Casa di bambole

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Casa di bambola (Et dukkehjem) è un testo teatrale scritto da Henrik Ibsen nel 1879.

Rappresentato la prima volta il 21 dicembre dello stesso anno a Copenaghen, è una pungente critica sui tradizionali ruoli dell'uomo e della donna nell'ambito del matrimonio durante l'epoca vittoriana. Ibsen, così scrisse nei suoi primi appunti per la commedia: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L'una non può comprendere l'altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo.».

Tra le tante rappresentazioni di questo spettacolo, resta memorabile quella che vide come protagonista l'intensa attrice russa Alla Nazimova, che interpretò per la prima volta lo spettacolo nel 1907. Nel 1922 sarebbe stata anche la protagonista della relativa trasposizione cinematografica. La Rai ha mandato in onda quattro edizioni della commedia, interpretate, nel ruolo di Nora, da Lilla Brignone, Giulia Lazzarini, nel 1968, Ottavia Piccolo e Micaela Esdra, nel 1986.

Il personaggio di Nora, protagonista dell'opera, fu ispirato da Laura Kieler (Tromsø, 1849 - Aalsgaarde, 1932), scrittrice e amica di Ibsen, protagonista di un celebre scandalo dell'epoca, molto simile alla vicenda narrata dal testo teatrale.


Trama

Sin dalle prime battute della commedia, l'impressione che si ha della protagonista femminile è quella di una donna che si comporta come una bambina capricciosa che gioca e si diverte tutto il giorno e si rabbuia per futili motivi come quando il marito le ordina di non mangiare dolci.

Il mutamento e la presa di coscienza di Nora avvengono improvvisamente quando finalmente capisce che suo marito non era in realtà quella nobile creatura che lei credeva che fosse. Nora comprende che il suo ruolo in quel matrimonio durato 8 anni, è stato quello di una semplice e bella marionetta costretta a vivere in una casa di bambola, come aveva d'altronde sempre fatto fin dalla nascita. Torvald la chiama incessantemente "allodola", considerandola alla stessa stregua di un animale domestico molto rumoroso e vivace; un vezzeggiativo da accollare al linguaggio del maschilismo più retrivo.

Nora è ricattata da Krogstad a causa di un prestito illecito che lei aveva contratto, falsificando la firma del padre, per salvare la vita di suo marito. Quando suo marito Torvald scopre il fatto, viene assalito dall'ansia e dal tormento di perdere la propria reputazione. Quest'angoscia annebbia ogni altro pensiero e, in preda alla disperazione, dichiara a Nora che allontanerà quella che ora egli considera un'indegna moglie dalla cura dei suoi figli, senza riconoscere che il gesto, anche se compromettente, era stato dettato dall'amore per lui.

Grazie all'intervento di un'amica di Nora, che dichiara a Krogstad di volersi sposare con lui, il ricatto che minacciava la famiglia della protagonista viene annullato. Torvald, appena appresa la felice notizia, prorompe esclamando "sono salvo!", e perdona all'istante sua moglie. Per Nora, però, la vita non può ritornare ad essere quella di prima: è troppo tardi. Tutte le sue illusioni sono state tradite e le sue certezze infrante. Ella decide, quindi, di abbandonare suo marito in cerca della sua vera identità e, come dice lei stessa a Torvald, per «...riflettere col mio cervello e rendermi chiaramente conto di tutte le cose».

L'autore descrive nei suoi appunti la sua decisione dicendo: «Depressa e confusa dalla sua fede nell'autorità, perde la sua fede nella sua correttezza morale e nella sua capacità di crescere i suoi figli. Una madre in una società contemporanea che proprio come certi insetti che fuggono e muoiono quando compiono i loro doveri nella propagazione della loro razza.»

Critica

«NORA: Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli... Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!
TORVALD: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme...
NORA: Guardami come sono: non posso essere tua moglie.
TORVALD: Ma io ho la forza di diventare un altro.
NORA: Forse, quando non avrai più la tua bambola. »
(Casa di bambola, Atto III. Traduzione di Lucio Chiavarelli.)

Alla sua uscita, il dramma di Ibsen suscitò scandalo e polemica essendo stato interpretato come esempio di femminismo estremo. Ibsen addirittura fu costretto a cambiare finale all'opera nella sua rappresentazione tedesca, poiché l'attrice che interpretava Nora si rifiutò di recitare la parte di una madre ritenuta da lei snaturata. Ibsen stesso dichiara il 3 gennaio 1880: «Casa di bambola ha sollevato una fortissima reazione; le frazioni si fronteggiano bellicose; l'intera grossa tiratura del libro, 8.000 esemplari, è andata esaurita nel giro di due settimane e si sta già preparando una ristampa. Oggetto della contesa non è il valore estetico del dramma, ma il problema morale che pone. Che da molte parti sarebbe stato contestato lo sapevo in anticipo; se il pubblico nordico fosse stato tanto evoluto da non sollevare dissensi sul problema, sarebbe stato superfluo scrivere l'opera.»

Per i vittoriani il legame del matrimonio era considerato sacrosanto e l'abbandono del marito da parte della moglie era inconcepibile e completamente inaccettabile. Lo stesso Torvald afferma: «Oh è rivoltante, così tradisci i tuoi più sacri doveri?» e con autorità proclama: «[Nora] Ma tu sei mia moglie, ora e per sempre!».

Il dramma di Nora, quello di una donna costretta a vivere in una società a cui non sente di appartenere perché la considera una mera bambola. La sua vicenda non è soltanto una polemica sulla condizione femminile del XIX secolo, ma rappresenta anche una testimonianza dell'insopprimibile anelito alla libertà e all'esaltazione della vita. Nora afferma di non capire queste leggi e di non riuscire a convincersi che siano giuste, poiché ella non è disposta a rinunciare a vivere. Tutte le leggi che le proibiscono di amare ed essere felice sono per lei solo parole scritte in qualche libro che rimangono tali. Prima di tutto, Nora vuole vivere pienamente e realizzarsi come persona, badando a sé stessa autonomamente senza essere mai più la bambola di qualche bambino viziato. «Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te... o meglio, voglio tentare di divenirlo.»

James Joyce scrisse su Fortnightly Review, 1900: «L'opera drammatica di Ibsen non polarizza sull'azione o sugli avvenimenti. Persino i personaggi, per quanto perfetti, non sono l'essenza delle sue opere. Ma il nudo dramma [...] è questo che attrae innanzitutto la nostra attenzione. Come base di tutte le sue opere, Ibsen ha scelto la vita di personaggi comuni nella loro verità senza compromessi. Ha abbandonato la forma in versi e non ha mai tentato di abbellire il suo lavoro secondo tecniche professionali.»