Carlyle Thomas

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Thomas Carlyle (Ecclefechan, 4 dicembre 1795 – Londra, 5 febbraio 1881) è stato uno storico, saggista e filosofo scozzese, uno dei più famosi critici del primo periodo vittoriano.

La vita e le opere

Proveniva da una famiglia strettamente calvinista, convinta che Carlyle sarebbe divenuto un predicatore. Durante i suoi studi all'Università di Edimburgo, egli ebbe però una grave crisi spirituale che gli fece riconsiderare i limiti della sua fede istituzionale. Del resto, i valori del calvinismo rimasero assai influenti sulla sua vita e sulla sua opera. Questa combinazione di temperamento religioso e di smarrimento della fede cristiana tradizionale fece in modo di attrarre l'attenzione di molti vittoriani sulla sua opera. Tutto il XIX secolo fu infatti attraversato da importanti rivoluzioni tecnologiche e da sconvolgimenti politici che favorirono la crisi dell'ordine sociale tradizionale. Un riflesso di questa situazione è ravvisabile nella stessa vita di Carlyle, il quale, in tarda età, prenderà posizione a favore dello schiavismo, vittima forse di un irrigidirsi del proprio pensiero, ormai distante tanto dal passato che egli stesso aveva contribuito a mettere in discussione, quanto dal futuro, altrettanto dimentico delle pulsioni spirituali a lui care.

Carlyle ricevette la prima educazione all'Accademia di Annan. Dopo l'università, divenne un insegnante di matematica, prima ad Annan, poi a Kirkcaldy. Qui egli divenne intimo amico del mistico Edward Irving. Tra il 1819 e il 1821, Carlyle ritornò all'Università di Edimburgo. Fu qui che incappò in un'intensa crisi spirituale, esperienza che egli elaborò nel materiale biografico concernente il Diogenes Teufelsdröckh di Sartor Resartus. Fu sempre qui che iniziò a interessarsi di letteratura tedesca: in particolare, è il trascendentalismo tedesco (soprattutto Fichte) che lo interessò. Nel 1826, Carlyle sposò Jane Welsh (1801-1866), la quale vantava, peraltro, una discendenza dal predicatore John Welsh.

I suoi scritti riflettono la disillusione con gli amari conflitti sociali che si affacciavano nel periodo della rivoluzione industriale. Criticò i suoi contemporanei attaccando il loro materialismo e il loro ottimismo nel progresso e proponendo il concetto di eroe (come i grandi uomini, quali Lutero, Dante, Shakespeare, Cromwell, Federico II di Prussia, ecc.) come il solo arbitro della bontà e della giustizia umana. In questo senso, la sua opera manifesta la sua affinità con il romanticismo tedesco in campo sia letterario che filosofico.

La sua ricerca culturale fu ripresa con essenziali cambiamenti da Ralph Waldo Emerson, che introdusse l'idea, radicalmente diversa e intimamente democratica, di 'uomini rappresentativi'.

Carlyle appartiene al tardo illuminismo scozzese, ma i suoi pamphlet, saggi e discorsi raggiungono una dimensione internazionale. D'altra parte, internazionale è anche la sua formazione: egli conosce a tal punto il pensiero tedesco moderno da potersi permettere una Life of Schiller e una traduzione del Wilhelm Meister di Goethe. Si stabilisce a Londra, ormai divenuta la capitale del mondo moderno, in cerca di un più vasto pubblico.

Il saggio Chartism del 1839 (l'anno prima del People's Charter) mette in guardia dalla crescente minaccia della lotta di classe affermando che "These Chartism, Radicalism, Reform Bill... are our French Revolution" e inquadrando "The condition of England Question" (il problema della condizione inglese). Past and present (1843) ribadisce l'idea vittoriana, d'origine medievale, di un passato stratificato e meno conflittuale e ammette che la rivoluzione industriale ha completamente stravolto società ed istituzioni.

Il grande trattato storico The french revolution del 1837 inizia con la morte di Luigi XV e con la descrizione delle carenze dell'ancien régime per arrivare fino a Napoleone e alla successiva perdita di controllo della situazione. L'autore utilizza anche documenti storici fino ad allora considerati marginali come lettere, articoli di giornale e pamphlet. Ancora una volta (come in Chartism) l'Inghilterra viene messa in guardia dagli sconvolgimenti sociali. Nello stile di Carlyle si sentono il ritmo biblico e il peso che hanno valori quali la sottomissione a Dio e l'impegno nel lavoro.

Nel saggio Gli eroi del 1841 definisce la storia come quella rappresentata dalle grandi personalità e si sofferma sullo studio delle manifestazioni di eroismo umano.

In seguito riafferma una dura critica nei confronti della società meccanica, alla quale ne contrappone, invece, una spirituale impregnata di volontà e valori morali. L'universo non è un bazar ma il tempio dello spirito. La scienza non è in grado di spiegare i fondamentali quesiti del mondo e nemmeno di porsi come chiave di accesso alle conoscenze e ai misteri. La materia esiste solo per lo spirito, e rappresenta la parte esteriore delle idee. Gli eroi sono gli strumenti della provvidenza divina che governa la storia, e grazie alla loro azione l'umanità lascia una traccia di sé ai posteri.

Fortuna

Per quanto si riconosca che Carlyle è stato uno dei maggiori pensatori del XIX secolo, a oscurare la sua fortuna postuma hanno concorso due fattori fondamentali: innanzitutto, le posizioni razziste da lui assunte nelle ultime opere e, in secondo luogo, la passione che Adolf Hitler nutriva per la biografia scritta da Carlyle su Federico II di Prussia. È stato dunque facile legare il suo nome ad un pensiero severo e intollerante (si veda anche la riflessione sugli eroi, che tanto influenzerà Emerson, non a sproposito associata al superomismo successivo), per quanto sia vero che le posizioni espresse, ad esempio, nel Sartor Resartus lasciano intendere, piuttosto, una sensibilità solipsistica dell'uomo superiore di fronte alla legge. 

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La Teoria del grande uomo

La Teoria del grande uomo è una congettura volta a spiegare la storia come effetto dell'azione dei "grandi uomini" o eroi: soggetti di grande autorevolezza che, grazie al loro carisma, intelligenza e saggezza, o al loro machiavellismo, hanno usato il loro potere in un modo tale da lasciare una decisiva impronta storica.

Per esemplificare questa dottrina, uno studioso che vi aderisse cercherebbe probabilmente di illustrare la seconda guerra mondiale concentrandosi sui leader del tempo, Winston Churchill, Adolf Hitler, Benito Mussolini, Franklin Delano Roosevelt, Stalin, Hideki Tojo, dalle cui decisioni ed ordini dovrebbe dipendere qualunque evento del grande conflitto.

Fautori
   
«Non si comprese mai, che la forza di un partito politico non si trova nella grande e singola intelligenza nei componenti ma in una ordinata subordinazione dei componenti verso il comando intellettuale. Ciò che decide è la medesima direzione.
Se due eserciti combattono, non trionferà quello dove ogni componente ha la più elevata cultura militare, ma quello che ha un comando più forte e contemporaneamente la truppa più obbediente e resa più abile. »
    (Adolf Hitler, Mein Kampf, 1925)

La teoria del grande uomo è di solito associata alla figura dello storico e commentatore del XIX secolo Thomas Carlyle, che affermò: "La storia del mondo non è altro che la biografia dei grandi uomini", proposizione che rifletteva il suo convincimento secondo cui gli eroi forgiano la storia con le loro eccezionali attitudini, ma anche con l'ispirazione divina. Nel suo On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History ("Sugli eroi, il culto degli eroi e l'eroico nella storia"), Carlyle precisa questa sua visione eroica della storia, analizzando dettagliatamente l'influenza espressa da vari personaggi, tra cui Maometto, Shakespeare, Lutero, Rousseau e Napoleone. Secondo Carlyle, lo studio dei grandi uomini era "profittevole" per scoprire il lato eroico in ciascun individuo; ossia, con queste riflessioni, anche l'uomo comune poteva non tanto favorire, quanto piuttosto disvelare qualche aspetto sublime della propria natura.

Questa teoria è normalmente contrastata da una teoria che concepisce eventi che accadono nella pienezza del tempo, o quando un'irresistibile ondata di eventi più piccoli provoca l'accadimento di certi sviluppi. L'approccio alla storia "in chiave di grande uomo" era assai in voga tra gli storici di mestiere nel XIX secolo; un'opera di successo presso il grande pubblico, che ben rappresenta questa scuola di pensiero, è la Encyclopædia Britannica Eleventh Edition (1911), che racchiude ricche e dettagliate biografie dei grandi della storia, ma pochissime storie generali o sociali. Ad esempio, tutte le informazioni su quella parte di storia europea successiva alla caduta di Roma che va sotto il nome di Invasioni barbariche, sono contenute nella biografia di Attila. Questa visione eroica della storia era fortemente sostenuta da pensatori quali Hegel e Spengler, ma cadde in disgrazia dopo la seconda guerra mondiale.

Critiche

Una delle critiche più aspre della formulazione della teoria del grande uomo proposta da Carlyle fu quella di Herbert Spencer, che riteneva che attribuire gli eventi storici alle decisioni di qualche individuo fosse una posizione sconfortantemente primitiva, puerile e non scientifica. Credeva che gli uomini che secondo Carlyle erano "grandi" fossero semplicemente i prodotti del loro ambiente sociale; al proposito, scrisse:
   
« Si deve ammettere che la genesi del grande uomo dipende dalla lunga serie di complesse influenze che ha prodotto la razza in cui egli appare, e lo stato sociale in cui quella razza è lentamente cresciuta… Prima che egli possa rifare la sua società, la sua società deve fare lui. »
    (The Study of Sociology, 1896)

Gli editori dell'autorevole Encyclopédie francese del Settecento erano ideologicamente contrari alle biografie: a loro parere, erano già stati versati troppi fiumi d'inchiostro sulle agiografie di padri della chiesa e sulle gesta di sovrani, mentre non si parlava abbastanza dell'uomo medio, o della vita in generale. Con questo intendimento, la Encyclopédie era quasi priva di biografie. Tuttavia, non vi era accordo su questo appunto tra gli enciclopedisti, perciò alcune biografie sono state "occultate" in altre voci; ad esempio, la voce su Wolstrope (Inghilterra) riguarda quasi interamente la vita di Newton.

Un altro oppositore notorio della dottrina discussa in questa voce era Lev Nikolaevič Tolstoj, che dedicò l'intera apertura (un brano effettivamente poco consono ad un romanzo, ma molto di più assimilabile ad un saggio) del terzo volume di Guerra e pace alla relativa confutazione, assumendo le guerre napoleoniche quale esempio esplicativo della tesi.

Nella cultura contemporanea la teoria del grande uomo, come spiegazione singolare di perché avvengono i fatti, non gode di particolare favore. Gli storici per lo più ritengono che altri fattori - economia, società, ambiente, tecnologia - siano altrettanto importanti (o più importanti) dell'azione dei grandi uomini nell'influire sulla storia. Molti storici pensano che una storia che gravita solo su singole persone, specie quando la loro importanza è connessa principalmente alla loro condizione sociale, rappresenti una visione angusta della storia, che può non tener alcun conto di interi gruppi sociali quali protagonisti storici. L'approccio detto "storia popolare" offre una visione storiografica più ampia.

La critica si è allargata ad altri campi, quali la critica letteraria, nel cui ambito il New Historicism (Nuovo storicismo) di Stephen Greenblatt afferma che le società — e non soltanto gli autori — giocano un ruolo nella produzione artistica. Anche il romanzo Delitto e castigo contiene critiche alla teoria del grande uomo.

Nietzsche critico di Carlyle

Una critica della teoria di Carlyle, quella di Friedrich Nietzsche, merita di essere trattata separatamente, in quanto spesso si è portati a credere, per motivi plausibili, che ci siano delle affinità di vedute tra la filosofia di Carlyle e quella nietzscheana dell'oltreuomo (Übermensch; "superuomo" secondo altre traduzioni) e della morale aristocratica. Tuttavia, ad un'attenta e completa lettura, le cose possono apparire diversamente. Vale la pena, dunque, di riportare alcune citazioni di Nietzsche nei riguardi di Carlyle:
   
« La parola «superuomo», che designa un tipo ben riuscito al massimo grado, in contrapposizione all'uomo «moderno», all'uomo «buono», ai cristiani e altri nichilisti [...] è stata intesa quasi ovunque, con totale innocenza, nel senso proprio di quegli stessi valori il cui opposto si è manifestato nella figura di Zarathustra, cioè come tipo «idealistico» di una specie superiore di uomo, mezzo «santo», mezzo «genio» ... Altri dotti bestioni mi hanno sospettato per questo di darwinismo; hanno persino trovato segni di quel «culto degli eroi», da me così duramente respinto, di quel grande falsario inconsapevole e involontario, Carlyle. »
    (Ecce Homo, 1888)
   
« Ho letto la vita di Thomas Carlyle, questa farsa inconsapevole e involontaria, questa interpretazione eroico-morale di stati dispeptici. - Carlyle, un uomo dalle parole e dagli atteggiamenti vigorosi, un retore per necessità, costantemente punzecchiato dal desiderio di una fede robusta e dal sentimento della propria incapacità a conseguirla (- in questo un tipico romantico!). Il desiderio di una fede robusta non è la prova di una fede robusta, ma piuttosto il contrario. [...] Carlyle stordisce qualcosa in se stesso con il fortissimo della sua adorazione per gli uomini di fede robusta e con il suo furore contro i meno sempliciotti: gli è necessario lo strepito. »
    (Il crepuscolo degli idoli, 1889)

Interessante è l'aforisma 298 di Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881), Il culto degli eroi e i suoi fanatici, dedicato esclusivamente, come da titolo, a questo tema.