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Filologo italiano (Modena 1878 - Roma 1942). Professore universitario a Friburgo (1905), a Torino (1921), a Roma (1928), fondò l'Archivum romanicum (1917); nominato accademico d'Italia nel 1932. Si occupò di letteratura italiana antica (Il Duecento, 1910, nuova ed. 1930, ecc.), di letteratura provenzale antica (I trovatori d'Italia, 1915; ecc.); del Rinascimento a Modena e Ferrara; di lingua e dialettologia italiana (L'Italia dialettale, 1916; Profilo linguistico d'Italia, 1940; ecc.), e di studî di teoria generale del linguaggio, nei quali cercò di trasportare concezioni ricavate a un tempo dallo storicismo del Croce e dall'attualismo del Gentile (Breviario di neolinguistica, 1925; Linguaggio e poesia, 1930; Lingua e pensiero, 1932; Lingua e poesia, 1937; Lingua e cultura, 1939).
DBI
di Aurelio Roncaglia
Nacque a Modena da Giuseppe e da Adele Baroni il 26 ag. 1878. Nella
città natale cominciò gli studi secondari, terminati
poi al liceo Gioberti di Torino (1897). Ad accendere la sua
vocazione agli studi filologici fu appunto quella tradizione
modenese che da Giammaria Barbieri, Ludovico Castelvetro, Carlo
Sigonio era continuata viva e feconda fino a Giovanni Galvani, i cui
scritti sulla poesia dei trovatori costituirono, per lui, una
stimolante lettura.
Ad offrirgli occasìone di sperimentare in tali studi la sua
precoce avidità di cultura fu l'agio di quella Biblioteca
Estense che aveva alimentato l'operosità esemplare d'un L. A.
Muratori e d'un G. Tiraboschi, e che conservava tanti preziosi
manoscritti ancor poco esplorati. A questi il B. cominciò a
volgere la propria curiosità quand'era ancora studente
liceale.
S'era frattanto iscritto alla facoltà di lettere
nell'università di Torino, dove R. Renier, titolare di
letterature neolatine e autorevole rappresentante dei metodo
storico, fu pronto ad accogliere nel suo Giornale storico della
letteratura italiana (XXIV [1899], pp. 117-139) Il complemento dei
canzoniere provenzale di Bernart Amoros,scoperto dal B. appena
ventenne proprio tra i manoscritti modenesi.
Tra i maestri dell'ateneo torinese che il B. particolarmente
seguì, oltre al Renier, convien ricordare D. Pezzi per la
giottologia e A. Graf per la letteratura italiana. Soprattutto
quest'ultimo, con le sue rievocazioni delle leggende e dello spirito
medievale, con la sua acuta sensibilità tardo-romantica, con
la sua vena dolorosa di poeta, esercitò sul B. una profonda e
durevole suggestione. Se ne possono scorgere le tracce non solo nei
versi cui H B. affidò i propri sentimenti giovanili (e che
non disdegnò poi di raccogliere in un volumetto, Primavera di
rime,pubblicato a Modena nel 1906),ma ancor più in quella
propensione a una sorta di lirismo e quasi di misticismo estetico
che, quasi a compenare l'oggettivismo naturalistico della disciplina
erudita, accompagnò pur negli anni più maturi la sua
critica letteraria e la sua stessa attività filologica.
A Torino il B. conseguì la laurea in lettere nel 1901, con
una dissertazione su un corpulento poema franco-veneto conservato da
un manoscritto estense, La guerra d'Attila di Nicolò da
Casola, illustrata dapprima in collaborazione con C. Foligno (in
Mem. della R. Accad. d. Scienze di Torino, s. 2,LVI [1906], pp.
77-158),che indipendentemente da lui, a Milano, aveva anch'egli
dedicato allo studio dell'inedito poema la propria tesi di laurea, e
poi (1907)lo aveva parzialmente edito nei Collectanea
Friburgensia.Nel 1902 il B. passò a Firenze, dove
seguì un corso di perfezionamento sotto la guida di P. Rajna
e a contatto di G. Mazzoni ed E. G. Parodi. Nel 1903una borsa di,
studio gli consentì un soggiorno a Parigi, dove
frequentò filologi e linguisti quali P. Meyer, A. Jeanroy, J.
Gilliéron, A. Thomas. Oltre a cose minori, pubblicò in
quell'anno due opere di notevole e già maturo impegno:
un'edizione dei Trovatori minori di Genova (Dresda), conferma della
preparazione raggiunta nel dominio degli studi provenzali, e un
libro su La Biblioteca Estense e la cultura ferrarese ai tempi dei
duca Ercole I (Torino), primo solido contributo a una vagheggiata
storia della Rinascita nell'Italia settentrionale, giudicato dal
Renier "uno dei migliori studi che siano stati fatti sulla corte
Estense, dai tempi del Muratori e dei Frizzi in poi". L'anno dopo,
mentre dava seguito alle ricerche rinascimentali con un volume di
Nuovi studi su Matteo Maria Boiardo (Bologna 1904), e continuava a
pubblicare con ritmo intenso note d'erudizione modenese (alcune
scritte in collaborazione con l'amico E. P. Vicini) e vari articoli
su testi provenzali, francesi e italiani dei primi secoli, si recava
a completare la propria preparazione a Berlino, dove conobbe A.
Tobler. Dopo avere così preso contatto diretto con le
migliori scuole filologiche d'Europa ed essersi messo in condizione
di compararne i metodi, rientrò in Italia e tornò, con
la borsa di studio "Passaglia", presso l'università di
Torino. Qui conseguì, nel 1905,la libera docenza in filologia
romanza avendo già al suo attivo una cinquantina di
pubblicazioni. Lo stesso anno era chiamato a professare la sua
disciplina nell'università di Friburgo in Svizzera.
Per sedici anni - fino al 1921 - il B. rimase ad insegnare nel
fervido centro di studi elevetico, a lui congeniale per la sua
tradizione cattolica illuminata (vi spiccava allora tra gli
insegnanti la figura del domenicano P. Mandormet, grande storico dei
pensiero medievale), propizio per le condizioni ambientali al sereno
raccoglimento e apertissimo, per la stessa composizione del corpo
docente e della popolazione studentesca ai contatti con culture
nazionali diverse. Sono anni d'intensa operosità, durante i
quali la biografia dei B. coincide veramente con la sua
bibliografia, che s'arricchisce a ritmo febbrile d'oltre seicento
numeri. Di questa produzione i nuclei fondamentali - alimentati
dalla fedeltà agli scavi di biblioteca, in primo luogo
all'Estense, e rispondenti in prevalenza a intenti di documentazione
erudita, nello spirito del "metodo storico" - sono costituiti ancora
da contributi alla filologia provenzale e alla storia della cultura
modenese.
Tra i primi, oltre ad innumeri proposte di critica testuale e
interpretativa, appunti su singoli trovatori, indicazioni circa le
vicende di questo o di quel manoscritto, sono da ricordare almeno
leedizioni de Ilcanzonire Provenzale della Riccardiana n. 2909,ediz.
diplomatica…, Dresden 1905; de Ilcanzoniere provenzale di Bernart
Amoros,ricostruito nella sua integrità giustapponendo alla
sezione riccardiana il complemento Campori (Friburgo 1911);de
Ilcanzoniere provenzale della Biblioteca Ambrosiana R. 71, ediz.
diplomatica, Dresden-Halle 1912;Pedizione particolare di Rambertino
Buvalelli trovatore bolognese e le sue rime Provenzali,Dresden
1908;e quella complessiva de I Trovatori d'Italia (Modena 1915).Nel
secondo gruppo, oltre a indagini su grammatici, poeti, amanuensi,
artisti, medici, e naturalmente sui rappresentanti maggiori e,
minori della tradizione filologica modenese, oltre a letture
d'iscrizioni e spogli di documenti cittadini latini e volgari, oltre
alla descrizione dal vivo dei dialetto modenese (Il dialetto di
Modena,Torino 1905),almeno i contributi ai Rerum Italicarum
Scriptores,con le edizioni della Relatio translationis corporis
sancti Geminiani (VI, parte 1, 1907)e del Chronicon Estense (XV,
parte III, fasc. I, Città di Castello 1908;fasc. II, ibid.
1937), l'Atlante storicopaleografico del Duomo di Modena (Modena
1909), il Laudario dei Battuti di Modena (Halle 1909), lostudio sul
venerando Ritmo delle scolte (in Atti e Mem. d. Dep. di st. patria
per le provincie modenesi, s. 6 [1910], pp. 133-158),l'edizione
della secentesca Cronaca… di G. B. Spaccini (in Monumenti di storia
patria delle provincie modenesi,Modena 1911).
Se in questi due filoni s'individuano gli interessi prevalenti e
più costanti del B., non mancano tuttavia d'essere
rappresentati nella sua attività anche il dominio spagnolo,
con un diligente Catalogo dei codici spagnuoli della Biblioteca
Estense (Erlangen 1905),con la pubblicazione di canzonette da
sillogi musicali e con una traduzione del Cantare del Cid (Bari
1912);il dominio francese con parecchie note, specialmente su
manoscritti, e una funzionale raccolta di Testi antichi francesi per
uso delle scuole di fitologia romanza,Roma-Milano 1908;soprattutto,
come è naturale, l'italiano, con articoli vari su autori
d'età medievale e umanistica, e in particolare con l'ampio
quadro del Duecento per la Storia letteraria d'Italia edita dal
Vallardi (Milano 1910)e con il volume su L'Orlando Furioso e la
Rinascenza a Ferrara,nutrito di dati inediti o ignoti (Modena 1919).
Ancor più merita di venire sottolineato l'accentuarsi in lui
dell'interesse per gli studi linguistico-dialettologici, annunciato
già dal profilo del dialetto modenese, confermato poi da un
graduale infittirsi di note lessicali ed etimologiche, documentato
infine con maggiore impegno da due inchieste onomasiologiche su Le
denominazioni dell'"imbuto" nell'Italia del Nord (Bologna-Modena
1909) e sulle Denominazioni del "ramarro" (lacerta viridis) in
Italia (in Romania,Paris, XLII [1913], pp.161-172), quindi da due
libri intesi rispettivamente a illustrare L'elemento germanico nella
lingua italiana (Genova 1914) e a delineare un compiuto profilo
dell'Italia dialettale (Milano 1916).
In particolare la ricerca sui nomi dell'"imbuto" assume, nella
prospettiva biografica, un rilievo ben superiore alla sua
consistenza materiale, relativamente limitata. Con essa, infatti, il
B. rivela la propria volontà d'inserirsi nel processo di
rinnovamento che animava allora gli studi linguistici, e ne fa
esplicita professione nella breve introduzione teorica, che reagisce
al naturalismo meccanicistico dei cosiddetti "neogrammatici",
rifiutando il predominio della fonetica sugli altri aspetti,
specialmente semantici e culturali, in cui s'attua la vita delle
lingue. L'impostazione dei lavoro si collega da un lato al movimento
sorto sotto la suggestione di H. Schuchardt e rappresentato dalla
rivista Wörter und Sachen,che proprio in quell'anno R. Meringer
e W. Meyer-Luebke avevano fondato a Heidelberg, dall'altro canto e
ancor più strettamente si richiamiè al metodo della
"geografia linguistica" e risente dell'influsso diretto dei
Gilliéron, con il quale, dopo i primi contatti parigini, il
B. s'era ritrovato in Svizzera. Ne nacque uno scontro con C.
Salvioni, chedei neogrammatici era allora in Italia il campione
più autorevole, e la polemica si rinnovò poi vivace a
proposito dell'Elmento germanico.IlB. ne fu stimolato ad accentuare
ulteriormente nel proprio orientamento di studioso gli spunti,
ancora piuttosto estrinseci, che per qualche aspetto si
contrapponevano alle dottrine tradizionali, a coordinarli in una
più vasta ambizione di rinnovamento, a cercarne
giustificazioni tendendo l'orecchio alla filosofia idealistica cui
in Italia aveva dato impulso decisivo l'opera di là. Croce, a
cimentarsi insomma con generoso ardore in uno sforzo di rimeditare
globalmente, sotto una luce nuova, principi e metodi della propria
disciplina.
Comincia allora un nuovo periodo della sua attività. Ne
dà il primo segno l'iniziativa con cui nel 1917. superando
difficoltà non lievi con l'appoggio d'ell'editore L. S.
Olschki, allora a Ginevra, il B. riesce a fondare e prende a
dirigere, chiamandovi a collaborare da ogni parte anziani e giovani
studiosi e componendo egli stesso in gran numero saggi, note e
recensioni, una sua rivista specialistica: l'Archivum Romanicum.
La rivista si presenta programmaticamente consacrata "alla storia
del pensiero e della parola dei popoli neolatini, attraverso lo
spazio ed il tempo, ma con particolare riguardo all'età
anteriore alla Rinascenza" e ispirata ad "un metodo ampio di
ricerca, così nei dornini delle lingue, come in quelli delle
lettere". Altrettanto significativo è che la produzione del
B. non solo s'espanda con rapidissimo accrescimento, dopo una
comprensibile contrazione in corrispondenza con i primi anni del
conflitto europeo, ma tenda nello stesso tempo a comporsi, per la
parte di maggior rilievoi in sillogi di relativa organicità,
la prima delle quali, Poesie, leggende, costumanze del Medio
evo,appare anch'essa nel 1917 (Modena), seguita nel 1921, sempre a
Modena, da una seconda, Studi su vecchie e nuove poesie e prose,
d'amore e di romanzi.La tematica è ancora sostanzialmente la
medesima, ma sulla sua vasta gamma si innesta un travaglio di
reinterpretazione spiritualistica, che si fa palese specialmente in
alcuni scritti pubblicati sull'Archivum Romanicum nel 1920, quali
Filologia romanza come erudizione, scienza naturale e scienza dello
spirito (pp. 1-19); Lingua come arte o energia fonetica (pp.
340-342); La legge fonetica (pp.486-489). In essi il B. fissa alcune
direttrici su cui non cesserà poi di sviluppare, con
successive insistenti riprese, il suo pensiero. Anche la sua vita
privata ha intanto acquistato una dimensione più piena, per
il matrimonio con Francesca Paola Bertoni, (25 apr. 1919)e la
nascita della figlia Ginevra.
Nel 1921 l'università di Torino, che lo aveva avuto allievo,
lo richiamava presso di sé quale maestro. La prolusione
chegli vi tenne il 2 febbr. 1922 è una professione di fede
nel rinnovamento della filologia romanza secondo i convincimenti
maturati durante l'ultima fase del periodo fríburghese.
Questi vengono intanto riorganizzati intorno al nucleo costituito
dagli articoli dei 1920, e trovano più larga esplicazione in
quel Programma di filo romanza come scienza idealistica (Ginevra
1923) che, dedicato agli allievi di Friburgo, rappresenta per
così dire il manifesto con cui il B. assegna un significato
ideale al proprio rientro in Italia.
Oltre che alle idee dello Schuchardt e delGilliéron, egli si
richiama esplicitamente alla "concezione filosofica idealistica", in
particolare "alle opere di due pensatori italiani, il Croce e il
Gentile", cui professa di dovere "moltissimo". Né manca di
rammentare: "questa concezione era al di fuori della mia
mentalità, quando intrapresi in Isvizzera, nel 1905, il mio
insegnamento con intenti del tutto intellettualistici e
naturalistici". Sitratta dunque, ai suoi occhi, d'una conversione,
anche se maturata "per gradi" attraverso un'evoluzione interiore
"laboriosa"; edella conversione il suo atteggiamento ha senza dubbio
i caratteri più vistosi, a cominciare dall'entusiasmo
fideistico. In realtà, come la nozione stessa di "filologia"
è da lui assunta nell'accezione più larga, inclusiva
non solo di linguistica e critica testuale, ma anche di storia della
letteratura e critica letteraria, così la sua nozione di
"idealismo" si palesa assai elastica, giungendo a coprire con tale
etichetta anche posizioni sostanzialmente naturalistiche (sia pure
d'un naturalismo nonmeccanicistico, come quello dei neogrammatici,
ma piuttosto biologico e psico-sociologico) come quelle del
Gilléron, e riuscendo d'altra parte a salvare con largo
riconoscimento l'importanza della "ricerca naturalistica",ossia
della "erudizione",che viene sussunta all'interpretazione,
"idealistica" come nella teoria gentiliana dello spirito il "fatto"
rispetto all'"atto". Per l'appunto questo e simili ricorsi
all'attualismo gentiliano, ben più sensibili di quelli allo
storicismo crociano, denotano e ad un tempo incrementano la naturale
inclinazione del B. verso un certo tipo di sintesi suggestivamente
conciliatrici dei contrasti teoretici, anche se non altrettanto
operative sul terreno delle concrete applicazioni filologiche,
piuttosto che verso la pazienza delle distinzioni dialettiche in
re.Si comprende perciò come un filologo assai più
vicino al Croce, K. Vossler, che al tema Positivismus und Idealismus
in der Sprachwissenschaft aveva dedicato fin dal 1904 (Heidelberg)
un libro importante, ma a giudizio del B. "più fortunato
nella parte demolitrice che nella parte ricostruttiva", esprimesse a
sua volta sulla costruttività del Programma bertoniano
riserve che, con il generale affermarsi del crocianesimo nella
cultura italiana, vennero da molti raccolte. "Non posso - egli
scriveva (in Literaturbiatt für germ. und rom.
Philol.,XLIV[1923], pp. 225 ss.) - aver molta fiducia nella forza
d'urto d'un programma che tra presupposti, risultati e problemi
della ricerca propone una conciliazione generale a così buon
mercato, in luogo delle tensioni concrete che sarebbero state da
impostare chiaramente". Ma non mancava di riconoscere (e di questo
si dimenticarono troppo facilmente altri critici del B.): "di
positivo esso possiede tuttavia uno slancio personale che tocca
simpaticamente, e davanti al quale non sono certo rimasti
insensibili,gli studenti di Friburgo, cui il libro è
dedicato". In effetti il B. fu sempre maestro efficacissimo,
nell'immediata comunicativa didattica ancor più che negli
scritti, e al calore suadente della sua parola non meno dei
friburghesi furono sensibili gli studenti di Torino, durante i sette
anni (1921-1928) ch'egli rimase ad insegnare presso quella
università. Oltre che attraverso lezioni e conferenze, il suo
entusiasmo di maestro s'esplicava poi anche, con l'autorità
ormai conquistata, in una fervida attività d'organizzazione e
propulsione degli studi attraverso iniziative e collaborazioni atte
a mobilitare le energie d'amici e discepoli.
All'ArchivumRomanicum,affermatosiin pochi anni come organo
specialistico tra i più prestigiosi su piano internazionale,
affiancava. ancora presso l'editore Olschki, una ricca collana
("Biblioteca dell'Archivum romanicum") di monografle linguistiche e
filologiche, inaugurata nel 1921 da ún suo volume su Guarino
da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara (Ginevra 1921), nuovo
tributo alle inintermesse ricerche sull'umanesimo nell'Italia
settentrionale. Nel 1922 entrava nella redazione del Giornale
storico della letteratura italiana,diretto allora da V. Cian, e alle
cui pagine, dopo il primo articolo del 1899, mai era venuta meno,
né mai mancherà, fino alla morte, la sua
collaborazione. Nello stesso periodo entrava altresì come
condirettore, insieme con M. G. Bartoli, nel comitato di redazione
dell'Atlante linguistico italiano dal Bartoli ideato, e nel 1924
presentava al congresso di Gradisca il piano generale per la sua
realizzazione. Frutto della collaborazione con il Bartoli fu pure il
battagliero Breviario di neolinguistica,pubblicato a Modena nel
1925, per il quale, lasciata al collega la formulazione dei Criteri
tecnici,il B. redasse la prima parte, dedicata ai Principi generali
(pp. 7-39).
Tra le altre pubblicazioni di questo periodo, oltre agli articoli
sempre numerosi e sempre nutriti d'indicazioni inedite
(illustrazioni di manoscritti, notizie d'archivio, ecc., con
immutata fedeltà alla Biblioteca Estense e alla tradizione
modenese), sono da ricordare: il Profilostorico dei dialetto di
Modena (Genève 1925), che nel riprendere un tema trattato
vent'anni prima ben mostra l'evoluzione del metodo; gli agili
profili L. Ariosto (Roma 1925) e L. A. Muratori (ibid. 1926), una
terza raccolta di saggi (Poeti e poesie del Medio evo e del
Rinascimento,Modena 1922) e una di note erudite (Spunti, scorci e
commenti,Genève 1928).
Nel 1928, morto C. De Lollis, il B. venne chiamato a succedergli
nell'università di Roma. Lasciò allora la
collaborazione all'Atlante linguistico,e cominciò invece
quella all'Enciclopedia italiana,diretta da G. Gentile, per la quale
curò, come membro del comitato tecnico, la sezione
linguistica, e compilò personalmente parecchie voci,
soprattutto di storia letteraria medievale e di dialettologia
italiana. Nell'agosto 1929 fu nominato cancelliere reggente
dell'Accademia d'Italia, la quale inaugurava la sua vita il 28
ottobre di quell'anno. In tale carica rimase fino all'ottobre 1930,
ossia per tutta la durata della presidenza di T. Tittoni. Fu
nominato accademico d'Italia nel 1932. Riconoscimenti e
responsabilità ufficiali non rallentavano, anzi stimolavano
il suo ardore operoso. Accanto ai saggi critici e filologici,
accanto agli appunti eruditi, vediamo moltiplicarsi in questi anni
gli articoli d'attualità culturale su riviste e giornali;
accanto alle conferenze, le conversazioni radiofoniche, specialmente
su questioni di lingua, ispirate a un neopurismo su cui facilmente
si innestavanointerferenze politiche: attività che trova poi
pratica sistemazione in un Prontuario di pronunzia e d'ortografia
(Torino 1939) compilato con la collaborazione di F. A. Ugolini. Il
Duecento vallardiano raggiunge una seconda (Milano 1930), Poi (ibid.
1939) una terza edizione, con ampliamenti e aggiornamenti. Alle
precedenti raccolte di saggi, altre se ne aggiungono: in particolare
la "trilogia" Linguae pensiero (Firenze, 1932), Lingua e poesia
(ibid. 1937), Lingua e cultura (ibid. 1939).
Negli scritti qui riuniti il B. svolge ed applica ad esempi diversi
una distinzione tra lingua e linguaggio assai dìfferente da
quella famosa di F. de Saussure, raccogliendo piuttosto spunti
offerti dal Vossler e rielaborandoli con una forte inserzione
d'influssi gentiliani. Lingua è per lui un "fatto" culturale
collettivo, linguaggio l'"atto" individuale dell'espressione; nella
lingua si rispecchiano la storia e la civiltà d'un popolo,
nel linguaggio la vita spirituale e la personalità d'uno
scrittore; la lingua è oggetto di critica storica, il
linguaggio di critica estetica. Queste impostazioni non mancarono di
suscitare alla fine la reazione del Croce, il quale (La
Critica,XXXII[1941], pp. 168 ss.) accusò il B. di aver "resi
confusi e contraddittori" i concetti della sua estetica,
contaminandoli con le formule del Gentile. Non è comunque
difficile riconoscere come nell'irrequieto eclettismo teorico
rimproverato al B. e nelle sue approssimazioni applicative (apparse
vaghe di fronte all'affermarsi di più puntuali indirizzi di
critica stilistica) si traducesse con sincerità l'esperienza
intimamente vissuta della crisi attraversata dagli studi filologici
nel passaggio dal clima naturalistico, entro cui il B. s'era
formato, a quello idealistico dominante nella cultura italiana del
ventennio fra le due guerre mondiali. Di questa crisi inevitabile e
degli sforzi tesi con insoddìsfazione ansiosa al suo
superamento, la trilogia bertoniana resta documento significativo.
Né per altro verso meno significativa dell'equilibrio che il
B. sapeva portare e conservare nelle più delicate questioni
tecniche rimane la sua solenne edizione critica della Chanson de
Roland (editio minor,Firenze 1935; maior,ibid. 1936),che di fronte
alla soluzione propughata e consequenziafiamente attuata da J.
Bédier, d'un rigido ancoraggio al codice oxoniense, ripropone
le esigenze d'una prudente critica ricostruttiva, appoggiata
all'interpretazione puntuale del testo.
Università e Accaderma offrivano intanto occasioni per altre
rilevanti iniziative culturali. Il passaggio della facoltà di
lettere dal vecchio palazzo Carpegna alla nuova Città
universitaria permetteva al B. di fondarvi un Istituto di filologia
romanza, solennemente inaugurato il 3 giugno 1936 con un suo
discorso su Illatino di Roma e le lingue romanze,pubblicato a
Firenze nello stesso anno. Tale Istituto s'affermò subito
quale centro vivace di studi, con le conferenze ed esercitazioni che
insigni filologi italiani e stranieri furono invitati a tenervi; con
la sua biblioteca destinata a svilupparsi intorno al nucleo
costituito dal lascito dei libri, già appartenuti al filologo
padovano V. Crescini; con le sue due serie di pubblicazioni,
iniziate nel 1937 presso la Società tipografica modenese di
C. Mucchi: gli "Studi e testi", a carattere rigorosamente
scientifico, e i "Testi e manuali", (una decina dei quali compilati
dal. B. stesso), a carattere elevatamente didattico; infine con il
suo "bollettino", la rivista Cultura neolatina,cominciata a
pubblicarsi nel 1941 (mentre l'Archivum Romanicum,raggiunto il
venticinquesimo volume, cessava). L'Accademia, dal canto suo,
commise al B. l'organizzazione e la direzione d'impegnative opere
lessicografiche. Si trattò dapprima di un Dizionario di
marina medievale e moderno,giunto a pubblicazione nel 1937 a Roma,
che doveva essere, il primo (ma rimase il solo) d'una serie di
dizionari d'arti e mestieri. Si trattò poi, impresa
più vasta e complessa, d'un Vocabolario della lingua
italiana, "concepito come letterario e dell'uso e impostato
filologicamente".
L'opera, che per espressa volontà di Mussolini doveva essere
compiuta "nel termine di anni cinque", a partire dal 1935,richiese -
anche proprio per le pressioni politiche presenti nello sfondo della
sua impostazione e che mal potevano conciliarsi con le esigenze d'un
rigoroso e pacato lavoro scientifico - enormi fatiche e
responsabilità di coordinamento e revisione.
Il B., che aveva accettato l'incarico con il solito entusiasmo e
sopportato le fatiche con tenace abnegazione, cercando nell'assiduo
lavoro qualche conforto alla morte della moglie (1938), finì
con logorarvi le proprie energie, già segretamente minate
dall'insidia d'un male incurabile, e molto lo amareggiarono, le
inevitabili polemiche da cui fu accolto il primo volume (A-B) uscito
a Roma nel 1941. A questo le vicende politiche impedirono poi
seguissero gli altri, in parte già preparati, mentre il B.,
dopo qualche mese di degenza, veniva sopraffatto a Roma da una crisi
della sua malattia il 28 maggio 1942. Le sue ultime Note di
erudizione storica e letteraria furono raccolte, nel trigesimo della
morte, dall'amico editore Mucchi, di Modena.
Oltre che all'Accademia d'Italia, il B. appartenne, come membro
effettivo o corrispondente, a molte altre Accademie italiane e
straniere. Tra esse: i Lincei, la Crusca, le Accademie di Torino,
Modena, Lucca, Siena; l'Accademia provenzale d'Avignone, l'Accademia
polacca di Varsavia, la Sächsische Akademie der Wissenschaften
di Lipsia, l'Académie Royale del Belgio, quella dei
Lussemburgo, ecc. Tra i molti riconoscimenti da lui ricevuti durante
la sua vita, ricordiamo i dottorati honoris causa delle
università di Wilno, Cernauti, Strasburgo, Sofia.