§5 «Contraddizioni» dello storicismo ed espressioni letterarie di esse (ironia, sarcasmo). Vedere le pubblicazioni di Adriano Tilgher contro lo storicismo. Da un articolo di Bonaventura Tecchi (Il Demiurgo di Burzio, «Italia Letteraria», 20 ottobre 1929) sono estratti alcuni spunti di F. Burzio che sembrano mostrare nel Burzio una certa profondità (se si astrae dal linguaggio sforzato e dalle costruzioni a tendenza paradossale‑letteraria) nello studio delle contraddizioni «psicologiche» che nascono sul terreno dello storicismo idealistico, ma anche in quello dello storicismo integrale.

È da meditare l’affermazione: «essere sopra alle passioni e ai sentimenti pur provandoli»‘, che potrebbe essere ricca di conseguenze. Infatti il nodo delle quistioni che sorgono a proposito dello storicismo, e che il Tilgher non riesce di districare, è proprio nella constatazione che «si può essere critici e uomini d’azione nello stesso tempo, in modo non solo che l’uno aspetto non indebolisca l’altro, ma anzi lo convalidi».

Il Tilgher molto superficialmente e meccanicamente scinde i due termini della personalità umana (dato che non esiste e non è mai esistito un uomo tutto critico e uno tutto passionale), mentre invece si deve cercare di determinare come in diversi periodi storici i due termini si combinano sia nei singoli, sia per strati sociali (aspetto della quistione della funzione sociale degli intellettuali) facendo prevalere (apparentemente) un aspetto o l’altro (si parla di epoche di critica, di epoche di azione, ecc.).

Ma non pare che neanche il Croce abbia analizzato a fondo il problema negli scritti dove vuol determinare il concetto «politica = passione»: se l’atto concreto politico, come dice il Croce, si attua nella persona del capo politico, è da osservare che la caratteristica del capo come tale non è certo la passionalità, ma il calcolo freddo, preciso, obbiettivamente quasi impersonale, delle forze in lotta e dei loro rapporti (tanto più ciò vale se si tratta di politica nella sua forma più decisiva e determinante, la guerra o qualsiasi altra forma di lotta armata). Il capo suscita e dirige le passioni, ma egli stesso ne è «immune» o le domina per meglio scatenarle, raffrenarle al momento dato, disciplinarle, ecc.; deve più conoscerle, come elemento obbiettivo di fatto, come forza, che «sentirle» immediatamente, deve conoscerle e comprenderle, sia pure con «grande simpatia» (e allora la passione assume una forma superiore, che occorre analizzare, sulla traccia dello spunto del Burzio; tutta la quistione è da vedere sui «testi» autentici).

Dallo scritto del Tecchi pare che il Burzio accenni spesso all’elemento «ironia» come caratteristica (o una delle caratteristiche) della posizione riferita e condensata nella affermazione «essere sopra alle passioni e ai sentimenti pur provandoli».

Pare evidente che l’atteggiamento «ironico» non possa essere quello del capo politico o militare nei confronti delle passioni e sentimenti dei seguaci e diretti. «Ironia» può essere giusto per l’atteggiamento di intellettuali singoli, individuali, cioè senza responsabilità immediata sia pure nella costruzione di un mondo culturale o per indicare il distacco dell’artista dal contenuto sentimentale della sua creazione (che può «sentire» ma non «condividere», o può condividere ma in forma intellettualmente più raffinata); ma nel caso dell’azione storica, l’elemento «ironia» sarebbe solo letterario o intellettualistico e indicherebbe una forma di distacco piuttosto connessa allo scetticismo più o meno dilettantesco dovuto a disillusione, a stanchezza, a «superominismo».

Invece nel caso dell’azione storico‑politica l’elemento stilistico adeguato, l’atteggiamento caratteristico del distacco‑comprensione, è il «sarcasmo» e ancora in una forma determinata, il «sarcasmo appassionato». Nei fondatori della filosofia della prassi si trova l’espressione più alta, eticamente ed esteticamente, del sarcasmo appassionato.

Altre forme. Di fronte alle credenze e illusioni popolari (credenza nella giustizia, nell’eguaglianza, nella fraternità, cioè negli elementi ideologici diffusi dalle tendenze democratiche eredi della Rivoluzione francese), c’è un sarcasmo appassionatamente «positivo», creatore, progressivo: si capisce che non si vuol dileggiare il sentimento più intimo di quelle illusioni e credenze, ma la loro forma immediata, connesso a un determinato mondo «perituro», il puzzo di cadavere che trapela attraverso il belletto umanitario dei professionisti degli «immortali principii».

Perché esiste anche un sarcasmo di «destra», che raramente è appassionato, ma è sempre «negativo», scettico e distruttivo non solo della «forma» contingente, ma del contenuto «umano» di quei sentimenti e credenze. (E a proposito dell’attributo «umano» si può vedere in alcuni libri, ma specialmente nella Sacra Famiglia, quale significato occorre dargli). Si cerca di dare al nucleo vivo delle aspirazioni contenute in quelle credenze una nuova forma (quindi di innovare, determinare meglio quelle aspirazioni), non di distruggerle. Il sarcasmo di destra cerca invece di distruggere proprio il contenuto delle aspirazioni (non, beninteso, nelle masse popolari, che allora si distruggerebbe anche il cristianesimo popolare, ma negli intellettuali), e perciò l’attacco alla «forma» non è che un espediente «didattico».

Come sempre avviene, le prime e originali manifestazioni del sarcasmo hanno avuto imitatori e pappagalli; lo stile è diventato una «stilistica», è divenuto una specie di meccanismo, una cifra, un gergo, che potrebbero dar luogo ad osservazioni piccanti (per es., quando la parola «civiltà» è sempre accompagnata dall’aggettivo «sedicente», è lecito pensare che si creda nell’esistenza di una «civiltà» esemplare, astratta, o almeno ci si comporta come se ciò si credesse, cioè dalla mentalità critica e storicistica si passa alla mentalità utopistica).

Nella forma originaria il sarcasmo è da considerare come una espressione che mette in rilievo le contraddizioni di un periodo di transizione; si cerca di mantenere il contatto con le espressioni subalterne umane delle vecchie concezioni e nello stesso tempo si accentua il distacco da quelle dominanti e dirigenti, in attesa che le nuove concezioni, con la saldezza acquistata attraverso lo sviluppo storico, dominino fino ad acquistare la forza delle «credenze popolari».

Queste nuove concezioni sono già acquisite saldamente in chi adopera il sarcasmo, ma devono essere espresse e divulgate in atteggiamento «polemico», altrimenti sarebbero una «utopia» perché apparirebbero «arbitrio» individuale o di conventicola: d’altronde, per la sua natura stessa, lo «storicismo» non può concepire se stesso come esprimibile in forma apodittica o predicatoria, e deve creare un gusto stilistico nuovo, persino un linguaggio nuovo come mezzi di lotta intellettuale. Il «sarcasmo» (come, nel piano letterario ristretto dell’educazione di piccoli gruppi, l’«ironia») appare pertanto come la componente letteraria di una serie di esigenze teoriche e pratiche che superficialmente possono apparire come insanabilmente contraddittorie; il suo elemento essenziale è la «passionalità» che diventa criterio della potenza stilistica individuale (della sincerità, della profonda convinzione in opposto al pappagallismo e al meccanicismo).

Da questo punto di vista occorre esaminare le ultime notazioni del Croce nella prefazione del 1917 al volume sul Materialismo storico, dove si parla della «maga Alcina», e alcune osservazioni sullo stile del Loria. Così è da vedere il saggio di Mehring sull’«allegoria» nel testo tedesco, ecc.