Filippo Caronti

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Felipe Caronti (anche noto come Filippo Caronti) (Como, 1813 – Bahía Blanca, 1883) è stato un ingegnere argentino di origine italiana che diede un grande apporto allo sviluppo della nuova città argentina di Bahía Blanca e che realizzó lavori topografici nella regione.

A causa della sua profonda fede repubblicana ed indipendentista, nel 1848 partecipò ai moti rivoluzionari contro gli austriaci nella città natale di Como. Condannato a morte, si rifugiò dapprima in Svizzera, a Zurigo, dove tesse strette relazioni con Giuseppe Mazzini, testimoniate anche dal rapporto epistolare tra i due. In seguito, nel 1855, a seguito del fallimento del progetto mazziniano di un’Italia repubblicana, si imbarcò su un vapore alla volta dell’Argentina che divenne la sua patria d’adozione. Fu quindi Capitán de Administración de la Legión Agrícola Militar, e poi colonnello dell’esercito argentino. Disegnò il secondo edificio della Cattedrale della città (antecedente all’attuale) e diresse la costruzione della prima scuola pubblica locale. Nel 1865 fece parte della nuova Comisión Municipal Bahiense. Divenne anche celebre perché realizzó le prime previsioni meteorologiche della provincia e studiò la distribuzione dell’acqua potabile. Gli fu dedicata una via a Bahia Blanca quando era ancora vivo, a testimonianza del prestigio conquistato. Alla sua morte, nel 1883, fu menzionato come "el hombre más importante de Bahía Blanca". Fu sepolto nel cimitero vecchio, l’attuale plaza Pellegrini. Uno de suoi figli, Luis Caronti, fu il secondo intendente municipale di Bahía Blanca nonché il primo nato sul posto. Volle anche lasciare una cospicua eredità personale ad alcune istituzioni benefiche della città. Nel febbraio del 2011 è stata ufficializzata dal parlamento regionale la richiesta che venga dichiarato solennemente “cittadino illustre” della regione bonairense.

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DBI

di Salvatore Candido

Nacque a Como l'8 luglio 1813 da Giosuè e da Bianca Peverelli. Studiò nella città natale, nel collegio Gallio, sotto la guida del padre Pagani, che seppe infondergli un ardente amore di patria e tanto interesse per gli studi umanistici, che malvolentieri il C. si piegò al volere del padre il quale voleva, invece, avviarlo alle attività commerciali.

Ebbe ad amici degli anni giovanili il marchese Gaspare Rosales, i fratelli Pietro e Luigi Giudici, Ignazio Tibaldi, Innocenzo Guaita, Pietro Maestri, nella cui casa di Milano prima del 1848 si radunava il gruppo per cospirare contro il governo austriaco. Anche il C. riuniva talvolta i compagni di fede in una sua villa di Torno, sul lago di Como. Non è documentata l'affiliazione del C. alla Giovine Italia, ma risulta assiduo lettore degli scritti di Mazzini.

Il 18 marzo 1848, quando giunse a Como la notizia che la capitale lombarda era insorta, si formarono subito tre compagnie di volontari, al comando del C., del Tibaldi e di Francesco Rezia; il giorno successivo il municipio chiamò alle armi tutti i cittadini validi. Sopraggiunti a sostegno del debole presidio i rinforzi austriaci, poiché i patrioti erano ancora impreparati a combattere, si giunse ad un accordo fra il municipio e le autorità militari per il mantenimto dell'ordine pubblico mediante pattuglie e corpi di guardia misti di militari e cittadini. Ma il 22marzo, essendo affluita a Como gente in armi dal Canton Ticino e dalla campagna, la tregua fu rotta e la guarnigione austriaca costretta a capitolare. Il C., che aveva preso parte all'azione, fu inviato a Milano dal governo provvisorio di Como per prendere contatti con le autorità rivoluzionarie; e perciò non seguì la colonna di millequattrocento uomini che, al comando di Ludovico Trotti e del ticinese Antonio Arcioni, marciò il 22 marzo su Milano e, poi, si spinse nel Tirolo. Pochi giorni dopo, il 25marzo, il C. e l'ingegner Leopoldo Respini furono inviati a Torino per chiedere armi e per discutere sulla sorte degli oltre duemila austriaci catturati durante la sommossa di Como e la marcia della colonna Trotti-Arcioni. La missione riuscì in parte ed i due inviati ottennero un migliaio di fucili. Ritornato a Como, il C. fu nominato membro del Comitato di guerra, che aveva sostituito il governo provvisorio e che si trasformò poi nel Comitato di difesa e di sicurezza. Egli promosse la costituzione di un corpo di carabinieri, di cui fu l'animatore; rifiutò il grado di capitano concessogli dal Comitato, ma lo accettò quando, poco prima di partire per la linea di combattimento, fu eletto a tale grado dalla truppa. Ai primi di agosto, il reparto raggiunse Garibaldi a Monza e, in quella occasione, il C. conobbe il Mazzini. Ma gli eventi precipitarono e la disfatta dell'esercito piemontese a Custoza e l'armistizio rendevano la situazione sempre più difficile e precaria. Forse perché consigliato dal C., Garibaldi marciò su Como deciso a difendere la città, ma molti cittadini si opposero ad una resistenza che sembrava inutile. Al C. non rimase che la via dell'esilio. Lo stesso giorno in cui Garibaldi scioglieva i corpi volontari (26 agosto) il C. passò con la famiglia in Svizzera e si rifugiò a Locarno e poi a Chiasso, ove fu colpito da una "terribile malattia" che lo ridusse in fin di vita. Guarito, passò a Mendrisio, ma, il 12 marzo 1849, il governo sardo denunciava l'armistizio e il 20 le truppe piemontesi ripassavano il Ticino; a Como si costituiva un Comitato di difesa e al C., chiamato a farne parte e subito accorso, era affidata la missione di presentarsi al quartier generale sardo per chiedere soccorsi e direttive. Egli giunse a Chivasso il 26 marzo quando già la guerra era conclusa, con la disfatta di Novara e l'abdicazione di Carlo Alberto. Il generale Chrzanowski gli confermava che ogni tentativo era inutile e gli raccomandava "di affrettare il suo ritorno onde prevenire quelle popolazioni che non si compromettessero inutilmente con insurrezioni che non poteano essere in nessun modo protette dall'esercito" (Camozzi, p. 130).

Crollate le ultime speranze, il C., dopo essere tornato a Como per riferire sull'esito della sua missione, riprese la via dell'esilio in Svizzera. Il suo nome non figura fra quelli degli amnistiati comaschi contenuti nella circolare n. 2715, del 2 sett. 1849, della Delegazione di polizia della città; ma il trattato del 9 genn. 1850 fra il governo austriaco e quello sardo comprendeva una vasta amnistia per i sudditi lombardi emigrati, per cui il C. poté rientrare a Como e riprendere le sue attività commerciali fino al 24 marzo 1851, quando, avvertito che la polizia austriaca si apprestava ad arrestarlo per la sua partecipazione ai moti mazziniani, riprendeva per la terza volta e definitivamente la via del lungo esilio che doveva protrarsi fino alla morte. Riparò a Chiasso, quindi a Capolago, a Lugano, a Mendrisio e a Zurigo, che fu l'ultima tappa del suo peregrinare europeo.

Ottenuta la cittadinanza svizzera, diede inizio a una vasta attività commerciale e bancaria; nella sua casa accolse e aiutò numerosi emigrati, fra cui Felice Orsini, Carlo De Cristoforis, Bernardino Sacchi, Maurizio Quadrio, Gaspare Rosales, lo stesso Mazzini, con cui strinse forti legami. Il 23 apr. 1855 Mazzini diede ad Emily Hawkes (Epistolario, XXXI, p. 170) notizia del disastro finanziario delle famiglie Caronti e Casati, che erano state costrette a lasciare la Svizzera per sfuggire ai creditori. Della triste vicenda che colpiva il C. troviamo l'eco nel diario dell'esule Pietro Cironi e nelle lettere, tuttora inedite, che da Zurigo inviava in quegli anni a G. B. Cuneo, residente a Buenos Aires, Filippo De Boni. Dal Cironi apprendiamo che il C. pensò al suicidio (Bibl. naz. di Firenze, Diario, 8 apr. 1855);dal Mazzini che egli nell'aprile trovavasi a Londra nell'attesa di imbarcarsi per il Sudamerica (Epistolario, XXXI, p. 193), dal De Boni che fra l'ottobre e il novembre aveva raggiunto Buenos Aires.

Quasi certamente il C. giunse a Buenos Aires il 22 ott. 1855, sulla stessa nave in cui viaggiava il patriota chietino colonnello Silvino Olivieri, appena liberato dalle carceri pontificie a condizione che ritornasse in Argentina, per la cui indipendenza aveva combattuto. Nella Legione agricolo-militare formata per incarico del governo argentino allo scopo di costituire, nella zona di Bahia Blanca, l'avamposto verso il Sud della penetrazione bianca in territorio indio e della colonizzazione. agricola, il C. doveva assumere, fin dal suo arrivo, una posizione di primo piano: ebbe, infatti, nel Consiglio di amministrazione il grado di capitano commissario, con il compito di convogliare verso Bahia Blanca uomini e materiali. La nuova colonia veniva chiamata con il nome augurale di Nuova Roma. Dopo la tragica fine dell'Olivieri (29 sett. 1856), il C. diresse l'inchiesta ordinata dal governo argentino e successivamente assunse i poteri civili nella colonia, proponendo per il comando militare un ex commilitone di Garibaldi, dal 1848 comandante della Legione italiana di Montevideo, il colonnello Antonio Susini.

Il C., con il grado di maggiore dell'esercito, promosse nella colonia una febbrile attività di sviluppo che spaziò dal campo edilizio (costruzione del molo, di una chiesa, della scuola, del poligono di tiro, di ponti, ecc.) a quello topografico e geografico (rilievi dei confini del dipartimento di Bahia Blanca e dell'altopiano della Sierra de las Ventanas, al tracciato della prima ferrovia per Buenos Aires), da quello meteorologico a quello agricolo e forestale (introduzione, per es., del pino marittimo). Anche in campo militare, nel maggio 1859, collaborando con il Susini, riuscì a respingere un attacco improvviso a Bahia Blanca effettuato da una banda di tremila indios. Fu socio di numerose istituzioni scientifiche, particolarmente argentine ed italiane, fra cui la Società geografica italiana e la Società meteorologica italiana, e rivestì anche la carica onorifica di agente consolare d'Italia.

Dalle sue nozze con Adele Casati nacquero tre figli, Juan, Felipe e Luis, quest'ultimo fu alto ufficiale dell'esercito argentino, giornalista e deputato.

Il C. morì a Bahia Blanca il 16 ott. 1883.