BARBI Michele
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Filologo italiano (Traviano, Sambuca Pistoiese, 1867-Firenze 1941).
Formatosi alla “scuola storica” di A. D'Ancona, insegnò letteratura
italiana nelle università di Messina e di Firenze. Fondamentale la sua
opera di dantista: edizione critica della Vita Nuova (1907), Studi sul
Canzoniere di Dante (1915), edizione critica delle Opere di Dante
(1921), pubblicazione, dal 1893, del Bullettino della Società Dantesca
Italiana e, dal 1920, degli Studi danteschi, Problemi di critica
dantesca (1934-41), Con Dante e coi suoi interpreti (1941), Problemi
fondamentali per un nuovo commento alla Divina Commedia (1943).
Studioso dei testi popolari (Poesia popolare italiana,
1939), lasciò alla Scuola Normale di Pisa una monumentale raccolta di
canti popolari, iniziata fin dal 1887. Diresse inoltre l'edizione
nazionale delle opere di Foscolo e di Manzoni; e a Manzoni dedicò gli
ultimi anni, coi primi tre volumi degli Annali manzoniani (1939-42) e
con l'edizione delle Opere (in collaborazione con F. Ghisalberti).
Maestro della critica testuale moderna, sostenne, in polemica con
Croce, la funzionalità dell'operazione filologica ai fini di
un'approfondita comprensione dell'opera d'arte. Nell'introduzione al
volume La nuova filologia e l'edizione dei nostri scrittori da Dante al
Manzoni (1938) ricapitolò i principi fondamentali della sua
metodologia: individualità del problema critico (ogni testo ha il suo
problema); razionalità di metodo; interdipendenza tra interpretazione e
critica testuale, per cui l'edizione critica è insieme commento,
esegesi, storia dell'opera.
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DBI
di Francesco Mazzoni
Nacque a Taviano (frazione di Sambuca Pistoiese) il 19 febbr. 1867,
dodicesimo figlio di Francesco, possidente del luogo, e di Caterina
Borri. Compì gli studi secondari al liceo Forteguerri di
Pistoia, ove Giovanni Procacci lo avviò ai buoni studi e ne
intuì le capacità. Entrato alla Scuola normale
superiore di Pisa, si laureò in quella università nel
1889, con Alessandro D'Ancona. Nei ruoli delle scuole medie dal 10
ott. 1889, conseguì in quello stesso anno una borsa di
perfezionamento presso l'Istituto di studi superiori in Firenze. Dal
10 febbr. 1893 nei ruoli delle biblioteche, fu sottobibliotecario
alla Biblioteca Mediceo Laurenziana e dal 16 genn. 1894
bibliotecario e poi (1895) conservatore dei manoscritti alla
Biblioteca Nazionale di Firenze. Nel 1896 professore incaricato di
storia della letteratura italiana nell'università di Pisa, fu
dal 10 genn. 1901 professore di letteratura italiana
nell'università di Messina e dal 10 ott. 1912 comandato, sino
al 1922, presso l'Accademia della Crusca in Firenze. Ordinario di
letteratura italiana all'Istituto superiore di Magistero in Firenze
dal 16 dic. 1923, fu nominato professore emerito di quella
università dal 29 ott. 1937, data del suo collocamento a
riposo. Morì a Firenze il 23 sett. 1941.
Numerose cariche accademiche, onorificenze e vari premi sancirono
mano a mano l'importanza che l'opera filologica e critica del B.
veniva assumendo nella nuova cultura letteraria italiana. Ricordiamo
i riconoscimenti più significativi: segretario (1894) e
più tardi vice presidente (1936) della Società
Dantesca Italiana; accademico corrispondente (1909) dell'Accademia
della Crusca; dal 1923 membro della Giunta esecutiva per i testi
italiani; dal 1928 accademico su designazione delle Facoltà
di lettere e filosofia; premio reale per la filologia dell'Accademia
dei Lincei (1914); premio Salvatore Besso della Casa di Dante in
Roma (1921); Socio corrispondente (1921) e poi socio nazionale
(1928) dell'Accademia dei Lincei; premio Mussolini per le lettere
(1935) dell'Accademia d'Italia; senatore del Regno (1939) e medaglia
d'oro dei benemeriti dell'educazione nazionale (1941).
Avviato da Alessandro D'Ancona agli studi danteschi (la tesi pisana
su La fortuna di Dante nel sec. XVI,pubblicata a Pisa nel 1890,
rende pur oggi utili servigi), il B. (ancora perfezionando) fu
subito chiamato dai suoi maestri fiorentini, Bartoli e Rajna, a
collaborare con la Società Dantesca testé fondata.
Incaricato di stendere un organico piano di lavoro per la progettata
edizione critica di tutte le opere di Dante e di redigere una
bibliografia dantesca ragionata pel Bullettino della Società,
a soli 24 anni (nel 1891 e non nel 1896 come fu scritto) ebbe
assegnato il compito dell'edizione critica della Vita Nuova e delle
Rime, ottenendo di essere per tale lavoro dapprima dispensato
dall'insegnamento e poi trasferito nei ruoli delle Biblioteche. Di
quell'anno è l'opuscolo Per il testo della Divina Commedia
(Roma 1891) in cui, rendendo conto di studi altrui, egli già
prendeva una posizione autonoma nell'intricato problema, andando
oltre l'insegnamento dei suoi maestri; di quegli anni le ricerche
sui manoscritti del poema, che portarono alla meditata scelta di 400
punti discriminanti (il cosiddetto "canone") che avrebbe potuto
consentire alla Società, con la collaborazione dei
volenterosi, un primo razionale inquadramento e sfoltimento della
vastissima tradizione.
Nel 1893 il B. venne nominato direttore del Bullettino; egli divenne
da allora, in un certo senso, il moderatore della critica dantesca
in Italia e all'estero. Gli articoli composti pel Bullettino e, a
partire dal 1920, per gli Studi Danteschi il B. raccolse (insieme a
un saggio Sulle fonti della vita di S. Francesco)in due volumi di
Problemi di critica dantesca (i s.,1893-1918, Firenze 1934; 2 s.,
1920-1937, ibid. 1941), che restano ancor oggi indispensabili
strumenti di lavoro per lo specialista, e in cui il lettore assiste
al progressivo passaggio da interessi esterni (di storia e biografia
materiale) a un quadro esegetico più vasto, a una
storicizzazione globale del pensiero e dell'arte dantesca. In essi
il B. lumeggia punti oscuri della biografia del poeta, questioni
controverse di storia fiorentina; studia la cronologia delle opere
dantesche, ne chiarisce, aiutato da vivissimo senso della lingua,
l'interpretazione; tende infine ad una definizione del pensiero
filosofico dell'Alighieri, colto entro la cultura e la
civiltà medievale, in un'opera, insomma, di ricostruzione
totale e filologica che si può compendiare nell'assunto
paradigmatico: "Ciò che è fuori della coscienza del
poeta a noi non può importare" (Studi Danteschi, XXIII[19381,
p. 48). Un terzo volume, dedicato tutto ai Problemi fondamentali per
un nuovo commento della Divina Commedia,uscito postumo nel 1955,
comprende, assieme a un importante inedito, articoli composti fra il
1937 e il 1941; e segna un certo qual spostamento dell'ermeneutica
barbiana (ner'ambito della pur vivacissima polemica col Pietrobono
attorno al genuino carattere dell'opera dantesca) verso le posizioni
del suo contraddittore, un tempo non condivise e non sempre
accettabili. Ad esso è da aggiungere il volume complessivo su
Dante. Vita Opere Fortuna (Firenze 1933, più volte
ristampato) e l'altra raccolta Con Dante e coi suoi interpreti
(Firenze 1941) che offre una nutrita serie di chiose puntuali.
Già i titoli prescelti accennano al carattere squisitamente
problematico di quella critica; sicché, licenziando nel 1937
il volume XX dei suoi Studi Danteschi, fondati nel 1920 e diretti
fino alla morte, il B. poteva scrivere senza iattanza: "Mio bisogno
è solo quello di chiarir problemi, via via che si presentano
al mio spirito, e chiarirli per me, non per fame mostra agli altri:
quando un preciso dovere non voglia diversamente, chiarito che abbia
un problema, non ho che il desiderio di passare a un altro, senza
perder tempo a render conto di quel che mi pare d'aver accertato, e
senza stare a ribattere le opinioni altrui..." (op. cit., pp.135
s.). I frutti del suo lavoro decennale di editore il B.
consegnò nella magistrale edizione critica della Vita Nuova
(Firenze 1907; 2 ediz. immutata nell'apparato ma ampliata nel
commento, ibid. 1932) modello - con quella del De Vulgari Eloquentia
curata dal Rajna nel 1896 - alle future generazioni di filologi; e
nel volume di Studi sul Canzoniere di Dante (Firenze 1915),
preparatorio all'edizione delle Rime, ove nell'esplorare la
trasmissione del canzoniere dantesco egli venne insieme disegnando
la storia della tradizione dell'antica lirica italiana:
sicché ulteriori edizioni di nostri lirici, come quelle del
Cavalcanti o di Cino, han trovato, si può ben dire, la strada
magistralmente aperta e segnata.
La sua tenace volontà di concretezza, unita ad una rara
capacità organizzativa, egli esplicò, lasciata nel
1906 nelle mani del suo più che sodale E. G. Parodi la
direzione del Bullettino, quale direttore e coordinatore dei lavori
per l'edizione nazionale delle opere di Dante; e solo a quella
tenacia e allo spirito di sacrificio dei suoi collaboratori è
dovuto il volume complessivo, approntato fra difficoltà
d'ogni genere durante la prima guerra mondiale e uscito nel 1921,
che offriva per la prima volta, sotto gli auspici della
Società Dantesca Italiana, un testo veramente "critico" di
tutte le opere dell'Alighieri (ristampato in 2 ediz., Firenze 1960).
Capacità organizzativa, unita a una vasta preparazione
remota, che portò il B. alla direzione di altre importanti
imprese scientifiche; del 1927 è il piano per l'edizione
nazionale delle opere di Ugo Foscolo; di quell'anno e dei successivi
sono gli studi sul testo dei nostri maggiori, dal Boccaccio al
Sacchetti al Guicciardini al Foscolo al Manzoni, poi raccolti e
ripubblicati nel volume La nuova filologia e l'edizione dei nostri
scrittori da Dante al Manzoni (Firenze 1938); del 1934 è il
piano per una nuova edizione commentata dell'Alighieri, in 12
volumi, che affiancasse e quasi completasse l'attesa edizione
critica maggiore della Società Dantesca.
Tale allargamento - talora ripresa - di ricerche e temi era dovuto
in gran parte all'incarico di direttore della Giunta esecutiva pei
testi italiani dell'Accademia della Crusca; il B., a suo dire, non
conosceva modo migliore per dirigere l'opera altrui che vedere
preliminarmente con occhi propri ("Ogni ufficio porta i suoi doveri,
e studiare direttamente i problemi è il solo modo ch'io
conosca per poter dirigere e invigilare l'opera altrui": da una
relazione inedita del 1935); e da queste sue indagini personali,
avviate del resto fin dal lontano 1915 (cfr. Fra testi e chiose, in
Rassegna bibliografica della lett. italiana, XXII [1915], pp.
216-42), e di cui un saggio aveva dato nell'articolo Come si
pubblicano i nostri classici, in Pègaso, III (1931), pp.
603-608, uscirono spesso rinnovate ab imis prospettive critiche e
problemi d'edizione: basti pensare al capovolgimento di giudizio sul
codice Mannelli; alla messe di felicissime correzioni testuali; alla
valutazione delle varianti d'autore, pel testo del Decameron; alla
vigorosa e magistrale eliminatio, pel testo del Trecentonovelle; al
riordinamento delle serie dei Ricordi guicciardiniani; alla tecnica
stratigrafica di ricostruzione (foglio per foglio di stampa) della
volontà ultima del Manzoni, a proposito dei testo dei
Promessi Sposi:sviluppo, dopo quarant'anni, di una felice intuizione
critica avuta nel 1891. Continuo arricchimento insomma, sul terreno
dell'esperienza e poi sul piano metodologico, di quell'arte
difficile ch'è pubblicare gli antichi testi; e che permetteva
al B., nel suo temperato e affinato lachmannismo, di opporsi con
forza (cfr. La nuova filologia, pp. XVI-XXIV) allo scetticismo
aprioristico in quegli anni caldeggiato dal Bédier, o alle
nuove tecniche proposte per l'ecdotica da Dom H. Quentin. Nel far
questo egli ritornava idealmente al precetto appreso in età
giovanile alla scuola del Rajna, e più volte rammentato, non
esservi una ricetta valida a priori, una tecnica unitaria
d'edizione, sibbene - poiché ogni testo ha il suo problema -
tanti problemi quanti sono i testi studiati.
Ma un altro argomento lo vide conoscitore e raccoglitore principe,
attraendo fin dagli anni giovanili la sua attenzione di studioso
post-romantico e positivista, per poi diventare anch'esso materia di
"nuova filologia": cioè lo studio della poesia popolare, cui
il B. si diede fin dal 1887, iniziando la monumentale raccolta di
canti popolari in 10 volumi, legata poi cinquant'anni dopo per
testamento, con i suoi libri e le sue carte, alla Scuola normale
pisana, ove quegli interessi, dietro l'appassionato stimolo del
D'Ancona, eran dapprima sbocciati. Anche in questo campo, accanto
all'organico lavoro di recensione, le intuizioni e precisazioni di
metodo: come la partizione fondamentale della penisola italiana in
due zone, quella settentrionale della canzone epico lirica, quella
meridionale dello strambotto; la affermazione della necessità
di ricercare quante più redazioni possibili di ogni canto,
per studiarne, attraverso le trasformazioni di sulla bocca dei
parlanti, la diffusione, e risalire insieme comparativamente alla
fonte prima; il problema della contaminazione dei canti popolari e
delle loro melodie. Studi che volle raccogliere, sul finir della
vita, in un aureo libretto (Poesia popolare italiana. Studi e
proposte,Firenze 1939), che resta tutt'oggi, pur dopo che l'opera
del B. è stata proseguita da studiosi autorevoli da lui
stesso designati, quali V. Santoli e P. Toschi, uno dei migliori
avviamenti alla materia.
Agli studi manzoniani e a Dante dedicò gli ultimi anni della
sua vita operosa. Il Centro di studi manzoniani e la rivista Annali
Manzoniani lo ebbero quale fondatore e prezioso collaboratore: oltre
la morte, se gli ultimi suoi scritti son stati pubblicati, in
collaborazione con F. Ghisalberti, nel 196 1. Nell'ultimo giorno
della sua vita, a darle l'ultimo sigillo d'un argomento fra i
più cari, volle correggere le bozze d'un articolo dantesco,
l'inedito stampato nel postumo volume di Problemi.
Parco nella vita e nel tratto, ma generoso con amici e scolari,
schivo d'onori e consensi come alieno da polemiche (anche se restano
memorabili le sue schermaglie, tese tutte all'accertamento del vero,
col Croce e col Pietrobono), se era stato amico di grandi come
Carducci e Pascoli, volle e seppe, da vecchio, circondarsi di amici
fedeli e di giovani, che ne proseguissero e completassero l'opera
nei molteplici settori della sua attività: U. Cosmo per gli
studi francescani, F. Maggini e V. Pernicone per quelli danteschi,
A. Chiari pel Decameron e per il Sacchetti, P. Carli pel Foscolo, F.
Ghisalberti pel Manzoni: e nei lavori e nei risultati di questi
studiosi, che più direttamente si riannodarono al suo
magistero, appare chiaro anche oggi l'influsso fecondo della sua
personalità, della sua diuturna operosità, del suo
fruttuoso insegnamento; sì che il B., accanto a V. Rossi e
(per la romanistica) a V. Crescini, resta una delle figure
più rappresentative della generazione formata alla scuola dei
grandi maestri del metodo storico, che seppe aprire vie nuove agli.
studi filologici, e indicare alle future generazioni la strada da
percorrere: nella serena consapevolezza - per citare parole del B.
che sono il compendio d'una prassi e d'una vita - che "a tela ordita
Dio manda il filo" (La nuova filologia, p. XLI).