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1. La C. come società religiosa
La differenziazione tra società civile (elemento umano e
naturale) e società religiosa (elemento divino e
soprannaturale) e la difficoltà di intenderli entrambi come
essenziali si sono espresse in modo diverso nelle concezioni della
C.: alcune hanno sottolineato il primo elemento, facendo della C. la
società dei ‘santi’ o dei ‘predestinati’, società
prevalentemente o anche esclusivamente mistica e invisibile; altre
invece, partendo da considerazioni diverse ravvisano nella C. una
società meramente umana, giuridica e gerarchica, in continua
evoluzione.
È ovvio che le diverse dottrine circa la C., la sua natura e
costituzione, sono strettamente legate all’insieme delle dottrine
teologiche; anche da ciò dipendono l’importanza che nel
complesso delle discipline teologiche assume l’ecclesiologia e
l’utilità che lo studio delle dottrine relative alla C.
professate dai diversi gruppi cristiani presenta per una
caratterizzazione dei gruppi stessi. Inoltre per la natura stessa
del cristianesimo è da tenere presente che ciascuna
confessione cristiana si presenta come vera (se non sempre come
l’unica) C., erede e continuatrice autentica dell’opera di
Gesù Cristo e degli apostoli; e che, d’altra parte, anche per
quanto riguarda l’organizzazione, si sono sviluppati diversi
sistemi, che in certo modo riflettono i tipi fondamentali
dell’organizzazione politica: monarchia, aristocrazia, democrazia.
Ai due ultimi corrispondono l’episcopalismo, il presbiterianismo e
il congregazionalismo.
Secondo la dottrina cattolica l’Ecclesia Christi, la comunità
dei chiamati da Dio, è una commistione tra una
comunità esterna di soggetti che professano la stessa fede,
partecipano agli stessi sacramenti e tendono alla realizzazione dei
medesimi fini spirituali sotto la potestà del romano
pontefice, e una realtà interiore (corpo mistico di Cristo),
che ha al suo centro un elemento invisibile e divino. La C.
cattolica è una società giuridicamente perfetta (in
quanto non riceve da nessuno il suo potere) e autosufficiente.
È una società ecclesiale, il cui imperativo primario
è la salvezza delle anime. Le sue finalità sono
essenzialmente spirituali, ovvero custodire e insegnare le
realtà rivelate, condurre gli uomini a seguire le leggi di
Dio, perfezionare e rendere più efficienti le strutture della
C., gerarchicamente intese.
La C. non ha fini politici, economici o sociali, propri della
comunità civile e politica, da cui la C. è
indipendente e autonoma. Giuridicamente la C. è una struttura
originaria non derivata e non territoriale, poiché non legata
al dato territoriale particolare o circoscritta, ma è una
realtà universale. È altresì autosufficiente
sul piano economico, ed è dotata di soggettività
direttamente derivata dal diritto divino, senza necessità di
un riconoscimento o di un atto dell’autorità civile.
Connaturato allo stesso concetto di Ecclesia Christi è la
subordinazione dei fedeli ai legittimi pastori (cosiddetta sacra
gerarchia), titolari delle funzioni gerarchiche di insegnare,
santificare e governare il popolo di Dio, funzioni derivate
direttamente dall’attività di Cristo e in base alle quali si
parla di costituzione gerarchica della Chiesa. Quest’ultima si deve
tuttavia armonizzare con il principio di uguaglianza dei fedeli, per
cui tutti i fedeli (dal papa al neobattezzato) sono uguali di fronte
alla vocazione, alla santità, alla dignità dei
cristiani e all’opera di comune edificazione della C., per cui tutti
hanno uguali diritti e doveri, salvo che non rivestano particolari
qualifiche che importino uno status diverso.
2. C. e Stato
2.1 SISTEMI TEORICI E DOTTRINE
Il regolamento dei rapporti fra la società religiosa e
quella civile riveste una speciale importanza politica nella vita di
tutti i popoli, ma ne acquista addirittura una fondamentale con
l’avvento del cristianesimo e della C. cattolica. La dottrina
dominante si è da tempo orientata nel senso di concepire i
rapporti fra C. e Stato sulla base di uno schema logico, che
distingue anzitutto il sistema di unione da quello di separazione
fra i due enti.
Il sistema di unione può essere a sua volta di subordinazione
o di coordinazione. Il sistema di subordinazione della C. allo Stato
si è attuato attraverso due forme distinte in diversi Stati e
periodi della storia: si ha il cesaropapismo allorché
l’organizzazione e il governo della C. sono considerati come un ramo
dell’amministrazione pubblica (C. di Stato) e il capo dello Stato
è nel medesimo tempo capo della C. (cesare e papa: imperator
ac sacerdos); si ha il giurisdizionalismo quando lo Stato, mentre
concede favori e privilegi alla C., ne invade la sfera di competenza
estendendo i poteri della sua sovranità territoriale sui
rapporti esteriori ecclesiastici (entro l’ambito del
giurisdizionalismo sono state riportate le varie manifestazioni del
sistema di subordinazione della C. allo Stato attuatesi,
specialmente dopo la Riforma, nei vari Stati europei con i nomi di
gallicanismo in Francia, febronianismo e giuseppinismo in Austria,
regalismo in Spagna, erastianismo in Inghilterra, leopoldismo in
Toscana, tanuccismo a Napoli ecc.).
Il sistema della subordinazione dello Stato alla C. viene inteso
secondo tre forme di potestà ecclesiastica sulle cose
temporali: a) secondo la potestas directa (teocrazia, ierocrazia,
sistema teocratico-papale), la C. è l’unica, legittima
monarchia che esercita la sovranità per mezzo del pontefice,
quale suo capo visibile e vicario di Cristo in Terra; b) secondo la
potestas indirecta, il papa non ha il potere diretto nelle cose
temporali degli Stati, ma soltanto quello di emanare le leggi
ritenute necessarie per gli interessi spirituali della C. e per
correggere e abrogare le leggi civili a essa dannose; c) in base
alla potestas directiva (forma più attenuata, a volte confusa
con la precedente), il pontefice non può emanare leggi
obbligatorie per i cittadini e abrogare quelle contrarie agli
interessi della C., ma solo disapprovare queste e obbligare gli
Stati a emanare determinate leggi.
Con il sistema della coordinazione dei poteri, la C. e lo Stato si
considerano come società ugualmente sovrane rispettivamente
nel campo spirituale e in quello temporale; questo sistema si attua
praticamente mediante i concordati, con l’instaurazione cioè
di un rapporto formale di parità fra le due Alte Parti
contraenti, che dovrebbe fondarsi sostanzialmente su uno spirito di
collaborazione per il regolamento di mutuo accordo delle cosiddette
res mixtae.
In contrapposizione ai vari sistemi unionistici si pone quello della
separazione fra la C. e lo Stato, il cui concetto giuridico ha dato
luogo a notevoli divergenze dottrinali per la sua determinazione. I
sistemi di relazione fra Stato e C. (più propriamente fra lo
Stato e le confessioni religiose) si distinguono anche, da un punto
di vista sostanziale anziché formale, in confessionismo e
laicismo o laicità dello Stato, fondato sul principio
dell’assoluta astratta uguaglianza di tutte le confessioni religiose
di fronte alle leggi e quindi sulla completa libertà di
coscienza (per i credenti e per gli atei) e di culto.
2.2 STORIA
Nell’antichità non esisteva, in genere, una distinzione fra i
due poteri, civile e religioso, poiché lo Stato assorbiva
entro la sua organizzazione tutta l’attività dei suoi
sudditi. L’indipendenza dei due poteri nacque dall’affermarsi del
cristianesimo, con l’esigenza di un’autonomia della vita spirituale.
Ne derivò un contrasto con la politica dell’Impero romano per
l’impossibilità che il cristianesimo, pur ossequente verso le
autorità costituite («date a Cesare quel che è
di Cesare»), si sottomettesse alle esigenze del culto
ufficiale dello Stato. Con l’editto di Milano di Costantino e
Licinio (313) avvenne il primo riconoscimento del diritto
d’esistenza per il cristianesimo, che poi da questa iniziale
condizione di tolleranza passò progressivamente a un
trattamento privilegiato, finché divenne religione dello
Stato.
Servendosi della C. come fattore politico, gli imperatori attuarono
nell’Impero d’Oriente un sistema cesaropapistico, contrastante con
la gelosa difesa della propria libertà fatta dalla C. in
Occidente, in virtù del crescente prestigio del trono papale.
Ne scaturì l’antagonismo fra Stato e C., le cui principali
manifestazioni nella storia medievale furono nell’11° sec. la
lotta per le investiture e nei due secoli seguenti le lotte fra i
vari pontefici e gli imperatori Federico I e FedericoII, tra
Bonifacio VIII (bolla Unam sanctam del 13 novembre 1302) e Filippo
il Bello, re di Francia. L’autorità pontificia subì un
declino con il trasferimento della sede apostolica ad Avignone e con
lo scisma d’Occidente, durante il quale gli Stati sostennero le
tendenze episcopali, affermatesi nei Concili di Pisa (1409), di
Costanza (1411-18) e di Basilea (1431), e mirarono alla
nazionalizzazione della C. attraverso l’affermazione di una
competenza religiosa dei sovrani e dell’indipendenza dei vescovi dal
governo centrale della Chiesa.
Questi principi parvero trionfare nella C. gallicana con la
Pragmatica sanctio di Bourges del 1438 e si consolidarono nel
16° sec. con la Riforma protestante e la costituzione di Chiese
nazionali con a capo i sovrani temporali secondo la massima
«cuius regio, illius est religio».
La persistenza dell’autorità papale salvò
l’unità della C. universale negli Stati cattolici, ma non
riuscì a impedire che gli Stati, resisi indipendenti nelle
cose temporali, esplicassero un’ingerenza anche nelle cose
spirituali. Si vennero così formando gli ordinamenti ispirati
a un regime di subordinazione della C. allo Stato sotto forma di
‘territorialismo’ ecclesiastico negli Stati protestanti e di
‘giurisdizionalismo’ (variamente denominato) negli Stati cattolici,
italiani e stranieri.
La C. ricorse allora largamente ai concordati, che diventarono
frequenti, in campo europeo, successivamente alla codificazione del
diritto canonico (1917). Dopo il Concilio Vaticano II la C. ha
stipulato o riveduto oltre 30 concordati e accordi parziali su
distinte materie.
In Italia, secondo la Costituzione, la posizione della C. cattolica
viene considerata separatamente da quella delle altre confessioni.
Per la prima l’art. 7 dispone che lo Stato e la C. cattolica sono,
ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; i loro rapporti
sono regolati dai Patti Lateranensi, ai quali ha apportato modifiche
consensuali un nuovo Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica
italiana, firmato il 18 febbraio 1984. Per i culti acattolici l’art.
8 della Costituzione italiana dispone che le confessioni religiose
diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i
propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento
giuridico italiano.