BURZIO Filippo

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Scrittore e scienziato italiano (Torino 1891 - Ivrea 1948). Collaboratore (dal 1921) e direttore (1943) de La Stampa, fondatore e direttore (1945-48) de La Nuova Stampa; socio corrisp. dei Lincei (1947). Nei suoi scritti, nei quali la sua educazione liberale, di antico stampo cavourriano, s'incontra con le suggestioni dell'irrazionalismo contemporaneo, egli delinea un ideale tipo umano, il "demiurgo", equilibratore dei contrasti fra civiltà contemporanee, e soprattutto capace di trasfigurare in modo poetico-magico la società.

Tra i suoi scritti: Politica demiurgica, 1923; Ritratti, 2 voll., 1929, 1933; Il Demiurgo e la crisi occidentale, 1933; L'inverno, 1935; Essenza ed attualità del liberalismo (1945); Anima e volti del Piemonte (1947); Profeti d'oggi, 1947; Nascita del Demiurgo, 1948. Della sua attività scientifica (fu ingegnere e professore di meccanica razionale e meccanica applicata alle macchine alla R. Accademica di artiglieria, 1921-40) sono testimonianza i due voll. di Scritti scientifici (1927, 1934).


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DBI

di Silvio Lanaro - Tommaso D'alessio

Nacque a Torino il 16 febbr. 1891 dall'ingegnere Antonio e da Enrichetta Prette. Nel 1914 conseguiva presso il politecnico di Torino la laurea in ingegneria meccanica, dopo un tirocinio di studi, anche personali, che lo aveva visto cultore della letteratura europea e dei classici del pensiero politico (cfr. il suo diario Ginevra - Vita nuova, Torino 1920).

Il B. fu notevolmente influenzato dall'ambiente politico torinese, dominato dal giolittismo ortodosso della Stampa di A. Frassati; nel 1915 fece pubblica professione di neutralismo e negli anni della guerra - passati conducendo ricerche sperimentali di balistica presso l'ufficio tecnico dell'arsenale di Torino, a cui era stato destinato - si astenne quasi del tutto dall'impegnarsi nella pubblicistica militante.

Furono questi gli anni in cui, del resto, prese avvio l'attività scientifica del B., che nel 1921 diveniva titolare della cattedra di meccanica razionale presso l'accademia militare di Torino, ricoperta poi fino al 1940. Negli anni dal 1918 al 1926 dedicò una dozzina di pubblicazioni al secondo problema balistico, cioè alla rotazione dei proietti, generalmente non affrontato, dagli studiosi italiani, che si preoccupavano soprattutto del moto di traslazione (gli ultimi studi italiani sull'argomento della derivazione, effettuati da S. Robert, risalivano, infatti, al 1870 circa). Tra i lavori del B. sul secondo problema balistico ricordiamo: Sul moto e sulla stabilità dei proietti, in Riv. di art. e genio, XXXV (1918), 4-5, pp. 5-32; La mutaz. nel moto dei proietti,ibid., XXXVI (1919), 4-5, pp. 5-33; Applicaz. del secondo problema balistico. Calcolo della derivazione dei proietti,ibid., 6, pp. 146-179; Ricerche sperimentali sul regime aerodinamico dei proietti, in Boll. tecnico dell'aviazione milit., XVII (1920); Ricerche sperimentali sul secondo problema balistico, in Riv. di art. e genio, XXXVII(1920); Sull'equaz. differenziale della derivazione, in Atti d. R. Acc. d. scienze di Torino, LXI(1925-26), pp. 130-136; Alcune nuove proprietà della precessione balistica, in Rend. d. Acc. d. Lincei, classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 6, III (1926), 1-2, pp. 113-118, e ibid., pp. 599-606.

In particolare il B. espresse, intorno al 1920, due leggi sulla derivazione confermate sperimentalmente qualche anno più tardi da studiosi americani (Briggs, A. W. Hull e Dryden), che le verificarono su modelli posti in tunnel aerodinamico. Su alcuni precedenti lavori, tra cui quelli già ricordati, il B. basò successivamente la sua pubblicazione Il secondo problema balistico. Rotazione dei proietti, Torino 1927, che ebbe risonanza anche all'estero. Più che una trattazione sistematica del problema, è una raccolta coordinata dei risultati dei lavori effettuati sull'argomento anche da altri studiosi, italiani e stranieri (tra cui A. F. Siacci, S. Robert, P. J. Charbonnier, Mayevski), corredata da annotazioni storico-critiche sulle varie teorie e soluzioni proposte, e da applicazioni numeriche. Il B. si occupò, inoltre, della stabilità degli aerei (Un metodo per la determinazione della stabilità longitudinale dei velivoli, in Riv. tec. d'ingegneria, IV[1922], 10, pp. 1-14), studiando il problema anche dal punto di vista dinamico e illustrando un metodo, detto del pendolo di torsione aerodinamico, atto a consentire la misura della stabilità dinamica dei veicoli nel tunnel di prova. Ritornò successivamente su problemi di balistica con Complementi di balistica esterna, Roma 1934.

Solo il periodo convulso della pace e dell'avvento del fascismo vide il B. dedicarsi al giornalismo politico con passione e continuità. Già nei primi scritti sulla Stampa e sulla Tribuna è peraltro visibile un intellettualistico distacco dalle vicende del presente, che s'innesta sul singolare sposalizio tra un culto guicciardiniano del realismo politico e i lineamenti utopistici della nascente dottrina del demiurgo, supremo regolatore dei conflitti sociali e politici. In un saggio su Giolitti, per esempio, scritto nel '21 per la Ronda di Bacchelli, si legge già che "la politica non è pedagogia, né apostolato, non implica fede in tutto quel che si dice, né in tutto quel che si fa"; che "fra Rabagas e Mazzini c'è posto per un altro tipo umano"; che "il problema etico della politica, e della pratica in genere, è di manipolare il fango senza sporcarsi le mani, di saper mentire... conservando il gusto del vero; di dominare, insomma, la realtà senza spregiarla". In Politica demiurgica (Bari 1923), una raccolta di saggi che si apre significativamente con L'attualità di Treitschke, si avverte poi il debito del B. verso Max Weber - soprattutto verso il Weber delle grandi conferenze del 1919, Politik als Beruf e Wissenschaft als Beruf - pervia del progressivo delinearsi di un'idea del demiurgo come prodotto storico dell'incontro fra "carisma" del potere e "vocazione" all'ars politica (oltre che per la programmatica distinzione tra giudizi di valore e giudizi di fatto).

Ma è nella polemica con Gobetti sull'"antifascismo etico", ospitata nel 1924 da Rivoluzione liberale, che il B. illimpidisce la sua considerazione "oggettiva" delle regole della politica e il suo desiderio di fissare entro una robusta trama teorica il felice pragmatismo dei grandi "servitori dello stato" della nostra tradizione moderata, da Cavour a Giolitti.

Di fronte a Gobetti, che proclama doversi opporre al fascismo trasformistico e corruttore una negazione "d'istinto" e un franco "noviziato di disperazione eroica", il B. osserva che "solo le animule sentono corruttore il compromesso" e "solo i deboli si corazzano con l'intransigenza", invitava a non temere una dittatura "virile" come quella mussoliniana. Nel suo "andare senza pregiudizi incontro alle' forze che la vita esprime in libertà", nel diffidare delle "minoranze liberali" che sono sempre "contro i governi forti, contro l'arte di governo che è quel che deve essere", nel dire che "l'eticità dei Capi è non tentare la Repubblica di Platone o di Plutarco", ma essere "seri", immedesimarsi con la politica, porre a norma delle azioni il vantaggio dello Stato, "servirlo", non si accampa soltanto - come voleva Gobetti - un "missirolismo capovolto per giustificare interessi e modi d'agire reazionari", un'incomprensione radicale del "senso tutto moderno dei partiti" e l'incapacità di cogliere "l'importanza che ha per la politica la partecipazione di nuove masse" (una volta ammessa la differenza che intercorre "tra uno Stato di straccioni che cercano impiego e uno Stato in cui abbiano il loro peso le esigenze della produzione"). Dietro un liberalismo conservatore di chiara impronta subalpina s'intravede anche l'argomentata difesa del "socialismo di stato" e dell'azione di governo promossa dal ceto borghese post-unitario - già nel 1922, prima di un intervento sul "Manifesto" di Rivoluzione liberale, poi in una schermaglia giornalistica con Natalino Sapegno sul ruolo della monarchia nella vita pubblica italiana, il B. aveva difeso il Risorgimento come "fatto politico riuscito" di fronte a chi vi lamentava una "rivoluzione religiosa fallita" - e la penetrante applicazione all'analisi politica delle categorie elaborate da Vilfredo Pareto nel Trattato di sociologia generale (soprattutto per quanto riguarda la teoria delle "azioni non logiche", e la ricerca concreta di "residui" e "derivazioni" in chiave di premessa a una critica delle ideologie).

Presto cadute le illusioni sull'attitudine demiurgica di Mussolini, il B. passò all'antifascismo. Firmatario del manifesto Croce nel '25, mantenne tuttavia quel tanto di prudenza che gli permetteva di collaborare alla terza pagina della Stampa durante il periodo della direzione Signoretti; a partire dal 1933 scriveva anche su Quadrante (una rivista fascista diretta da M. Bontempelli e P. M. Bardi) insieme con un altro sottoscrittore del manifesto Croce, Antonio Banfi: ma si tratta di un episodio confinato ai margini della sua vita intellettuale, politicamente poco significativo anche perché in quel periodo la riflessione sul demiurgo come nuovo "tipo umano", analogo all'uomo faustiano, al superuomo nietzschiano e all'uomo "collettivo" marxista e leninista, tendeva a oltrepassare il terreno della pura speculazione politica per accogliere più complesse suggestioni etico-filosofiche. Ne Il demiurgo e la crisi occidentale (Milano1933) è infatti esposta minutamente la concezione del demiurgo come elemento moderatore dei contrasti che possono insorgere tra le diverse civiltà europee: mediante i caratteri peculiari dell'"universalità", del "distacco" e del "magico", il demiurgo "inventa" la felicità dell'uomo, lo rende sovrano di se stesso e gli offre un'immagine trasfigurata dell'esistenza. La demiurgia non è un'arte di vita che induca l'individuo a velleità solipsistiche o titaniche; al contrario, lo rende capace di un'attiva e solida serenità. Ciò accade perché la "crisi" dell'Occidente, ossia la flessione dei valori spirituali che poggiano sui pilastri dello "spirito critico", dello "spirito scientifico" e dello "spirito capitalistico", è in realtà solo una condizione di affievolimento dello spirito critico e un relativo stato di disarmonia, di divorzio, di scarto fra la coscienza e l'attività pratica: per cui la riconquista dell'equilibrio può essere integrale, cioè riconquista di azione e conoscenza, solo se promette di attuarsi per iniziativa di un soggetto umano che pur restando "creatura" sappia partecipare della mentalità del "creatore".

Va osservato che nella "demiurgica" burziana, malgrado i suoi evidenti peccati di ingenuità e di astrattezza, Antonio Gramsci non esitò a individuare una trincea eretta dalla tradizione storicistica contro quella marea di irrazionalismo - dilagante sullo scorcio degli anni venti e all'inizio del decennio successivo - che minacciava di travolgere gli stessi capisaldi del pensiero borghese progressivo; ed è noto che il Gramsci del carcere era un giudice tutt'altro che benevolo verso i fenomeni di dilettantismo e di provincialismo culturale che affliggevano la società del suo tempo.

La caduta del fascismo trovò il B. attivissimo e pronto a immergersi nella lotta politica con rinnovata energia. Nel luglio 1943 assume la direzione della Stampa, che conservò fino all'autunno di quell'anno; il 10 settembre, in qualità di rappresentante del Fronte interpartitico torinese, fu tra coloro che con maggiore insistenza chiesero al generale Adami-Rossi di difendere la città dai Tedeschi; nel 1945 fondò La nuova stampa, che dirigerà fino alla morte. Preludio teorico a quest'ultima impresa è il suo libro forse più maturo, Essenza ed attualità del liberalismo, pubblicato nel 1945 a Torino. Qui lo studioso, insieme con la lezione paretiana che aveva sempre rappresentato la cornice scientifica entro cui si svolgeva il suo pensiero, rimeditava la lezione degli eventi (soprattutto l'irrompere delle masse sulla scena politica gli appare ora carico di una nuova positività storica) e cominciava ad elaborare una variante democratica e pluralistica della dottrina delle élites.

Scontate le leggi sociologiche fondamentali - la legge dell'ineguaglianza e la legge di circolazione delle élites - il B. sostiene che mentre il "postulato liberale" garantisce un processo corretto di "formazione" delle élites tramite quella lotta regolata, quella concorrenza e quell'antagonismo che sono condizione di ogni progresso civile, il "postulato democratico" - intesa la democrazia come governo designato dal basso con metodo elettivo, in regime di suffragio universale - assicura un più tempestivo "rinnovamento" delle élites perché facilita il passaggio degli individui da una classe all'altra.

Il tratto originale di questo schema teorico è forse nel suo prevedere la necessità di "pacifica coesistenza", "parità di rango", "naturale influsso in ogni campo specifico", "equilibrato e libero gioco... non di una sola, ma di tutte le élites sorgenti dal popolo". Diversamente da un altro epigono democratico della teoria delle élites, Guido Dorso, il B. però non ipotizza un pluralismo ancorato allo scontro dialettico fra classe di governo e classe politica di opposizione, bensì privilegia il confronto tra élite politica ed élite economica con cui ritiene si possa tutelare la società dai pericoli del dispotismo istituzionale e dell'incontrollata espansione capitalistica. L'ultimo B., i cui scritti apparvero nel volume post., Dal superuomo al demiurgo (Bologna 1952), ripiegò sulla primitiva formazione bergsoniana per cercarvi gli strumenti con cui restituire "slancio vitale" alla civiltà contemporanea, la cui crisi è "politico-sociale in superficie ma etico-religiosa in profondità". Secondo il B., le società occidentali sono contraddistinte dalla stabilizzazione dei regimi politici innervati da quattro principali "religioni" (o "blocchi di sentimenti assurti ad elaborazione ideologica ed animatori di sforzi coscienti"): la religione "liberale-democratica", la religione "social-comunista", la religione "nazionalistico-imperialistica" e la religione "democristiana"; tutti, per vie divine, incapaci di ricondurre ad unità le lacerazioni etico-politiche della civiltà contemporanea.

Poiché l'"attività concreta" operante nell'universo appare imperfetta, limitata, non onnipotente, cioè "demiurgica e non divina", la stessa dilatazione cosmica del "postulato demiurgico dell'attività" - che è un'ovvia risposta del pensiero all'indeterminismo fisico imperante nella nuova scienza - sembra insufficiente a vincere la crisi delle coscienze: più adatta sarebbe "una filosofia la quale riuscisse a superare l'antinomia immanenza-trascendenza, quale oggi viene posta comunemente, instaurando su nuove basi razionali (quanto meno di plausibilità) un concetto del divino come attività operante nel mondo, alquanto diverso dal concetto di spirito teorizzato dalla filosofia idealistica".

Queste idee del B. si spiegano alla luce del singolare revival spiritualistico che accompagna in Italia lo sforzo di riorganizzazione tecnico-economica degli anni del dopoguerra. Si tenga conto, per esempio, che anche A. Lanzillo, un vecchio sindacalista e studioso di economia cresciuto alla scuola di Pareto e di Sorel, scrive in questo periodo un libro come La pianificazione e la vita (1950), in cui ricorre esplicitamente a Bergson per dimostrare che la volontà "di adattare il reale ad un programma... costituisce una organica negazione storica delle forze vitali", che qualsiasi politica economica è destinata a intervenire "sulla realtà", "cioè su una evoluzione incessante che si svolge come un flusso", che "nel caso della pianificazione nessuna intuizione è pensabile perché trattasi di un fenomeno che è la espressione di una concezione intellettualistica".

Ne L'inverno (Milano 1935), Piemonte (Torino 1938), Favole e moralità (Milano 1943) e Anima e volti del Piemonte (Torino 1947) il B. si dimostrò anche prosatore e memorialista di discreta educazione letteraria, non privo di personali risorse soprattutto quando insegue spunti moralistici o dove nobilita il suo discorso con la rievocazione di un Piemonte più nutrito di storia che di natura.

Il B. morì nella città d'Ivrea il 25 gennaio del 1948.