BARILLI Bruno

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Scrittore, critico musicale e compositore italiano (Fano 1880-Roma 1952). Studiò a Parma, quindi a Monaco, direzione d'orchestra con F. Mottl. Esercitò la critica musicale a Roma collaborando a giornali e riviste (La Ronda, di cui fu tra i fondatori; Il Tempo, Il Tevere, Omnibus, L'Unità); questa sua attività, praticata non con la sistematicità dello studioso, ma con l'estro e la fantasia del tutto personali (e a volte veramente illuminanti) dello scrittore, è certamente più significativa di quella di compositore.

Pubblicò tre volumi di saggi e articoli: Delirama (1924), Il sorcio nel violino (1926) e Il paese del melodramma (1931). Oltre che nei mirabili capitoli musicali (specie su Verdi e Wagner) di questi libri, il violento barocchismo di Barilli è vivo anche nei libri di viaggio (Parigi, 1933; Il sole in trappola, 1941; Ricordi londinesi, 1945; Il viaggiatore volante, 1946) e nelle schegge di alta poesia, dolenti e magiche insieme, dei Capricci di vegliardo (1951).

 

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DBI

di Arnaldo Bocelli

Nacque a Fano (Pesaro) il 14 dic. 1880, da Cecrope, noto pittore, e da Anna Adanti, ma trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Parma, città d'origine e residenza della famiglia. Dopo l'istituto tecnico, in quel conservatorio iniziò gli studi musicali, avendo a maestro di composizione il Righi; e li continuò, dal 1901, a Monaco di Baviera, dove seguì alla Dirigentschule i corsi di Felix Mottl (del quale più tardi fu, per qualche tempo, sostituto al Prinzregententheater), e alla Akademie der Tonkunst quelli di Gluth e Thuille, diplomandosi in composizione nel 1903. A Monaco conobbe una studentessa serba, Danitza Pavlovi~ (nipote del re Pietro Karagjorgjevi~), che poi sposò, avendone una figlia, Milena.

Tornato in Italia, mentre tentava varie strade, compose (igio) un'opera in tre atti, Medusa,su libretto di 0. Schanzer (Milano 1914; vincitrice in questo anno del concorso Mack Comik, non fu rappresentata che nell'anno 1938, a Bergamo). Nel 1912, recandosi presso la moglie a Poíarevac, ebbe incarico da 0. Malagodi, direttore della Tribuna,di inviare al giornale un "servizio" sulle guerre balcaniche. E, in circostanze analoghe, sempre dalle zone balcaniche, altre corrispondenze di guerra inviò, due anni dopo, allo scoppio del conflitto mondiale, al Corriere della sera (ott. 1914) e al Resto del Carlino (febbr- 1915). "Servizi" che - con quella occasionalità che, conforme alla sua natura irrequieta, bizzarra, di bohémien,sarà un po, la caratteristica di tutta la produzione del B. - segnano il suo ingresso nel giornalismo e nella letteratura. Ché fra questa e quello, per le singolarissime doti di scrittore subito rivelate, non vi sarà in lui differenza, se non nel senso che l'uno servirà di stimolo e pretesto al manifestarsi dell'altra. Il 1915 è anche l'anno di composizione della seconda sua opera musicale, Emiral,un atto su libretto proprio, ispirato ad una leggenda balcanica. Opera che, avendo vinto più tardi (1923) un concorso govemativo, fu rappresentata al Teatro Costanzi di Roma nel 1924.

In quello stesso periodo il B. comincia a occuparsi di critica musicale sul giomale romano La concordia (1915-1916): critica che già presenta, e sempre più verrà assumendo (in Il Tempo,1917-22, e nel Corriere italiano,1923-24), forme tutte sue, che ben poco hanno da spartire con le consuete cronache di concerti e spettacoli, in quanto il giudizio su opere, autori, esecutori - sicuro, preciso e spesso, nelle negazioni, reciso - anziché esprimersi in termini logici, diretti, tende ad una trascrizione immaginosa dei propri elementi, con carattere essa stessa di creazione artistica. Secondo un gusto che si incontrava con quello di alcuni scrittori suoi coetanei, formatisi attraverso le esperienze critico-liriche del "frammentismo" e della Voce,come E. Cecchi, A. Baldini, V. Cardarelli. Assieme ai quali (e ad altri: R. Bacchelli, L. Montano, E. A. Saffi) il B. fondò in Roma (1919) la rivista letteraria La Ronda:con il cui programma di "restaurazione classica" egli, pur con i suoi spiriti romantici, si trovò d'accordo, per quel rispetto verso certi valori fondamentali della tradizione, che lo portava a professare - come i suoi amici per il Leopardi - un vero culto per il Verdi. Del quale fu tra i primissimi a rivendicare la grandezza, e proprìo nelle opere allora più discusse, come il Trovatore:con un estro polemico tanto più efficace in quanto sorretto da una inesauribile invenzione verbale (rivendicazione, insieme con quella del melodramma italiano, che peraltro non gli impedì di intendere Stravinskij).

La fama del B. come scrittore data appunto da quegli anni (del 1924 è una prima raccolta di queste sue "critiche", Delirama);e la sua attività successiva si svolgerà in tale direzione, soverchiando o accantonando, non senza suo intimo cruccio, quella del musicista: la cui vena, del resto - pur genuina in quel suo accordare il canto, di una lineamelodica italiana e verdiana, con uno strumentale memore della scuola tedesca -, non ha l'alacrità innovatrice propria dello scrittore. Numerosi sono i giornali e i periodici ai quali il B. collaborò: Il Tevere (1925-33), Gazzetta del Popolo, Il Popolo di Roma, Omnibus, Tempo (iHustrato), e, nel secondo dopoguerra, Risorgimento Liberale, L'Unità,ecc.: alternando ad articoli di carattere musicale scritti e corrispondenze di viaggio (da Parigi, 1926-27; da Londra, 1931; dal Nord d'Europa, 1931; dall'Africa, 1931-32; dall'Austria e dai Balcani, 1935-36; dalla Spagna, ecc.). Ché quella del giramondo fu un'altra delle vocazioni del B., per la sua curiosità del vedere, e per quel tanto di "zingaresco" che era in lui, e che gli fece - nella stessa Roma, dove più a lungo dimorò - cambiare spesso di domicilio, scegliendolo in alberghi o piccole pensioni.

Di tutta questa attività restano testimonianza alcuni volumi, nei quali, per lo più a cura di amici, è raccolto il meglio, dei suoi scritti: Il sorcio nel violino (1926); Il paese del melodramma (1931, vincitore del premio Fracchia dello stesso anno); Parigi (1933); Il sole in trappola (1941); Ricordi londinesi (1945); Il viaggiatore volante (1946); Lo Stivale (pubblicato POstumO, 1952).

Negli ultimi anni, malfermo di salute e afflitto da avversità e sventure (la figlia Milena, che aveva acquistato nome quale pittrice, morì a New York nel 1945 in seguito a una caduta da cavallo), il B. venne diradando il proprio lavoro, che indirizzò a preferenza verso i modi diretti della confessione autobiografica. Affidata la più intima a diari e taccuini, solo in parte fu pubblicata lui vivente (Capricci di vegliardo,1951, che vinse il premio Saint-Vincent di quell'anno); altra -ma numerosi sono ancora gli inediti - dopo la sua morte, avvenuta in Roma il 15 apr. 1952.

Temperamento lirico, di un lirismo piuttosto fomentato che moderato dal sottofondo critico, il B. nei suoi scritti appare dominato da una immaginativa densa, intensa, estuante, pronta a evocar, sulla scorta delle impressioni o sensazioni ricevute, figure, scene, paesaggi, prospettive di un barocco tra festoso e allucinato, dove ogni particolare realistico è portato al limite del surreale. Evocazioni e trasposizioni che, certo, non vanno disgiunte da un che di artificioso: ma l'artificio è il mezzo e, per così dire, il naturale nutrimento di quest'arte: e se prevale, e riesce molesto in momenti di accentuato o compiaciuto intellettualismo, si riscatta però presto in poesia, grazie al trapassare di quella alacrità sensuale, così esuberante nel B. (e che reca a volte tracce dannunziane), in una nostalgia di beni perduti o di orizzonti sempre più ampi, coincidenti con i termini supremi del destino umano: la beuezza, l'amore, la morte.

Ed è proprio per questo tendere delle sensazioni a un principio arcano, che l'un senso sconfina di continuo e si risolve nell'altro, e che l'impressionismo del B. non è mai solo acustico o auditivo, sì anche visivo, anzi visionario. Donde il carattere non musicale ma plastico, seppure di una plasticità così spericolata e friabile, della sua scrittura. I suoi aggettivi, spesso divaricati, e solo saldabili fra loro, o con il sostantivo, al lampo dell'analogia, hanno assai più rilievo che colore. E il suo periodare, per la penuria dei nessi logici, ha una sintassi lirica; come lirica è 1, interpunzione, frequente di trattini in luogo di virgole, quasi scansioni di verso: una interpunzione tipica dei frammentisti e vociani (ai quali, dei resto, fu presente la lezione dei simbolisti e decadenti francesi, come è presente- specie quella del Rimbaud - al B.). Scrittura la cui ideale misura è la pagina di taccuino, il foglio di diario; e il cui tono, si tratti di prosa di ispirazione musico-teatrale o di viaggio, è quello di una poesia che sorge come "illuminazione" dalla cronaca, e alla cronaca ritoma per risorgeme, e così via, quasi fenice dalle proprie ceneri.

Ma col passare degli anni questa cenere si è fatta essa stessa incandescente: "novità" che, già avvertibile in certi altri scritti del B., culmina nei citati Capricci di vegliardo. I pretesti, le occasioni al suo immaginare vengono ora sempre meno dal di fuori, e sempre più dal limbo dei ricordi. Non più recite musicali, né viaggi per il mondo, ma "esplorazione d'ombra": di quella che il proprio corpo invecchiato reca sempre più gravosa con sé, in contrasto con gli slanci sempre estrosi dell'anima; e di quella che il tempo ha accumulato sul proprio passato ma che la memoria si adopera a diradare. Paesaggi si altemano ad autoritratti: e come questi mostrano in trasparenza, entro un lucore fra di radioscopia e di apparizione medianica, lo scheletro; gli altri, spenti o attutiti i fuochi delle antiche girandole, si mostrano attoniti e a momenti calcificati in una luce siderale. Quel tanto di funebre o di spettrale che ci fu sempre nel B., anche nel più impennato e umoresco, qui impronta di sé tutte, o quasi, le sue fantasie: le quali, venute meno pur le commettiture vagamente narrative di una volta, ora si sviluppano secondo un disegno libero ma essenziale, e altamente poetico.