di fede antifascista e un richiamo al Risorgimento come
ispirazione per la riconquista della libertà. Sottoscrisse
anche, con altri intellettuali fra cui Salvemini e De Ruggiero, la
lettera di adesione alla denuncia di G. Donati contro E. De Bono.
Ancora nel giugno 1925 il C. pubblicava nel Saggiatore l'articolo
Scrittori di opposizione: Salvemini, ed era poi tra i firmatari del
Manifesto degli intellettuali antifascisti; ma la repressione delle
opposizioni e il silenzio imposto dal regime spinsero il C. a
ritirarsi dal dibattito politico ed a limitarsi alla ricerca e
all'insegnamento.
Durante l'insegnamento a Cagliari il C. raccolse e stampò una
ricca bibliografia sarda, pubblicò diversi i contributi di
esplorazione archivistica sulle fonti economicosociali, e propose a
P. Fedele, ministro della Pubblica Istruzione, un grandioso piano di
ricerche negli archivi spagnoli sulle fonti relative all'Italia per
i secoli XII-XVII, anticipando quello che sarebbe stato assai
più tardi un settore di attività dell'Istituto storico
italiano. L'opera più notevole di quel periodo fu comunque la
Storia delle bonifiche del Regno di Napoli (Bari 1928; 2 ediz., in
Aspetti economici e sociali dell'Italia preunitaria. Saggi, Roma
1973): di grande rilievo metodologico, affrontava gli aspetti
tecnici delle riforme del sistema idrico e colturale meridionale in
una prospettiva "umanistica" di stimolanti suggestioni per la storia
del quotidiano e dell'ambiente.
Se la tematica meridionalistica nel C. di quegli anni aveva
provocato una sua lenta ma effettiva conciliazione col fascismo -
forse per influsso di taluni proclamati e promessi interventi nel
Sud -, questo avvicinamento proseguì poi anche sulla base dei
suoi nuovi interessi alla storia coloniale e alla presenza italiana
nel mondo, che muovevano ancora una volta dai tradizionali
orientamenti di molta parte della cultura democratica meridionale.
Questo del C. fu del resto, tra la fine del '20 e la prima
metà del '30, episodio non isolato: l'accostamento al regime,
pur con motivazioni diverse, fu più in generale una vicenda
della organizzazione del consenso degli intellettuali da parte del
fascismo. Intanto il trasferimento, nel 1930, alla cattedra di
storia moderna nell'università di Genova, favoriva i suoi
studi della politica internazionale degli Stati pretinitari, accanto
all'approfondimento dello sviluppo del Mezzogiorno.
A numerosi lavori sul riformismo settecentesco si accompagnò
una intensa collaborazione alla Enciclopedia italiana con la
redazione di molte voci su città, personaggi e problemi del
Meridione: per es. "camorra", "latifondo", "mafia", "Mezzogiorno
(questione del)", "Basilicata", "Puglia" e quasi tutte le
città della regione, "Sardegna", ecc. Mentre dedicava vari
corsi universitari alle principali colonizzazioni europee, il C.
studiò la vicenda italiana nell'Africa orientale, le cui
origini venivano connesse con il dibattito sull'emigrazione e con la
Compagnia marittima Rubattino, intervenendo in materia anche su
giornali (Il Lavoro di Genova nel '35, Il Telegrafo di Livorno nel
'36, La Gazzetta del Mezzogiorno nel '37).
Nel 1938 usciva a Milano il suo volume sulla Storia coloniale
dell'Italia contemporanea. Da Assab all'Impero, nella collezione
storica Villari della casa Hoepli (2 ediz., Milano 1940). Era un
grosso lavoro, informato, dettagliato nelle indicazioni
bibliografiche sui vari periodi e problemi; il C. estendeva ed
applicava i canoni della sua indagine sulle terre meridionali
all'Africa, e l'interpretazione patriottica della guerra coloniale
era ugualmente estensione dell'ideologia dell'interventismo
democratico e del populismo meridionalista, più che opera di
propaganda fascista. Dopo la caduta del regime il C.
ritornerà con ideale continuità sul tema (La politica
coloniale dell'Italia, in Questioni di storia del Risorgimento e
dell'Unità d'Italia, Milano 1951, pp. 645-706).
Più chiaramente propagandistica fu nel 1939 e sino al 1942 la
sua collaborazione al Telegrafo, diretto dallo stesso G. Ansaldo che
sino al '35 aveva diretto Il Lavoro di Genova; pur atteggiati a
contributi storici, gli, articoli del C. svolsero i temi cari al
regime fascista nella polemica antifrancese, con riferimento al
Mediterraneo e antibritannica, in tema coloniale. Gli era intanto
sorto un crescente interesse al problema storico dell'Europa nella
sua ideale unità. Proprio sull'Europa si svolse la
collaborazione del C. nell'estate 1942 alla rivista di G. Bottai
Primato, con due articoli (1° luglio e 1° agosto) che, pur
risentendo delle suggestioni di riordinamento europeo proclamato dal
nazismo e di una netta espunzione della Russia dai confini ideali
del continente, si inquadravano nel polivalente richiamo alla storia
e all'idea europea espresso allora dalla rivista. Ad essa il C.
diede ancora altri brevi contributi, in genere recensioni, nei primi
mesi del '41, ma anche un articolo nell'ultimo fascicolo (dell'1-15
ag. 1943), sul lavoro italiano nel '500 e nel 1600.
Sulla rivista, e altrove, il C. era venuto rivalutando
l'originalità della tradizione storiografica del suo primo
impegno meridionalistico, in fondo mai abbandonata, accrescendola
ora di elementi riferibili al popolarismo cristiano e alla
più generale attesa degli intellettuali per una rifondazione
di civiltà. La caduta del fascismo, liberandolo da remore
esterne e dando spazioa queste convinzioni, favorì un suo
diretto rientro nella politica. Nell'inverno '43-'44 il C. visse
appartatissimo a Roma, ospitando un suo antico amico e collega, Gino
Luzzatto; dopo la liberazione della città prese a collaborare
a diverse testate, prima a Risorgimento liberale e a L'Idea
liberale, poi dal 1946 al 1948 con frequenza al Globo, il quotidiano
economico-finanziario fondato da L. Barzini junior.
Proprio dalle pagine del Globo il C. si fece ardente propugnatore di
un nuovo impegno dello Stato nel Mezzogiorno, imperniato su un
afflusso di capitali per l'industrializzazione ma anche per la
riforma agraria, articolata sulla piccola proprietà,
l'appoderamento dell'incolto, la fornitura di finanziamenti ai
contadini. Ma l'ambiente liberaldemocratico prefascista non gli
parve il terreno adatto a dar vita a una rinascita del Sud, che il
C. riteneva ora possibile a opera della Democrazia cristiana di De
Gasperi, nella quale scorgeva connotati popolari e dalla quale
sperava un energico e capillare intervento.
Candidato nelle liste della Democrazia cristiana in Basilicata, il
C. venne eletto senatore il 18 apr. 1948 per la prima legislatura e
confermato il 17 giugno 1953 per la seconda, durante la quale fu
presidente della commissione permanente Istruzione Pubblica e Belle
Arti e membro della giunta consultiva per il Mezzogiorno.
Come parlamentare si impegnò essenzialmente in due settori:
la politica per il Mezzogiorno e i problemi della Pubblica
Istruzione. Particolare rilievo ebbero diversi suoi interventi in
materia di riforma dell'insegnamento universitario e medio,
nonché per la tutela, catalogazione e conservazione dei beni
culturali, specie archivi e biblioteche. In politica internazionale
lazione del C. si collegò con i suoi interessi di studio,
attraverso la promozione del movimento per l'unità europea e
della intensificazione dei rapporti con i paesi africani ed arabi
(presidente dell'Istituto per l'Oriente, il C. fondò e
diresse con E. Insabato dal 1953 la rivista italo-araba Levante).
Nel 1951 passò alla cattedra di storia moderna nella
facoltà di scienze politiche dell'università di Roma,
dove aveva già tenuto corsi dal 1944, rimanendovi sino al
collocamento fuori ruolo nel 1958; dal 1952 fu anche direttore
dell'istituto storico della facoltà. La presenza del C.,
insieme con quella di studiosi quali R. De Mattei, M. Toscano e poi
G. Perticone, costituì un fattore di ritorno al rigore degli
studi, e a un approccio al politico attraverso la mediazione di una
seria ricerca scientifica.
Il C. svolse un importante ruolo anche nella promozione e
organizzazione degli studi storici nazionali. Nominato nel dicembre
1951 presidente dell'Istituto storico italiano per l'età
moderna e contemporanea, succedendo alla gestione commissariale di
G. De Sanctis, il C. tenne la carica vitalizia fino al dicembre
1973, quando se ne dimise. Sorto nel 1934, l'Istituto aveva
intrapreso un'importante attività di edizione di fonti e la
preparazione scientifica di studiosi comandati presso l'annessa
Scuola dall'insegnamento secondario e dagli Archivi di Stato. Col
C., la collana "Fonti per la storia d'Italia" saliva da quindici a
centoventiquattro volumi, tra cui i carteggi di F. Guicciardini e di
B. Ricasoli, i documenti delle relazioni diplomatiche fra gli Stati
italiani preunitari e le grandi potenze europee (1815-1861), e le
nunziature italiane. Egli stesso, come curatore, pubblicò
(Roma 1951-68) le Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi
in Spagna (1494-1797), in sette volumi. Vennero iniziate le nuove
collane "Studi di storia moderna e contemporanea" e "Italia ed
Europa". La Scuola accrebbe i contatti col mondo universitario
attraverso una scelta di insigni docenti, e nel 1971 ai ricercatori
comandati affiancò i borsisti. La ripresa nel 1953 della
pubblicazione dell'Annuario dell'Istituto fa ulteriore contatto con
la ricerca in atto in Italia.
Negli ultimi anni il C., senza cessare gli studi, aveva accresciuto
la sua riflessione sul ricordo di illustri maestri meridionalisti
(Fortunato, Nitti, Salvemini) o di protagonisti meridionali con i
quali aveva collaborato (per es. don G. Minozzi). Morì a Roma
il 18 luglio 1975.