BONGHI Ruggiero
www.sapere.it
Uomo politico e letterato italiano (Napoli 1826-Torre del Greco 1895).
Dedicatosi agli studi umanistici, conseguì notevoli successi
soprattutto nella lingua greca. Cadute le speranze in una lega italiana
con l'allocuzione di Pio IX ai cardinali (29 aprile 1848), si rifugiò
in Piemonte dove conobbe Rosmini e Manzoni. Dedito a una multiforme
attività culturale, collaboratore di giornali, brillante conferenziere,
autore di opere filosofiche, storiche e letterarie, nel 1859 ebbe da
Cavour la cattedra di filosofia che aveva invece rifiutato dall'Austria.
Deputato dal 1860 al 1892, professore in varie università (Milano,
Roma, Firenze), direttore della Perseveranza (dal 1866), fondatore
della Cultura, collaboratore della Nuova Antologia e del Politecnico,
fu certamente uno dei maggiori pubblicisti e parlamentari della destra
dopo l'unificazione. Relatore di maggioranza del disegno di legge delle
Guarentigie (1871), fu successivamente ministro della Pubblica
Istruzione e in tale qualità promosse numerose e importanti riforme e
fondò a Roma la Biblioteca Vittorio Emanuele. Verso la fine della sua
vita fu attento anche ai nuovi fermenti del mondo operaio e si volse
allo studio del socialismo, ma con una certa superficialità e
incertezza.
Tra le sue opere si ricordano: I ritratti contemporanei (1879), Le Stresiane (post., 1897) e il volume Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia
(1856), al quale è pressoché interamente legata la sua fama di
scrittore. Merito indiscusso del libro è quello di aver contribuito a
gettare il discredito sul linguaggio accademico e paludato dei
letterati italiani.www.treccani.it
DBI
di Pietro Scoppola
Nacque a Napoli il 21 marzo 1826 da Luigi,
avvocato di origine bergamasca, e da Carolina de Curtis. Morto il
padre nel 1836, il B. fu educato dal nonno materno Clemente de
Curtis. Nel 1840 la madre sposò Francesco Saverio Baldacchini
Gargano, che esercitò sul B. notevole influsso. Dagli undici
ai quindici anni il B. fu in collegio dagli scolopi di S. Carlo a
Mortella.
Approfondì la conoscenza del greco sotto la guida del profugo
greco Costantino Margaris, studiò diritto romano con Giacomo
Savarese, seguì le lezioni di filosofia del giobertiano Luigi
Palmieri. Nel complesso però il B. non ebbe veri maestri, non
appartenne ad alcuna scuola, in particolare non subì
l'influsso di quella hegeliana che a Napoli si veniva formando;
sembrò anzi evitare gli uni e le altre ponendo sempre, nello
studio, uno spirito di autonomia e un gusto di singolarità
che conserverà lungo tutta la vita.
A vent'anni il B. pubblicò una breve Vita di Galluppi (in
Ausonio, Parigi 1846)e lo scritto Degli studi platonici italiani da
Petrarca sino a Marsilio Ficino. Ragionamento. Da uno scritto
intorno alla storia esterna del Platonismo in Italia (in IlPontano.
Biblioteca di scienze,lettere ed arti, giugno 1846); pocodopo
pubblicò una traduzione del Bello di Plotino (Libri
neo-platonici sul bello: Plotino. Del Bello. Traduzione con proemio,
in Museo di scienze e letteratura, a. IV, vol. XII, n. 47, Napoli
1847)e una traduzione con commento del Filebo di Platone (Il Filebo
o del sommo bene,dialogo di Platone volgarizzato e commentato,
Napoli 1847).
Nel biennio 1846-48 il B. partecipò attivamente al moto per
le riforme e per la costituzione, condividendo le diffuse speranze
in Pio IX. Perseguitato dalla polizia borbonica per le sue idee
liberali, rimase nascosto per un mese circa, verso la fine del 1847,
nella badia di Cava dei Tirreni. All'inizio del 1848, in casa di
Gaetano Filangieri, stese una petizione, firmata poi dai più
illustri patrioti del Regno, diretta al governo di Ferdinando II di
Borbone perché fosse concessa la costituzione.
Partecipò alle dimostrazioni del 27 genn. 1848 e
collaborò al Tempo, il giornale di Carlo Troya, di Saverio
Baldacchini e di Camillo Caracciolo. Fu nominato segretario della
delegazione straordinaria presieduta dal principe Colubrano, inviata
dal governo del Troya, per trattare a Roma. Firenze e Torino la
conclusione di una lega italiana. La delegazione il 24 aprile fu
ricevuta da Pio IX, ma l'allocuzione del 29 aprile segnò la
fine delle speranze neoguelfe e federaliste: scioltasi la
delegazione il 6 maggio 1848, il B., per sottrarsi alla rappresaglia
del governo borbonico dopo il ritiro della costituzione, rimase a
Roma fino all'agosto del 1848, vide nuovamente il papa, cui
offrì la sua traduzione del Filebo, e incontrò
più volte Vincenzo Gioberti.
Da Roma, ove aveva intrapreso a collaborare al liberale
Contemporaneo, inviò due messaggi, firmati anche da altri
esuli napoleta: il primo al re di Napoli per deplorare la politica
seguita dopo il 15 maggio, e un altro di elogio a Guglielmo Pepe che
aveva rifiutato di far ritorno con le sue truppe a Napoli. Ebbe
inizio così l'esilio del B. che fu insieme il periodo della
maturazione e definitiva formazione della sua personalità
intellettuale e politica, e un periodo anche di difficoltà e
ristrettezze economiche.
Nell'agosto 1848 il B. si trasferì a Firenze, ove si
dedicò agli studi, ma dove ebbe anche occasione di nuovi
incontri frequentando il gabinetto Vieusseux; fra gli altri,
intrattenne rapporti con Silvio Spaventa, cui lo avvicinava ormai,
politicamente, un sempre più esplicito ideale unitario e
collaborò al Nazionale di Celestino Bianchi.
Allontanato dal governo toscano, su richiesta di quello di Napoli,
agli inizi dell'aprile 1850, perché accusato. a torto, di
essere l'autore di alcuni articoli sul Nazionale nei quali si
sconsigliava la casa di Lorena dallo stringere legami con i Borboni
di Napoli, il B. riparò a Torino, ove frequentò le
famiglie degli Arconati e dei Collegno, e poi a Pallanza, presso gli
Arconati stessi; fra il 1851 e il 1852 fu a Parigi, donde fece un
viaggio a Londra, e poi, dal maggio del 1852, di nuovo fra Torino e
Stresa fino al 1859.
Sono di questi anni gli assidui incontri con Antonio Rosmini e
Alessandro Manzoni. Accolto e ospitato familiarmente dal Rosmini,
assistette nella sua casa alle frequenti conversazioni con il
Manzoni.
L'influsso del Rosmini fu profondo sul B.: a quegli anni
appartengono in effetti gli scritti filosofici più
significativi del B., interessanti, tuttavia, più come eco di
quei colloqui che per il loro contenuto dottrinale. Da Stresa
inviò al Mamiani, per gli Atti della Accademia di filosofia
italica (1852) quattro lettere sul concetto dell'anima (ripubblicate
in Prime armi); scrisse pure una Comunicazione sulla psicologia di
Rosmini lettaall'Accademia stessa; ma soprattutto raccolse in forma
di dialoghi le idee suggeritegli dalle conversazioni con Rosmini e
Manzoni. Dal 1º marzo 1852, a Parigi, il B. aveva intrapreso a
scrivere un Diario, interessante come traccia delle sue letture, che
portò innanzi sino al febbraio 1853 quando era di nuovo a
Torino; in esso inserì alcuni dialoghetti sulla lingua e
quattro dialoghi filosofici, da lui stesso chiamati Le Stresiane, di
cui sono protagonisti appunto Rosmini, Manzoni, il conte Gustavo di
Cavour e lui stesso. Di questi dialoghi solo il quarto fu pubblicato
nel 1854 dal Mamiani negli Atti dellaAccademia di filosofia
italicadi Genova (ripubbl. in Prime armi). Gli altri furono
ritrovati da G. Negri nel Diario dopo la morte del B. e poi
pubblicati, assieme ai dialoghetti sulla lingua e al quarto dialogo,
nel secondo volume di Per A. Rosmini nel primo centenario della sua
nascita, Milano 1897, con introduzione di Giuseppe Morando. Su
consiglio del Rosmini tradusse anche in quel periodo la Metafisica
di Aristotile della quale pubblicò i primi sei libri
(Metafisica d'Aristotile,volgarizzata e commentata,dedicata
all'abate Antonio Rosmini Serbati,libri 1-6, Torino 1854), mentre
gli altri sei sono rimasti inediti.
L'influsso del Manzoni sul B., oltre che nel campo filosofico e
religioso, fu particolarmente evidente a proposito della concezione
della lingua. Il B., pur non avendo frequentato a Napoli la scuola
del marchese Puoti, si era prefisso a modello di stile i trecentisti
italiani e aveva criticato sotto questo profilo il Manzoni stesso;
in seguito ai colloqui col Manzoni rimase però persuaso che
il parlare fiorentino dovesse essere modello anche allo scrivere e
che lo stile dovesse soprattutto rispondere al pensiero individuale.
Alcune critiche mosse sullo Spettatore dal giovane Alessandro
D'Ancona alla sua versione di Aristotile gli offrirono l'occasione
di intervenire sul tema fra il marzo e l'ottobre del 1855 con una
serie di lettere a Celestino Bianchi, direttore dello Spettatore
stesso, che furono presentate sotto il titolo Perché la
letteratura italiana non sia popolare in Italia e segnano una tappa
importante nella storia della controversia sulla lingua italiana.
Le lettere ebbero altre tre edizioni: Milano 1856 (con dedica a
Giulio Carcano), Milano 1873, e Napoli 1884 (dedica a Carlo
Landriani e prefazione di Luigi Morandi). Dei nuovi orientamenti
filologici del B. risentono le versioni dell'Eutidemo e del
Protagora di Platone comparse a Milano nel 1857 e le successive
traduzioni di Platone pubblicate più tardi assieme alle
precedenti (Dialoghi di Platone, Roma 1880-96).
Il profondo
interesse del B. per la figura e l'opera del Manzoni si manifesta
altresì, dopo un primo articolo sul Manzoni stesso,
pubblicato nel 1852 sul Risorgimento, in una serie di scritti
comparsi lungo tutto il corso della sua vita su giornali e riviste
(ora in Opere, II).
Nel 1855 il B. aveva sposato Carlotta Rusca - dalla quale ebbe tre
figli - e si era stabilito a Belgirate. Ma assai poco durò il
periodo di raccoglimento nella vita familiare: nel 1859-60 riprese
infatti una intensa attivitàpubblica.
Estraneo agli indirizzi della scuola hegeliana di Napoli il B.,
sulla base di una ampia cultura classica, si era piuttosto ispirato
al liberalismo di Tocqueville (incontrato durante il soggiorno a
Parigi), alla concezione etico-religiosa di Rosmini e Manzoni -
anchese della scuola cattolico-liberale nonpuò considerarsi
un discepolo, ma un semplice compagno di strada laico - e infine al
liberalismo di Cavour. La convinzione unitaria, maturata dopo la
delusione del 1848, appare in lui strettamente legata alla fiducia
nei nuovi ordinamenti costituzionali, e alla radicata persuasione
della inutilità di ogni rivolgimento politico che non
fosseaccompagnato o seguito da un rinnovamento morale e religioso,
convinzione che è la premessa del suo vivo interesse per i
problemi dell'educazione, dell'istruzione e della politica
ecclesiastica nei decenni successivi.
Queste convinzioni illuminano la sua attività che si sviluppa
intensamente su tre linee continuamente intrecciate e sovrapposte,
che restano tuttavia sostanzialmente distinte sino agli ultimi
giorni: l'insegnamento universitario, la vita parlamentare e
politica e il giornalismo.
Il motivo del continuo alternarsi, nella sua vita di studio e di
azione, è stato da lui stesso indicato con una considerazione
che investe il rapporto fra cultura e politica quale fu sentito e
vissuto dalla sua generazione. Ma al di là di ogni
circostanza storica, la vita del B. manifesta la radicata
convinzione del primato dell'azione: "La vita - egli ha scritto -
non è né scrivere né parlare, ma agire" (Opere,
IV, p. 379).
Alcuni aspetti della sua personalità spiegano questa intensa
e varia operosità e al tempo stesso ne pongono in evidenza i
caratteri e i limiti: la vivacità e versatilità
dell'ingegno che amici e avversari gli riconobbero in alto grado; la
felicissima vena oratoria per cui Francesco D'Ovidio lo
avvicinò a Cicerone, ma che lo ha fatto anche giudicare un
sofista per la capacità di sostenere tesi opposteuna certa
superficialità e volubilità d'interessi che lo
portò ad abbandonare i temi appena affrontati, severamente
criticata da Benedetto Croce; l'impulsività dei giudizi,
nascosta dall'abitudine del sottile ragionare; infine la
mondanità stessa che lo sospingeva quotidianamente a cercare
nei salotti più eleganti del suo tempo campo adeguato alla
sua vena inesauribile di conversatore.
Vasta ma estremamente frammentaria fu la sua produzione scientifica.
Anche la sua presenza alla Camera fu discontinua e caratterizzata da
una certa mutabilità di opinioni particolari e da una
fondamentale indisciplina nei confronti di quella Destra nelle cui
file militò sempre. Il B. in realtà non fu mai un vero
statista per il costante prevalere in lui, sull'impegno a costruire
e realizzare, di uno spirito critico e spesso ironico, del
desiderio, anche, istintivo in lui, di porsi contro l'opinione
dominante.
Gli stessi aspetti viceversa lo fecero eccellere come osservatore,
commentatore e critico degli avvenimenti politici.
Dopo aver collaborato nel 1859 con Cavour ai preparativi della
campagna di Lombardia, fu chiamato dal ministro della Pubblica
Istruzione Gabrio Casati, dopo Villafranca, alla cattedra di logica
nella università di Pavia. che gli era già stata
offerta pochi anni prima dal governo austriaco ed era stata
rifiutata su consiglio del Cavour stesso.
Nella prolusione al corso (Delle relazioni della filosofia con la
società, Milano 1859) il B. si ispirò alle tesi del
Mamiani sulla evoluzione del pensiero filosofico dal Medioevo
all'età moderna. Le lezioni sono raccolte in Sunto delle
lezioni di logica, scritto da lui per uso dei suoi scolari, Milano
1860 (ripubblicato con la prolusione in Prime armi).
Nella primavera del 1860 il B. iniziò un saggio su Cavour
(nuova edizione accresciuta: I contemporanei italiani. Galleria
nazionale del sec. XIX,C. B. di Cavour, Torino 1861, ora in Opere,
IV, insieme con altri scritti su Cavour) nel quale tra l'altro
poneva in luce l'importanza che sul Cavour aveva avuto il soggiorno
in Inghilterra.
Cittadino sardo dal 29 genn. 1858, fu eletto il 25 marzo 1860
deputato al Parlamento subalpino nel collegio di Belgioioso per la
VII legislatura. Ma proclamata (25 giugno 1860)da Francesco II di
Borbone la costituzione e concessa l'amnistia per gli emigrati
politici, il B. rientrò, su consiglio del Cavour, a Napoli,
dove rinnovò e diresse il Nazionale, il maggiore dei giornali
annessionisti. Nominato da Garibaldi "eletto", cioè
vicesindaco, della città di Napoli, in tale qualità
presentò il 13 ottobre, a Grottammare, al re Vittorio
Emanuele II la deputazione napoletana.
Garibaldi lo chiamò alla cattedra di storia della filosofia
all'università di Napoli e il 9 novembre funominato da Farini
segretario del Consiglio di luogotenenza, decadendo così, per
incompatibilità, da deputato. Eletto successivamente deputato
per la VIII legislatura alla prima Camera del Regno d'Italia il 3
febbr. 1861per il collegio di Manfredonia, tornò a Torino
ove, nel 1862, fondò La Stampa (la cui proprietà era
del Landi, proprietario anche del Nazionale di Napoli), che visse
fino al 1865.
Lasciato l'insegnamento per incompatibiltà parlamentare, fu
nominato professore onorario di letteratura greca
all'università di Torino. Trasferita la capitale a Firenze,
vi fu nominato, il 28 giugno 1865, professore di letteratura latina
nell'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento (nella
prolusione al suo corso che tenne nel febbraio 1866 trattò
Del concetto di ogni scienza storica, Firenze 1866, riecheggiando i
motivi spaventiani della circolarità del pensiero europeo);
il 15 ottobre dello stesso anno fu nominato membro del Consiglio
superiore della Pubblica Istruzione, ufficio che terrà sino
al 1874.
Assunta trattanto nel 1866 a Milano la direzione della Perseveranza,
che terrà sino al 1874, dopo una breve aspettativa nelle
funzioni di docente universitario, fu chiamato il 15 dic. 1867, come
professore di storia antica, all'Accademia scientifica letteraria di
Milano.
Rimasto escluso alle elezioni dell'ottobre 1865 (trasse da
ciò lo spunto per l'opuscolo La elezione del deputato.
Lettere due a un candidato nell'imbarazzo, Firenze 1865, in cui si
manifesta la sua concezione oligarchica della politica), dopo aver
lasciato il 14 apr. 1869 la cattedra, rientrò alla Camera il
18 apr. 1869 per il collegio di Agnone, ma, richiamato
all'insegnamento nell'Accademia di Milano, cessò da deputato
il 31 luglio 1870; fu rieletto poco dopo, il 9 ottobre (la Camera fu
sciolta però il 2 nov. 1870).
In quegli anni si sviluppava pure intensissima la sua collaborazione
a varie riviste, fra le quali erano Il Politecnico e, soprattutto,
La Nuova Antologia.
Dal 1866 al 1874 dettò per quest'ultima rivista le mensili
Rassegne politiche che restano ancora, per larghezza di informazione
e acutezza di giudizio, un modello del genere (Opere, IX, X e XI), e
sino al 1895 darà ad essa il meglio della sua produzione di
giornalista e scrittore (gli scritti più significativi in
Opere).
Particolarmente assidua fu la sua collaborazione sui temi di
politica generale e di attualità. Dal 1868 iniziò a
trattare il tema dei partiti nella vita italiana, pubblicando in
più puntate, fra il gennaio e il febbraio, lo scritto I
partiti politici nel Parlamento italiano (Opere, II). In esso
esamina le condizioni della vita politica e parlamentare dopo la
morte del Cavour ponendole a confronto con le esigenze di una
autentica dialettica di partiti; denuncia gli inconvenienti del
parlamentarismo, ma non indica altra soluzione che la ricostituzione
di una salda formazione moderata.
Non meno assidua fu la collaborazione del B. sui temi della politica
estera per la quale egli restò sempre sostanzialmente
nell'ambito delle idee del Cavour.
Fra i molti scritti vanno ricordati quelli comparsi fra il gennaio e
l'aprile del 1869 su L'Alleanza prussiana e l'acquisto della Venezia
(poi raccolti in volume: Firenze 1869; 2 ediz., ibid. 1870; ora
Opere, XIV).
Prima del 1870 il B. scrisse inoltre: La vita e i tempi di Valentino
Pasini, Firenze 1867, di carattere biografico nella prima parte, che
si amplia progressivamente in una storia di Venezia e dell'Italia
dal 1848 al 1863; e Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868.
Lettere al Comm. Giuseppe Saracco, Firenze 1868, già comparse
sulla Perseveranza, in cui difende la politica economica del
Minghetti. Va pure ricordata, in altro campo, la traduzione, in
collab. con G. Fiorelli e G. Del Re, del Dizionario di
antichità greche e romana di Anthony Rich, Milano 1869.
Dopo la presa di Roma il B. venne nuovamente eletto deputato il 20
novembre 1870 per il collegio di Agnone (il 19 dicembre optò
per quello di Lucera). Passò quindi alla cattedra di storia
antica a Roma il 23 ott. 1871. Frattanto, nello stesso anno,
l'Associazione costituzionale di Napoli, fondando l'Unione
nazionale, ne offriva al B. la direzione.
Questo periodo della vita del B. è particolarmente rilevante
per la parte di primo piano da lui avuta nelle discussioni di
politica ecclesiastica per la quale egli mostrò sempre di
avere particolare vocazione e interesse.
Il suo pensiero in proposito appare profondamente segnato
dall'influsso del Rosmini e del Manzoni per l'aspirazione a un
rinnovamento di vita religiosa e a una riforma della Chiesa; sulla
linea delle Cinque piaghe della Chiesa, ilB. auspicava in
particolare una più intima e attiva partecipazione dei fedeli
alla vita della Chiesa. Dal pensiero di Tocqueville aveva tratto la
radicata convinzione, che ebbe in comune fra gli altri col Cavour,
sullo stretto legame fra vita religiosa e condizioni di
libertà e civiltà dei popoli, convinzione che
rispecchia una autentica sensibilità religiosa, ma alla quale
non può neppure considerarsi estraneo il motivo illuministico
di una religiosità finalizzata al progresso individuale e
sociale. Così, pur restando estraneo alle tradizioni
giurisdizionaliste napoletane - salvo alcuni cedimenti dettati da
esigenze parlamentari e di opportunità contingente - il B.
interpretò la formula cavouriana "libera Chiesa in libero
Stato" in senso diverso da quello dei cattolici liberali, in senso
cioè schiettamente laico (vedi l'articolo Libere chiese in
libero Stato, apparso su La Stampa, 3 maggio 1863).
Il B. si era già distino, nell'ambito della Destra, come
specialista di politica ecclesiastica con la prefazione alla
traduzione dello scritto di John Stuart Mill, Torto e diritto
dell'ingerenza dello Stato nelle corporazioni e nelle
proprietà della Chiesa, Torino 1864, e con il discorso del 21
apr. 1865 alla Camera sul disegno di legge Vacca riguardante la
soppressione delle corporazioni religiose. Ma i fatti del 1870 gli
offrirono la migliore occasione per mostrare la sua competenza e le
sue qualità di uomo politico. Contrario al progetto di
lasciare al papa in assoluta sovranità territorialela
città leonina, il B. nella Perseveranza del iS ott. 1870
indicava come via di soluzione quella di una piena libertà
della Chiesa anche sul piano istituzionale.
Nominato relatore della commissione della Camera per la legge delle
guarentigie, il B. si collocò politicamente a mezza via tra
il ministero, che voleva dare la più ampia indipendenza al
pontefice e attuare il principio cavouriano della libertà
della Chiesa, e la Sinistra contraria a entrambi questi
orientamenti.
Ottenne che fosse mantenuto il principio dell'exequatur e del
placet, richiamando su di sé, per questo, il risentimento di
cattolici liberali come il Massari; tale apparente avvicinamento
alle posizioni dei giurisdizionalisti fu dettato, più che da
una revisione di principi, dalla convinzione che fosse necessario
mantenere alcuni strumenti di controllo per evitare che nella Chiesa
prevalesse l'assolutismo papale. Ma fatta questa concessione, il B.
poté resistere agli attacchi dei giurisdizionalisti e della
Sinistra, riuscendo a dissipare le preoccupazioni della Assemblea
sulle prerogative del pontefice e sulla libertà della Chiesa.
Ebbe ancora un forte contrasto con i suoi amici della Destra,
Minghetti, Peruzzi e Massari, quando il Peruzzi stesso, nel suo
controprogetto, propose di affidare l'amministrazione delle
proprietà della Chiesa a congregazioni diocesane e
parrocchiali con partecipazione dei laici. In aperta contraddizione
con i suoi precedenti orientamenti di ispirazione rosminiana, il B.
si oppose alla proposta non credendo possibile che una riforma del
genere potesse realizzarsi con una legge dello Stato quando poi la
sua attuazione sarebbe spettata alla Chiesa.
Il 29 apr. 1872, a proposito del progetto di legge per l'abolizione
delle facoltà di teologia, il B. si dichiarò contrario
alla soppressione, ravvisando in essa una rinuncia dello Stato al
suo diritto sopra una parte della cultura, che sarebbe ricaduta
sotto l'esclusivo controllo della Chiesa.
Intervenne ancora alla Camera il 14 maggio 1873 sul disegno di legge
per la soppressione delle congregazioni religiose in Roma (assieme a
uno scritto sulle associazioni religiose e lo Stato e a un altro sul
conclave e i diritti dei governi, il discorso fu dal B. pubblicato
nel volume Frati,Papi e Re. Discorsi tre, Napoli 1873). Nello stesso
discorso prese posizione contro la prima attuazione del Kulturkampf
con le leggi del maggio 1873 (per un giudizio retrospettivo del B.
sul Kulturkampf, v. La politica ecclesiastica della Prussia, in
Nuova Antologia, 1º luglio 1883).
Altro momento saliente nella vita politica del B. fu quello della
sua partecipazione al governo Minghetti come ministro della Pubblica
Istruzione dal 1874 al 1876, mentre alla Camera era stato nuovamente
eletto per la XII legislatura l'8 nov. 1874 nei collegi di Agnone e
di Lucera (per il quale ultimo aveva nuovamente optato).
Già nel 1860 il B. aveva preso parte alla discussione sulla
soppressione dell'università di Sassari, alla quale si era
dichiarato favorevole ritenendo miglior cosa avere meno
università ma più vitali; e l'anno seguente, in una
serie di articoli sul Nazionale di Napoli, aveva esposto le sue idee
in materia di istruzione pubblica. Nel 1862, sempre alla Camera,
aveva combattuto l'operato del ministro Matteucci che attraverso una
serie di regolamenti integrativi della legge Casati aveva
notevolmente limitato la libertà di insegnamento nelle
università. Nel 1863 poi il B. aveva fatto parte di una
commissione d'inchiesta da lui stesso suggerita che aveva il compito
di studiare le condizioni della pubblica istruzione in Italia, e nel
1865 era tornato sui problemi dell'istruzione sulla Nazione
commentando la relazione presentata al Consiglio superiore della
Pubblica Istruzione sui problemi dell'università italiana.
Nel 1869 aveva fatto parte della Commissione, presieduta da A.
Manzoni, per l'unificazione della lingua in Italia e nel 1873,
infine, si era particolarmente distinto alla Camera come relatore
del bilancio dell'Istruzione Pubblica.
Da ministro il B. si dovette limitare a dare nuovi regolamenti
integrativi della legge Casati per garantire meglio agli istituti
universitari la libertà d'insegnamento (alcuni li criticarono
come arbitrari ed illegali). Per l'istruzione media aggiornò
i programmi e gli esami; cercò inoltre di elevare la
condizione dei maestri elementari, istituendo fra l'altro per i loro
orfani il collegio Principe di Napoli in Assisi. Fu sua opera
l'istituzione della Direzione generale degli scavi e dei musei con i
relativi uffici periferici, e negli anni della sua amministrazione
fu creata in Roma la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele e
riordinata l'Accademia dei Lincei; per sua iniziativa, ancora, il
ministero della Pubblica Istruzione iniziò la pubblicazione
del Bollettino Ufficiale (egli stesso riunì in due volumi
alcuni documenti più significativi della sua amministrazione
in Discorsi e saggi sulla pubblica istruzione, Firenze 1876, ora in
parte rifusi in Opere, VIII).
Nel marzo 1876, il B. tornò all'insegnamento universitario ed
ebbe la nomina a membro straordinario del Consiglio superiore della
Pubblica Istruzione.
Rieletto alla Camera per la XIII legislatura il 7 genn. 1876nel
collegio di Conegliano, si vide pochi giorni dopo annullata
l'elezione essendo già completo il numero dei deputati
professori. Lasciò allora l'insegnamento il 22 febbr. 1877 e,
nominato professoreemerito dell'università di Roma, fu
rieletto alla Camera per lo stesso collegio di Conegliano il 4 marzo
1877 (collegio che rappresentò sino al 1890 anche quando
divenne collegio di Treviso II).
Dopo la caduta della Destra, sulla stampa e dalla tribuna
parlamentare il B. fu critico severo della politica della Sinistra,
anche se nei primi anni del trasformismo condivise le speranze di
"formare un partito nuovo degli elementi più similari
dell'antica Sinistra e dell'antica Destra" (Opere, I, p.400).
Vivacissima fu la sua polemica nel campo della politica estera:
criticò aspramente il passivo atteggiamento italiano al
congresso di Berlino nel 1878 (vedi gli articoli della Nuova
Antologia, maggio 1877-settembre 1878, poi in Il Congresso di
Berlino e la crisi d'Oriente..., Milano 1878; 2 ediz., ibid. 1885).
Si oppose poi all'ondata antifrancese che, specialmente dopo il
trattato del Bardo del 1881, si manifestò nell'opinione
pubblica italiana, e combatté gli orientamenti che condussero
nel 1882 alla prima stipulazione della Triplice Alleanza.
Tuttavia, conclusa la Triplice, il B. riconobbe al ministro Mancini
che l'aveva firmata il merito di aver dato finalmente un indirizzo
alla politica estera italiana dopo diversi anni di incertezza. Ma si
oppose decisamente alla interpretazione della Triplice in chiave
antifrancese, quale mezzo di difesa cioè dall'espansionismo
ideologico radicale e xepubblicano della Francia. Giudicò
altresì l'alleanza incapace di tutelare gl'interessi
italiani, essendo chiaro ai suoi occhi il disegno tedesco di
spingere la Francia verso il Mediterraneo e l'Africa settentrionale
per distoglierla dall'Alsazia-Lorena; infine l'alleanza gli appariva
eccessivamente gravosa per le pesanti spese militari cui obbligava
l'Italia. Come sostenitore della tesi del riavvicinamento
dell'Italia alla Francia fu chiamato a presiedere la lega
franco-italiana, a questo scopo appunto diretta.
Nel 1887 il B. aderì all'iniziativa di Hodgson Pratt per
costituire comitati per la pace universale e l'arbitrato
internazionale e fu eletto presidente del comitato italiano (Atti
del Congresso di Roma per la pace e l'arbitrato internazionale...,
Città di Castello 1889).
Notevole fu intorno al 1878 l'interesse del B. per il problema della
successione a Pio IX. In alcuni articoli sulla Nuova Antologia (poi
raccolti in volume, Milano 1877), studiò la legislazione e le
procedure per la elezione del pontefice; successivamente, dopo
l'elezione del nuovo papa, raccolse nel volume Leone XIII e l'Italia
(Milano 1878), due articoli sul pontefice e una serie di pastorali
di Gioacchino Pecci, prima della elezione, e di discorsi, dopo la
elezione stessa; pochi anni più tardi in Leone XIII
(Città di Castello, 1884) raccolse alcuni articoli comparsi
sulla Contemporary Review nei quali aveva tracciato una sintesi del
carattere e degli atti del nuovo pontefice.
Nel primo decennio del nuovo pontificato la polemica del B. contro i
governi di Sinistra in tema di politica ecclesiastica non fu
particolarmente aspra, non solo per la sostanziale
continuità, in questo campo, della politica della Sinistra
rispetto agli orientamenti precedenti, ma in relazione anche alle
ripetute speranze di conciliazione manifestatesi in quel periodo,
considerate con interesse e coltivate dagli stessi uomini della
Sinistra.
Il B. non aveva mai teorizzato, come Bertrando Spaventa, il
conflitto ineluttabile tra Chiesa e Stato, fra cattolicesimo e mondo
moderno, aveva anzi concepito la legge delle guarentigle come
premessa di una possibile, anche se lontana nel tempo,
conciliazione; ma aveva sempre escluso una conciliazione fondata,
comunque, sul ripristino del potere temporale. Dopo la allocuzione
del 23 marzo 1887 di Leone XIII, il B. cominciò a considerare
positivamente le prospettive di una intesa fra la Chiesa e lo Stato
italiano sulla linea di accordi bilaterali che non infrangessero
però i principi che avevano ispirato la politica
ecclesiastica della Destra (La Conciliazione, in Nuova Antologia,
1º giugno 1887).
Dopo il fallimento delle speranze di conciliazione, il B. assunse un
fermo atteggiamento contro la recrudescenza dell'anticlericalismo e
in genere contro l'operato della massoneria; quando fu inaugurato il
monumento a Giordano Bruno inviò due lettere aperte al
sindaco di Roma criticando l'iniziativa (La Perseveranza, 15 e 23
ott. 1887).
La sua opposizione alla politica della Sinistra fu più decisa
nel campo scolastico, anche per l'esigenza di difendere il suo
operato come ultimo ministro della Destra.
Particolarmente aspro fu il suo contrasto col ministro Baccelli per
il progetto (1882) di riforma universitaria fondato sul principio
dell'autonomia da concedersi alle università stesse sotto il
triplice profilo didattico, amministrativo e disciplinare,
criticando egli come troppo vago il concetto di autonomia per
definire il rapporto tra università e Stato; d'accordo con
Silvio Spaventa cercò di dimostrare la
inconciliabilità tra il concetto moderno dello Stato,
responsabile della amministrazione finanziaria, e la esistenza di
enti autorizzati ad amministrare liberamente parti notevoli del
pubblico denaro.
In questi anni il B. entrò a far parte di numerose accademie
ed enti culturali: dal 1875 fu membro della Accademia dei Lincei,
nel 1880 presidente della R. Accademia di scienze morali e politiche
di Napoli (di cui sarà segretario dal 1882 alla morte), e fu
socio inoltre della Accademia reale di Torino, dell'Istituto
lombardo di scienze e lettere, dell'Istituto veneto, dell'Accademia
reale di Palermo, dell'Accademia della Crusca e della Società
di storia patria (1879); dal 1883 fece parte della giunta esecutiva
dell'Istituto storico italiano, dal 1891 di quella consultiva di
archeologia presso il ministero dell'Istruzione e l'anno successivo
fu eletto presidente della R. Accademia musicale di S. Cecilia; dal
1884 alla morte fu presidente dell'Associazione della stampa.
Particolare cura ebbe per un collegio per le orfane di maestri
elementari da lui fondato nel 1883 ad Anagni e alla cui
amministrazione fu preposto (Sentenze di R. B. scritte per le sue
figliole di Anagni, Firenze 1896).
Il B. riprese anche intensamente l'attività scientifica: in
questi anni compaiono infatti numerosi studi e manuali, fra i quali
la Bibliografia storica di Roma antica. Saggio e proposta, Roma
1879; La storia antica in Oriente e in Grecia. Nove conferenze,
Milano 1879 (2 ediz., Milano 1888); i già ricordati Dialoghi
di Platone; Disraeli e Gladstone. Ritratti contemporanei, Milano
1881; Manuale di antichità romane ad uso dei ginnasi e dei
licei, Napoli 1882; Storia orientale e greca per ginnasi e licei,
Napoli 1883; Francesco d'Assisi, comparso prima sulla Nuova
Antologia dell'ottobre 1882, poi in volume: seconda edizione,
Città di Castello 1884 (ripubbl. nel 1910 con prefazione di
P. Sabatier sempre a Città di Castello); Storia di Roma
scritta per le scuole secondarie, Napoli 1884-1887. Tenne
all'università di Roma nel 1885-86 un corso sulla Riforma e
nell'86-87 un altro sul Rinascimento, entrambi inediti.
Intanto lavorava ad una grande Storia di Roma, dedicata alla memoria
di Vittorio Emanuele II, di cui comparvero però nel 1884 e
nel 1888 solo i primi due volumi: I re e la repubblica sino all'anno
283 di Roma, Milano 1884; e Cronologia e fonti della storia romana.
L'antichissimo Lazio e origini della città, Milano 1888,
seguiti da un Frammento postumo del terzo volume, Milano 1896.
Va pure ricordata la sua Storia dell'Europa durante la rivoluzione
francese dal 1789 al 1795. Lezioni dette nell'Università di
Roma l'anno 1888-1889, di cui comparvero nel 1890 e nel 1894 solo i
due primi volumi e che si arresta anch'essa all'inizio della
trattazione, all'ottobre del 1789.
Infine, vanno ricordati alcuni volumi di carattere letterario in cui
sono raccolti per lo più articoli di giornale: Horae
subsecivae, I, Roma 1883; II, Napoli 1888 (il secondo volume
dedicato alla suocera Cristina Rusca contiene nella lettera di
dedica ricordi autobiografici); In viaggio da Pontresina a Londra.
Impressioni dolci,osservazioni amare, Milano 1888; e In autunno su e
giù, Milano 1890, legati entrambi alla esperienza del suo
viaggio in Inghilterra nel 1888; Le feste romane illustrate da G. A.
Sartorio e Ugo Fleres, Roma 1891.
Più intensa nello stesso periodo si fece anche la sua
attività giornalistica: alla collaborazione alla Nuova
Antologia si aggiunse, a partire dal 1878, quella al Fanfulla della
domenica, dal 1882 alla Domenica letteraria e poi ancora alla
Opinione letteraria, alla Rassegna nazionale e infine, soprattutto,
alla Cultura da lui stesso fondata nel 1882 e che sarà in
gran parte da lui solo redatta.
Negli ultimi anni della vita del B. tre episodi valgono ad
illuminare i suoi orientamenti e a porre in rilievo il suo
isolamento nello schieramento politico e culturale italiano.
Il B. era stato fra i fautori della Società Dante Alighieri,
che presiedette dal 30 marzo 1889 e nella cui azione vedeva, fra
l'altro, un mezzo per lavorare, con strumenti legali, a favore delle
terre irredente.
In effetti il B., che si era dichiarato fermamente contrario al
movimento irredentista e che nel 1880, alla Camera, aveva
decisamente attaccato l'associazione "Italia irredenta", chiedendone
lo scioglimento, era venuto poi enunciando una sua personale
posizione, non contraria alle aspirazioni irredentistiche.
Nell'aprile dello stesso anno 1880 nella prefazione al libro di
Paulo Fambri, La Venezia Giulia. Studii politico militari, Venezia
1880, riconoscendo la necessità di una rettifica dei confini
orientali del paese (salva peraltro la esistenza dell'impero
asburgico, che sulla linea del pensiero di C. Balbo non cessò
mai di considerare necessario all'equilibrio europeo), poneva come
condizione di questo mutamento dei nostri confini una crescente
influenza della italianità in quelle terre. La Società
Dante Alighieri gli appariva appunto uno strumento idoneo a tal
fine.
Quando il 10 luglio 1890 il governo di Vienna sciolse la
Società Pro Patria per i suoi contatti con la Dante
Alighieri, accusata di svolgere un'azione politica ostile agli
interessi austriaci, critiche e riserve sulla azione di queste
Società furono formulate anche da alcune voci moderate
italiane come L'Opinione,La Perseveranza e la stessa Nuova
Antologia; ilB. reagì vivacemente e sino alla fine condusse
la sua polemica per la Dante Alighieri contro gli stessi moderati.
La seconda polemica fu occasionata dalla comparsa della sua Vita di
Gesù (Roma 1890). L'opera, di carattere divulgativo, che egli
aveva scritto con intenti tutt'altro che ostili al cattolicesimo, fa
male accolta negli ambienti ecclesiastici e posta all'Indice dei
libri proibiti con decreto del 16 marzo 1892. Il B. allora
pubblicò sulla Nuova Antologia, nel dicembre 1892, l'articolo
La Chiesa e l'Italia. Lettera aperta a S. S. Leone XIII, nel quale
si rammaricava per la condanna, dichiarava il suo sentimento
cattolico e affermava il convincimento che la Chiesa e lo Stato
dovessero unirsi nella lotta contro il socialismo e il materialismo.
Questo suo conciliatorismo, di ispirazione schiettamente
conservatrice, che lo aveva già portato a plaudire alla Rerum
novarum (Leone XIII e il socialismo, in Nuova Antologia, 1º
giugno 1891), interpretata come strumento di lotta al socialismo,
gli valse la decisa ostilità dei cattolici intransigenti. Il
B. fu violentemente attaccato dalla Civiltà cattolica (Del
cattolicesimo e delle tribolazioni di R. B., s. 14, XLIV [1893], n.
5, pp. 26-46) che giunse a metterne in dubbio la sincerità,
ponendo in relazione i suoi tentativi di ravvicinamento alla Chiesa
con la sua recente esclusione da Montecitorio. In effetti il B.,
molto osteggiato dal primo gabinetto Giolitti, non era stato eletto
nelle elezioni generali del 1892.
Il terzo più clamoroso episodio si ricollega al suo contrasto
con Giovanni Giolitti. Sino al 1889 la critica del B. alla Triplice
Alleanza era stata relativamente serena, ma l'inasprirsi dei
rapporti dell'Italia con la Francia, durante il primo governo
Crispi, poi la nuova politica guglielmina, seguita alla caduta di
Bismarck, e la duplice alleanza franco-russa fornirono al B.
altrettanti argomenti per inasprire sino ai limiti della rottura la
sua polemica contro la politica estera del governo.
Alla vigilia del terzo rinnovamento della Triplice, d'intesa con il
Prinetti ed altri moderati lombardi, egli aveva iniziato contro la
Triplice una aperta campagna scrivendo fra l'altro, sul giornale
francese Gaulois, una lettera (4 apr. 1891) nella quale invitava la
Francia a migliorare le relazioni commerciali con l'Italia e a
riavvicinarsi politicamente ad essa.
Ma l'attacco più violento alla politica estera del governo il
B. lo sferrò in una lettera pubblicata l'11 febbr. 1893 sotto
il titolo Où nous sommes en Italie sul francese Matin
(ripubblicata in Questioni del giorno, Milano 1893) nella quale
presentava in maniera assai negativa la figura di Guglielmo II ed
affermava che l'opinione pubblica italiana era più fredda che
mai verso la Germania.
Anche nei confronti della politica africana, il B. aveva assunto
atteggiamenti apertamente critici. Dopo avere, in un primo momento,
identificato l'espansione coloniale con le esigenze della
civilizzazione dei popoli africani, aveva capovolto le sue posizioni
e alla Camera, il 5 maggio 1891, aveva espresso la sua sfiducia
sulla missione civilizzatrice dell'Europa in Africa, ed affermato
che l'Italia in particolare, prima di occuparsi delle colonie,
doveva provvedere a incivilire le sue regioni più arretrate.
Frattanto attaccava anche la politica interna del governo e
formulava un duro giudizio sulla figura stessa del presidente del
Consiglio sia pure in forma generica, nell'articolo L'ufficio del
Principe in uno Stato libero comparso sulla Nuova Antologia del 15
genn. 1893 (anch'esso in Questioni del giorno). Questo scritto si
inquadra nella crescente sfiducia del B., come di molti altri uomini
della Destra, nello Stato liberale, nei partiti e nel Parlamento e
rappresenta il punto di arrivo di quella diagnosi sui partiti
italiani iniziata sulle pagine della stessa rivista, esattamente un
quarto di secolo innanzi. Nello scritto il B. denunciava le
usurpazioni di potere che la Camera elettiva e i ministri avevano
compiuto a danno del principe; auspicava perciò una maggiore
indipendenza e libertà del sovrano dalla Camera nella
designazione del primo ministro, gli rivendicava il diritto di
vagliare la scelta dei singoli ministri e infine la libertà
di nominare i senatori con giudizio indipendente; auspicava infine
che il sovrano nell'esercizio del suo potere costituzionale fosse
assistito da un consiglio privato.
Reagendo a questa serie di attacchi su tutti i fronti, Giolitti il
16 febbr. 1893. deferì il B. al Consiglio di Stato, di cui
dal 1891 era membro, perché il Consiglio stesso valutasse se
non fosse il caso di applicare l'articolo 4 della legge 2 giugno
1889 che stabiliva la rimozione dall'ufficio del consigliere che
avesse "con atti gravi compromesso la propria reputazione personale
e la dignità del collegio". La relazione della commissione
nominata per il giudizio e presieduta da Silvio Spaventa escluse
l'applicabilità al caso B. del citato articolo 4, limitandosi
a formulare un indiretto e impersonale richiamo alle delicate
responsabilità dei consiglieri.
Dopo il giudizio il B. riprese imperterrito la sua polemica, sia in
politica estera sia in politica interna: in un discorso tenuto a
Lucera il 21 nov. 1893 (Discorso pronunciato da R. B. la sera del
2novembre nel Teatro Garibaldi di Lucera, Siena 1893),
attaccò duramente la politica di Giolitti specialmente in
ordine ai problemi finanziari; sulla Nuova Antologia del 15 dic.
1893 tornò sul tema dei poteri costituzionali del sovrano con
lo scritto Ildiritto del Principe in uno Stato libero (vi
tornerà ancora alla vigilia della morte in una lettera
premessa all'opuscolo di Ignazio Brunelli, Della istituzione di un
Consiglio della Corona nel nostro regime parlamentare, Bologna 1895,
che intitolerà appunto Per un Consiglio privato della
Corona).
Frattanto, caduto il governo Giolitti il 24 nov. 1893, il B.
tornò a frequentare gli ambienti di corte, dai quali era
stato tenuto lontano nel momento della più aspra polemica, e
fu rieletto alla Camera nelcollegio di Isernia il 10 giugno 1894 e
poi nuovamente, nello stesso collegio, nelle elezioni del 26 maggio
1895, per la XIX legislatura.
Sino agli ultimi giorni di vita continuò a collaborare a
giornali e riviste e in partidolare alla Nuova Antologia e alla
Cultura.
Fra gli ultimi scritti vanno ricordati Il paganesimo. Il
cristianesimo. Conferenza nell'Aula magna del Collegio Romano,
Firenze 1893; e il più volte citato Prime armi. Filosofia e
filologia (Bologna 1894) che è una raccolta dei suoi scritti
filosofici giovanili e contiene nel Proemio ricordi autobiografici.
Nel settembre del 1895 volle assistere, già malfermo in
salute, alle celebrazioni del venticinquesimo anniversario del 20
settembre (dettò per la Nuova Antologia, 15 sett. 1895, lo
scritto commemorativo Il XX Settembre); tornato poi a Torre del
Greco, dove si era stabilito dall'agosto precedente per ragioni di
salute, vi si spense il mattino del 22 ott. 1895.