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Filologo e critico italiano (Catania 1904-Napoli 1971). Allievo di M. Casella, è stato ordinario di filologia romanza e poi di letteratura italiana all'Università di Napoli. Oltre alle edizioni critiche del Teseida (1938) e del Filocolo (1938) di G. Boccaccio, del Pecorone di ser Giovanni Fiorentino (1944) e del De amore di A. Cappellano (1947), ha pubblicato saggi sul Boccaccio, sui trovatori, sulle letterature francese e castigliana e, in collaborazione con V. Pernicone, una moderna Grammatica italiana (1951).
Ha diretto la rivista Filologia e letteratura e la pubblicazione (fino al VII vol.) del Grande dizionario della lingua italiana.
Tra i suoi saggi: I primi trovatori (1942), Contributi alla storia della novellistica (1947), La lirica medievale (1954), Mitografia del personaggio (1967).
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di Roberta Ascarelli
Nacque da Giovanni Battista e da Francesca Rabaja a Catania il 4
giugno 1904, ma visse sin dalla fanciullezza anche in altre
città siciliane in quanto la famiglia si spostava spesso
con il padre, procuratore delle imposte dirette. Frequentò
le scuole secondarie a Caltanissetta e ad Adrano (allora
Adernò), una cittadina alle falde dell'Etna, quindi il
liceo "Spedalieri" a Catania, dove ebbe come professore di latino
e greco F. Guglielmino, di italiano N. Vaccalluzzo, entrambi
liberi docenti all'università, formatisi sui canoni del
metodo storico. Non sappiamo quanto possa aver influito sul
giovane B. l'ambiente culturale dei piccoli centri della Sicilia
orientale e di Catania. Certamente, quando egli si iscrisse
all'università (1922-23), Catania "doveva risultare
culturalmente ancorata a tradizioni naturalistiche di tardo
Ottocento, provincia dei tutto periferica ed attardata rispetto ai
centri della nuova cultura idealistica" (Varvaro). Nella
facoltà di lettere il B. seguì le lezioni di A.
Momigliano e soprattutto (dal febbraio del 1923) quelle di M.
Casella, nuovo professore di filologia romanza, con cui
stabilì un rapporto culturale molto intenso. Quando il
Casella fu chiamato all'università di Firenze (1924-25),
anche il B. si trasferì nella stessa città, ove
già risiedeva un altro allievo catanese del Casella, grande
amico del B., V. Pernicone.
Firenze era centro culturale e accademico di notevole prestigio:
vi operavano grandi filologi, critici e storici della letteratura,
quali M. Barbi, G. Pasquali, L.F. Benedetto L. Russo, G. De
Robertis. Il B. ne seguì l'insegnamento, accettando nel
contempo dal Casella il suggerimento di lavorare sul Teseida di
Boccaccio. Conseguita la laurea, nel 1926, egli continuava il
lavoro sul Teseida (iniziando anche a pubblicare le prime
recensioni, essenzialmente su argomenti di letteratura italiana) e
approntava anche una revisione dell'edizione Milanesi del Boezio e
dell'Arrighetto (Il Boezio e l'Arrighetto nelle versioni del
Trecento, Torino 1929). Quando ormai lo studio della tradizione
manoscritta del Teseida era a buon punto, G. Vandelli identificava
nel manoscritto laurenziano Acquisti e doni 325 l'autografo
dell'opera del Boccaccio. La nuova scoperta non inficiava il
lavoro già compiuto dal B. e l'Accademia della Crusca gli
affidava pertanto la cura dell'edizione critica del Teseida, sulla
base dell'autografo e dell'analisi già svolta. L'edizione,
pubblicata poi nel 1938 (G. Boccaccio, Teseida, ediz. critica per
cura di S. Battaglia, Firenze 1938) rimane il lavoro ecdotico
più ampio e impegnativo del B. che tentava l'utilizzazione
e comparazione analitica, per la ricostruzione della storia
"interna" del testo, sia dell'autografo che degli altri
manoscritti. Da allora l'attività ecdotica del B. fu
comunque cospicua ma si esercitò soprattutto a rivedere e
correggere testi già editi criticamente. È notevole
peraltro, oltre all'intelligenza di singole interpretazioni,
l'ampiezza del quadro culturale e la forte tensione critica, anche
militante (e non di rado rivolta alla scuola secondaria), che la
scelta dei testi rivela: ancora un'opera del Boccaccio, Il
Filocolo (Bari 1938), quindi il Poema de mio Cid (Roma 1943), di
nuovo Boccaccio, l'Elegia di Madonna Fiammetta (Milano 1944), la
traduzione di J. Ortega y Gasset, La ribellione delle masse (ibid.
1943), il Trattato d'amore di Andrea Cappellano (Roma 1947),
quindi moltissimi altri autori e testi connessi soprattutto
all'insegnamento della filologia romanza e della letteratura
italiana. Mentre attendeva all'edizione del Teseida e allo studio
di altri testi italiani, il B. ampliava anche l'ambito di
interessi in campo romanistico, con interventi su opere ispaniche
e provenzali (Il "Libro de buen amor", in La Cultura, IX [1930],
pp. 721-735; Motivi d'arte nel "Libro de buen amor", ibid., X
[1931], pp. 15-33; La poesia di Peire Vidal, in Studi romanzi ...
XXIII [1933], pp. 137-164).
Nel 1930 entrò nella redazione dell'Enciclopedia Italiana,
a Roma; il trasferimento favorì lo sviluppo di più
ampi e articolati contatti e interessi: ne restano a
testimonianza, per il periodo 1930-1938, una mole ponderosa di
voci enciclopediche relative a tutte le letterature romanze, non
solo medievali (e con talune incursioni nella cultura
mediolatina). Nel 1934 il B. conseguì la libera docenza in
filologia romanza, che insegnò per incarico nella
facoltà di magistero dell'università di Roma; nel
1938 vinse la cattedra di filologia romanza e venne chiamato nella
facoltà di lettere dell'università di Napoli.
Nonostante la formazione del B. sia avvenuta, per anni decisivi, a
Firenze, egli non sembra riconducibile a caratteristiche proprie
di quell'ambiente, né dal punto di vista più
propriamente filologico (gli sono estranei gli interessi
più esclusivamente ecdotici di un Pasquali o di un Barbi),
né dal punto di vista linguistico e critico (non sembra
infatti immediatamente assimilabile al metodo storico-critico o a
quello idealistico o stilistico di Parodi, Russo o De Robertis).
Le posizioni del B. sembrano qualificarsi per una sorta di
curiosità intellettuale (importante e significativo,
proprio per gli anni fiorentini, il rapporto col filosofo L.
Scaravelli) e di sincretismo che lo porta a considerare sullo
stesso piano il contributo della scuola storica e dell'estetica
idealistica: "La nostra generazione, che potremmo definire degli
anni Venti, si valeva in pari misura, e senza interno disagio,
dell'eredità della cosiddetta scuola storica e della prassi
dell'estetica idealistica, pur mantenendo nei suoi confronti, un
atteggiamento di controllo e d'integrazione" (è una
dichiarazione dello stesso B., in Filologia e letteratura, XVII
[1971], pp. 542 s.). La frequentazione di grandi autori europei
(Proust, Freud, Heidegger) di accesso non del tutto pacifico per
gli intellettuali dell'epoca e le caratteristiche della sua
formazione, rafforzatesi nel soggiorno romano, possono ben
rappresentare le scelte scientifico-culturali del B., rivolte
costantemente ad un rapporto col testo di carattere anche tecnico
ma soprattutto interessate ad inquadrarlo il più
rapidamente possibile in una dimensione più ampia.
L'approccio filologico si manifesta dunque non tanto come un mezzo
(o un fine) quanto come un dato di partenza, incorporato
intellettualmente, quasi fisicamente, non sempre
metodologicamente, nel critico.
Per tutto il periodo in cui insegnò filologia romanza a
Roma e poi a Napoli, attività scientifica e didattica del
B. procedettero di pari passo: il corso monografico universitario
implicava la pubblicazione di dispense, premessa a loro volta di
saggi o edizioni precedute da ricche introduzioni. La massima
parte dell'intensa attività ciel B. quale romanista, fino
agli inizi degli anni Sessanta, si compone in un'amplissima
raccolta di saggi (La coscienza letteraria del Medio Evo, Napoli
1965), che spazia dalla tradizione di Ovidio nel Medio Evo, alle
canzoni di gesta, alla lirica trobadorica, al Roman de la rose,
alle origini e allo sviluppo della novella, a Boccaccio. L'impegno
culturalmente unitario che il volume manifesta, e la sua stessa
mole, lo avvicinano a grandi opere della filologia romanza che
hanno profondamente segnato gli anni Cinquanta e Sessanta, quali
Mimesis. Dargestellte Wirkłichkeft in der abendländischen
Literatur di E. Auerbach (1946; trad. it. 1956) e Europäische
Literatur und lateinisches Mittelalter di E. R. Curtius (1948).
Comune ai tre, e del resto patrimonio ormai acquisito della
romanistica, è il nesso robusto stabilito fra cultura
mediolatina e "origini" romanze. Anche il B., come Auerbach e
Curtius, è volto a ricostruire la tradizione della cultura
europea, ma senza privilegiare l'uso di uno strumento ermeneutico
particolare (lo "stile" in Auerbach, con cui anzi il B. polemizza
esplicitamente e talora fortemente, i topoi in Curtius): l'analisi
dei B. è infatti più libera ma meno finalizzata,
metodologicamente e tematicamente, gli "ideali di civiltà
intellettuale e morale" di cui anche l'italiano B. intende
assicurare la continuità non sottendono infatti quell'idea
drammatica di crisi da cui partono i due tedeschi e centroeuropei.
Si può così spiegare da una parte lo scarso
interesse metodologico (in un momento in cui tale aspetto
dell'attività critica diviene di importanza centrale) e il
relativo isolamento del B., dall'altra l'attenzione evidente, per
quanto mai ricomposta in un disegno o in una esplicitazione
unitaria, per la tradizione quale storia degli intellettuali (e
quindi, come già in un suo auctor, H. I. Marrou, per s.
Agostino). Non meraviglierà dunque che il B., nel 1961,
abbia accettato di ricoprire, presso la facoltà di lettere
dell'università di Napoli, la cattedra di letteratura
italiana lasciata da G. Toffanin, soprattutto considerando che
già dai primi anni Cinquanta attendeva alla preparazione
del Grande Dizionario della lingua italiana (tuttora in corso di
pubblicazione presso la UTET di Torino, affidato alla direzione di
G. Barberi Squarotti alla morte del B., allorché l'opera
era giunta al settimo volume: il primo volume è del 1961),
"ultimo grande lessico di una lingua di cultura compilato sotto la
responsabilità di un uomo solo" (Varvaro).
Anche nel Dizionario è evidente il particolare rapporto del
B. con la lingua e la linguistica quali momenti particolari di una
concezione più complessiva della letteratura e della
cultura: "Un Dizionario non si legge, si consulta appena… E
tuttavia le citazioni, per quanto siano di necessità
frammentarie e discontinue, riconducono il Dizionario nell'ambito
della letteratura e della vita, sottraendolo all'immobile
astoricità che incombe sulla sua sorte… è
l'esemplificazione degli scrittori e dei poeti che ogni volta
riattualizza la parola e la restituisce alla sua integrità
e autenticità" (dalla Presentazione al primo volume).
La stessa attività del B. quale organizzatore di cultura,
oltre che come maestro e come studioso, è caratterizzata da
questa compenetrazione tra filologia romanza e letteratura
italiana (estesa anche ad ambiti specifici: fu socio attivo del
Centro di studi filologici e linguistici siciliani); condirettore
del Giornale storico della letteratura italiana, lo lasciò
nel 1954 per fondare nello stesso anno la rivista Filologia
romanza, che interruppe poi per un impegno più complessivo
fondando sempre nel 1954 un'altra rivista, Filologia e
letteratura, in corrispondenza appunto con l'impegno quale
cattedratico di letteratura italiana.
La sostanziale continuità di interessi del B. è
confermata anche dall'attività di critico militante (si
vedano gli elzeviri, pubblicati sul quotidiano romano IlTempo,
raccolti in Occasioni critiche, Napoli 1964) e dai corsi e dalla
produzione scientifica successiva al 1961, dove emergono certo
argomenti di letteratura moderna (e spesso contemporanea), ma dove
maturano anche, su sollecitazioni probabilmente di origine
romanistica (il già citato Auerbach, ma non solo),
problematiche metodologiche già percepibili
precedentemente. Dante diviene così un argomento
privilegiato, quale nesso emblematico fra cultura mediolatina,
romanza e tradizione italiana ed europea (Esemplarità e
antagonismo nel pensiero di Dante, ibid. 1966). Soprattutto matura
ulteriormente l'interesse per i "tempi lunghi" della storia
culturale e letteraria, fino all'individuazione di vere e proprie
costanti antropologiche della storia umana (Mitografia del
personaggio, ibid. 1967, poi Milano 1968), ricercate attraverso
un'indagine sulle manifestazioni, sul ruolo e sui "comportamenti"
dei "personaggio" nella letteratura, dall'antichità
classica ai nostri giorni. Una tale ampiezza di interessi tematici
implica, come già in Auerbach e altri, procedimenti
metodologici e scelte basate su indagini e tagli "trasversali" dei
testi e su analisi e comparazioni non limitate alla letteratura
italiana ma condotte attraverso molteplici letterature, antiche e
moderne. È la conferma della specificità (e
singolarità, anche) della posizione del B. quale filologo,
critico e storico della letteratura: punto d'incontro cioè
di interessi e metodologie tipici della filologia romanza ma
applicati in modo privilegiato sulla filologia e sulla letteratura
nazionale fino al tentativo di ricomprendere entrambe in una
dimensione critico-antropologica, fondata sull'asse diacronico e
sul confronto di molteplici esperienze letterarie.
Il B. morì a Napoli il 14 ag. 1971.