È stato uno dei più discussi ma anche uno dei
      più popolari autori dei primi quaranta anni del Novecento.
      La sua arte si è basata sulla descrizione della
      realtà del suo tempo e dei suoi problemi.
      
      Il suo esordio avvenne nel 1900 con Le marché dove
      furono già percepibili tutti gli elementi del suo teatro.
      
      Due anni dopo mise in scena Le détour ("La via
      più lunga"), che tratta delle difficoltà della
      figlia di una donna dai facili costumi di liberarsi dai
      pregiudizi, che alla fine la porteranno sulla cattiva strada.
      
      Dopo la parentesi di Frére Jacques con Le bercail del 1904,
      Bernstein, riprese la tematica dei conflitti interiori
      tratteggiando una protagonista che oscilla fra la banale vita
      borghese del marito e la bohème di un letterato da
      strapazzo.
      
      Con le due opere successive, La rafale (1905) e La
        griffe (1906), l'autore descrisse le storie di due umilianti
      degradazioni a causa rispettivamente del gioco d'azzardo e di un
      amore senile.
      
      L'instancabile Bernstein proseguì la sua carrellata di
      storie intricate e torbide tratte dalla realtà con Le
        voleur (1906) e Samson (1907), dove entrarono in
      scena la scaltrezza di una donna ladra che scarica su un giovane
      innamorate le colpe di un furto e la estrema follia di un
      banchiere che prova tutte le strade per rovinare l'amante della
      moglie.
      
      L'autore affrontò i toni della tragedia con Israël
      (1908), dove il protagonista scopre di essere figlio di un ebreo
      perseguitato, mentre Après moi (1911)
      esplorò le tematiche del suicidio. Nello stesso anno
      dovette subire una pesante contestazione da parte della Action
      française, che contestò i contenuti filosemiti di
      questa sua opera.
      
      Una svolta avvenne nel 1917, quando l'autore occupandosi della
      guerra a fini espiatori virò decisamente su tematiche
      spirituali, che per qualche anno interessarono particolarmente il
      drammaturgo, basti pensare a Judith (1922) per arrivare
      sino ad Evangéline (1952).
      
      Nel 1939 mise in scena Elvire, che rivelò al
      pubblico parigino l'esistenza dei campi di concentramento.
      
      Durante la seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati
      Uniti dove condusse una vita spensierata.
      
      Percorso artistico
      
      Durante la sua lunga carriera, Bernstein seguì un suo
      percorso di rinnovamento, adottando in alcuni casi tecniche
      cinematografiche, in altri una specie di dimensione narrativa,
      vincolato però dalla presenza di una forma retorica e
      tendente all'esteriorità. L'autore cercò di
      abbracciare il "teatro di pensiero" seppur appesantito da colpi di
      teatro, scene madri, finali ad effetto ed un linguaggio crudo.
      Riuscì a tracciare un quadro ben definito della borghesia
      di inizio Novecento, mostrandola nella sua corsa verso il potere e
      verso una esistenza materialista ed edonista.