Calvinismo


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Complesso delle dottrine teologiche formulate da G. Calvino; l’organizzazione ecclesiastica a esse conforme (presbiterianesimo); in senso esteso, l’insieme delle confessioni cristiane che adottano questa organizzazione e accolgono tali dottrine in varia misura. La teologia calvinista condivide alcune tesi del luteranesimo (la Scrittura come unica regola di fede, la negazione del libero arbitrio, la giustificazione per fede senza le opere), fondendole con le dottrine elaborate da Calvino nel 1536 nella Christianae religionis institutio, che fanno perno sulla doppia predestinazione: dopo il peccato di Adamo, solo la fede può salvare l’uomo; ma la fede è un dono gratuito di Dio, elezione indipendente da ogni merito umano: alcuni uomini sono destinati alla gloria eterna, altri alla dannazione. A questa concezione dei rapporti tra Dio e uomo si connette la dottrina della Chiesa e dello Stato. Per il c. la Chiesa è la comunità invisibile degli eletti, ma ciò non toglie valore all’organizzazione delle singole Chiese locali. L’organizzazione civile – necessaria e voluta da Dio, anche quando si manifesta in forme tiranniche – si fonda sul rispetto dell’autorità (che non contrasta con l’interiore libertà del cristianesimo) e sulla fedeltà alla propria «vocazione», cioè al posto che a ciascuno compete nella società; nel complesso l’autorità civile viene subordinata all’autorità ecclesiastica, in contrasto con la posizione luterana. Per quanto riguarda i sacramenti, il c. ammette solo il battesimo e la cena eucaristica, escludendo per questa sia la transustanziazione sia qualunque dottrina che implichi presenza reale, e considerando il pane come un simbolo in cui si realizza l’unione dei fedeli che partecipano al corpo di Cristo. Dopo numerose controversie teologiche sulla dottrina della predestinazione nei secc. 16° e 17°, la Formula consensus helvetica (1676) condannò ogni tentativo di distacco dal rigido c. tradizionale e ribadì la teoria dell’ispirazione letterale assoluta della Bibbia, condannando così ogni tentativo di critica storica e filologica.

La diffusione del c. in Europa fu rapida. In Svizzera si sovrappose alla tradizione zwingliana (Confessio helvetica posterior, 1566). Dalla roccaforte di Ginevra il c. si propagò in Francia, specie nel Nord-Ovest (Normandia e Bretagna), in alcune zone del Centro (Orleanese e Berry) e nella Linguadoca; i calvinisti divennero una minoranza forte e l’Editto di Nantes (1598) garantì loro tolleranza religiosa; tuttavia a partire dal 1662 vi fu un inasprimento della politica regia e l’Editto di Nantes fu infine revocato (1685). Nei Paesi Bassi il c. si affermò già intorno al 1559 e rappresentò un fattore di separazione politica (Belgio e Olanda), oltre a essere travagliato da intense e aspre contese dottrinali; vi fu anche una significativa propagazione in Germania lungo il Reno. In Italia il c. non riuscì a penetrare, con l’unica eccezione del passaggio al c. dei valdesi. A partire dal 1559, con J. Knox, il c. trionfò in Scozia e dilagò in Inghilterra, dando vita, nei secc. 16°-17°, al puritanesimo (➔); fu poi introdotto da emigrati inglesi nelle colonie americane, divenendo uno degli elementi più efficaci nella formazione della cultura e dello spirito nazionale degli Stati Uniti. Alcuni autori (E. Troeltsch e M. Weber) hanno ravvisato nel c. l’origine del capitalismo moderno, almeno nei Paesi anglosassoni: la prescrizione calvinista di agire nel mondo per conformarlo alla legge divina finisce per giustificare l’azione umana, che, quando coronata dal successo, diventa segno dell’elezione divina e della rispondenza dell’uomo alla propria vocazione.