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Generale e scrittore militare italiano (Napoli 1880 - Roma 1954).
Si segnalò nella guerra libica e in quella contro l'Austria; diresse le scuole militari centrali e la Rivista d'artiglieria e genio; comandante di armate (4a, poi 5a) nella seconda guerra mondiale, aiutante di campo onorario del re. Scrisse, fra l'altro: Come combatte l'artiglieria (1924), Sintesi politico-militare della guerra mondiale 1914-18 (1930), E poi? La tragedia dell'esercito italiano (1947), Sette carceri di un generale (1947).
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DBI
di Mario Barsali
Nato a Napoli il 26 febbr. 1880 da Francesco, professore di
storia, e da Maria Corbo, uscì sottotenente d'artiglieria
dall'Accademia militare di Torino nel 1899. Superati i corsi della
scuola di guerra (1904-1907), dal dicembre 1908 fu in servizio di
Stato Maggiore presso il comando del IX corpo d'armata. Capitano
nell'aprile 1911, con la guerra italo-turca partì il 9
ottobre per Tripoli, guadagnandosi subito una medaglia d'argento
(Messri, 23 ottobre); assegnato presso il comando del corpo di
spedizione alla direzione dell'Ufficio stampa e censura,
rientrò in Italia nel luglio 1913 decorato anche della croce
di cavaliere dell'Ordine mauriziano. Dopo aver seguito nel 1914 il
corso della scuola centrale di fortezza nel febbraio 1915 era
trasferito nel corpo di Stato Maggiore.
Alla dichiarazione di guerra all'Austria raggiunse il fronte presso
il comando della 29a divisione; promosso maggiore nel novembre,
comandò dapprima il 12º, poi (dal maggio 1916)
l'85º gruppo d'artiglieria d'assedio. Tenente colonnello nel
febbraio 1917, passò alla 53a divisione fanteria come capo di
Stato Maggiore, e il 25 maggio, durante la decima battaglia
dell'Isonzo, in un'azione sul monte Vodice restò gravemente
ferito, ottenendo una seconda medaglia d'argento. Rientrò
dalla convalescenza il 15 ottobre presso la direzione truppe
dell'intendenza della 2a armata, che pochi giorni dopo era dissolta
dalla rotta di Caporetto, sicché il 26 novembre il C. era
destinato presso il comando della 5a armata neocostituita a
sostituirla. In forza nel gennaio 1918 alla divisione territoriale
di Roma, e promosso nell'aprile colonnello per meriti eccezionali,
dal luglio di quell'anno fino al febbraio 1920 fu addetto militare
presso la legazione di Atene e capo dell'Ufficio informazioni
interalleato. Al rientro in Italia era nominato aiutante di campo
onorario del re.
Assegnato dal maggio 1921 alla Scuola centrale d'applicazione
d'artiglieria (stamperà a Roma nel 1924 Come combatte
l'artiglieria), il C. fu tra i molti ufficiali che - sia per
fedeltà monarchica sia per orientamento nazionalistico - non
videro con avversione l'avvento al potere del fascismo, non solo
perché restauratore e garante dell'ordine costituito e
dell'autorità dello Stato, ma anche perché come
"rivendicatore della vittoria", assicurava il potenziamento delle
forze armate. Direttore, dall'aprile 1923 al gennaio 1926, della
Rivista d'artiglieria e genio, volle farne, in accordo con l'allora
ministro della guerra A. Diaz e col capo di Stato Maggiore P.
Badoglio, un organo di rafforzamento teorico e tecnico dell'arma e
dell'esercito. E sulla rivista pubblicò, a partire dal '22,
numerosi articoli specialmente sull'impiego dell'artiglieria.
Questi articoli di scienza militare del C. si inquadrano in quel
fervore di studi che, reagendo all'esperienza della recente guerra,
dove il conflitto aveva avuto attuazioni sostanzialmente statiche,
tendevano ad una ripresa delle concezioni dinamiche della lotta, ed
esaminavano i provvedimenti che ne sarebbero conseguiti nell'impiego
delle varie armi e nel funzionamento dei servizi. Frutto appunto di
questo nuovo corso che dava un posto preminente alla guerra di
movimento ed esaltava l'azione offensiva, furono i Criteri d'impiego
della divisione di fanteria nel combattimento (ediz. 1926) e le
Norme generali per l'impiego delle grandi unità e le Norme
per l'impiego tattico della divisione (ediz. 1928).
Da un punto di vista però più ampio, è proprio
quel fervore di studi teorici e tecnici che si venne intensificando
progressivamente dal 1919, col suo carattere di discorso "per
addetti" e coi suoi punti d'arrivo, ad attestare il costituirsi di
una scelta politica non avversa al fascismo da parte dell'alta
gerarchia militare. Con l'armistizio e la pace, infatti, il problema
urgente della smobilitazione comportava non solo l'alleggerimento di
tutta l'attrezzatura di guerra, ma anche l'adeguamento delle forze
armate alle richieste politico-sociali ed alle esigenze
economico-finanziarie del paese. Ciò finiva per implicare,
però, uno scontro in merito allo scopo ultimo delle forze
armate (che fino ad allora avevano mirato all'esaltazione di una
potenza bellica nazionale connessa alla garanzia dell'ordine sociale
costituito) e alla autonomia di direzione e di controllo (che l'alta
gerarchia militare aveva goduto a svantaggio del controllo del
potere politico).
Effetto dello scontro fu il susseguirsi, tra il '19 e il '21, di due
decreti (Albricci e Bonomi) e di un progetto di legge (Gasparotto)
di nuovo ordinamento dell'esercito, e dei lavori di un'apposita
commissione parlamentare. La struttura invece dell'ordinamento Diaz
(1923), con ulteriori ritocchi studiati dallo Stato Maggiore,
sarà la base sostanziale di quel complesso di leggi (11 marzo
1926) che costituirono il cosiddetto "statuto dell'esercito", e che
riconobbero alle forze armate autonomia di direzione e conferma dei
fini tradizionali.
Dopo aver comandato nel 1926 prima il 13º poi il 7º
pesante campale, nel luglio 1928 il C., passato nel corpo di Stato
Maggiore, fu nominato insegnante di storia e arte militare nella
Scuola di guerra, incarico da cui cessò nel settembre 1931
per la sua promozione a generale di brigata.
Del C., che aveva edito a Roma nel 1925 il saggio su L'intervento
della Grecia nella guerra mondiale e l'opera della diplomazia
alleata, con prefazione di E. Corradini, usciva nel 1928 ancora a
Roma lo studio su Bligny, Ardre,Chemin des Dames, poi nel 1929 a
Milano quello su Le truppe italiane in Francia (Il 2º corpo
d'armata. Le T.A.I.F.), volume ancora essenziale sulla
partecipazione italiana al fronte francese. Sempre sul periodo
bellico 1914-18 pubblicò, oltre a vari articoli e saggi,
Sintesi polit. milit. della guerra mondiale 1914-18, Torino 1930 (2
ed., Torino 1940; tradotta in francese, spagnolo, russo e bulgaro);
L'Italia e i suoi alleati nella grande guerra, Milano 1932; L'Italia
nella guerra mondiale, Roma 1935 (trad. in tedesco, francese e
inglese, Roma 1937).
Dopo essere stato ispettore di mobilitazione della divisione
territoriale di Messina, col 1º genn. 1933 fu nominato
comandante dell'artiglieria in Sicilia. Promosso generale di
divisione il 30 sett. 1934 e destinato al ministero per incarichi
speciali, nel dicembre prese il comando della 5a divisione fanteria
"Cacciatori delle Alpi" (Perugia), poi col 1º ott. 1935 il
comando della 1a divisione celere "Eugenio di Savoia" (Udine),
rientrando infine a metà dicembre dell'anno 1936 al ministero
con incarichi speciali.
Nell'aprile '37 era istituito in Libia il comando supremo delle
forze armate dell'Africa settentrionale, e dall'Italia venivano
inviati il XX e il XXI corpo d'armata, che dovettero essere
organizzati per le esigenze di guerra della zona anche attraverso
l'esperienza di grandi manovre (maggio-giugno 1938). Il
rafforzamento militare era però ancora in crisi di
preparazione quando il C., promosso generale di corpo d'armata il
1º genn. 1938, lasciava, il 30 nov. 1939, il comando del XXI
corpo, dislocato in Cirenaica, che dirigeva dall'ottobre '37.
Negli anni '30, durante i quali aveva iniziato l'attività di
alto dirigente, il C. si trovò ad operare in un quadro
militare caratterizzato dal divario tra le linee della politica
estera fascista, e quelle dello sviluppo dottrinale e organizzativo
dell'esercito che degli obiettivi di quella stessa politica avrebbe
dovuto essere l'estremo mezzo di realizzazione. Mentre le Direttive
per l'impiego delle grandi unità (ediz. 1935) fissavano il
concetto della guerra di movimento, in cui e la battaglia si vince a
colpi di divisione e la manovra offensiva punta sulla sorpresa, il
vecchio binomio operativo artiglieria-fanteria si modificava, con le
Norme per il combattimento della divisione (ediz. 1936), nel
concetto che "la fanteria è lo strumento principale e
decisivo della lotta" in quanto è il movimento. Si apriva il
problema di ammodernare ed accrescere l'armamento, ed era ovvio il
principio che "senza scorte non si fa guerra di movimento". Intanto
però proprio il tipo dinamico di guerra attuato in Etiopia
metteva in crisi le dotazioni e le scorte metropolitane, rivelando
l'insufficienza della produzione bellica. Ancor più
contraddittoria diventava in seguito la gestione aggressiva della
politica estera riguardo all'insufficienza e alla organizzatone
produttiva bellica. Mentre l'ordinamento Pariani (1938) portava alla
divisione binaria, di ridotta capacità difensiva ma con
compiti di colonna d'urto e penetrazione (la manovra diventando
compito del corpo d'armata e dell'armata), e di conseguenza
l'Addestramento della fanteria (ediz. 1939), in un quadro di guerra
di rapido corso, valorizzava al massimo la fanteria come binomio
fuoco-movimento e come elemento decisivo della lotta, l'impiego di
mezzi e di scorte richiesto dall'intervento in Spagna e
dall'occupazione dell'Albania, sommandosi alla nuova e più
ampia dotazione di armi e materiali necessaria proprio col nuovo
ordinamento, apriva un incolmabile divario tra teoria e
addestramento tattico da un lato, e concrete possibilità
operative dall'altro. Al momento della dichiarazione di guerra,
"delle 73 divisioni mobilitate, solo 19 risultavano effettivamente
complete; 34 (comprese quelle libiche) risultavano efficienti ma
incomplete, e 20 poco efficienti" (cioè: "60% del personale,
50% quadrupedi e automezzi, e deficienze varie nelle dotazioni e
nelle armi": L'esercito ital., p. 150).
Rientrato il 1º dic. 1939 per incarichi speciali al ministero,
dall'11 giugno 1940 il C. fu ispettore, poi dall'ottobre ispettore,
superiore dei servizi tecnici (armi e munizioni, genio,
motorizzazione). Nominato nel dicembre 1940 comandante designato
d'armata ed assunta la guida della 4a armata (gruppo d'armate
ovest), dall'aprile 1941 all'aprile 1942 fu a disposizione del capo
di Stato Maggiore dell'esercito per incarichi speciali (tra cui, dal
17 apr. al 14 ag. 1941, il comando della 5a armata sul fronte
dell'Africa settentrionale). Prese poi il comando della 5a armata
riorganizzata sul territorio metropolitano - nel novembre 1942 era
promosso generale d'armata - che tenne fino allo sbandamento seguito
all'armistizio.
Il 25 luglio 1943 le forze alle dipendenze del C. erano: il II
(divisione "Ravenna", e 215a, e 216a divisioni costiere), il XVI
(divisioni "Rovigo" e "Alpi Graie") e il XVII corpo d'armata
(divisioni "Piacenza", "Re", "Lupi di Toscana", 220a e 221a costier,
XXXIV brigata costiera) che però dipendeva sia dall'armata
per la difesa costiera, sia direttamente dallo Stato Maggiore
dell'esercito per la difesa di Roma. I compiti del C. erano la
difesa della Toscana e dell'alto Lazio, e la difesa della base
navale della Spezia dove il XVI corpo d'armata fu concentrato al
primi d'agosto in concomitanza con la preparazione della missione
Castellano a Lisbona. A metà agosto il C. ricevette il
preavviso segretissimo, poi la Mem. Op. 44 preparata alla fine del
mese per la resistenza attiva ai Tedeschi; ma oggettive
difficoltà (il controllo tedesco sulle informazioni,
l'impossibilità di precoordinare manovra e resistenza tra le
grandi unità, predominio di potenza dei Tedeschi, e
specialmente la fuga dei capi di Stato Maggiore che causò la
cessazione del centro operativo del Comando supremo, determinarono
quello sfacelo dell'8 settembre cui il C. cercò di reagire
con energia.
Già il 17 agosto il C. aveva impedito l'ingresso di due
divisioni tedesche a La Spezia; concessa l'autorizzazione
personalmente dal capo di Stato Maggiore Generale, V. Ambrosio, il 2
settembre il C., con l'appoggio del capo di Stato Maggiore
dell'esercito M. Roatta da cui dipendeva, si oppose facendo
schierare il XVI corpo d'armata. I Tedeschi ottennero il permesso di
transito nella notte dell'8 settembre; mentre ormai la flotta aveva
potuto salpare, le truppe del corpo d'armata riuscirono a resistere
fino all'11 settembre. Altri reparti dell'armata, tra il 9 e l'11
settembre, resistettero a Chiusi, Abbadia San Salvatore,
Piancastagnaio, Radicofani; scontri armati avvennero a
Civitavecchia, Orbetello, Piombino, Marina di Massa, Viareggio.
Spostatosi poi col comando da Orte a Firenze, il C. cercò di
organizzare la difesa della città.
Giunto a Roma la sera del 12 settembre, il C. si mise a disposizione
del maresciallo E. Caviglia e del comando della città aperta;
il 24 sfuggì fortunosamente alla cattura degli ufficiali
ancora presenti al ministero della Guerra. Fedele al suo giuramento
al re, dopo aver tentato contatti con politici antifascisti per
dirigere la resistenza civile, l'8 novembre si rifugiò nel
convento di S. Sebastiano sull'Appia, rimanendo in rapporto col
colonnello Montezemolo. Arrestato dalla banda di P. Koch - i
giornali del 5 genn. 1944 riportarono la notizia - fu trovato in
possesso del memoriale poi stampato col titolo E poi? La tragedia
dell'esercito italiano (Roma 1947).
Sottoposto al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, dopo la
prigionia a Roma, Firenze, Verona e Venezia, fu processato a Brescia
("processo dei generali") e fu condannato alla fucilazione,
commutata in 15 anni di carcere. Liberato il 25 apr. 1945
dall'insurrezione partigiana, il C. fu collocato nella riserva nel
giugno 1945, ed in congedo assoluto nell'agosto 1947; in quello
stesso anno apparve a Roma Sette carceri di un generale.
Morì a Roma il 22 dic. 1954.