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di Giovanni Tarello
Nacque a Forlì il 5 sett. 1886 dal conte Lotano e Maria
Vescovini. Dopo gli studi classici si addottorò, a Bologna,
in giurisprudenza ed in filosofia. Nei primi anni della sua
attività di studioso, gli interessi del C. si rivolsero
congiuntamente alla storia del diritto e del pensiero giuridico da
un lato, ed alla filosofia del diritto dall'altro. Come storico
mostrò dapprincipio una certa inclinazione alla ricerca
erudita, inclinazione destinata ad affievolirsi nel tempo: esempi ne
sono gli scritti su Il Consiglio generale e le classi cittadine in
Piacenza nel sec. XVI, in Boll. stor. piacentino, V (1910), 2, pp.
71-82; su Giuseppe Taverna giansenista,ibid., VII (1912), 6, pp.
241-44; Per la storia delle relazioni fra Stato e Chiesa nel Ducato
farnesiano di Parma e Piacenza, in Arch. stor. ital., s. 5, XLIX
(1912), 2, pp. 355-80; Sull'ufficio bolognese dei "Memoriali" in
L'Archiginnasio, IX (1914), 6, pp. 379 ss.; su Gli Speranzini di
Bologna,ibid., XI (1916), 1-2, pp. 36-47; su Il padre Paciaudi e la
riforma dell'Università di Parma ai tempi del Du Tillot, in
Arch. stor. ital., LXXIV (1916), 1, pp. 109-36; su L'ordinamento
degli studi giuridici nell'università di Parma secondo la
riforma del 1769, in Il Filangieri, XLII (1917), 2-3, pp. 144-152.
Come filosofodel diritto, nonostante avesse all'inizio subito anche
l'influenza di correnti spiritualistiche, forse attraverso
l'amicizia di Giuseppe Rensi - con cui il C. ebbe a collaborare in
occasione dell'insegnamento ferrarese di quest'ultimo nell'anno
1912-13, producendo assieme una dispensa universitaria, Filosofia
del diritto, Libera università di Ferrara 1913, Padova 1914 -
e l'influenza di motivi neocriticistici, si palesò subito una
caratterizzazione, destinata a divenire sempre più forte nel
prosieguo, come idealista: di stampo soprattutto gentiliano.
Di questa impronta idealistica e specificatamente gentiliana
testimoniano già i primi saggi, come il volumetto
Principî filosofici di una nuova teoria del diritto (Pistoia
1911), l'articolo Filosofia del diritto e filosofia (in Coenobium,
VI [1912], 1-2 pp. 39-52) e l'opuscolo Introduzione alla filosofia
del diritto (Parma 1913); tuttavia la caratterizzazione idealistica
si manifesta pienamente con il libro che giustamente è
considerato termine a quo dell'indirizzo idealistico nella filosofia
del diritto italiana: Il concetto di diritto e la giurisprudenza
integrale (Milano 1913).
In quest'opera, il filosofo si preoccupa di fondare l'autonomia
categoriale del diritto nei confronti da un lato dell'etica e
dall'altro lato dell'economia, opponendosi al Croce che negava la
possibilità di un concetto filosofico di diritto; e
perciò di fondare speculativamente la filosofia del diritto
come critica gnoseologica della giurisprudenza. La critica della
giurisprudenza o del conoscere giuridico è deduzione dei
concetti giuridici puri, che servono come schemi gnoseologici del
conoscere giuridico, il C. afferma la concepibilità di
"astrazioni pratiche" cioè di forme tipiche con le quali il
pensiero ordina i prodotti della volontà umana; gli esiti
della critica gnoseologica della giurisprudenza perciò sono
quelli di una teoria generale formale del diritto. Poiché
d'altra parte l'operare giuridico è visto come azione, e
l'agire non è determinato dalle categorie del conoscere, la
filosofia del diritto del C. è anche particolarmente, attenta
alla fenomenologia giuridica concreta e - in un primo momento -
attratta da tutte le concezioni attivistiche ed anche
irrazionalistiche dell'agire giuridico concreto.
L'entrata decisa del C. nel campo dell'idealismo militante non
è priva di contraccolpi sulla sua attività
storiografica; da un lato si avverte qualche embrionale sortita
nella filosofia della storiografia, come in Intorno allo storia e
alla storiografia (in Arch. stor. ital., LXXII [1914], 2, pp.
255-74), destinata a rimanere episodica; dall'altro lato si avverte
un mutamento di temi e di interessi, che ora si dirigono al pensiero
italiano dell'Ottocento ed in particolare alla filosofia giuridica e
politica di Gioberti, come in Appunti sulla politica di Gioberti,
(in Rass. stor. d. Risorg., II [1915], 6, pp. 729-50), Religione e
politica nel pensiero di Gioberti (in Nuova Antologia, 1º nov.
1915, pp. 75-92), Socialismo giobertiano (in Riv. ital. di sociol.,
XIX [1915], 5-6, pp. 568-579), La filosofia giuridica del
Risorgimento (in Rivista d'Italia, II [1916], 12, pp. 753-64).
L'attenzione per le concezioni attivistiche (o ritenute tali)
dell'operare giuridico è attestata da brevi scritti come Il
modernismo giuridico (in Il Filangieri, XXXVII [1912], 5-6, pp.
373-79), Sugli aspetti filosofici della teoria del diritto libero
(in Riv. ital. per le scienze giuridiche, XLIII [1913], pp. 41-56)
ed anche La filosofia del diritto in America (in Riv. ital. di
sociol., XX [1916], 2, pp. 212-14).
Ma l'aspetto più importante è quello della teoria
formale dei concetti giuridici, che si esprime negli scritti
filosofico-teorici e filosofico-critici: Sulla possibilità di
una scienza giuridica pura (in Riv. critica di scienze sociali, I
[1914], 8-9, pp. 410-22), Sulla terminologia della scienza giuridica
(in Riv. ital. di sociol., XIX [1915], 2, pp. 230-36), La filosofia
del diritto nelle scuole di giurisprudenza (in Riv. di filos., X
[1918], 3, pp. 121-25), Senso e condizioni del progresso nella
scienza del diritto (in Riv. it. di sociol., XXII [1918], 3-4, pp.
241-65), Norma e sanzione (in Riv. intern. di filos. del diritto, I
[1921], 1, pp. 60-67).
A partire dal 1921, si dedicò all'attività di
giornalista politico, sia su periodici come la Rivista di Milano sia
su giornali quotidiani; si avvicinò al movimento fascista, ed
entrò poi nel Partito nazionale fascista; e si avviò a
diventare un teorico - uno dei più acuti - del movimento
fascista.
Dall'anno accademico 1925-26 gli venne conferito l'incarico di
filosofia del diritto nella facoltà giuridica
dell'università di Bologna, incarico che terrà sino
all'anno, accademico 1930-31; nella stessa facoltà tenne
anche, come incaricato per l'anno 1929-30, il corso di diritto
corporativo e legislazione sociale. Nel 1929 venne bandito il
concorso per la cattedra di filosofia del diritto a Pisa, che
Vincenzo Miceli aveva lasciato per raggiunti limiti di età;
il C., vincitore del concorso, fu chiamato a ricoprirla a partire
dall'anno 1930-31; a Pisa egli rimase sino al 1938, insegnando per
incarico anche diritto corporativo e, per un anno, diritto
costituzionale, e tenendo lezioni anche alla Scuola normale
superiore. Nel 1938 fu chiamato a ricostruire la cattedra di
filosofia del diritto presso la facoltà di giurisprudenza
dell'università di Roma, che ricoprì sino al
raggiungimento dei limiti di età nel 1956 (sia a Pisa nel
1938 sia a Roma nel 1956 gli successe sulla cattedra Giacomo
Perticone).
Dal 1938 il C. portò la sua residenza a Roma, ove
abitò in piazza S. Caterina da Siena, non lontano dal
Pantheon. L'anno successivo sposò Luisa Volpari. La sua casa
fu aperta sempre a piccoli cenacoli di discepoli e giovani amici; di
carattere nell'apparenza burbero ma nella sostanza generosissimo, di
conversazione non brillante, ma di pensiero acuto, il C. attraeva i
giovani studiosi anche non suoi allievi diretti ed anche lontani
dalla sua concezione filosofica. Dalla sua concezione si
allontanarono, conservando però sempre devozione di allievi
ed affetto di amici, i due soli filosofi del diritto che gli fossero
direttamente discepoli nel senso accademico, cioè Vincenzo
Palazzolo (dell'insegnamento pisano) ed Alessandro Baratta (degli
ultimi anni romani). La filosofia del diritto del C.
influenzò invece, nel periodo della formazione, quello che
può considerarsi il più importante e significativo
rappresentante dell'indirizzo neoidealistico nella filosofia
giuridica italiana, cioè Angelo Ermanno Cammarata, che gli
era di tredici anni più giovane e che non gli era affine
né per carattere né per atteggiamenti politici.
Il C. morì a Roma il 18 nov. 1965.