Cattolici integrali, gesuiti, modernisti


Q 4 §90 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Monsignor Ugo Mioni, scrittore di romanzacci a serie di avventure per i giovanetti, era un tempo gesuita e ora non lo è più. Oggi appartiene certamente agli integralisti, come appare dalla recensione, pubblicata nella «Civiltà Cattolica» del 20 agosto 1932 del suo Manuale di sociologia (Torino, Marietti, 1932, in 16°, pp. 392, L. 12). Nella recensione si osserva che nel Manuale «traspare qua e là una diffidenza soverchia del nuovo, vero o presunto che sia». A pag. 121 si inveisce contro la diffusione della cultura: “Perché non vi potrebbe essere qualche analfabeta? ve ne furono tanti e tanti nei secoli passati; i quali vissero tranquilli, sereni e felici!... È poi tanto necessaria la cultura intellettuale e scientifica dei cittadini? Di alcuni, di parecchi, sì... Per tutti? No”». «A pag. 135 si legge che: “la sociologia cristiana è ostile a ogni partecipazione della donna alla vita pubblica”». La «Civiltà Cattolica» nega questa affermazione perentoria e ricorda che «una delle scuole oggi più rinomate della Sociologia cristiana (Le settimane sociali francesi) è tutt’altro che ostile alla partecipazione, di cui ha tanto orrore il nostro Autore». Cita anche il Précis de la doctrine sociale catholique (Editions Spes, p. 129) del gesuita Ferdinando Cavallera, prof. dell’Istituto di Tolosa, dove è scritto: «La partecipazione della donna alla vita pubblica non solleva alcuna obbiezione dal punto di vista cattolico». La «Civiltà Cattolica» rimprovera al Mioni di aver obliato nel suo trattato la vita internazionale che «ha oggi così decisiva importanza anche nelle questioni sociali» e di non aver fatto alcun cenno, parlando della tratta delle bianche, di quanto si è fatto di recente a Ginevra in una speciale commissione della Società delle nazioni.

Q5 §1 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. «I cattolici integrali» ebbero una certa fortuna durante il papato di Pio X. Rappresentavano una tendenza europea del cattolicismo, ma naturalmente furono più diffusi in certi paesi (Italia, Francia, Belgio; nel Belgio, durante l’invasione, i tedeschi trovarono e pubblicarono una certa quantità di documenti degli «integrali» i quali avevano costituito una specie di società segreta, con cifre, fiduciari, pubblicazioni clandestine ecc.; a capo del movimento era monsignor Umberto Benigni e una parte dell’organizzazione era costituita dal «Sodalitium Pianum» – «Pianum» da Pio, che poi non era neanche Pio X, mi pare, ma un altro papa ancor più intransigente). Monsignor Benigni, i cui rapporti attuali con la Chiesa mi sono ignoti, ha scritto un’opera di ampiezza colossale, La Storia sociale della Chiesa, di cui sono usciti 4 volumi di oltre 600 pp. l’uno, in gran formato presso l’editore Hoepli. Gli integrali appoggiavano in Francia il movimento dell’Action Française, erano contro il Sillon e contro ogni modernismo politico dei cattolici, oltre che contro ogni modernismo religioso. Di fronte ai gesuiti prendevano un atteggiamento di carattere «giansenistico», cioè di grande rigore morale e religioso, contro ogni lassismo, opportunismo o centrismo. I gesuiti naturalmente li accusarono di giansenismo e, ancor di più, li accusarono di fare il gioco dei modernisti: 1°) per la loro lotta contro i gesuiti; 2°) perché allargavano talmente il concetto di modernismo e quindi ampliavano talmente il bersaglio, da permettere ai modernisti un campo di manovra comodissimo. Di fatto poi avveniva che nella loro comune lotta contro i gesuiti, integrali e modernisti si trovassero obbiettivamente nello stesso terreno e magari collaborassero effettivamente tra loro.

Cosa rimane oggi dei modernisti e degli integrali? È difficile identificare la loro forza oggettiva nella Chiesa ma certamente essi sono «fermenti» che continuano ad operare, in quanto rappresentano la lotta contro i gesuiti e il loro strapotere, lotta condotta da elementi di destra e da elementi di sinistra. A queste forze interne alla Chiesa conviene avere questi due centri «esterni», con pubblicazioni periodiche e edizioni di opuscoli e di libri; tra questi centri e quelle forze esistono collegamenti clandestini che diventano il canale delle ire, delle denunzie, dei pettegolezzi e tengono sempre viva la lotta contro i gesuiti. Ciò dimostra che la forza coesiva della Chiesa è minore di ciò che si pensa: specialmente la lotta contro il modernismo ha demoralizzato il giovine clero, che non esitava a prestare il giuramento anti-modernista, pur continuando ad essere modernista. (Ricordare gli ambienti torinesi dei preti e religiosi regolari – anche domenicani – prima della guerra).

Da un articolo di padre Rosa nella «Civiltà Cattolica» del 21 luglio 1928 (Risposta ad «Una polemica senza onestà e senza legge») tolgo alcune indicazioni:

Monsignor Benigni continua ad avere una notevole organizzazione: a Parigi Récalde ‑ Luc Verus ‑ Simon (Luc Verus è uno pseudonimo collettivo degli «integrali») pubblicano una collezione intitolata Vérités.

Il Rosa cita l’opuscolo Les découvertes du jésuite Rosa, successeur de Von Gerlach, Paris, Linotypie G. Dosne, 20 Rue Turgot, 1928, che attribuisce al Benigni almeno per il materiale. I gesuiti sono accusati di essere «amici dei massoni e dei giudei», sono chiamati «demagoghi e rivoluzionari» ecc.

A Roma il Benigni si serve dell’Agenzia Urbs o Romana e firma le sue pubblicazioni col nome di suo nipote Mataloni. Il bollettino romano del Benigni si intitolava «Veritas» (esce ancora?) Nel (28 stesso?) il Benigni ha pubblicato un opuscolo, Di fronte alla calunnia, di poche pagine, con documenti che concernono il Sodalizio Piano, opuscolo che è stato riprodotto in parte e difeso da due periodici cattolici, «Fede e Ragione» e la «Liguria del Popolo» (di Genova).

In passato il Benigni stampava una pubblicazione petiodica, «Miscellanea di storia ecclesiastica». Buonaiuti e i modernisti. L’opuscolo Una polemica senza onestà e senza legge contro il padre Rosa è del Buonaiuti. Il padre Rosa parla del recente libro di Buonaiuti Le Modernisme catholique pubblicato nella collezione «Le Christianisme» diretta da P. L. Couchoud presso «les editions Rieder» (è il n. 21 della collezione e costa 12 fr.): questo libro sarebbe interessante perché il Buonaiuti vi affermerebbe alcuni fatti che aveva sempre negato durante la polemica modernista. Il Buonaiuti fu autore della campagna modernistica del «Giornale d’Italia». Il Benigni organizzò il servizio stampa contro i modernisti al tempo dell’Enciclica Pascendi.

Nelle sue «Ricerche religiose» (luglio 1928, p. 335) il Buonaiuti racconta un episodio caratteristico. Nel 1909 il modernista prof. Antonino De Stefano (attualmente prete spretato e professore d’Università) doveva pubblicare a Ginevra una «Revue moderniste internationale»; Buonaiuti gli scrive una lettera. A poche settimane di distanza è chiamato al Santo Uffizio. L’assessore del tempo, il domenicano Pasqualigo, gli contestò parola per parola la lettera al De Stefano. La lettera era stata trafugata a Ginevra: un emissario romano si era «traforato» in casa De Stefano.

Naturalmente per Buonaiuti, Benigni è stato uno strumento e un complice dei gesuiti. (Buonaiuti però collaborò alla «Miscellanea» del Benigni nel 1904).

Su questo argomento, Cattolici inlegrali, gesuiti, modernisti, che rappresentano le tre principali sezioni del cattolicismo politico, cioè sono le forze che si contendono l’egemonia nella Chiesa romana, occorre raccogliere tutto il materiale possibile e costruire la bibliografia essenziale. (La collezione della «Civiltà Cattolica» dal 1900 in poi sarebbe da consultare). (Così la collezione delle «Ricerche religiose» di Buonaiuti e della «Miscellanea» del Benigni nonché la collezione di opuscoli d’occasione delle tre correnti).

Q 5 §11 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. «Fede e ragione» pare sia oggi la rivista più importante dei cattolici integrali. Vedere dove esce, da chi è diretta e quali ne sono i principali collaboratori. Vedere in quali punti si pone in contrasto coi gesuiti: se in punti riguardanti la fede, la morale e anche la politica. C’è qualche ordine religioso che nel complesso ha la posizione «integrale»? oppure che simpatizza in modo particolare ecc? (Vedere i domenicani o i francescani).

 

Q5 §14 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. L’articolo L’equilibrio della verità fra gli estremi dell’errore nella «Civiltà Cattolica» del 3 novembre 1928 prende lo spunto dalla pubblicazione di Nicolas Fontaine: Saint‑Siège, «Action Française», et «Catholiques intégraux», Parigi, Gamber, 1928, di cui in nota dà questo giudizio: «L’autore è dominato da pregiudizi politici e liberali, massime quando vede la politica nella condanna dell’Action Française; ma i fatti e i documenti, da lui allegati, sul famoso “Sodalizio”, non furono smentiti». Ora il Fontaine (a quanto mi pare di ricordare) non ha pubblicato nulla di completamente inedito: perché dunque i gesuiti non si sono serviti prima di questi documenti? La quistione è importante e mi pare possa essere risolta così: l’azione pontificia contro l’Action Française è l’aspetto appariscente di un’azione più vasta per liquidare una serie di conseguenze della politica di Pio X, cioè Pio XI vuole togliere ogni importanza ai «cattolici integrali», senza però attaccarli di fronte: la lotta contro il modernismo aveva squilibrato troppo a destra il cattolicismo, occorre nuovamente «incentrarlo» nei gesuiti, cioè dargli una forma politica duttile, senza irrigidimenti dottrinali, una grande libertà di manovra ecc. Pio XI è veramente il papa dei gesuiti.

Ma lottare contro i «cattolici integrali» è molto più difficile che lottare contro i modernisti. La lotta contro l’Action Française offre un terreno ottimo: i cattolici integrali sono combattuti non per sé, ma in quanto sostenitori di Maurras, cioè sono prese di mira le singole persone in quanto disubbidiscono al papa, non il complesso del movimento che ufficialmente è ignorato o quasi. Ecco l’importanza capitale del libro del Fontaine: ma come il Fontaine ha pensato di unire Maurras agli «integrali»? È una sua «intuizione» o gli fu suggerito dagli stessi gesuiti? (Studiare bene il libro del Fontaine da questo punto di vista – e vedere se il Fontaine è uno specialista di studi politico‑cattolici).

Questo articolo della «Civiltà Cattolica», scritto indubbiamente dal padre Rosa, è molto cauto nell’uso dei documenti del Fontaine: evita di analizzare quelli che non solo screditano gli «integrali», ma gettano un’ombra di comicità e di discredito su tutta la chiesa. (Gli «integrali» avevano organizzato una vera «cospirazione» a colori romanzeschi).

Q5 §16 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. L’«Action Française» aveva a Roma un suo redattore, Havard de la Montagne, che dirigeva il settimanale in lingua francese «Rome», destinato ai cattolici francesi, preti, religiosi o laici, residenti o di passaggio a Roma. Questo settimanale doveva essere e sarà ancora il portavoce degli «integrali» e dei maurrassiani.

Q5 §137 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Il caso dell’abate Turmel di Rennes. Nel libro L’Enciclica Pascendi e il modernismo, il padre Rosa dedica alcune pagine gustosissime al caso straordinario dell’abate Turmel, un modernista, che scriveva libri modernisti sotto varii pseudonimi e poi li confutava col suo vero nome. Dal 1908 al 1929 pare che il Turmel abbia continuato nel suo gioco dei pseudonimi, come avrebbe dimostrato il prof. L. Saltet, dell’Istituto cattolico di Tolosa in un lungo studio pubblicato nel «Bulletin de Littérature Ecclésiastique» di Tolosa, annata 1929. Il caso del Turmel è così caratteristico che varrà la pena di fare altre ricerche.

Q5 §141 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Cfr l’articolo La lunga crisi dell’«Action Française» nella «Civiltà Cattolica» del 7 settembre 1929. Si loda il libro La trop longue crise de l’Action Française di Mons. Sagot du Vauroux, évêque d’Agon, Parigi, ed. Bloud, 1929, opera che «riuscirà utilissima anche agli stranieri, i quali non riescono a comprendere le origini e meno ancora la persistenza, congiunta a tanta ostinazione, degli aderenti cattolici che li acceca sino a farli vivere e morire senza sacramenti, piuttosto che rinunziare alle odiose esorbitanze di un loro partito o dei suoi dirigenti increduli». La «Civiltà Cattolica» si giustifica, di non occuparsi più spesso della polemica dell’Action Française, e tra l’altro dice: «Oltre a ciò, la prolungata crisi non tocca l’Italia se non per riverbero, ossia per una lontana concomitanza ed analogia, che essa potrebbe avere con le tendenze generali paganeggianti dell’età moderna».

Questa è appunto la debolezza della posizione gesuitica contro l’Action Française, ed è una delle cause del furore fanatico di Maurras e dei suoi seguaci; questi sono persuasi che il Vaticano fa su di loro una esperienza «in corpore vili» che li ha posti nella condizione del ragazzetto che accompagnava sempre, una volta, il principe ereditario inglese e si pigliava le nerbate per conto delle sue capestrerie; da ciò Maurras e C. traggono la persuasione che l’assalto che hanno subito sia meramente politico, perché se fosse religioso dovrebbe essere universale non solo a parole, ma come identificazione o «punizione» anche negli altri paesi degli elementi individuali o di gruppo che sono, ideologicamente, sul loro stesso piano.

Altre indicazioni di «cattolici integrali»: il Bloc antirévolutionnaire di Félix Lacointe «degno amico del citato Boulin e dei suoi soci» (del Boulin e della sua «Revue Internationale des Sociétés secrètes» ho preso nota in altro paragrafo). Il Lacointe avrebbe pubblicato che il cardinale Rampolla era iscritto alla Massoneria o qualcosa di simile. (Al Rampolla si rimprovera ancora la politica del ralliement fatta da Leone XIII; ricordare a proposito del Rampolla che il veto al conclave contro la sua elezione al pontificato fu fatto dall’Austria, ma per domanda di Zanardelli: sul Rampolla e la sua posizione verso l’Italia dà elementi nuovi il Salata nel I° volume dei suoi Documenti diplomatici sulla questione romana).

Un elemento molto significativo del lavorio che la corrente gesuitica esplica in Francia per formare un partito centrista cattolico‑democratico è questo motivo ideologico‑storico: Chi è responsabile dell’apostasia del popolo francese? Solo gli intellettuali democratici che si richiamano al Rousseau? No. I più responsabili sono gli aristocratici e l’alta borghesia che hanno civettato con Voltaire: «... le rivendicazioni tradizionali (dei vecchi monarchici) del ritorno all’antico sono pure rispettabili, quantunque inattuabili, nelle condizioni presenti. E sono inattuabili anzitutto per colpa di tanta parte dell’aristocrazia e borghesia di Francia, poiché dalla corruzione e dall’apostasia di questa classe dirigente fino dal secolo XVII originò la corruzione e l’apostasia della massa popolare in Francia, avverandosi anche allora che regis ad exemplum totus componitur orbis. Il Voltaire era l’idolo di quella parte dell’aristocrazia corrotta e corrompitrice del suo popolo, alla cui fede e costumatezza procurando scandalose soluzioni, essa scavava a se medesima la fossa. E sebbene poi al sorgere del Rousseau con la sua democrazia sovversiva in opposizione all’aristocrazia volterriana, si fecero opposizione teorica le due correnti di apostasia, – come tra i due tristi corifei – che parevano muovere da contrari errori, confluirono in una stessa pratica ed esiziale conclusione: nell’ingrossare cioè il torrente rivoluzionario», ecc. ecc. Così oggi: Maurras e C. sono contro la democrazia del Rousseau e le «esagerazioni democratiche» («esagerazioni», si badi bene, solo «esagerazioni») del Sillon, ma sono «discepoli e ammiratori degli scritti del Voltaire». (Jacques Bainville ha curato una edizione di lusso di Voltaire e i gesuiti non lo dimenticheranno mai). Su questa argomentazione sulle origini dell’apostasia popolare in Francia la «Civiltà Cattolica» cita un articolo della «Croix» del 15‑16 agosto 1929: L’apostasie navrante de la masse populaire en France che si riferisce al libro Pour faire l’avenir, del padre Croizier dell’«Action populaire», edito nel 1929 dalle edizioni Spes di Parigi.

Tra i seguaci di Maurras e C., oltre ai conservatori e monarchici, la «Civiltà Cattolica» (sulle tracce del vescovo di Agen) rileva altri quattro gruppi: 1) gli snobisti (per le doti letterarie specialmente di Maurras); 2) gli adoratori della violenza o della maniera forte, «con la esagerazione dell’autorità, spinta verso il despotismo, sotto colore di resistenza allo spirito di insubordinazione, o sovvertimento sociale, dell’età contemporanea»; 3) i «falsi mistici», «creduli a vaticinii di straordinarie ristaurazioni, di conversioni meravigliose, o di provvidenziali missioni» assegnate proprio a Maurras e C. Questi fin dal tempo di Pio X, «imperterriti» scusano l’incredulità di Maurras, imputandola «al difetto della grazia», «quasi che non fosse data a tutti la grazia sufficiente per la conversione, né fosse imputabile a chi vi resiste il cadere e il persistere nella colpa». Sarebbero questi, pertanto, semi‑eretici, perché, per giustificare Maurras, ripeterebbero le posizioni giansenistiche o calviniste. Il quarto gruppo (il più pericoloso, secondo la «Civiltà Cattolica») sarebbe composto da così detti «integrali» (la «Civiltà Cattolica» osserva che il vescovo di Agen li chiama anche «integristi», «ma è notorio che essi non sono da confondere col partito politico, chiamato degli “integristi”, nella Spagna»). Questi «integrali», scrive la «Civiltà Cattolica», «anche in Italia non mancarono di favorire i positivisti e increduli dell’Action française, solo perché violenti contro il liberalismo e altre forme di errori moderni, senza avvertire che essi trascorrevano ad estremi opposti, del pari erronei e perniciosi, ecc.». «Così abbiamo veduto, anche in Italia, qualche loro foglio accennare appena, come di volo, alla condanna dell’Action Française, in cambio di pubblicarne i documenti e illustrarne il senso e le ragioni, indugiandosi invece sulla ristampa ed il commento della condanna del Sillon; quasi che i due moti fra loro contrari, ma del pari opposti alla dottrina cattolica, non potessero essere e non fossero egualmente riprovevoli. Cosa questa degna di nota, perché mentre quasi in ogni numero di siffatte pubblicazioni («Fede e Ragione»?) non manca qualche accusa o escandescenza contro autori cattolici, sembra che venga meno o lo spazio o la lena per una franca ed energica trattazione di condanna contro quelli dell’Action Française; anzi si ripetono spesso le calunnie, come quella di una pretesa piega a sinistra, ossia verso il liberalismo, popolarismo, falsa democrazia, contro chi non seguiva il loro modo di procedere».

(Nella corrente dei «cattolici integrali» bisogna mettere anche Henri Massis e la corrente dei «difensisti dell’Occidente»: ricordare le frecciate di padre Rosa contro il Massis nella risposta alla lettera di Ugo Ojetti).

Da questa nota si può prendere uno spunto per la rubrica «Passato e Presente».

Q6 §164 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Vedere l’effetto che nell’equilibrio delle forze cattoliche ha avuto la crisi religiosa in Ispagna. In Ispagna la lotta anticlericale ha avuto come principale bersaglio i gesuiti, ma mi pare che appunto in Ispagna avrebbero dovuto essere forti gli integralisti, e che i gesuiti dovevano essere un contrappeso a queste forze: il tentativo di accordo tra il Vaticano e Alcalà Zamora, troncato dalla Costituente, doveva appunto tendere a mettere in valore la politica gesuitica, eliminando o sacrificando gli integralisti (Segura, ecc.). Ma la situazione spagnola era complicata dal fatto che i gesuiti svolgevano un’attività capitalistica rilevante: essi dominavano alcune società importanti tranviarie e d’altro genere (verificare l’esattezza di questi accenni). In Ispagna i gesuiti avevano una tradizione particolare: loro lotta contro l’Inquisizione e i domenicani (vedere che significato ebbe questa lotta; cfr il libro del Lea sull’Inquisizione di Spagna).

Q6 §182 Cattolici integrali, gesuiti e modernisti. Giovanni Papini. Dalla recensione del libro su Sant’Agostino di Giovanni Papini, pubblicata dalla «Civiltà Cattolica» del 19 luglio 1930 (p. 155), appare che i cattolici integrali si sono schierati contro il Papini: «Le invettive del Tilgher erano poi superate da quelle di uno scrittore anonimo e di una notoria «Agenzia» clandestina, che le passava ai giornali di vario colore, come noi sappiamo: e sebbene si ammantasse di cattolicismo «integrale», essa non aveva certo né la fede né gli interessi delle anime fra le sue prime sollecitudini; molto meno poteva o può rappresentare, con quei suoi metodi di critica, una porzione qualsiasi dei veri e schietti cattolici. Del bollore di quello zelo critico e della sincerità di quelle invettive non avevano dunque le persone saggie da occuparsi; molto meno da edificarsi. E il Papini ha fatto molto bene a non curarsi di loro; ed anche i suoi amici a non darvi peso».

La recensione dev’essere del padre Rosa come appare dalla grammatica alquanto sbilenca e da preziosità come quella di un’«Agenzia» che è notoria ma è anche clandestina. Il Papini, così difeso dai gesuiti e attaccato dagli integrali, non essendo modernista, deve essere senza dubbio di errore catalogato fra i gesuiti.

Dall’articolo della «Civiltà Cattolica» traggo qualche spunto. Si accenna che anche in Italia Maurras ha trovato difensori tra i cattolici: si parla di «imitatori o fautori, palesi od occulti, ma del pari aberranti dalla pienezza della fede e della morale cattolica, o nella teoria o nella pratica, pure gridando e anche illudendosi di volerle difendere integralmente e meglio di qualsiasi altro». L’Action Française «avventò contro chi scrive queste righe, un cumulo di vilipendii e di calunnie incredibili (?), fino a quelle insinuate ripetutamente di assassinii ed esecuzioni spietate di confratelli!». (Vedere quando queste accuse furono fatte al padre Rosa: tra i gesuiti c’era l’ala integralista e favorevole al Maurras: vedi il caso del cardinale Billot, gesuita, che si dimise – mi pare – dalla sua carica, dimissioni rarissime nella storia della Chiesa e che dimostrano da una parte l’ostinata pervicacia del Billot e la volontà intransigente del papa di superare ogni ostacolo nella lotta contro Maurras).

L’Abate Boulin, direttore della «Revue internationale des sociétés secrètes», «integrale», collegato a Benigni‑Mataloni; il Boulin si serve di pseudonimi (Roger Duguet); accanito antigesuita. L’Action Française e gli «integrali» si attaccano disperatamente a Pio X e pretendono di restare fedeli ai suoi insegnamenti. (Gli «integrali» vogliono rimettere in onore il Sillabo di Pio IX: nella proposta dell’Action Française di avere un ecclesiastico per la cattedra del Sillabo nelle sue scuole, era contenuta un’abile provocazione).

Q6 §195 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Il caso Turmel. Cfr l’articolo La catastrofe del caso Turmel e i metodi del modernismo critico, nella «Civiltà Cattolica» del 6 dicembre 1930. Lo scritto è molto importante e il caso Turmel è di sommo interesse nella quistione. Questo Turmel, pur rimanendo sacerdote, per oltre venti anni, con svariatissimi pseudonimi, scrisse articoli e libri di carattere eterodosso, fino ad essere apertamente ateistici. Nel 1930 i gesuiti riuscirono a smascherarlo e a farlo dichiarare scomunicato vitando: nel decreto del Santo Uffizio è contenuta la lista delle sue pubblicazioni e dei suoi pseudonimi. La sua attività ha del romanzesco. Risulta così che dopo la crisi modernistica, nell’organizzazione ecclesiastica si formarono delle formazioni segrete: oltre a quella dei gesuiti (che d’altronde non sono omogenei e concordi, ma hanno avuto un’ala modernistica – il Tyrrell era gesuita – e una integralista – il cardinale Billot era integralista) esisteva ed esisterà ancora una formazione segreta integralista e una modernista. La identificazione del Turmel coi suoi pseudonimi ha anch’essa qualcosa di romanzesco: indubbiamente il centro gesuitico aveva teso intorno a lui una vasta tela che andò restringendosi mano mano fino a imprigionarlo. Appare che il Turmel aveva delle protezioni nelle Congregazioni romane, ciò che dimostra che i modernisti non sono tutti stati identificati, nonostante il giuramento, ma operano segretamente ancora. Turmel aveva scritto articoli e libri con quindici pseudonimi: Louis Coulange, Henri Delafosse, Armand Dulac, Antoine Dupin, Hippolyte Gallerand, Guillaume Herzog, André Lagard, Robert Lawson, Denys Lenain, Paul Letourneur, Goulven Lézurec, Alphonse Michel, Edmond Perrin, Alexis Vanbeck, Siouville. Avveniva che il Turmel con un pseudonimo confutasse o lodasse articoli e libri scritti con altro pseudonimo, ecc. Collaborava alla rivista «Revue d’histoire des religions» e alla collezione «Christianisme» diretta dal Couchoud presso l’editore Rieder.

È da tener conto anche di un altro articolo pubblicato nella «Civiltà Cattolica» del 20 dicembre 1930: Lo spirito dell’«Action Française» a proposito di «intelligenza» e di «mistica», dove si parla del volume di Jean Héritier Intelligence et Mystique (Parigi, Librairie de France, 1930, in 8°, pp. 230) nella collezione «Les Cahiers d’Occident» che si propone di diffondere i principi sulla difesa dell’occidente secondo lo spirito del noto libro di Henri Massis. Per i gesuiti il Massis e le sue teorie sono sospette: d’altronde è notorio il contatto tra il Massis e Maurras. Il movimento del Massis è da porre tra quelli del «cattolicismo integrale» o del forcaiolismo cattolico. (Anche il movimento dell’Action Française è da porre tra quelli sostenuti dall’integralismo). In Francia la nascita dell’integralismo è da connettere col movimento del Ralliement propugnato da Leone XIII: sono integralisti quelli che disobbediscono a Leone XIII e ne sabotano l’iniziativa. La lotta di Pio X contro il Combismo sembra dar loro ragione e Pio X è il loro papa, come è il papa di Maurras. In appendice al volume dell’Héritier sono stampati articoli di altri scrittori che trattano del Ralliement e sostengono anche nelle quistioni di storia religiosa la tesi del Maurras sull’anarchismo dissolvente del cristianesimo giudaico e sulla romanizzazione del cattolicismo.

Questo articolo della «Civiltà Cattolica» è veramente importante e bisognerà rivederlo, in caso di stesura di studio su questo argomento. Bisognerà vedere tutte le sfumature dei «distinguo» a proposito della massoneria, dell’antisemitismo, del nazionalismo, della democrazia, ecc. Anche per i modernisti si distingue tra illusi, ecc., e si prende posizione contro l’antimodernismo del Benigni, ecc.: «Tanto più che era da temere, e non mancammo di farlo notare fino da quegli anni a chi di dovere, che siffatti metodi avrebbero fatto il gioco dei modernisti veri, preparando in futuro gravi danni alla Chiesa. Il che si vide poi, ed anche al presente si vede, nello spirito cattivo di reazione, non del vecchio modernismo solamente e del liberalismo, ma del nuovo altresì, e dell’integralismo stesso. Questo mostrava allora di volersi opporre ad ogni forma o parvenza di modernismo, anzi presumeva essere, come suol dirsi, più papale del Papa, ed invece ora con grave scandalo o gli resiste ipocritamente, o apertamente lo combatte, come avviene tra i fautori rumorosi dell’Action Française in Francia e i silenziosi loro complici in Italia».

Gli integrali chiamano i gesuiti «modernizzanti» e «modernizzantismo» la loro tendenza. Divisero i cattolici in «integrali» e «non integrali», cioè «papali» ed «episcopali». (Pare che l’enciclica di Benedetto XV Ad beatissimi notasse, biasimandola, questa tendenza a introdurre tali distinzioni tra i cattolici, che ledevano la carità e l’unità dei fedeli. Vedere la «Civiltà Cattolica» che stampò questa enciclica).

La «Sapinière», associazione segreta, presentata al pubblico col nome di «Sodalizio Piano», organizzò la lotta contro i gesuiti «modernizzanti», «in tutto contrariamente alla prima idea ed al programma officiale proposto al Santo Pontefice Pio X, indi approvato dal Segretario della Concistoriale, non certamente perché servisse allo sfogo di passioni private, alla denunzia e diffamazione di integerrimi ed anche eminenti personaggi, di Vescovi o d’interi Ordini religiosi, nominatamente del nostro, che mai finora erasi veduto in balia a siffatte calunnie, neppure ai tempi della sua soppressione. Da ultimo poi, finita la guerra e molto più dopo lo scioglimento del «Sodalizio Piano» – decretato dalla Sacra Congregazione del Concilio, non certo a titolo di lode, ma di proibizione e di biasimo – fu promossa tutta a spese di un noto e ricchissimo finanziere Simon di Parigi e della sua larga consorteria, la pubblicazione e la prodiga diffusione gratuita di libelli i più ignominiosi e criticamente insipienti contro la Compagnia di Gesù, i suoi Santi, i suoi dottori e maestri, le sue opere e le sue costituzioni, pure solennemente approvate dalla Chiesa. È la nota collezione dei così detti «Récalde», cresciuta già ad oltre una dozzina di libelli, alcuni di più volumi, in cui è troppo riconosciuta e non meno retribuita la parte dei complici romani. Essa viene ora rinforzata dalla pubblicazione sorella di foglietti diffamatori, i più farneticanti, sotto il titolo complessivo ed antifrastico di «Vérités», emuli dei fogli gemelli dell’Agenzia Urbs, ovvero Romana, i cui articoli ritornano poi talora, quasi a verbo, in altri fogli “periodici”».

Gli «integrali» sparsero «le peggiori calunnie» contro Benedetto XV, come si può vedere dall’articolo comparso alla morte di questo papa nella «Vieille France» (di Urbain Gohier, credo) e nella «Ronda» (febbraio 1922), «anche questo (periodico) tutt’altro che cattolico e morale, ma onorato tuttavia dalla collaborazione di Umberto Benigni, il cui nome si trovava registrato nella bella compagnia di quei giovani più o meno scapestrati». «Lo stesso spirito di diffamazione, continuato sotto il presente Pontificato, in mezzo alle file medesime dei cattolici, dei religiosi e del clero, non si può dire quanto abbia fatto di male nelle coscienze, quanto scandalo portatovi e quanta alienazione di animi, in Francia sopra tutto. Quivi infatti la passione politica induceva a credere più facilmente le calunnie, mandate spesso da Roma, dopo che i ricchi Simon e altri compari, di spirito gallicano e giornalistico (sic), ne spesarono gli autori e procurarono la diffusione gratuita dei loro libelli, massime degli antigesuitici sopra menzionati, nei seminari, nelle canoniche, nelle curie ecclesiastiche, ovunque fosse qualche probabilità o verosimiglianza che la calunnia potesse attecchire; ed anche fra laici, massime giovani, e degli stessi licei governativi, con una prodigalità senza esempio». Gli autori già sospetti si servono dell’anonimo o di pseudonimi. «È notorio, tra i giornalisti specialmente, quanto poco meriti qualsiasi titolo di onore un siffatto gruppo col suo principale ispiratore, il più astuto a nascondersi ma il più colpevole e il più interessato nell’intrigo» (a chi si allude? Al Benigni o a qualche altro pezzo grosso del Vaticano?)

Secondo l’articolista tra Action Française e «integrali» non c’era inizialmente «accordo», ma esso si è venuto formando dopo il 26; ma questa mi pare una dichiarazione fatta ad arte, per escludere ogni movente politico (lotta contro gli ultra reazionari) dalla quistione contro l’Action Française. (In nota si dice, – nell’ultima nota –: «Non si deve tuttavia confondere l’uno con l’altro partito, come taluno ha fatto, per es., Nicolas Fontaine, nell’opera citata Saint‑Siège, “Action française” et “Catholiques intégraux”. Questo autore, come notammo, è più che liberale, ma purtroppo informatissimo dei casi niente edificanti della menzionata società clandestina, detta della “Sapinière”, e dei suoi fautori francesi ed italiani, ed in ciò è ridicolo rinfacciare il suo liberalismo: occorre smentire i fatti su cui riparleremo a suo tempo». Strano, quel «purtroppo informatissimo» perché, come ho notato, il Fontaine si è servito di documenti di dominio pubblico (vedere). Fino ad oggi (ottobre 1930) il padre Rosa nella «Civiltà Cattolica» non ha poi «riparlato» della «Sapinière».

L’articolo conclude: «Ma la verità non ha da temere: e per parte nostra, noi siamo ben risoluti a difenderla senza paura né trepidazione od esitanza, anche contro i nemici interni, siano pure ecclesiastici facoltosi e potenti, che hanno fuorviato i laici per trarli ai loro disegni e interessi». In fondo alla nota si riporta poi qualcuno dei nomi del lungo catalogo dei «denunziati» dal «Sodalizio Piano» (tra gli altri i Cardinali Amette di Parigi, Piffl di Vienna, Mercier, Van Rossum, ecc.).

Ricorda poi un viaggio del Benigni in America (di cui parlò la «Civiltà Cattolica», 1927, IV, p. 399) dove distribuì i libelli antigesuitici; a Roma ci sarebbe un deposito di più decine di migliaia di copie di tali libelli.

Q7 §88 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Roberto Bellarmino. Pio XI il 13 maggio 1923 dette al Bellarmino il titolo di beato, più tardi (nel 50° anniversario del suo sacerdozio, quindi in una data specialmente segnalata) lo inscrisse nell’albo dei Santi, insieme coi gesuiti missionari morti nell’America settentrionale; nel settembre 1931 infine lo dichiarò Dottore della Chiesa Universale. Queste particolari attenzioni alla massima autorità gesuitica dopo Ignazio di Loyola, permettonoNel ms: «permette». di dire che Pio XI, il quale è stato chiamato il papa delle Missioni e il papa dell’Azione Cattolica, deve specialmente essere chiamato il papa dei Gesuiti (le Missioni e l’Azione Cattolica, del resto, sono le due pupille degli occhi della Compagnia di Gesù). È da osservare che nella lettera apostolica tradotta con cui il Bellarmino è dichiarato Dottore (vedi «Civiltà Cattolica» del 7 novembre 1931) parlandosi della Compagnia in generale, il Bellarmino è chiamato «vero compagno di Gesù»: perché «compagno» e non «soldato», come dovrebbe esattamente dirsi? Il nome «Compagnia» è solo la traduzione di «Societas» o non ha il significato militare? La parola latina «Societas» non può avere significato militare (almeno mi pare) ma quale fu l’intenzione di Ignazio di Loyola? (Ricordare la connessione del Bellarmino con il processo di Galileo). Nell’articolo di commento della «Civiltà Cattolica» alla Lettera apostolica si accenna al fatto che la «causa» (di beatificazione e di santificazione) del Bellarmino era stata arrestata dalle «mene e (dalle) minacce (!) di quegli sconsigliati politici e avversari del Pontificato, amici altri dell’assolutismo regio (“gli integrali”), altri del sovversivismo demagogico (“i modernisti”)»; accenna la «Civiltà Cattolica» a fatti del 700, ma parla poi dei «loro infelici successori e imitatori odierni». (Pare che la beatificazione del Bellarmino nel 700 sia stato uno degli elementi della lotta che portò alla soppressione della Compagnia per imposizione dei Borboni).

I Gesuiti oggi vedono nella santificazione e nel «dottorato» una rivincita (sebbene l’ultimo atto papale coincida con la soppressione dei Gesuiti in Ispagna), ma sono cauti: «Nessuno certo vuole esagerare oltre misura questo avvenimento, o troppo allargarne l’importanza, il significato, l’opportunità o “attualità” rispetto all’ora presente, e tanto più rispetto all’insolita bufera che doveva essere non solo impreveduta ma imprevedibile, quando fu deliberato prima e discusso poi, ecc., il decreto per la dichiarazione di Dottore».

 

Q7 §107 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. In altra nota è citato il periodico «Fede e Ragione», come di carattere «integralista» (la «Civiltà Cattolica» lo cita appunto in una sua polemica cogli integralisti). «Fede e Ragione» è un settimanale cattolico che esce a Fiesole da circa 14 anni. È diretto dal sacerdote Paolo De Toth (almeno era diretto dal De Toth nel 1925) e l’abbonamento costava nel 1925 15 lire, ciò che significa che deve trattarsi di una semi-rivista.

Q8 §95 Cattolici integrali – gesuiti – modernisti. Nelle memorie di Alfred Loisy si troveranno elementi per questa rubrica: Alfred Loisy, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique de notre temps, pubblicato nel 1930 o 31 (circa 2000 pp. in 8°).

Q9 §30 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Il 6 aprile 1932 è stata iscritta nell’Indice l’opera di Felix Sartiaux, Joseph Turmel, prêtre, historien des dogmes. Parigi, Ed. Rieder. È una difesa del Turmel dopo gli ultimi mirabolanti casi capitati a questo esemplare eccezionale del mondo clericale francese.

Q14 §20 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. La prima enciclica papale contro le manifestazioni politiche e filosofiche dell’epoca moderna (liberalismo, ecc.) sarebbe stata del 1832, la Mirari vos di Gregorio XVI; a cui sarebbe seguita l’Enciclica Quanta cura di Pio IX dell’8 settembre 1864, accompagnata dal Sillabo; terza enciclica quella Pascendi di Pio X, contro il modernismo. Queste le tre encicliche «organiche» contro il pensiero moderno ma non mi pare che esse siano i soli documenti del genere. Per il periodo antecedente al 1864 si può vedere nel Sillabo l’elencazione delle altre encicliche e documenti diversi papali contro il pensiero moderno. Per il periodo dal 64 al 1907. Corretto, in un secondo tempo, in 1907. (8 settembre, come per il Sillabo) non ricordo se ci sono accenni nell’enciclica Pascendi, che d’altronde ha un suo carattere particolare, in quanto non tanto combatte il pensiero moderno come tale, ma per il fatto che è riuscito a penetrare nell’organizzazione ecclesiastica e nell’attività scientifica propriamente cattolica. Ma nella letteratura polemica non sarà difficile trovare le indicazioni bibliografiche (nella «Civiltà Cattolica» poi le manifestazioni successive al 1908 che sono ancora più interessanti in quanto si riferiscono ad attività statali). In ogni modo queste tre encicliche del 1832, del 1864 e del 1907Nel ms: «1908». sono le più organiche ed estensive teoricamente e a esse occorre riferirsi per fissare le lotte interne tra integralisti, gesuiti e modernisti.

Non si può accanto a tali encicliche dimenticare le altre «costruttive», tipiche la Rerum Novarum e la Quadragesimo anno che integrano le grandi encicliche teoriche contro il pensiero moderno e cercano risolvere a loro modo alcuni dei problemi ad esso legati e connessi. (Non bisogna dimenticare che alcune ricerche per questa rubrica sono connesse a quelle per la rubrica sulla «Storia dell’Azione Cattolica»; cioè i due studi sono inscindibili in un certo senso e come tali devono essere elaborati).

Q14 §52 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. Nella «Cultura» dell’ottobre‑dicembre 1932 (pp. 846 sgg.) Luigi Salvatorelli scrive di Joseph Turmel recensendo questi due libri: 1) Felix Sartiaux, Joseph Turmel, prêtre historien des dogmes, Paris, Rieder, 1931, pp. 295; 2) J. Turmel, Histoire des dogmes, I, Le péché originel. La rédemption, Paris, Rieder, 1931. Il libro del Sartiaux è indispensabile per la valutazione del caso Turmel. Secondo il Salvatorelli, il Turmel non sarebbe mai stato un modernista, in quanto non avrebbe mai «concepito l’idea di una trasformazione della chiesa e del domma». E qui si pone il problema, per l’esatta compilazione di questa rubrica, di che cosa debba intendersi per modernista. È evidente che non esiste un modello fisso e sempre facilmente identificabile del «modernista» e del «modernismo», come non esiste per ogni «‑ista» e «‑ismo». Si è trattato di un movimento complesso e molteplice, con varie accezioni: 1) quella che di se stessi davano i modernisti; 2) quella che dei modernisti davano i loro avversari, che certo non coincidevano. Si può dire che del modernismo esistevano diverse manifestazioni: 1) quella politico‑ sociale, quindi favorevole al socialismo riformista e alla democrazia (questa manifestazione è forse quella che più ha contribuito a suscitare la lotta da parte dei cattolici integrali, legati strettamente alle classi più reazionarie e specialmente alla nobiltà terriera e ai latifondisti in generale, come mostra l’esempio francese dell’Action Française e l’esempio italiano del così detto «Centro cattolico») ossia genericamente alle correnti liberali; 2) quella «scientifico‑religiosa», cioè in sostegno di un nuovo atteggiamento verso il «dogma» e la «critica storica» in confronto della tradizione ecclesiastica, quindi tendenza a una riforma intellettuale della Chiesa. Su questo terreno la lotta tra modernisti e cattolici integrali fu meno aspra, anzi, secondo i gesuiti, ci fu spesso alleanza e collusione tra le due forze, cioè le riviste cattoliche integrali pubblicarono scritti dei modernisti (secondo la «Civiltà cattolica», la rivista di Mons. Benigni pubblicò spesso scritti del Buonaiuti contro i gesuiti. Ciò dietro le quinte, naturalmente, perché sulla scena la lotta doveva presentarsi specialmente, anzi unicamente, come religiosa; ciò che non toglie che i cattolici integrali appoggiassero un ateo dichiarato come il Maurras e che per il Maurras la quistione non potesse essere che solamente politica e sociale. Per i Gesuiti Turmel era ed è un modernista in senso «scientifico» (sebbene il Turmel realmente sia un ateo, cioè completamente fuori dal campo religioso, nella sua coscienza, sebbene continui ad essere «prete» per ragioni subordinate, ciò che pare sia un caso abbastanza comune nel clero come appare dal libro del Sartiaux o dalle Memorie del Loisy). Ciò che importa qui notare è che sia il modernismo, sia il gesuitismo, sia l’integralismo hanno significati più vasti che non siano quelli strettamente religiosi: sono «partiti» nell’«impero assoluto internazionale» che è la Chiesa Romana ed essi non possono evitare di porre in forma religiosa problemi che spesso sono puramente mondani, di «dominio».

Q20 §4 Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. I «cattolici integrali» ebbero molta fortuna sotto il papato di Pio X; rappresentarono una tendenza europea del cattolicismo, politicamenteNel ms: «politicante». di estrema destra, ma naturalmente erano più forti in certi paesi, come l’Italia, la Francia, il Belgio, dove, in forme diverse, le tendenze di sinistra in politica e nel campo intellettuale, si facevano sentire più fortemente nell’organizzazione cattolica. Nel Belgio, durante la guerra, i tedeschi sequestrarono una grande quantità di documenti riservati e segreti degli integrali, in seguito pubblicati e così si ebbe la prova abbondante che gli integrali avevano costituito una vera e propria associazione segreta per controllare, dirigere, «purgare» il movimento cattolico in tutti i suoi gradi gerarchici, con cifrari, fiduciari, corrispondenze clandestine, agenti per lo spionaggio ecc. Il capo degli integrali era monsignor Umberto Benigni, e una parte dell’organizzazione era costituita dal «Sodalitium Pianum» (da Papa Pio V), Monsignor Benigni, morto nel 1934, era un uomo di grande capacità teorica e pratica e di una attività incredibile: ha scritto, tra l’altro, un’opera di grande mole, La Storia sociale della Chiesa, di cui sono usciti 4 volumi d’oltre 600 pagine l’uno, in gran formato, editi dalla casa Hoepli. Come appare dalla «Civiltà Cattolica», il Benigni non ha mai interrotto la sua azione cospirativa nell’interno della Chiesa, nonostante le difficoltà in cui gli integrali sono venuti a trovarsi per il corso della politica di Pio XI, esitante, titubante, timida, ma tuttavia con indirizzo popolare democratico per la necessità di creare forti masse di Azione Cattolica. Gli integrali appoggiavano in Francia il movimento dell’Action Française, furono contro il Sillon: da per tutto sono contro ogni modernismo politico e religioso.

Di fronte ai gesuiti assumevano un atteggiamento quasi giansenistico, cioè di grande rigore morale e religioso, contro ogni forma di lassismo, di opportunismo, di centrismo. I gesuiti naturalmente accusano gli integrali di giansenismo (di ipocrisia giansenistica) e ancor di più, di fare il gioco dei modernisti (teologanti): 1) per la loro lotta contro i gesuiti; 2) perché allargavano talmente la nozione di modernismo e quindi ampliavano talmente il bersaglio, da offrire ai modernisti un campo di manovra comodissimo. Di fatto è avvenuto che nella loro comune lotta contro i gesuiti, integrale e modernisti si siano trovati obbiettivamente nello stesso terreno e abbiano collaborato tra loro (il Buonaiuti avrebbe scritto nella rivista del Benigni).

Cosa rimane oggi dei modernisti e degli integrali? È difficile identificare e calcolare la loro forza oggettiva nell’organizzazione ecclesiastica, specialmente dei modernisti (gli integrali hanno mantenuto le loro forze quasi intatte, anche dopo la campagna contro l’Action Française): in ogni modo essi sono sempre dei «fermenti» che continuano ad operare, in quanto rappresentano la lotta contro i gesuiti e il loro strapotere, lotta condotta anche oggi da elementi di destra e di sinistra, nell’apparente indifferenza della massa del clero e con risultati non trascurabili nella massa dei fedeli, che ignora queste lotte e il loro significato, ma appunto perciò non può raggiungere una mentalità unitaria e omogenea di base.

A queste forze interne, antagonistiche e clandestine o quasi, della Chiesa (per il modernismo la clandestinità è  indispensabile) conviene avere dei «centri» esterni pubblici, o con efficacia diretta sul pubblico, con periodici o edizioni di opuscoli e di libri. Tra i centri clandestini e quelli pubblici esistono collegamenti clandestini che diventano il canale delle ire, delle vendette, delle denunzie, delle insinuazioni perfide, dei pettegolezzi per tenere sempre viva la lotta contro i gesuiti (che hanno anche loro una organizzazione non ufficiale o addirittura clandestina, alla quale devono contribuire i così detti «gesuiti laici», curiosa istituzione forse copiata dai terziari francescani e che numericamente pare rappresentino circa 1/4 di tutte le forze gesuitiche: questa istituzione dei «gesuiti laici» merita di essere studiata con attenzione). Tutto ciò dimostra che la forza coesiva della Chiesa è molto minore di ciò che si pensa, non solo per il fatto che la crescente indifferenza della massa dei fedeli per le quistioni puramente religiose ed ecclesiastiche dà un valore molto relativo alla superficiale ed apparente omogeneità ideologica, ma per il fatto ben più grave che il centro ecclesiastico è impotente ad annientare le forze organizzate che lottano coscientemente nel seno della Chiesa. Specialmente la lotta contro il modernismo ha demoralizzato il giovane clero, che non esita a pronunziare il giuramento antimodernista pur continuando a conservare le sue opinioni. (Ricordare gli ambienti torinesi dei giovani ecclesiastici, anche domenicani, prima della guerra, e le loro deviazioni che andavano fino ad accogliere benevolmente le tendenze modernizzanti dell’islamismo e del buddismo e a concepire la religione come un sincretismo mondiale di tutte le religioni superiori: dio è come il sole, di cui le religioni sono i raggi e ogni raggio guida all’unico sole ecc.),

Da un articolo di padre Rosa (Risposta ad «Una polemica senza onestà e senza legge», nella «Civiltà Cattolica» del 21 luglio 1928) sono tolte queste indicazioni: Monsignor Benigni continua (nel 1928) ad avere una notevole organizzazione: una collezione intitolata Vérités è pubblicata a Parigi e vi appaiono le firme Récalde, Luc Verus, Simon: Luc Verus è lo pseudonimo collettivo degli «integrali». Il Rosa cita l’opuscolo Les découvertes du jésuite Rosa, successeur de Von Gerlach, Parigi, Linotypie G. Dosne, Rue Turgot 20, 1928, che attribuisce al Benigni almeno per il materiale. I gesuiti sono accusati di essere «amici dei massoni e dei giudei» (fa ricordare la «dottrina» di Ludendorff sull’«internazionale massonico‑giudeo‑gesuitica»), sono chiamati «demagoghi e rivoluzionari» ecc. A Roma il Benigni si serve dell’agenzia Urbs o Romana e firma le sue pubblicazioni col nome di suo nipote Mataloni. Il bollettino romano del Benigni si intitolava «Veritas» (esce ancora o fino a quando è uscito?) Il Benigni (nel 1928 o prima?) ha pubblicato un opuscolo Di fronte alla calunnia, di poche pagine, con documenti che concernono il Sodalizio Piano, opuscolo che è stato riprodotto in parte e difeso da due periodici cattolici: «Fede e Ragione» (di Firenze) e la «Liguria del Popolo» di Genova). Il Benigni diresse il periodico «Miscellanea di storia ecclesiastica».

L’opuscolo Una polemica senza onestà e senza legge contro il p. Rosa è del prof. E. Buonaiuti. Il Rosa parla del libro di Buonaiuti: Le Modernisme catholique (pubblicato collezione diretta da P. L. Couchaud, edito dal Rieder) e osserva che l’autore finalmente ammette una serie di fatti che avrebbe sempre negato durante la polemica modernista (per es. che il Buonaiuti fu l’autore della campagna modernistica del «Giornale d’Italia», ciò che veramente il Buonaiuti nel suo libro non dice esplicitamente, ma che si può dedurre come verosimile, data la tortuosità di questi scrittori). Il Benigni organizzò il servizio stampa contro i modernisti al tempo dell’Enciclica Pascendi. Nelle sue «Ricerche religiose» (luglio 1928, p. 335) il Buonaiuti racconta un episodio caratteristico (riportato dal p. Rosa con espressioni di biasimo ecc.). Nel 1909 il modernista prof. Antonino De Stefano (attualmente prete spretato e insegnante di storia all’Università) doveva pubblicare a Ginevra una «Revue moderniste internationale»: il Buonaiuti scrisse una lettera. A poche settimane di distanza è chiamato al Sant’Uffizio. L’assessore del tempo, il domenicano Pasqualigo, gli contestò parola per parola la lettera al Da Stefano. La lettera era stata trafugata a Ginevra; un emissario romano si era «traforato» in casa De Stefano ecc. (Naturalmente per il Buonaiuti, Benigni è stato uno strumento e un complice dei gesuiti, ma pare che nel 1904 il Buonaiuti abbia collaborato nella «Miscellanea» del Benigni).

Su questo argomento, Cattolici integrali - gesuiti ‑ modernisti che rappresentano le tre tendenze «organiche» del cattolicismo, cioè sono le forze che si contendono l’egemonia nella Chiesa romana, occorre raccogliere tutto il materiale e costruire una bibliografia. (La collezione della «Civiltà Cattolica», delle «Ricerche religiose» del Buonaiuti, «Miscellanea» del Benigni, le collezioni di opuscoli polemici delle tre correnti ecc.).

Da quanto si rileva dalla «Civiltà Cattolica» pare che «Fede e Ragione» sia oggi la rivista più importante dei cattolici integrali. Vedere quali ne sono i principali collaboratori e in quali punti si pone in contrasto coi gesuiti: se in punti riguardanti la fede, la morale, la politica ecc. Gli «integrali» sono forti nel complesso di qualche ordine religioso rivale dei gesuiti (domenicani, francescani): è da ricordare che neanche i gesuiti sono perfettamente omogenei: il cardinale Billot, integrale intransigente fino ad abbandonare la porpora, era gesuita, e gesuiti furono alcuni modernisti di grido come il Tyrrell.

L’articolo: L’equilibrio della verità tra gli estremi dell’errore, nella «Civiltà Cattolica» del 3 novembre 1928, prende lo spunto dalla pubblicazione di Nicolas Fontaine: Saint‑Siège, «Action Française», et «Catholiques intégraux», Parigi, Gamber, 1928, di cui, in nota, si dà questo giudizio: «L’autore è dominato da pregiudizi politici e liberali, massime quando vede la politica nella condanna dell’Action Française; ma i fatti e i documenti, da lui allegati, sul famoso “Sodalizio” non furono smentiti». Ora il Fontaine non ha pubblicato nulla di completamente inedito (i documenti del Fontaine sugli «integrali» erano stati pubblicati nell’aprile 1924 dal «Mouvement»); perché dunque i gesuiti non se ne sono serviti prima? La quistione è importante e pare possa essere risolta in questi termini: l’azione pontificia contro l’Action Française è l’aspetto più appariscente e risolutivo di un’azione più vasta per liquidare una serie di conseguenze della politica di Pio X (in Francia, ma indirettamente anche negli altri paesi), cioè Pio XI vuole limitare l’importanza dei cattolici integrali, apertamente reazionari e che rendono quasi impossibile in Francia l’organizzazione di una forte Azione Cattolica e di un partito democratico‑popolare che possa far la concorrenza ai radicali, senza però attaccarli di fronte. La lotta contro il modernismo aveva squilibrato troppo a destra il cattolicismo; occorre pertanto nuovamente «incentrarlo» nei gesuiti, cioè ridargli una forma politica duttile, senza irrigidimenti dottrinari, con una grande libertà di manovra ecc.; Pio XI è veramente il papa dei gesuiti.

Ma lottare contro i cattolici integrali su un fronte organico è molto più difficile che lottare contro i modernisti. La lotta contro l’Action Française offre un terreno ottimo; gli integrali sono combattuti non come tali, ma in quanto sostenitori di Maurras, cioè la lotta è in ordine sparso, contro singole persone che non obbediscono al papa, che ne intralciano la difesa della fede e della morale contro un ateo e un pagano confesso, mentre l’insieme della tendenza è ufficialmente ignorato. Ecco l’importanza capitale del libro del Fontaine, che mostra il nesso organico tra Maurras e l’«integrismo» e aiuta energicamente l’azione del papa e dei gesuiti (è da notare che il Fontaine a più riprese insiste presso i «laicisti» francesi sul fatto che gli integrali e non i gesuiti sono «antidemocratici», che i gesuiti, in realtà, aiutano la democrazia ecc.; chi è il Fontaine? è uno specialista di studi sulla politica religiosa? non potrebbe essere ispirato dagli stessi gesuiti?)

Questo articolo della «Civiltà Cattolica», scritto certo dal p. Rosa, è molto cauto nell’uso dei documenti ristampati dal Fontaine, evita di analizzare quelli che non solo screditano gli integrali, ma gettano un’ombra di comicità e di discredito su tutta la Chiesa (gli integrali avevano organizzato una vera società segreta con cifrari, in cui il papa è chiamato «la baronessa Michelina» e altre personalità con nomi altrettanto romanzeschi, ciò che mostra la mentalità del Benigni verso i suoi «gerarchi»).

Sulla quistione «di merito» della politica di Pio XI le conclusioni non sono facili, come mostra lo stesso corso di questa politica, corso incerto, timido, titubante per le immense difficoltà contro cui deve cozzare continuamente. Si è detto più volte che la Chiesa cattolica ha virtù di adattamento e di sviluppo inesauribili. Ciò non è molto esatto. Nella vita della Chiesa possono essere fissati alcuni punti decisivi: il primo è quello che si identifica con lo scisma tra Oriente e Occidente, di carattere territoriale, tra due civiltà storiche in contrasto, con scarsi elementi ideologici e culturali, che ha inizio con l’avvento dell’Impero di Carlo Magno, cioè con un rinnovato tentativo di egemonia politica culturale dell’Occidente sull’Oriente; lo scisma avviene in un periodo in cui le forze ecclesiastiche sono scarsamente organizzate e si approfondisce sempre più, automaticamente, per la forza stessa delle cose, impossibili a controllare come avviene di due persone che per decenni non hanno contatti e si allontanano una dall’altra fino a parlare due lingue diverse. Il secondo è quello della Riforma, che avviene in ben diverse condizioni e che se ha come risultato una separazione territoriale, ha specialmente un carattere culturale e determina la Controriforma, e le decisioni del Concilio di Trento che limitano enormemente le possibilità di adattamento della Chiesa Cattolica. Il terzo è quello della Rivoluzione francese (Riforma liberale‑democratica) che costringe ancor più la Chiesa a irrigidirsi e mummificarsi in un organismo assolutistico e formalistico di cui il papa è il capo nominale, con poteri teoricamente «autocratici», in verità molto scarsi perché tutto il sistema si regge solo per il suo irrigidimento da paralitico. Tutta la società in cui la Chiesa si muove e può evolvere, ha la tendenza a irrigidirsi, lasciando alla Chiesa scarse possibilità di adattamento, già scarse per la natura attuale della Chiesa stessa. L’irrompere di forme nuove di nazionalismo, che poi sono il termine finale del processo storico iniziatosi con Carlo Magno, cioè col primo rinascimento, rende non solo impossibile l’adattamento, ma difficile l’esistenza, come si vede nella Germania hitleriana. D’altronde il papa non può «scomunicare» la Germania hitleriana, deve talvolta persino appoggiarsi ad essa, e ciò rende impossibile ogni politica religiosa rettilinea, positiva, di un qualche vigore. Di fronte a fenomeni come l’hitlerismo, anche larghe concessioni al modernismo non avrebbero nessun significato ormai, ma solo aumenterebbero la confusione e l’imbroglio. Né è detto che in Francia le cose siano più allegre, perché proprio in Francia è stata creata la teoria di contrapporre la «religione della patria» a quella «romana» e si può supporre un incremento di nazionalismo patriottico, non di cosmopolitismo romano, Dall’articolo della «Civiltà Cattolica» del 3 novembre 1928 sono tratti questi spunti. Si accenna che anche in Italia Maurras ha trovato difensori tra i cattolici: si parla di «imitatori o fautori, palesi od occulti, ma del pari aberranti dalla pienezza della fede e della morale cattolica, o nella teoria o nella pratica, pure gridando e anche illudendosi di volerle difendere integralmente e meglio di qualsiasi altro». L’Action Française «avventò contro chi scrive queste righe (il p. Rosa) un cumulo di vilipendii e di calunnie incredibili (sic), fino a quelle insinuate ripetutamente di assassinii ed esecuzioni spietate di confratelli!» (è da vedere quando e come queste accuse furono fatte al p. Rosa; tra i gesuiti c’era un’ala integralista e favorevole al Maurras, con uomini di primo piano come il cardinale Billot, che fu uno dei principali compilatori dell’enciclica Pascendi e che rinunziò alla carica di cardinale, cosa rarissima nella storia della Chiesa, che dimostra l’ostinata pervicacia del Billot e la volontà risoluta del papa di superare ogni ostacolo nella lotta contro Maurras).

La «Revue internationale des sociétés secrètes», diretta dall’abbate Boulin, è «integrale» e accanita antigesuita; il Boulin è collegato a Benigni‑Mataloni e si serve di pseudonimi (Roger Duguet). L’Action Française e gli integrali si attaccano disperatamente a Pio X e pretendono di restare fedeli ai suoi insegnamenti (ciò che nello sviluppo della Chiesa sarebbe un bel precedente, perché ogni papa, morto, potrebbe offrire il terreno per organizzare una setta che si attacca a un suo particolare atteggiamento; gli «integrali» vogliono rimettere in onore il Sillabo di Pio IX: nella proposta dell’Action Française di avere un ecclesiastico per la cattedra del Sillabo nelle sue scuole, era contenuta un’abile provocazione, ma Pio XI non solo non vuole ridare attualità al Sillabo, ma cerca perfino di attenuare ed edulcorare l’enciclica Pascendi).

L’articolo della «Civiltà Cattolica» è veramente importante e occorrerà rivederlo per il caso di un approfondimento della quistione. Bisognerà vedere tutte le sfumature dei «distinguo» a proposito della massoneria, dell’antisemitismo, del nazionalismo, della democrazia ecc. Anche per i modernisti si distingue tra illusi, ecc., e si prende posizione contro l’antimodernismo del Benigni ecc.: «Tanto più che era da temere e non mancammo di farlo notare fino da quegli anni a chi di dovere, che siffatti metodi avrebbero fatto il gioco dei modernisti veri, preparando in futuro gravi danni alla Chiesa. Il che si vide poi, ed anche al presente si vede, nello spirito cattivo di reazione, non del vecchio modernismo solamente e del liberalismo, ma del nuovo altresì e dell’integralismo stesso. Questo mostrava allora di volersi opporre ad ogni forma o parvenza di modernismo, anzi presumeva essere, come suol dirsi, più papale del papa, ed invece ora con grave scandalo o gli resiste ipocritamente o apertamente lo combatte, come avviene tra i fautori rumorosi dell’Action Française in Francia e i silenziosi loro complici in Italia».

Gli integrali chiamano i gesuiti «modernizzanti» e «modernizzantismo» la loro tendenza: hanno diviso i cattolici in integrali e non integrali cioè «papali» ed «episcopali» (pare che l’enciclica di Benedetto XV Ad beatissimi abbia notato, biasimandola, questa tendenza a introdurre tali distinzioni tra i cattolici, che lederebbero la carità e l’unità dei fedeli).

La «Sapinière» (da S. P. iniziali del «Sodalizio Piano») era la società segreta che si nascondeva dietro il velo del «Sodalizio Piano», ed organizzò la lotta contro i gesuiti modernizzanti, «in tutto contrariamente alla prima idea ed al programma officiale proposto al Santo Pontefice Pio X, indi approvato dal Segretario della Concistoriale, non certamente perché servisse allo sfogo di passioni private, alla denuncia e diffamazione di integerrimi ed anche eminenti personaggi, di Vescovi e d’interi Ordini religiosi, nominatamente del nostro, che mai finora erasi veduto in balia a siffatte calunnie, neppure ai tempi della sua soppressione. Da ultimo poi, finita la guerra e molto più dopo lo scioglimento del “Sodalizio Piano” – decretato dalla Sacra Congregazione del Concilio, non certo a titolo di lode, ma di proibizione e di biasimo – fu promossa tutta a spese di un noto e ricchissimo finanziere Simon di Parigi e della sua larga consorteria, la pubblicazione e la prodiga diffusione gratuita di libelli i più ignominiosi e criticamente insipienti contro la Compagnia di Gesù, i suoi Santi, i suoi dottori e le sue opere e le sue costituzioni, pure solennemente approvate dalla Chiesa. È la nota collezione dei così detti “Récalde”, cresciuta già ad oltre una dozzina di libelli, alcuni di più volumi, in cui è troppo riconosciuta e non meno retribuita la parte dei complici romani. Essa viene ora rinforzata dalla pubblicazione sorella di foglietti diffamatori, i più farneticanti, sotto il titolo complessivo ed antifrastico di “Vérités”, emuli dei fogli gemelli dell’Agenzia Urbs ovvero Romana, i cui articoli ritornano poi talora, quasi a verbo, in altri fogli “periodici”».

Gli integrali sparsero «le peggiori calunnie» contro Benedetto XV, come si può vedere dall’articolo comparso alla morte di questo papa nella «Vieille France» (di Urbain Gohier) e nella «Ronda» (febbraio 1922), «anche questo (periodico) tutt’altro che cattolico e morale, ma onorato tuttavia dalla collaborazione di Umberto Benigni, il cui nome si trova registrato nella bella compagnia di quei giovani più o meno scapestrati». «Lo stesso spirito di diffamazione, continuato sotto il presente Pontificato, in mezzo alle file medesime dei cattolici, dei religiosi e del clero, non si può dire quanto abbia fatto di male nelle coscienze, quanto scandalo portatovi e quanta alienazione di animi, in Francia sopra tutto. Quivi infatti la passione politica induceva a credere più facilmente le calunnie, mandate spesso da Roma, dopo che i ricchi Simon e altri compari, di spirito gallicano e giornalistico (sic), ne spesarono gli autori e procurarono la diffusione gratuita dei loro libelli, massime degli antigesuitici sopra menzionati, nei seminari, nelle canoniche, nelle curie ecclesiastiche, ovunque fosse qualche probabilità o verosimiglianza che la calunnia potesse attecchire; ed anche fra laici, massime giovani, e degli stessi licei governativi, con una prodigalità senza esempio». Gli autori già sospetti si servono dell’anonimo o di pseudonimi. «È notorio, tra i giornalisti specialmente, quanto poco meriti qualsiasi titolo di onore un siffatto gruppo col suo principale ispiratore, il più astuto a nascondersi, ma il più colpevole e il più interessato nell’intrigo» (si riferisce al Benigni o a qualche altro pezzo grosso del Vaticano?)

Secondo il p. Rosa, tra l’Action Française e gli «integrali» non c’era inizialmente «accordo» ma esso si è venuto formando dopo il 1926; ma questa affermazione è certo fatta ad arte per escludere ogni movente politico (lotta contro gli ultrareazionari) dalla lotta contro l’Action Française e per diminuire le responsabilità di Pio X. Nell’ultima nota dell’articolo si dice: «Non si deve tuttavia confondere l’uno con l’altro partito, come taluno ha fatto, per es. Nicolas Fontaine nell’opera citata Saint‑Siège, “Action Française” et “Catholiques intégraux”. Questo autore, come notammo, è più che liberale, ma purtroppo (sic) informatissimo dei casi niente edificanti della menzionata società clandestina, detta della “Sapinière” e dei suoi fautori francesi ed italiani, ed in ciò è ridicolo rinfacciare il suo liberalismo: occorre smentire i fatti su cui riparleremo a suo tempo». In realtà il Fontaine mostra esaurientemente il nesso tra integrali e Action Française, anche se è possibile dire che si tratta di due partiti distinti, di cui uno tende a servirsi dell’altro, e mostra come tale nesso risalga a Pio X. È curioso quel «purtroppo informatissimo», perché il Fontaine si è servito di materiale di dominio pubblico, come è «curioso» che il p. Rosa, nella «Civiltà Cattolica» non abbia più «riparlato» della «Sapinière» (fino alla morte di Monsignor Benigni, che non è stato ricordato; ed è difficile pensare che ne parli ancora, a meno che al Benigni non succeda qualche altra forte personalità nella direzione degli integrali): questo silenzio ha il suo significato. L’articolo conclude: «Ma la verità non ha da temere: e per parte nostra, noi siamo ben risoluti a difenderla senza paura né trepidazione od esitanza, anche contro i nemici interni, siano pure ecclesiastici facoltosi e potenti, che hanno fuorviato i laici per trarli ai loro disegni e interessi».

Ricorda un viaggio del Benigni in America (di cui parla la «Civiltà Cattolica», 1927, iv, p. 399) per la distribuzione di libelli antigesuiti: a Roma ci sarebbe un deposito di più decine di migliaia di copie di questi libelli.

L’Action Française aveva a Roma un suo redattore, Havard de la Montagne, che dirigeva un settimanale in lingua francese «Rome» destinato specialmente ai cattolici francesi, religiosi o laici, residenti o di passaggio a Roma: era il portavoce degli integrali e dei maurrassiani, il centro del loro raccoglimento e del servizio di informazione dell’Action Française presso il Vaticano, non solo per le quistioni religiose, ma specialmente per quelle politiche francesi e internazionali di carattere riservato. Non bisogna dimenticare che il Vaticano ha un servizio d’informazioni talvolta e per certi argomenti più preciso, più largo e più abbondante di qualsiasi altro governo. Poter servirsi di questa fonte era per l’Action Française una ragione non delle minori di certi successi giornalistici e di molte campagne personali e scandalistiche. Pare che dopo la rottura del 1926, «Rome» sia deperito e poi morto.

Il caso dell’abate Turmel di Rennes. Nella raccolta di scritti su L’Enciclica Pascendi e il modernismo il p. Rosa (il libro è del 1908‑1909) dedica alcune pagine «gustosissime» (non per il garbo e le virtù stilistiche dell’autore, che è un pedestre scribacchiatore, molto più pedestre, incondito e rozzo del suo antagonista Buonaiuti che pure non scherza) al caso «straordinario» dell’abate Turmel, modernista, che scriveva libri modernisti e persino di carattere tutt’affatto ateistico sotto varii pseudonimi e poi li confutava col suo vero nome. Dal 1908 al 1929 il Turmel ha continuato nel suo gioco di pseudonimi finché, per un caso, l’autorità ecclesiastica ebbe le prove palmari di questa duplicità; ma queste prove non furono subito esibite per liquidare l’abate: fu prima dato incarico al prof. L. Saltet, dell’Istituto cattolico di Tolosa, di fare un’ampia dimostrazione filologico‑critico-teologica (nel «Bulletin de Littérature Ecclésiastique» di Tolosa) della paternità turmeliana di tutta una serie di scritti pubblicati con ben 14 pseudonimi, e poi il Turmel fu espulso dalla Chiesa. (Su questo argomento vedi altra nota, più oltre). (La quistione dell’anonimato e degli pseudonimi cui ricorrevano i modernisti per sfuggire alle misure immediate di repressione è trattata dal Buonaiuti nel suo libro del 1927 sul Modernismo Cattolico con qualche sofisma e con una certa imbarazzata reticenza. È certo che questa tattica da «politicante» nocque molto specialmente al Buonaiuti, che dagli «idealisti» della «Voce» fu presentato come una personalità quasi spregevole. La figura del Buonaiuti non perde, nonostante tutto, una certa sua aura di grandezza morale e di severità di carattere, se si pensa che egli è il solo che da più di 30 anni si è mantenuto nella sua posizione contro la Curia e i gesuiti, abbandonato da sostenitori e da amici, che o sono rientrati nell’ovile o sono passati decisamente nel campo laico. Né la sua attività è senza conseguenze per la Chiesa cattolica, se si tiene conto della diffusione dei suoi libri e del fatto che la Chiesa ripetute volte gli ha offerto dei compromessi).

Cfr l’articolo «La lunga crisi dell’Action Française» nella «Civiltà Cattolica» del 7 settembre 1929. Si loda il libro La trop longue crise de l’Action Française di Mons. Sagot du Vauroux, évêque d’Agen, Parigi, ed. Bloud, 1929, opera che «riuscirà utilissima anche agli stranieri, i quali non riescono a comprendere le origini e meno ancora la persistenza, congiunta a tanta ostinazione, degli aderenti cattolici che li acceca fino a farli vivere e morire senza sacramenti, piuttosto che rinunciare alle odiose esorbitanze di un loro partito e dei suoi dirigenti increduli». La «Civiltà Cattolica» cerca giustificarsi del fatto che non si occupa più spesso della polemica dell’Action Française e tra l’altro dice: «Oltre a ciò la prolungata crisi non tocca l’Italia se non per riverbero, ossia per una lontana (!?) concomitanza ed analogia, che essa potrebbe (!) avere con le tendenze generali paganeggianti dell’età moderna». (Questo maltusianismo polemico costituisce appunto la debolezza principale della posizione gesuitica contro l’Action Française ed è la causa maggiore del furore fanatico di Maurras e dei suoi seguaci: questi sono persuasi, non a torto, che il Vaticano fa su di loro una esperienza «in corpore vili», che essi hanno la funzione del ragazzo che, una volta, accompagnava il principe ereditario inglese e si pigliava le nerbate per conto del regale padrone; da ciò a far persuasi i seguaci di Maurras che l’assalto subìto è meramente politico, perché non universale che a parole, ci vuol poco. In verità il papa si è ben guardato, e così la «Civiltà Cattolica», di identificare e «punire» con le stesse sanzioni, negli altri paesi, gli elementi individuali o di gruppo che hanno le stesse tendenze di Maurras e non le nascondono).

Altre indicazioni di «cattolici integrali»: il Bloc antirévolutionnaire di Felix Lacointe, «degno amico del citato Boulin e dei suoi soci» (il Boulin dirige la «Revue Internationale des Sociétés secrètes»). Il Lacointe avrebbe pubblicato che il cardinale Rampolla era iscritto alla Massoneria o qualcosa di simile (al Rampolla si rimprovera la politica del ralliement fatta da Leone XIII; ricordare a proposito del Rampolla che il veto al Conclave contro la sua elezione al ponteficato fu fatto dall’Austria, ma per domanda di Zanardelli; sul Rampolla e la sua posizione verso lo Stato italiano offre elementi nuovi il Salata nel I° volume, e solo pubblicato, dei suoi Documenti diplomatici sulla questione romana).

Un elemento ideologico molto significativo del lavoro che i gesuiti esplicano in Francia per costituire una larga base popolare al movimento cattolico‑democratico è questo giudizio storico‑politico: Chi è responsabile dell’«apostasia» del popolo francese? Solo gli intellettuali democratico-rivoluzionari che si richiamavano al Rousseau? No. I più responsabili sono gli aristocratici e la grande borghesia che hanno civettato con Voltaire: «… le rivendicazioni tradizionali (dei monarchici) del ritorno all’antico sono pure rispettabili, quantunque inattuabili, nelle condizioni presenti. E sono inattuabili anzitutto per colpa di tanta parte dell’aristocrazia e borghesia di Francia, poiché dalla corruzione e dall’apostasia di questa classe dirigente fino al secolo XVIII originò la corruzione e l’apostasia della massa popolare in Francia, avverandosi anche allora che regis ad exemplum totus componitur orbis. Il Voltaire era l’idolo di quella parte dell’aristocrazia corrotta e corrompitrice del suo popolo, alla cui fede e costumatezza procurando scandalose seduzioni, essa scavava a se medesima la fossa. E sebbene poi al sorgere del Rousseau con la sua democrazia sovversiva in opposizione all’aristocrazia volterriana, si fecero opposizione teorica le due correnti dell’apostasia – come tra i due tristi corifei – che parevano muovere da contrari errori, confluirono in una stessa pratica ed esiziale conclusione: nell’ingrossare cioè il torrente rivoluzionario ecc. ecc.».

Così oggi: Maurras e C. sono avversari della democrazia alla Rousseau e delle «esagerazioni democratiche» («esagerazioni», si badi bene, solo «esagerazioni») del Sillon, ma sono discepoli e ammiratori di Voltaire (Jacques Bainville ha curato un’edizione di lusso degli scritti di Voltaire e i gesuiti non lo dimenticano). Su questo nesso storico-critico riguardante le origini dell’«apostasia» popolare in Francia la «Civiltà Cattolica» cita un articolo della «Croix» del 15‑16 agosto 1929: L’apostasie navrante de la masse populaire en France che si riferisce al libro: Pour faire l’avenir del P. Croizier dell’«Action populaire» edito nel 1929 dalle edizioni Spes di Parigi.

Tra i seguaci di Maurras e C. oltre ai conservatori e monarchici la «Civiltà Cattolica» (sulle tracce del vescovo di Agen) rileva altri quattro gruppi: 1) gli snobisti (attratti dalle doti letterarie, specialmente del Maurras); 2) gli adoratori della violenza e della maniera forte, «con le esagerazioni dell’autorità, spinta verso il dispotismo, sotto colore di resistenza allo spirito di insubordinazione o sovvertimento sociale, dell’età contemporanea»; 3) i «falsi mistici», «creduli a vaticinii di straordinarie ristaurazioni, di conversioni meravigliose o di provvidenziali missioni» assegnate proprio a Maurras e C. Questi, fin dal tempo di Pio X, «imperterriti», scusano l’incredulità di Maurras, imputandola «al difetto della grazia», «quasi che non fosse data a tutti la grazia sufficiente per la conversione, né fosse imputabile a chi vi resiste il cadere o il persistere nella colpa» (sarebbero questi, pertanto, semieretici, perché, a giustificare Maurras, ripetono le posizioni giansenistiche o calviniste. A questo proposito occorre spiegare la pervicacia di Maurras nel non volersi «convertire» cosa che non può essere solo dovuta alla «integrità e lealtà etica e intellettuale» e appunto perciò fa trepidare i gesuiti: essi comprendono che se il gruppo Maurras prendesse il potere statale, la situazione di fatto del cattolicismo in Francia diverrebbe più difficile dell’attuale. Fa meraviglia perciò l’atteggiamento del Vaticano verso lo hitlerismo, nonostante che Rosenberg avesse scritto il suo Mito prima della presa del potere: è vero che Rosenberg intellettualmente non è della statura di Maurras ma tutto il movimento hitleriano è intellettualmente basso e volgare ed era prevedibile ciò che poi è successo verso il cattolicismo e il cristianesimo).

Il quarto gruppo (il più pericoloso per la «Civiltà Cattolica») sarebbe composto dagli «integrali» (la «Civiltà Cattolica» osserva che il vescovo di Agen li chiama anche «integristi», «ma è notorio che essi non sono da confondere col partito politico, chiamato degli “integristi”, nella Spagna»). Questi «integrali», scrive la «Civiltà», «anche in Italia non mancarono di favorire i positivisti e increduli dell’Action Française solo perché violenti contro il liberalismo e altre forme di errori moderni senza avvertire che essi trascorrevano ad estremi opposti, del pari erronei e perniciosi ecc.». «Così abbiamo veduto, anche in Italia, qualche loro foglio accennare appena, come di volo, alla condanna dell’Action Française, in cambio di pubblicarne i documenti e illustrarne il senso e la ragione, indugiandosi invece sulla ristampa ed il commento della condanna del Sillon; quasi che i due moti fra loro opposti, ma del pari opposti alla dottrina cattolica, non potessero essere e non fossero egualmente riprovevoli. Cosa questa degna di nota, perché mentre quasi in ogni numero di siffatte pubblicazioni non manca qualche accusa o escandescenza contro autori cattolici, sembra che venga meno o lo spazio o la lena per una franca ed energica trattazione di condanna contro quelli dell’Action Française; anzi si ripetono spesso le calunnie, come quella di una pretesa piega a sinistra, ossia verso il liberalismo, popolarismo, falsa democrazia, contro chi non seguiva il loro modi procedere».

Nella corrente dei «cattolici integrali» bisogna mettere anche Henri Massis e il gruppo dei «difensisti dell’Occidente»; ricordare le frecciate del padre Rosa contro il Massis nella risposta alla lettera aperta di Ugo Ojetti).