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Biografia*
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DBI
di Giovanni Aquilecchia
Nacque a Nola, nel Regno di Napoli, nel gennaio o febbraio 1548,
figlio di Giovanni Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa Savolino: fu
battezzato con il nome Filippo. Della città natale, dove
trascorse l'infanzia e iniziò i primi studi, conservò
poi sempre un ricordo nostalgico. Nel 1562 si recò a Napoli
per studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe
come maestri il Sarnese (Giovan Vincenzo Colle), filosofo di
tendenze averroiste, e fra' Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui
ricordato in seguito con sincera ammirazione. La lettura di uno
scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da allora in lui
l'interesse per la mnemotecnica.
Il 15 luglio 1565, a diciassette anni compiuti e con una incipiente
formazione laica, entrò come chierico nel convento napoletano
di S. Domenico Maggiore, dove assunse il nome Giordano (forse in
onore del domenicano fra' Giordano Crispo, maestro allo Studio) e
quel nome ritenne poi sempre, salvo che per una breve parentesi. Mal
compatibile, per carattere e prima formazione, con la regola
conventuale, tra il 1566 e il 1567 incorse nelle prime infrazioni
per aver spregiato il culto di Maria, nonché quello dei santi
(una denuncia contro di lui venne allora stracciata dal maestro dei
novizi).
Con cautela va accolta la notizia da lui in seguito fornita (Doc.
parigini, V) di un invito a Roma per mostrare la propria
abilità mnemonica a Pio V (viaggio che lo Spampanato pone tra
il 1568e il 1569):va però notato che allo stesso pontefice il
B. dichiarò di aver dedicato L'arca di Noè, operetta
smarrita di argomento morale (Dialoghi italiani, p. 842).
Ordinato suddiacono (principio del 1570) e poi diacono (principio
del 1571), venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i
ventiquattro anni, e celebrò la prima messa nella chiesa del
convento domenicano di S. Bartolomeo a Campagna, presso Salerno.
Nella seconda metà del 1572, dopo aver soggiornato in altri
conventi del Napoletano, fece ritorno allo Studio di S. Domenico
Maggiore in Napoli come studente formale di teologia: il curriculum
quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e terza parte
della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della Summa,
alternabile con il quarto libro delle Sentenze di Pietro Lombardo
esposte da fra' Giovanni Capreolo). È da ritenere che il B.
abbia superato gli esami annuali, e nel luglio 1575 quelli di
licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est quicquid dicit D.
Thomas in Summa contra Gentiles" e "Verum est quicquid dicit
Magister Sententiarum" (Doc.parigini, II).
Tali studi, se da una parte suscitarono in lui una non mai smentita
ammirazione per l'opera di s. Tommaso, d'altra parte dovettero
ingenerargli quel fastidio per "les subtilitez des scholastiques,
des Sacrements et mesmement de l'Eucharistie" (Doc. parigini, II),
con il conseguente disinteresse per la problematica teologica
manifestato in seguito nelle proprie opere come pure, più
tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò
per contro interesse per opere estranee al curriculum, nonché
decisamente vietate, quali i "libri delle opere di S. Grisostomo e
di S. Ieronimo con li scolii di Erasmo" (Doc. veneti,
XIII).Ciò che, unitamente all'espressione dei propri dubbi
circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla
eresia ariana, portò all'istruzione di un processo a suo
carico da parte del padre provinciale (con l'occasione venne
ricostruito anche il precedente atto d'accusa già distrutto):
in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come
sospetto di eresia.
Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò ad
abbandonare il convento e la città, probabilmente nel
febbraio 1576, e nello stesso mese dové giungere a Roma, dove
prese alloggio nel convento di S. Maria sopra Minerva, confidando
forse che il proprio caso passasse ignorato tra i disordini che
turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto
in tali disordini e imputato di "aver gettato in Tevere chi
l'accusò, o chi credette lui che l'avesse accusato a
l'inquisizione" (Doc.veneti, I):imputazione infondata (come è
mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle successive vicende
processuali), con tutto che un secondo processo contro di lui venne
istruito nel 1576 dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di
quell'anno, saputo che i propri libri erasmiani erano stati
rintracciati a Napoli, il B., deposto l'abito, abbandonò
Roma, raggiunse Genova (circa 15 aprile) e si trattenne a Noli fino
al principio del 1577 "insegnando la grammatica a figliuoli e
leggendo la Sfera a certi gentilomini" (Doc. veneti, IX).Da Noli
passò a Savona e quindi a Torino; di lì, non avendovi
trovato "trattenimento a sua satisfazione", si recò a
Venezia, dove si trattenne non più di due mesi, facendovi
stampare, allo scopo di guadagnare qualcosa, "un certo libretto
intitolato De' segni de' tempi", da lui fatto esaminare dal
domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A Padova fu
persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non
avesse voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo
essersi recato, per Brescia, a Bergamo. Toccata Milano, nel 1578
lasciò l'Italia attraverso la Savoia, diretto a Lione: giunto
a Chambéry e avvertito dai domenicani locali
dell'ostilità che avrebbe incontrato nella regione, si
trasferì a Ginevra, dove fin dal 1552 una comunità
evangelica italiana era stata fondata dal marchese Gian Galeazzo
Caracciolo di Vico.
A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito, il B. si guadagnò da
vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta tuttavia che
egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto
dalla immatricolazione universitaria autografa del 20 maggio 1579,
quanto da un processo per diffamazione ai danni del titolare di
filosofia Antoine de la Faye, istruito contro di lui dal concistoro
nell'agosto 1579: il giorno 13 il B. venne riconosciuto colpevole e
virtualmente scomunicato. Dopo un debole tentativo di difesa, egli
si riconobbe colpevole, pregò di essere riammesso alla cena,
e il giorno 27 venne prosciolto dalla scomunica. Tale episodio (che
avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere mediante la propria
polemica anticalvinista) determinò la sua partenza da
Ginevra.
Recatosi questa volta a Lione, non avendovi trovato modo di
sostentarsi, vi si trattenne solo un mese (forse tra il settembre e
l'ottobre 1579) e si recò quindi a Tolosa, che era proprio in
quel tempo uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò
che dimostra la portata della sua reazione anticalvinista,
confermata anche dal tentativo che allora fece di ottenere
l'assoluzione da un padre gesuita. La mancata assoluzione, "per
esser apostata" (Doc. veneti, XII), non gli impedì di essere
invitato "a legger a diversi scolari la Sfera, la qual lesse con
altre lezioni de filosofia forse sei mesi" (Doc. veneti, IX),
nonché di conseguire il titolo di magister artium:ed ottenere
per concorso il posto allora vacante di lettore ordinario di
filosofia: onde lesse, "doi anni continui, il testo de Aristotele De
anima ed altre lezioni de filosofia". Da accenni fatti più
tardi dallo stesso B., è dato inferire che il suo
insegnamento incluse lezioni di fisica, matematica e lulliane.
Risale a quest'epoca la composizione della Clavis magna, trattato
mnemotecnico-lulliano rimasto inedito e smarrito.
Nell'estate del 1581 si delineò una ripresa della lotta tra
cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare Tolosa "a causa
delle guerre civili" (Doc. veneti, IX).Trasferitosi a Parigi, vi
intraprese "una lezion straordinaria", cioè un corso di
trenta lezioni su altrettanti "attributi divini, tolti da S. Tommaso
dalla prima parte", che alcuni vogliono costituisse l'operetta
inedita e smarrita "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati
universali" (Doc. veneti, I). AParigi non poté accettare un
lettorato ordinario per l'obbligo - che, come apostata, non volle
assumersi - di frequentare la messa; tuttavia conseguì tale
rinomanza mediante il lettorato straordinario, che, come ebbe a
dichiarare egli stesso, "il re Enrico terzo mi fece chiamare un
giorno, ricercandomi se la memoria che avevo e che professava, era
naturale o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con
quello che li dissi e feci provare a lui medesimo, conobbe che non
era per arte magica ma per scienza" (Doc. veneti, IX):episodio che
ben si comprende tenendo conto del fatto che la corte francese era
frequentata da intellettuali come J. D. du Perron e Pontus de Tyard
di cui sono noti gli interessi per il sapere enciclopedico e l'arte
della memoria come strumenti per un piano di riforma culturale.
Tuttavia i rapporti del B. con la corte - che sarebbero durati,
direttamente o indirettamente, per circa un quinquennio - si
spiegano altresì sul piano ideologico-politico, ove si tenga
conto dell'analogia tra l'equidistanza bruniana dal rigorismo
cattolico e da quello protestante, e la posizione mediana dei
politiques, che controllavano la corte, tra l'estremismo cattolico
dei ligueurs e quello protestante degli ugonotti.
Durante questo primo soggiorno parigino apparvero a stampa le prime
operette bruniane a noi pervenute: il Deumbris idearum con raggiunta
dell'Arsmemoriae, opera mnemotecnica e lulliana stampata da E.
Gourbin nel 1582, dal B. dedicata ad Enrico III, il quale "con
questa occasione lo fece lettor straordinario e provisionato" (Doc.
veneti, IX: egli venne cioè a far parte del gruppo dei
lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo
aristotelico della Sorbonne); seguì, nello stesso anno, il
Cantus circaeus, operetta mnemotecnica stampata da E. Gilles e
dedicata, per conto del B., da J. Regnault a Henri
d'Angoulême, fratello naturale del re, essendo il B. stesso
"gravioribus negociis intentus" (Opera, II, 1, p. 182); quindi il De
compendiosaarchitectura et complementoArtis Lullii (Gourbin, 1582)
dedicata dal B. all'ambasciatore veneto Giovanni Moro.
La prima parte del De umbris rielabora materiale lulliano e
mnemotecnico ai fini di una ricerca gnoseologica che presuppone,
platonicamente, una corrispondenza tra mondo fisico e mondo ideale;
la seconda e terza parte costituiscono un manuale mnemotecnico per
cui il B. attinge in particolare al ravennate (l'impostazione
didascalica è ripresa nell'Arsmemoriae, in cui elementi della
tradizione astrologico-ermetica si inseriscono nella elaborazione
lulliana e mnemotecnica, fermo restando l'intento gnoseologico). Il
Cantus circaeus, in due dialoghi, presenta un'applicazione concreta
dell'ars esposta nel De umbris, non senza un'intenzione satirica che
sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa
architectura rielabora gli elementi tecnici del lullismo allo scopo
di offrire uno strumento gnoseologico per cui l'ordine universale
risulta riflesso nello schema simbolico.
Nell'agosto del 1582 il B. terminava la composizione dell'unica sua
commedia, il Candelaio, stampata prima della fine dell'anno
(anteriormente forse al De compendiosaarchitectura) da Guillaume
Julien figlio. Sul frontespizio l'autore si definiva "Academico di
nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia hilaris,in
hilaritate tristis.
Il Candelaio, scritto in un volgare popolaresco ricco di
napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione burlesca
rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici
della retorica classica, riflette sul piano morale il momento di
rottura con l'Ordine, né è da escludere che la
composizione ne fosse stata iniziata prima dell'allontanamento
dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio
napoletano di non sicura identificazione, la commedia, di
ambientazione appunto napoletana - la cui azione si svolge nel 1576,
"vicino al seggio di Nilo" - investe satiricamente "tre materie
principali" e "l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la
pedanteria di Manfurio", in una sorta di applicazione alla vita
morale del principio bruniano della corrispondenza e identificazione
dei distinti nell'uno. Fin dalle pagine preliminari si notano del
resto motivi che, riallacciandosi alla base teoretica
dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica delle operette latine,
anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi
filosofici ("Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si
muta, nulla s'annichila; è un solo che non può
mutarsi...").
Dalla dedica del Candelaio si sono desunti due titoli di presunte
opere smarrite del B. (Gli pensier gai e Il troncod'acqua viva),
mentre nell'atto I, scena II, si trova citata un'ottava ("Don'a'
rapidi fiumi in su ritorno") di un "poema" inedito e smarrito, cui
appartiene forse anche l'ottava "Convien ch'il sol, donde parte,
raggiri" citata tre anni dopo negli Eroici furori.
Il 28 marzo 1583 l'ambasciatore inglese a Parigi, H. Cobham, inviava
un preoccupato messaggio al primo segretario del Regno
d'Inghilterra, F. Walsingham, informandolo dell'intenzione del B. di
passare in Inghilterra: la preoccupazione concerneva l'ambigua
posizione bruniana in fatto di religione. L'arrivo del B. in
Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III per il
proprio ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de
Castelnau (cui era affidato il compito delicato di sostenere la
causa di Maria di Scozia presso la regina) -, è da porre
nell'aprile. Da una parte il B. poté essere indotto a
lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc. veneti, IX) - o
più esattamente per il delinearsi di quella reazione
cattolica che due anni più tardi avrebbe indotto il re a
revocare gli editti di pacificazione con i protestanti -; d'altra
parte non è da escludere che il suo viaggio in Inghilterra
potesse rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a
mobilitare la corrente politique inglese ai fini di una distensione
politico-religiosa in Europa. Ma non è certo da trascurare la
personale urgenza bruniana per una sua affermazione sul piano
accademico-speculativo dopo i tentativi compiuti a Tolosa e a
Parigi.
Al suo arrivo in Inghilterra il B. prese dimora nella casa del
Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva altro, se non che stava
per suo gentilomo" (Doc.veneti, IX). Tra il 10 e il 13 giugno 1583
fece una prima visita a Oxford, al seguito del conte palatino
polacco Alberto Laski: in tale occasione, pur non facendo parte
degli oratori designati, sostenne un pubblico dibattito con i
dottori oxoniensi, in particolare con il teologo John Underhill,
richiamandosi alla logica aristotelica in polemica con le posizioni
ramiste. Rientrato a Londra, è da ritenere che indirizzasse
allora la sua pomposa lettera Ad excellentissimum Oxoniensis
Academiae Procancellarium,clarissimos doctores atque celeberrimos
magistros (allegata ad alcuni esemplari della Explicatio triginta
sigillorum), con la quale faceva istanza per l'ottenimento di una
lettura a Oxford. Sebbene dai registri universitari non risulti che
il B. abbia tenuto un corso formale in quella sede, la sua stessa
testimonianza di avervi tenuto "pubbliche letture, e quelle de
immortalitate animae, e quelle de quintuplici sphaera" (Dialoghi
italiani, p. 134: vedi Doc. parigini, I, e Opera, II, 2, p. 232),
risulta confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot
(cfr. McNulty), il futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro
del Balliol College, da cui si apprende che, dopo la prima visita a
Oxford, il B. vi tornò nel corso della stessa estate e vi
iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria
copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei
cieli: anticipando quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei
dialoghi londinesi stampati l'anno seguente. Così il B. come
l'Abbot concordano nell'affermare che tale corso venne interrotto
per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico Martin Culpepper,
guardiano di New College, e Tobie Matthew, decano di Christ Church,
avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De
vita coelitus comparanda: ciò che può essere inteso
con riferimento ai prestiti ficiniani nella terminologia bruniana).
Interrotto il corso dopo la terza lezione, rientrò a Londra,
presso il Castelnau, ribadendo il proprio atteggiamento
antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme
antiumanistica.
A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e speculativa
sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte,
sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie
già respinte dal pubblico universitario inglese. La prima
opera pubblicata a Londra, nel 1583, è un volumetto
contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum
(preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli
Oxoniensi) e il Sigillus sigillorum. Soloper l'Explicatio e per la
lettera è possibile precisare l'officina tipografica, che
è quella di John Charlewood, dalla quale sarebbero uscite
tutte le rimanenti opere londinesi.
L'Ars reminiscendi è, con lievi varianti, una riproduzione
dell'ultima parte del Cantus circaeus. Gli scritti che seguono
portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole di
riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei
"triginta sigilli" mostra che questi rappresentano la sintesi
formale dei segni ovvero ombre delle cose e delle idee. Dalla
Triginta sigillorum explicatio appare manifesto il presupposto
gnoseologico del complesso simbolismo mnemotecnico bruniano. Nel
Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità
del processo conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la
fondamentale unità dell'universo. Alla innegabile
utilizzazione di elementi propri alla tradizione
platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni
e tendenze d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo"
del Sigillus fa di quest'opera il legittimo antecedente della serie
dialogica italiana.
Il 14 febbraio del 1584, mercoledì delle Ceneri, il B. venne
invitato a illustrare la propria teoria sul moto della Terra nella
"onorata stanza" di sir Fulke Greville, a Whitehall, in compagnia di
Giovanni Florio e del medico gallese Matthew Gwinne, essendo
presenti due dottori oxoniensi sostenitori del sistema geocentrico e
un cavaliere di nome Brown (in sede processuale tale riunione venne
dichiarata come avvenuta invece in casa del Castelnau). La
conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla
intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si
licenziò dall'ospite e di lì a qualche giorno
iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata nello
stesso anno).
Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il B. enuncia in
questi dialoghi la propria cosmografia: movendo dall'eliocentrismo
copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione originale
dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati
della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del B. in
Inghilterra, la corrente scientifica distaccatasi dalle
università e sostenuta dalla corte elisabettiana (Robert
Recorde, John Dee, John Field, Thomas Digges) aveva mostrato un
certo interesse per le teorie copernicane: è in questa
corrente appunto che si inserisce ormai l'attività inglese
del B., sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una
moderna teoria astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del
latino e adozione del volgare per trattazioni
scientifico-speculative) e perfino politiche (adesione alla moderata
fazione puritana capeggiata da Robert Dudley, conte di Leicester,
nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano William Cecil:
ciò che ci è rivelato dal confronto tra la prima e la
seconda redazione del dialogo II della Cena).
Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore francese, la
Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte
contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte
trascende l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della
pluralità dei mondi nell'universo infinito (non senza la
suggestione implicita della definizione ermetica di Dio, come sfera
infinita il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non
si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva
l'affermazione dell'infinito effetto della causa infinita,
nonché l'interpretazione prammatica di quei passi delle
Scritture che concordano con la concezione vulgata dell'universo.
L'impostazione polemica dell'opera investe, nel dialogo II, tutti
gli strati della contemporanea società inglese mediante una
rappresentazione vivacemente realistica. Il B., pur adottando la
forma dialogica della tradizione speculativa rinascimentale, la
piega alle esigenze della propria polemica, accostandosi non di rado
alla maniera parodica della tradizione aretiniana: onde non manca la
satira della pedanteria grammaticale oltre che di quella
peripatetica.
Gli attacchi contenuti nella Cena alla università di Oxford e
alla società inglese suscitarono una forte reazione negli
ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con una serie
di offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli
addetti all'ambasciata francese e contro, la stessa sede
diplomatica. Nell'emozione del momento il B. poté ritenersi
oggetto diretto di quella reazione anticattolica: è certo
tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di
quelle simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui
l'esigenza di premettere ai già composti quattro dialoghi
speculativi De la causa,principio et uno, un dialogo "apologetico"
che si risolse però, caratteristicamente, in un ribadimento
della propria polemica, salvo un riconoscimento esplicito della
validità della tradizione speculativa oxoniense anteriore
alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in
particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei
nuovi dialoghi, dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di
poco quella della Cena.
Il primo dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro
anche per i diversi interlocutori (tra questi "Elitropio" è
G. Florio, mentre "Armesso" sembra identificabile con M. Gwinne);
notevole, tra gli interlocutori dei rimanenti dialoghi, lo scozzese
Alexander Dicson "Arelio" (nativo di Errol), discepolo londinese del
B. e autore di un'opera mnemotecnica, De umbra rationis et iudicii
(1584) ispirata al De umbris bruniano: l'opera era stata attaccata
da William Perkins, ramista di Cambridge, il quale non mancò
di accomunare i nomi del B. e del Dicson nella sua riprovazione del
metodo mnemonico classico considerato in opposizione a quello
ramista. La presenza di questo interlocutore, insieme con l'attacco
frontale a Ramo nel dialogo III, può valere a farci
considerare la Causa come opera di letteratura militante nell'ambito
della contemporanea polemica ramista (per l'aspetto politico non va
dimenticato che l'attività del Dicson era in linea con il
programma politique).
I quattro dialoghi più propriamente speculativi della Causa
concernono la definizione dei tre termini enunciati nel titolo:
"causa" e "principio" sono intesi, rispettivamente, come la "forma"
e la "materia" che, indissolubilmente unite, costituiscono l'"uno",
cioè il "tutto". Movendo dalla critica dei postulati della
tradizione aristotelica, e non senza ricorso alle formulazioni di
stampo neoplatonico ed ermetico, il B. giunge in tal modo a fornire
una originale base teoretica alla propria cosmologia già in
parte enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata nei
dialoghi De l'infinito.
Il motivo della satira antipedantesca si accentua nella Causa con
una aderenza polemica alle posizioni culturali delle due
università inglesi.
Il ritmo serrato con cui alla pubblicazione della Cena e della Causa
seguì, sempre nel 1584, quella dei dialoghi De
l'infinito,universo e mondi e dello Spaccio de la bestia trionfante
si spiega tenendo conto del fatto che già nell'estate del
1583 il B. doveva aver elaborato buona parte del materiale confluito
poi nei tre dialoghi cosmologici. Anche l'Infinito porta la dedica
al Castelnau, mentre lo Spaccio è dedicato a sir Philip
Sidney, nipote del Leicester, mostrandoci in tal modo la portata dei
contatti letterari, oltre che politici, dal B. avuti in Inghilterra.
Nei cinque dialoghi De l'infinito, in polemica con la fisica
aristotelica, il B. rigetta la teoria della divisibilità
all'infinito e ribadisce la propria teoria della infinità
dell'universo e della pluralità dei mondi. In questa opera
risulta enunciato il pensiero bruniano sul rapporto tra filosofia e
religione conforme alla teoria averroista esposta dal Pomponazzi.
Tra gli interlocutori figura Girolamo Fracastoro, tracce delle cui
dottrine sono reperibili nel dialogo III; discutibile rimane
l'identificazione di "Albertino" con Alberigo Gentili (dal B.
certamente incontrato a Oxford): potrebbe trattarsi invece di
personaggio nolano.
La nuova concezione dell'universo esposta nei tre dialoghi
cosmologici si riflette sul piano etico con la trilogia dei dialoghi
tradizionalmente definiti "morali", a cominciare dallo Spaccio, il
cui tono satirico ravviva un'invenzione che risale, letterariamente,
ai dialoghi "piacevoli" di Niccolò Franco.
Lo Spaccio espone un piano di riforma morale che implica la critica
all'etica cristiana delle Chiese riformate non meno che di quella
cattolica, in nome di un attivismo umanistico contrapposto al
tradizionale umanesimo misticheggiante e retorico. L'ispirazione
acristiana dell'etica bruniana sembra trovare conferma nella critica
- metaforicamente condotta - della duplice natura della persona del
Cristo. Non è escluso che questa opera sia da identificare
con il Purgatorio de l'inferno, titolo fornito dal B. nella Cena.
Le allusioni politiche contenute nello Spaccio sono compatibili con
l'orientamento brumano favorevole ai politiques e che risale al suo
soggiorno parigino: c'è chi pur oggi continua a ritenere che
la "bestia trionfante" spodestata nello Spaccio sia da identificare
con l'intransigente Sisto V. Ma, a parte la cronologia, sembrerebbe
contrastare all'interpretazione il quadro tracciato nella Cabala del
cavallo pegaseo,con l'aggiunta dell'Asino cillenico (pubbl. 1585),
in cui l'"asino", identificabile con la "bestia" dello Spaccio,
riassume il suo posto nel cielo: né sembra possibile supporre
che la Cabala sia posteriore al 21 sett. 1585, data della bolla con
cui Sisto V scomunicò il re di Navarra.
Al di là del possibile significato politico-religioso, la
Cabala interessa sia per l'accentuata satira morale rispetto allo
Spaccio, sia per gli spunti speculativi (quali il problema del
rapporto tra le anime individuali e l'anima universale, risolventesi
nella negazione dell'assoluta individualità delle anime) che
valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero bruniano.
L'operetta è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano,
don Sabatino Savolino, della stessa famiglia materna del B. cui pure
appartiene l'interlocutore "Saulino" presente già nello
Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in seguito, di aver soppresso questa
opera in quanto non piacque al volgo e ai sapienti "propter
sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra le
superstiti opere a stampa di Bruno.
Il soggiorno inglese del B. non poteva concludersi in maniera
più degna che con la pubblicazione dei dialoghi De gli eroici
furori (1585), dedicati al Sidney, in cui risultano poeticamente
esaltati i principî fondamentali della filosofia bruniana
esposti nei tre dialoghi cosmologici, mentre vi si sviluppa e
precisa la portata della satira morale contenuta nei due dialoghi
etici.
I dieci dialoghi De gli eroici furori hanno come tema il
conseguimento della consapevolezza dell'unione con l'Uno infinito da
parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione ficiniana
(risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico,
Proclo, ecc.) rischia di far perdere di vista il carattere "naturale
e fisico" del discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato
nella dedicatoria. La stessa adozione dei moduli platonici
("ente,vero e buono son presi per medesimo significante circa
medesima cosa significata") va in realtà ricondotta a una
sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo di
trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono
"intrinseci" e la "divina luce è sempre presente"; "ogni
contrarietà si riduce a l'amicizia", "le cose alte si fanno
basse, e le basse dovegnono alte".
Notevole nei Furori l'esposizione della poetica bruniana che,
movendo dalla critica delle poetiche rinascimentali nella loro
interpretazione normativa della poetica aristotelica, approda a una
concezione della poesia come letteratura applicata: di qui il
ripudio della tradizione lirica petrarchesca, pur nell'adozione
prammatica di rime intonate al gusto del tardo petrarchismo (ivi
inclusi prestiti dal Tansillo e dalla Cecaria di M. A. Epicuro).
Gli interlocutori sono tutti nolani, ovvero, come il Tansillo, amici
della famiglia del Bruno. Notevole, come dato biografico
dell'infanzia, la presenza di due figure femminili: Laodamia e
Giulia.
Nell'ottobre del 1585 il B. rientrava in Francia al seguito
dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre si
trovava già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era
stata vittima di una grassazione. Al suo rientro a Parigi il B.
veniva a trovare un clima politico mutato (nel luglio Enrico III
aveva revocato gli editti di pacificazione e nel settembre era stata
pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse il suo
tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc. veneti,
XII)tramite il nunzio apostolico Girolamo Ragazzoni. Dedicò
al filonavarrese P. Del Bene, abate di Belleville, la Figuratio
Aristotelici physici auditus (1586), esposizione
mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in
contatto con gli italiani di Parigi, tra i quali Giovanni Botero,
stringendo amicizia con Iacopo Corbinelli che lo definì
"piacevol compagnietto, epicuro per la vita" (cfr. Yates), e dal
6dic. 1585prese a frequentare l'abbazia di St. Victor, dove quel
giorno prese a prestito l'edizione di Lucrezio curata da H. van
Giffen e confidò al bibliotecario Guillaume Cotin (il cui
diario ci conserva le notizie fornitegli dal B.) l'intenzione di
pubblicare l'Arborphilosophorum, del quale nulla sappiamo a parte il
titolo lulliano.
Due episodi clamorosi neutralizzarono in quel tempo il residuo
d'appoggio in cui il B. poteva ancora sperare presso il partito
politique. Dopo aver assistito a una pubblica dimostrazione del
compasso di riduzione inventato dal geometra salernitano Fabrizio
Mordente, uomo senza lettere, il B. acconsentì a divulgare in
latino la scoperta - parendogli atta a dimostrare il limite fisico
della divisibilità, conforme alla propria incipiente
monadologia -: pubblicò infatti, prima del 14 apr. 1586, i
Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina
adinventione (seguiti dall'Insomnium), pressoP. Chevillot: opera
ambiguamente laudatoria che irritò il Mordente, alla cui
polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi Idiota
triumphans e De somnii interpretatione, dedicati al Del Bene e fatti
stampare prima del 6giugno insieme con i due precedenti dialoghi
mordentiani. Il B. veniva così ad attaccare apertamente un
cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai
vacillante protezione politique. Atale imprudenza si aggiunse una
disputa dal B. tenuta il 28 maggio al Collège de Cambrai, in
presenza dei lecteurs royaux, sulla base di Centum et viginti
articuli de naturaet mundo adversus peripateticos: programma da lui
fatto stampare sotto il nome del discepolo J. Hennequin. Secondo il
Cotin il B. non avrebbe preso la parola, neppur dopo che allo
Hennequin ebbe risposto R. Callier, giovane avvocato politique (ilB.
venne dunque sconfessato dal suo stesso partito), e, riconosciutosi
battuto, avrebbe abbandonato Parigi. Secondo Corbinelli, il B.
"s'andò con Dio per paura di qualche affronto, tanto haveva
lavato il capo al povero Aristotele", mentre il Mordente decideva di
ricorrere al Guisa.
Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania nel giugno 1586;toccata
Magonza e Wiesbaden, il 25luglio veniva immatricolato
all'università di Marburgo come "theologiae doctor
romanensis" (Doc. tedeschi, I). L'insegnamento bruniano si dovette
mostrare incompatibile con l'aristotelismo ramista di quella
università: gli fu infatti negato il permesso di leggere
pubblicamente; a una protesta formale il B. fece seguire le proprie
dimissioni. Nella stessa estate passò a Wittenberg, nella cui
università venne introdotto da A. Gentili e immatricolato
(20agosto) come "doctor italus" (Doc. tedeschi, II).Per circa due
anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra l'altro,
l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria
lulliana (1587) - commentario dell'Arsmagna - cui premise una
lettera alle autorità accademiche mostrandosi riconoscente
per la liberale accoglienza. Seguì la pubblicazione del De
progressu et lampade venatoria logicorum, sorta di compendio della
Topica aristotelica, dedicato a G. Mylins, cancelliere
dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato
sulla Rhetorica adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium
perorandi, Francofurti 1612), come il frammento delle
Animadversiones circa lampadem lullianam e la Lampas triginta
statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana (post.: negli
Opera: 1890, 1891), con cui si conclude la trilogia delle "lampade".
L'anno seguente, per i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella
stessa città una seconda edizione dei Centum et viginti
articuli (ridotti a ottanta, con le relative rationes), con un
discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani
Camoeracensis Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i
commentari aristotelici ai primi cinque libri della Fisica, al De
generatione et corruptione e al quarto libro Meteorologicon
(pubblicati negli Opera postumi: Libri physicorum Aristotelis
explanati, 1891). L'8 marzo 1588 ilB. si accomiatava
dall'università con una Oratio valedictoria stampata dal
Cratone: va notato che il vecchio duca Augusto era morto prima
dell'arrivo del B., e che il successore Cristiano I favorì
progressivamente il calvinismo, giungendo a proibire, nel 1588, ogni
polemica a questo contraria; di qui la rinnovata precarietà
della posizione di Bruno.
Partito da Wittenberg, il B. giunse a Praga nella primavera del
1588e vi si trattenne fino al principio dell'autunno, attrattovi
forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il cui
cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non
sappiamo comunque se fu registrato all'università. A Praga il
B. ripubblicò, presso G. Nigrinus, il De lampade combinatoria
R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum scrutinio: nuovo
commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo don
Guglielmo de Haro; con dedica all'imperatore, presso G. Daczicenus,
gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis
mathematicos atque philosophos, in cui riprendeva la propria
polemica contro l'interpretazione meccanica della natura (già
anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta nel De
minimo):notevole, nella dedicatoria, la dichiarazione della religio
bruniana, interpretabile come teoria della tolleranza religiosa e
speculativa.
Ricevuta in dono dall'imperatore la somma di "trecento talari" (Doc.
veneti, IX), al principio d'autunno del 1588 ilB. si recò a
Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia" (fondata dal duca
protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato il 13 genn.
1589, e dove il 1º luglio lesse l'Oratio consolatoria (stampata
da Iacobus Lucius) per la morte del duca avvenuta il 3 maggio. Il B.
fu remunerato dal nuovo duca, Enrico Giulio, con "ottanta scudi de
quelle parti" (Doc. veneti, IX), ma non gli mancarono seri fastidi:
fu infatti scomunicato dal sovrintendente della locale Chiesa
luterana, Gilbert Voët, per motivi che il B. definì di
natura privata in una sua lettera di protesta alle autorità
accademiche, ma che avranno avuto giustificazione formale per
sospetto filocalvinismo (è comunque significativo che alla
originaria scomunica cattolica e a quella calvinista ginevrina si
aggiungesse ora la scomunica luterana). Il B. rimase tuttavia nella
città fino almeno all'aprile 1590. Durante l'anno e mezzo ivi
trascorso lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e
compose il gruppo di opere "magiche" stampate postume negli Opera
(1891), De magia e Theses de magia (concernenti la magia naturale),
De magia mathematica (parzialmente tuttora inedita nel "codice di
Mosca"), De rerum principiis et elementis et causis;trattati tutti
che tendono a dimostrare la possibilità dell'utilizzazione
pratica delle forze naturali occulte. Il 10 aprile intervenne a una
disputa tenuta dal dottor Heidenreich e il 13 - avendo riscossi a
Wolfenbüttel 50 fiorini assegnatigli dal duca - si
accomiatò dall'università con l'intenzione di passare
per Magdeburgo (dove risiedeva W. Zeileisen, zio del discepolo
norimberghese Girolamo Besler, di cui si era servito come copista)
allo scopo di farvi stampare qualcosa di suo in onore del duca. La
partenza fu ritardata fin oltre il 22: ed è probabile che il
B. si recasse direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo di
farvi stampare la trilogia poetica latina, sua opera di maggior
rilievo dopo i dialoghi londinesi), dove giunse al più tardi
nel giugno. Il 2 luglio il Senato della città rigettò
una sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J.
Wechel, il quale tuttavia gli procurò alloggio presso il
convento dei carmelitani. Il B. attese soprattutto alla
pubblicazione dei tre poemi: i Detriplici minimo et mensura... libri
V e il De monade,numero et figura liber unito ai De
innumerabilibus,immenso et infigurabili... libri octo, opere
dedicate al duca di Brunswick, per le quali il B. curò la
stampa e intagliò i legni, salvo che per l'ultimo foglio del
De minimo a causa di un repentino allontanamento dalla città
(per cui la dedica relativa fu composta dal Wechel). Stampati con la
data del 1591, il De minimo fu posto in vendita nella primavera; il
De monade con il De immenso, nell'autunno.
Nei poemi francofortesi - composti alla maniera di Lucrezio - il B.
sviluppa in senso decisamente atomistico la propria concezione della
materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo
sicontiene la definizione dell'atomo bruniano: pars ultima della
materia, minimum fisico assoluto, sostrato di tutti i corpi,
impenetrabile. La discontinuità degli atomi lascia aperto il
problema dello spazio tramezzante (con tutto che il B. riconosce
l'esigenza di una materia che "agglutina" gli atomi). Se l'"atomo"
è l'elemento materiale insecabile, il "minimo" è
l'essere o la figura minima in un dato genere, mentre la "monade"
è l'unità di un genere determinato: l'atomo, che
è di forma sferica, è anche minimo e monade. Gli atomi
sono infiniti essendo infinita la materia. In tale concezione non
v'è posto per una forza esteriore che regoli o determini le
combinazioni materiali. Nel De monade ilB. dà una spiegazione
aritmologica delle diverse qualità degli oggetti sensibili, i
cui elementi vengono mossi - come già sostenuto nella Causa
rispetto alla materia infinita - da un principio intrinseco.
Così l'atomismo dei poemi francofortesi si riallaccia
all'animismo dei dialoghi londinesi, dei quali il De immenso
riprende esplicitamente l'esposizione cosmologica, con una aderenza
a tratti letterale (tanto che il Fiorentino fu indotto a riportare
al periodo inglese l'inizio della composizione del poema). In
quest'ultimo il B. ripercorre il cammino della propria speculazione,
rinnovandone la polemica contro la fisica aristotelica e ribadendone
il superamento intuitivo dell'eliocentrismo copernicano.
Applicato l'ordine di estradizione del Senato francofortese poco
prima del 13 febbr. 1591, il B. riparò a Zurigo, dove tenne
lezioni di filosofia scolastica raccolte e pubblicate poi da Raphael
Egli (la Summa terminorum metaphysicorum a Zurigo nel 1595; la Summa
con la Praxis descensus seu applicatio entis a Marburgo nel 1609).
Ritornato per breve tempo a Francoforte, il B. pubblicò
presso il Wechel i De imaginum,signorum,et idearum compositione ad
omnia inventionum,dispositionum et memoriae genera libri tres
(1591), dedicati a J. H. Heinzel, patrizio di Augusta da lui
conosciuto a Zurigo. Durante il secondo soggiorno francofortese il
B. fu raggiunto da lettere del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo,
il quale, letto il De minimo, lo invitava a Venezia affinché
gli "insegnasse l'arte della memoria ed inventiva" (Doc. veneti
VIII).
Il B. giunse a Venezia prima della fine d'agosto del 1591.
I motivi soggettivi dell'imprudente rientro in Italia sono stati
variamente definiti: imponderabile è la componente
nostalgica, mentre è ormai da escludere il proposito di una
azione di riforma religiosa con l'ausilio delle proprie nozioni
magiche (con tutto che l'accessione del Borbone al trono di Francia
e la presenza del mite Gregorio XIV sul soglio pontificio
ravvivavano allora le speranze conciliatrici in Europa); sul piano
contingente, più che dell'occasionale invito del Mocenigo, va
tenuto conto delle aspirazioni magistrali dal B. non mai dimesse nel
corso dei suoi soggiorni francesi, inglese e tedesco.
Infatti, soffermatosi qualche giorno a Venezia "a camera locanda"
(Doc. veneti, VII), il B. proseguì per Padova, dove
già si trovava al principio di settembre e dove si trattenne,
con brevi interruzioni, per almeno tre mesi. Qui impartì
lezioni "a certi scolari tedeschi", tra i quali sarà da
includere Girolamo Besler, che era allora procuratore degli studenti
tedeschi (il Besler gli trascrisse, tra il 1º settembre e il 21
ottobre, la Lampas triginta statuarum composta nel 1587, il De
vinculis in genere, abbozzato l'anno precedente, e il non bruniano
De sigillis Hermetis, inedito e smarrito). All'insegnamento patavino
vanno riferite le Praelectiones geometricae e l'Ars deformationum,
lezioni, rinvenute solo nel 1962, in cui il B. illustra
geometricamente postulati ed enunciazioni del De minimo.
L'attività del B. a Padova induce a ritenere che, con
l'appoggio del Besler, egli mirasse alla vacante cattedra di
matematica, che fu assegnata l'anno seguente a Galileo.
Rivelatosi infruttuoso l'insegnamento padovano, al principio
dell'inverno il B. si trasferì a Venezia, prendendo dimora,
almeno dal marzo 1592, in contrada S. Samuele, presso il Mocenigo.
Incominciò a frequentare il "ridotto" Morosini, sul Canal
Grande, dove, in un clima di "civile e libera creanza", si disputava
di cose che avevano "per fine la cognizione della verità" (F.
Micanzio, Vita di Paolo Sarpi, Leida 1646). Verso la metà di
maggio 1592, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, confidò
al domenicano fra' Domenico da Nocera il proprio desiderio di
"quetarsi" e di comporre un libro da offrire al neoeletto Clemente
VIII, con lo scopo ultimo di trasferirsi a Roma, ed ivi "accapare
forsi alcuna lettura" (Doc.veneti, X): programma illusorio,
suggeritogli forse dalla politica papale e dalla contemporanea
esperienza di Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo di far
stampare a Francoforte alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle
sette arte liberali e sette altre inventive, e dedicar queste... al
Papa" (Doc.veneti, XVII), il B. chiese licenza al Mocenigo. Costui,
deluso dall'insegnamento ricevuto, la notte del 22lo fece arrestare
dai suoi e il giorn 23 presentò una denuncia per eresia
(allegando tre libri a stampa del B. e l'autografo della smarrita
operetta "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati
universali", nonché i nomi di due contesti: i librai G. B.
Ciotti e G. Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da
Saluzzo: la sera stessa il B. veniva prelevato dagli sbirri e
condotto alle carceri di S. Domenico di Castello. Si apriva
così la fase veneta del processo, che si doveva concludere
nove mesi dopo con la sua estradizione a Roma.
Gli episodi principali del processo veneto sono i seguenti: 25
maggio 1592:seconda denuncia del Mocenigo; 29 maggio: terza denuncia
(il B. era complessivamente accusato di disprezzare le religioni, di
non ammettere la "distinzione in Dio di persone", di avere opinioni
blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione, di
sostenere che il mondo è eterno e che vi sono mondi infiniti,
di credere alla metempsicosi, di attendere all'arte divinatoria e
magica, di negare la verginità di Maria, di disprezzare i
dottori della Chiesa, di ritenere che i peccati non vengano puniti,
di essere già stato processato a Roma, di indulgere al
peccato della carne); 26maggio: interrogatorio dei contesti
(favorevoli al B.) e primo costituto del B.; 30 maggio: secondo
costituto e ulteriore accusa (di aver soggiornato in paesi di
eretici vivendo alla loro maniera); 2, 3 e 4 giugno: interrogatorio
sui capi d'accusa (a proposito dei propri libri il B.
dichiarò: "io ho sempre diffinito filosoficamente e secondo
li principii e lume naturale, non avendo riguardo principal a quel
che secondo la fede deve essere tenuto...", Doc.veneti, XI); 23
giugno: interrogatorio di Andrea Morosini e seconda deposizione del
Ciotti (favorevoli al B.); 30 luglio: ultimo costituto veneto del B.
(ammissione di dubbi marginali già dichiarati e sottomissione
al tribunale) e trasmissione del processo al card. di Santa
Severina, inquisitore supremo in Roma (il quale già prima
dell'ultimo costituto interferiva nella causa); 12settembre:
richiesta formale di avocazione della causa a Roma; 17 settembre:
consenso del tribunale veneto; 28settembre: trasmissione della
richiesta romana al Collegio presieduto dal doge; 3 ottobre: parere
sfavorevole del Collegio trasmesso al Senato; comunicata a Roma la
risposta negativa; 22 dicembre: rinnovata richiesta al Collegio
motivata con precedenti; 9 genn. 1593: comunicazione a Roma
dell'approvazione del Senato.Il 19 febbr. 1593 il B. usciva dal
carcere veneziano e, fatto salpare per Ancona, il giorno 27 faceva
ingresso nel carcere del S . Uffizio di Roma da cui, dopo lungo e
intermittente processo, sarebbe uscito sette anni più tardi
per subire l'orrendo supplizio.
Gli episodi noti e salienti del processo romano sono così
riassumibili: estate 1593:nuova grave denuncia da parte di fra'
Celestino da Verona, concarcerato a Venezia (imputazione di aver
sostenuto che Cristo peccò mortalmente, che l'inferno non
esiste, che Caino fu migliore di Abele, che Mosè era un mago
e inventò la legge, che i profeti furono uomini astuti e ben
meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che il
culto dei santi è riprovevole, che il breviario è
opera indegna; di aver bestemmiato; di aver intenzioni sovversive
ove fosse costretto a rientrare nell'Ordine); interrogagatorio a
Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò, Francesco Vaia,
Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità
bruniane e nuova accusa: l'avere in spregio le sante reliquie);
interrogatorio del conteste Francesco Graziano (ribadimento della
credenza bruniana nella pluralità dei mondi e nuova accusa:
riprovazione del culto delle immagini). Prima della fine del
1593:otto costituti bruniani (dall'ottavo al quindicesimo
dell'intero processo) e conclusione del processo offensivo.
Il B. mantenne la linea difensiva già adottata a Venezia
(attenuò la portata dei dubbi circa la Trinità,
disponendosi ad accettare il dogma; negò le accuse circa
l'inferno, Cristo, i propositi sovversivi, l'ateismo, le
manifestazioni blasfeme; precisò il significato di "magia"
con riferimento a Mosè, e la propria opinione, ritenuta
"filosoficamente" e ipoteticamente, circa la metempsicosi;
negò l'opinione attribuitagli circa Caino, e precisò
quella relativa alla pluralità dei mondi; negò le
pratiche superstiziose, precisando il proprio interesse per
l'astrologia). Gennaio-marzo 1594: a Venezia, esami ripetitivi dei
testi (Mocenigo, Ciotti, Graziano, De Silvestris): confermate nel
complesso le precedenti deposizioni, solo la sospetta
integrità dei testi poté far differire la conclusione
del processo; giugno: supplemento di denuncia da parte del Mocenigo
(accusa di aver irriso il papa nel Cantus circaeus); estate
1594:sedicesimo costituto (il B. si difese sull'ultima accusa, su
quella relativa ai Magi, e forse anche sull'altra relativa alla
verginità di Maria; sporse denunce contro il Graziano e
Francesco Maria Vialardi concarcerato a Roma); 20 dicembre: il B.
presentò una difesa scritta, non pervenutaci. Il 16 febbraio
1595si stabilì che una lista dei libri bruniani fosse
presentata al papa.
Tra il maggio 1594 e i primi del 1595 il B. fu raggiunto nel carcere
da Francesco Pucci, Tommaso Campanella e Cola Antonio Stigliola. Il
18 sett. 1596 la Congregazione stabilì una commissione con lo
scopo di censurare le proposizioni eretiche contenute nei libri. Il
24 marzo 1597 il B. fu ammonito di abbandonare la sua teoria della
pluralità dei mondi; si stabilì inoltre che egli fosse
interrogato stricte (forse con applicazione della tortura):
ciò che avvenne con il diciassettesimo costituto, circa la
Trinità e l'incarnazione (il B. precisò il carattere
speculativo dei dubbi passati), nonché la pluralità
dei mondi (che il B. persistette a sostenere). Nel corso del
1597ebbe luogo, forse oralmente, la risposta del B. alle censure,
otto delle quali sono rilevabili dal Sommario del processo: "circa
rerum generationem"; circa il principio che a causa infinita debba
corrispondere effetto infinito; circa il rapporto tra anima
universale e anima individuale; circa il principio che nulla si
genera e nulla si corrompe; circa il moto della terra; circa la
definizione degli astri come angeli; circa l'attribuzione di
un'anima sensitiva e razionale alla terra; circa l'affermazione che
l'anima non è forma del corpo umano (due altre censure,
rilevabili da una lettera di K. Schopp [Doc. romani, XXX],
concernono l'identificazione dello Spirito Santo con l'animamundi, e
la credenza nei preadamiti). Il 18 gennaio del 1599, a istanza di
Roberto Bellarmino, venivano sottoposte al B., per la sua
dichiarazione di abiura, otto proposizioni eretiche (ci è
nota la prima, "de haeresi Novatiana", e la settima, estratta dal De
la causa, "ubi tractat an anima sit in corpore sicut nauta in
navi"). Il 15 febbraio (ventesimo costituto) il B. si
dichiarò disposto all'abiura incondizionata; ma il 24agosto
tornò a manifestare esitazioni sulla prima e la settima. Il 9
settembre, in mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i
consultori si dichiararono in favore dell'applicazione della
tortura, che tuttavia non fu approvata da Clemente VIII. Il 10
settembre il B. si dichiarò disposto all'abiura
(21ºcostituto), ma il 16, con un memoriale al papa, rimetteva
in discussione le proposizioni incriminate. Intanto al S. Uffizio di
Vercelli perveniva una terza delazione (dovuta, sembra, a un reduce
dall'Inghilterra) con cui il B. era di nuovo accusato di irriverenza
verso il papa (lo Spaccio) e di aver lasciato fama di ateo in
Inghilterra. Settembre-ottobre 1599:il tribunale ordinò il
termine di quaranta giorni per il riconoscimento degli errori. Il
21dicembre (ventiduesimo costituto) il B. rifiutava la
ritrattazione: vano fu l'intervento del generale e del procuratore
dei domenicani. Il 20 genn. 1600il papa ordinò che il B.
fosse sentenziato come eretico formale, impenitente e pertinace, e
consegnato al braccio secolare. Un estremo memoriale del B. al
pontefice venne aperto ma non letto dal tribunale.
L'8 febbr. 1600 il B. veniva condotto dal carcere del S. Uffizio al
palazzo del cardinale Madruzzi, in piazza Navona, dove la sentenza
gli fu letta pubblicamente. Delle trenta o più imputazioni
contenute nella sentenza, risultano accertate quelle concernenti la
transustanziazione, la verginità di Maria, la vita eretica,
lo Spaccio, la pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima
umana, l'eternità del mondo, Mosè, le Sacre Scritture,
i preadamiti, Cristo, i profeti e gli apostoli.
Riconosciuto "eretico impenitente pertinace ed ostinato" (Doc.
romani, XXVI), il B. era condannato alla degradazione dagli ordini,
all'espulsione dal foro ecclesiastico e a essere consegnato alla
corte secolare per la debita punizione; i suoi libri dovevano essere
bruciati in piazza S. Pietro e le opere tutte incluse nell'Indice.
Il B. ascoltò in ginocchio la sentenza; quindi, levatosi in
piedi, esclamò rivolto ai giudici: "Maiori forsan cum timore
sententiam in me fertis quam ego accipiam" (Doc. romani, XXX).
Trasferito al carcere di Tor di Nona, e visitato ancora nei giorni
seguenti da teologi e confortatori, la mattina del giovedì 17
febbraio fu condotto a Campo di Fiori, dove, "spogliato nudo e
legato a un palo, fu bruciato vivo (Doc. romani, XXIX).
La portata speculativa della vicenda bruniana è implicita
nella storia del moderno pensiero europeo; per il lato culturale e
biografico, pur dopo ricerche secolari, quella vicenda è
tuttora al vaglio della filologia contemporanea.