Barbagallo Corrado
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Storico italiano (Sciacca 1877 - Torino 1952); prof. di storia
economica a Catania nel 1926-27, dal 1927 al 1948 a Napoli e infine a
Torino; nel 1917 con la Nuova Rivista Storica creò uno dei più vivaci
organi di discussione storiografica. Studioso, in un primo tempo, di
storia antica (La fine della Grecia antica, 1905; Contributo alla
storia economica dell'antichità, 1907; Giuliano l'Apostata, 1912), si
dedicò poi anche a lavori di storia politica ed economica dell'età
moderna e contemporanea (Come si scatenò la guerra mondiale, 1923; Le
origini della grande industria contemporanea, 1929) ed è autore di una
Storia universale in cinque volumi (1931-1938; 2a ed. 1950-54).
da
http://www.iststudiatell.org/rsc/art_6n%5Cricordo_maestro_corrado_barbagallo.htm
RICORDO DI UN MAESTRO: CORRADO BARBAGALLO
SOSIO CAPASSO
Corrado Barbagallo nacque a Sciacca (Agrigento) il 1° dicembre 1877.
Il padre era un insegnante nella locale scuola media. La fanciullezza e
l’adolescenza trascorsero tra Sciacca e
Catania, ove poi frequentò la facoltà di Lettere, ma solo per il primo
biennio; per il secondo fu a Firenze, nell’Istituto di Studi Superiori,
ove si laureò nel 1899.
Quello stesso anno iniziò la sua lunga carriera di insegnante,
cominciando da Potenza, ove insegnò, per qualche tempo, materie
letterarie nel Ginnasio inferiore, per passare, poi, alla cattedra di
storia negli istituti tecnici, prima a Roma, poi a Milano, insegnamento
che tenne per un ventennio.
Per circa trent’anni fu insegnante di esemplare capacità, autore di
testi scolastici, tutti accolti con meritato successo, né disdegnò di
partecipare, tra il 1903 ed il 1908, al dibatito sui problemi didattici
ed economici della Scuola.
Nei primi quindici anni della sua attività scientifica, si dedicò alla
storia sociale ed economica dell’antichità classica. Restano famosi i
suoi profili di Giuliano l’Apostata e di Tiberio, nonché il volume Fine
della Grecia antica, pubblicato in due edizioni, rispettivamente nel
1905 e nel 1923.
A Firenze giunse animato dal desiderio di collegare l’esperienza nativa
a quella culturale toscana. In questo pellegrinaggio l’avevano
preceduto Mario Rapisardi e Concetto Marchesi. A costoro il Barbagallo
fu vicino sia per la fede comune nel socialismo, sia per l’interesse
alle dottrine marxiste ed al materialismo storico.
Intorno a loro si costituì un gruppo di giovani, studenti o
perfezionandi, fra i quali Cesare Battisti, Rodolfo ed Ugo Guido
Mondolfo, Gaetano Salvemini.
Però, il periodo fiorentino non fu felice per il Barbagallo, il quale,
nel 1911, si mostrò solamente obbligato al suo insegnante di storia
antica, Achille Coen.
Il Barbagallo si mostrava animato da spirito polemico ed
anti-accademico, che più tardi Gino Luzzatto, suo amico, rilevò simile
a quello del primo Papini.
Egli, peraltro, si sentiva attratto dai problemi della storia in sé,
quali risultavano dalla polemica tra i critici del materialismo
storico, soprattutto Croce e Gentile, col Villari.
Di tale periodo sono Pel materialismo storico del 1898, poi rifatto,
nel 1916, nonché due articoli apparsi nella Nuova Rivista Storica, poi
riediti nel volume Attraverso i secoli, del 1939: egli mira a
lumeggiare, e talvolta, addirittura, a distruggere, tesi di
storiografia e filosofia del Marx e dell’Engels, a chiarire, qualche
volta anche a negare, i rapporti fra storiografia e lotta di classe,
nonché il concetto della dittatura del proletariato.
Nel Barbagallo il materialismo storico andò sempre più acquistando la
connotazione di una storiografia generale anti-filologistica, dai
molteplici interessi sociali. Tracce di questo suo atteggiamento
troviamo in Passato e presente del 1934.
Col Croce aveva interrotto i rapporti già dal 1916, anche per il
diverso atteggiamento di fronte alla prima guerra mondiale.
Ma è nella storia antica che il Barbagallo rivolse costantemente la sua
attenzione e conseguì presto la libera docenza in antichità greche e
romane, ma non ebbe facile fortuna nei concorsi per la cattedra
universitaria, forse a ragione della sua ostinata ricerca delle cause
di un evento storico, non sempre in linea con le tesi dominanti. Egli
ebbe particolarmente caro il tema del perché declinino e tramontino gli
stati o si trasformino le società, che era stato il problema del
Montesquieu, da lui riproposto sotto il profilo
sociologico-meccanicistico.
Tra i suoi impegni maggiori, la fondazione della Nuova Rivista Storica,
nel 1917. Nella presentazione del nuovo periodico egli scriveva, fra
l’altro:
«È noto ad ognuno come la nostra cultura storica sia da
cinquant’anni ad oggi, tutta intesa alla trattazione critica (talora
ipercritica), non illuminata da alcuna idea generale, di questioni
minute senza nesso organico fra loro, alla ricerca ed alla
illustrazione spicciola di testi e di documenti, quasi deliberata a
rinunziare ad opere dal largo respiro, quasi sdegnosamente aliena da
ogni contatto con la vita e con la politica, da cui nei secoli passati
la storiografia attingeva il suo più vitale nutrimento.
Ora noi vorremmo esercitare sulla cultura italiana tale azione da poter
ricondurre la storiografia alla sua natura vera e reale:
interpretazione e intelligenza di fatti sociali, specialmente politici,
nel senso più ampio e più comprensivo della parola ... Noi crediamo
fermamente che quella forma di attività intellettuale che si dice
storia, non possa sottrarsi ad alcun contatto con la restante vita e
cultura ... con quelle discipline, che sono in grado di darle la
visione e l’intelligenza delle forze operanti nella società umana:
l’economia, il diritto, la religione, la geografia, la letteratura, la
filosofia, ecc. Nulla per noi di più dannoso dell’isolamento, quasi
claustrale, in cui gli studiosi del passato vivono, gli uni accanto
agli altri, a seconda del campo che hanno impreso a dissodare, e
dell’abborrimento che da gran tempo la storiografia sembra nutrire
verso lo studio degli avvenimenti d’altri paesi. Il senso storico si
alimenta della conoscenza storica universale, della comprensione viva
del presente ...».
Questo programma egli realizzò, con dura fatica, in 14 anni, dopo di
che passò ad altre mani la direzione della rivista per dedicarsi alla
sua opera maggiore, la Storia universale.
Questa opera imponente egli realizzò in ben 10 ponderosi volumi.
Un’opera che, a differenza di altre, trattate da più autori, è frutto
esclusivo del suo lavoro, e nella quale, partendo dalla preistoria e
giungendo alla storia contemporanea, egli espone il suo pensiero nella
forma più rigorosa, dimostrando una ineguagliabile capacità di sintesi.
Merito grande del Barbagallo è quello di non confondere mai politica e
cultura. Se collaborò, talvolta, alla terza pagina del Popolo d’Italia,
di mussoliniana memoria, se ne staccò ben presto e motivo fu
l’allontanamento del Beloch dalla cattedra di storia antica
dell’Università di Roma. Eppure egli non aveva ricevuto alcun beneficio
dal Beloch, né dal suo allievo De Sanctis.
Il suo volumetto Il problema delle origini di Roma, del 1926, segnò il
suo distacco definitivo dalle correnti di pensiero allora imperanti.
Altro motivo di vibrata protesta fu per lui la collusione fra i
filosofi fiorentini e i filosofi idealisti.
La sua prodigiosa attività gli meritò finalmente, nel 1926, la cattedra
di storia economica presso la facoltà di Scienze economiche
dell’Università di Catania, dalla quale passò poi a quella di Napoli,
dopo la morte di un altro insigne storico, Carlo Capasso, ed infine,
nel 1927, a quella di Torino.
L’opera maggiore del Barbagallo avrebbe meritato miglior fortuna,
specialmente là dove si interessa della storia delle antiche civiltà di
Grecia e Roma.
Meno compilatorio di Cantù, egli presenta una reinterpretazione
unitaria della storia moderna e contemporanea.
Procedendo nell’opera, forse a causa dell’imbarbarimento del
totalitarismo, sconfessava il suo sconcerto, i suoi dubbi sulla
razionalità della storia. La guerra ancora infieriva ed il Barbagallo,
in una serie di agili volumetti, di carattere divulgativo, trattava di
problemi attuali, fra questi è per noi particolarmente importante
Napoli contro il terrore, sulle quattro giornate di Napoli.
È un gran peccato che nessuno dei suoi discepoli abbia continuato
l’opera sua, per cui egli resta ingiustamente pressoché dimenticato.
Si spense a Torino il 16 aprile 1952.