Brandileone Francesco
  
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Storico del diritto italiano
    (Buonabitacolo, Salerno, 1858 - Napoli 1929), prof. di storia del
    diritto italiano a Sassari, Parma, Bologna e Roma; socio nazionale
    dei Lincei (1926). Al rigore del metodo scientifico unì
    sempre originalità di giudizî e raro equilibrio. I suoi
    contributi più importanti riguardano la storia del diritto
    privato (Scritti di storia del diritto privato italiano, 2 voll.,
    1931), il diritto bizantino e dell'Italia meridionale (Il diritto
    bizantino nell'Italia merid., 1886; ed. del Prochiron legum, 1895;
    Scritti di storia giuridica dell'Italia meridionale, a cura di C. G.
    Mohr, 1970), istituti del diritto canonico (Saggi sulla storia della
    celebrazione del matrimonio in Italia, 1906).
    
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DBI
    
Nacque a Buonabitacolo (Salerno) il 25
    genn. 1858, da Giovanni e da Teresa Netti, e studiò
    giurisprudenza all'università di Napoli, laureandosi
    nell'anno 1883 sotto la guida di F. Pepere. La sua tesi di laurea
    (Il dirittoromano nelle leggi normanne e sveve), premiata dalla
    facoltà, venne pubblicata l'anno seguente. A Roma il B.
    seguì, come interno, un corso di perfezionamento sotto la
    guida di F. Schupfer (1884), e l'anno seguente un altro in Germania.
    Incaricato di storia del diritto italiano per pochi mesi
    all'università di Macerata, passò poi di ruolo a
    Sassari (1886), indi a Parma per quasi un ventennio (1888-1906), a
    Bologna prima alla cattedra di diritto ecclesiastico (1906-1916),
    poi a quella di storia del diritto italiano (1916-21) succedendo ad
    A. Gaudenzi, infine a Roma (1921-29) succedendo allo Schupfer.
    
    Chiaro seguace dell'indirizzo positivista, la tradizione
    documentaria rappresentò per il B. il mezzo pressoché
    unico di conoscenza dell'evoluzione giuridica altomedioevale. Egli
    fu quasi esclusivamente un medievalista e pochi sono i suoi scritti
    che vanno oltre il sec. XIII. Giurista assai acuto e fine, il suo
    campo di azione fu principalmente quello del diritto privato,
    soprattutto per quel che riguarda la famiglia e le obbligazioni,
    salvo alcuni corsi universitari che affrontano anche temi di diritto
    pubblico. Ma il terreno che più attrasse la sua attenzione fu
    quello del diritto bizantino. Già in un primo lavoro sui
    contatti tra i Normanni e l'Oriente (pubblicato poi negli Studi in
    onore di Salandra, Roma 1928) il B., su incoraggiamento del Pepere e
    del Capasso, cominciò a riflettere sul problema degli apporti
    germanici o romani; la sua stessa tesi di laurea si orientava verso
    una nuova forma di critica storica, cioè verso un
    ridimensionamento del valore costitutivo del diritto germanico
    nell'insieme del posteriore diritto italiano. Non era ancora
    iniziata la polemica tra F. Schupfer e N. Tamassia, ma
    l'atteggiamento del B., che poneva l'accento sul valore formativo
    del diritto romano nel contesto itaIico, ne era già, assieme
    al coevo lavoro di P. Del Giudice (Tracce di diritto romano nelle
    leggi longobarde, Milano 1889), un preannuncio.
    
    L'opera del B. cominciò dunque sotto il simbolo della
    rivendicazione del "fattore" romano, ma fu proprio Schupfer a fargli
    un'osservazione basilare, e che in certo senso qualificò
    l'ulteriore indirizzo dei suoi studi: mancava uno studio organico
    dei precedenti, del diritto o dei diritti che avevano influenzato la
    vita giuridica dell'Italia meridionale, confluendo appunto nelle
    Assise normanne o nel Liber Augustalis. Fu cosìla scoperta
    del diritto bizantino del suo procedere ed evolversi e permeare i
    paesi rimasti o riacquisiti alla dominazione di Costantinopoli;
    cosicché si presentavano le due prospettive dei paesi "greci"
    e di quelli grecizzati. E lo studio approfondito del ms. Vat. gr.
    845, cioè la scoperta di un Prochiron legum, permise al B. di
    individuare un filone di cultura bizantina autoctona (calabrese) del
    X secolo. Gli studi per l'edizione si protrassero per un decennio
    (intrecciandosi con altri sul regno normanno-svevo), dando anche
    l'appiglio a nuove ricerche, questa volta sul diritto di famiglia.
    
    Sebbene gli argomenti paiano restringersi a due temi principali, i
    rapporti patrimoniali fra coniugi e le forme di celebrazione del
    matrimonio, il complesso delle conclusioni è molto più
    vasto. Infatti l'evoluzione storica mostrava come dalle solenni
    forme primitive della desponsatio edella traditio sisia passati
    gradualmente al concetto contrattualistico matrimonii contrahendi
    causa, in cui veniva in primo piano la volontà delle parti,
    donde - sotto la spinta del diritto canonico - fu facile accettare
    il principio del consensus come elemento fondamentale di un
    negotium. Diqui la conclusione che la solennità della
    dichiarazione di volontà non è più preliminare
    al matrimonio, come nella desponsatio, ma costitutiva (come è
    stabilito dal concilio di Trento). La stessa dichiarazione di
    volontà, tuttavia, abbisognava di pubblicità idonea, e
    da questa necessità provenne l'uso prima, poi la
    regolamentazione, specialmente statutaria, della presenza di una
    pubblica autorità, civile o ecclesiastica, alla cerimonia
    dello scambio dei consensi, cosicché il concilio di Trento
    probabilmente generalizzò un uso largamente diffuso in
    Italia. Idee, queste, che potevano anche venir suggerite dal fatto
    che a Parma il B. iniziava il corso di diritto ecclesiastico che
    allora - e fino al 1918 - era prevalentemente di carattere storico,
    per ciò che riguardava i presupposti canonistici.
    
    Queste conclusioni - ormai ritenute valide - parvero conclusive e
    concluse allo stesso B., che volle raccogliere i vari scritti in un
    volume (Saggisulla celebrazione del matrimonio in Italia, Milano
    1906), l'unica raccolta che egli abbia curato. Di pari passo
    all'evoluzione delle forme del matrimonio si svolge quella dei
    rapporti patrimoniali fra i coniugi, nel senso che al regime degli
    assegni maritali (e ciò specialmente per impulso del diritto
    statutario dei secc. XIII-XIV) si afferma un ritorno al regime
    dotale romano e della comunione dei beni o degli utili, mentre i
    precedenti assegni maritali (di procedenza germanica) scadono al
    rango o di lucro dotale o di usufrutto.
    
    Ma la rivoluzionaria impostazione data agli studi romanistici dal
    Mitteis, con il suo volume Reichsrecht und Volksrecht, parve al B.
    che mirasse ad introdurre, nel quadro dei "fattori" - considerati
    sempre come espressione di quantità etniche ben delimitate
    (Romani o Germani) o di ordinamenti giuridici anch'essi definiti (la
    Chiesa ed il suo diritto) - un elemento fluttuante e quasi
    impalpabile: il diritto popolare o volgare. La parola doveva tornare
    ai documenti, per chiarire un punto essenziale: alcune deviazioni o
    dal diritto romano o da quello germanico in materia di
    documentazione potevano assumere le caratteristiche di prodotti del
    diritto volgare.
    
    Le ricerche in tema di obbligazioni inquadrano l'evoluzione di forme
    tipiche, come la "stantia", sviluppatasi in terre bizantine e poi
    diffusa in quelle longobarde nel corso del VII secolo come
    trasformazione della stipulatio romana, con nuova forma documentale.
    Il carattere formale determina anche effetti costitutivi ed in parte
    di garanzia (questi ultimi derivati dalla "wadia" longobarda). Dal
    canto suo la traditio chartae non ha effetti costitutivi del
    contratto, ma soltanto testimoniante del vincolo già
    stabilito, quindi di carattere dispositivo. Ma, attestando
    l'esistenza di un atto, dà alla "charta" il valore di titolo
    esecutivo e di garanzia dell'esecuzione stessa: di qui la
    trasferibilità immediata del titolo al portatore della carta
    o con clausole speciali ("ad exigendum", all'ordine). Frutto,
    però, di quella evoluzione consuetudinaria che trovava la sua
    radice nel diritto romano giustinianeo o al più teodosiano,
    non in concezioni preromane, o provinciali, risorgenti in seguito al
    dissolversi del grande nesso imperiale romano.
    
    Come ricordava Calisse, la posizione del B., nel momento delle
    maggiori discussioni sull'impostazione metodologica della storia del
    diritto italiano, fu sostanzialmente vicina a quella del Tamassia (e
    dei suoi coetanei) piuttosto che non a quella di Schupfer,
    però non arrestandosi ad una mera contrapposizione di romano
    e germanico, ma introducendo la visione di un terzo "elemento",
    cioè il diritto canonico, mentre un gran peso ebbe,
    nell'Italia meridionale, l'evoluzione bizantina, come "facies" del
    diritto, romano. Ed a maggiormente potenziare gli studi
    storicogiuridici in Italia fondò, assieme a Calisse,
    Tamassia, Mochi Onory e Viora, la Rivista di storia del diritto
    italiano (1928), così da dare un punto di riferimento a tali
    studi .
    
    Il B. morì a Napoli il 18apr. 1929;fu socio nazionale dei
    Lincei e a più riprese preside delle facoltà di
    giurisprudenza di Parma e di Bologna durante i suoi anni di
    insegnamento.