Banfi Antonio

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Filosofo italiano (Vimercate 1886-Milano 1957).

Compì gli studi a Milano e a Berlino, derivandone una formazione filosofica fortemente improntata dalla cultura tedesca subendo, in particolare, gli influssi di Husserl, di Simmel e dei neokantiani di Marburgo. Come fondatore della rivista Studi filosofici e come docente universitario esercitò un importante ruolo di opposizione all'idealismo imperante nella cultura italiana. In politica aderì al PCI e fu senatore nel primo e nel secondo Senato della Repubblica.

Con i Principi di una teoria della ragione (1926) elaborò un "razionalismo critico" basato su un concetto di ragione intesa come legge del processo di organizzazione dell'esperienza in tutti i suoi campi. La ragione si concreta: come pensiero scientifico, il cui compito è la connessione dei dati dell'esperienza sotto forma di leggi; come pensiero filosofico, più problematico e aperto allo sviluppo, e perciò come attività teoretica e insieme pratica, cioè "vita". Il carattere vitale della ragione si esprime specialmente nell'arte, alla cui analisi Banfi dedicò gran parte della sua attività.

Con L'uomo copernicano (1950), infine, riconobbe nel marxismo un "umanesimo storico", cioè la fondazione della possibilità per l'uomo di modificare la realtà storica, divenendo così padrone di se stesso e del suo mondo.

La vasta attività filosofica non impedì a Banfi di coltivare interessi prettamente pedagogici di cui sono testimonianza le sue opere: Pestalozzi (1929) e Le correnti della pedagogia contemporanea tedesca in "Levana" (1925-26).

Il discorso pedagogico, inquadrandosi nell'ambito del razionalismo critico, pone in rilievo alcuni punti fondamentali dell'opera educativa quali l'educazione alla riflessione come antidogmatismo e alla socialità come partecipazione responsabile a una vita collettiva.

Ricordiamo infine i saggi di interesse storico: Vita di Galileo Galilei (1930), Filosofi contemporanei (1961), Studi sulla filosofia del Novecento (1965).

 

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DBI

di Fulvio Papi

Nato a Vimercate (Milano) il 30 sett. 1886, iniziò i suoi studi all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, dove nel 1908 conseguì la laurea in lettere discutendo con Francesco Novati una tesi in filologia romanza su Francesco da Barberino. Furono le stesse ricerche di natura storica e una viva sensibilità per le varie direzioni dell'esperienza culturale che, nel dissolversi della sintesi positivista, aprivano nuove vie di ricerca nell'epistemologia, nella filosofia della natura, nella riflessione morale, a indirizzare gli interessi del giovane B. verso gli studi filosofici. Nel 1909 si addottorò in filosofia con una tesi composta di tre monografie sul pensiero di Boutroux, di Renouvier e di Bergson, dissertazione discussa con P. Martinetti, professore di filosofia teoretica all'Accademia milanese. L'anno successivo il B., insofferente dei limiti culturali dell'area filosofica italiana, dove, alle inquietudini pragmatiste e irrazionaliste dei primi anni del secolo, subentrava la prima stabilizzazione dell'egemonia dell'idealismo crociano, si trasferì in Germania, alla Friedrich Wilhelms Universität di Berlino. Quivi frequentò i corsi del Riehl, del Lasson, del Simmel, del Harnack, dello Spranger, del Dessoir, del Münsterberg e del Wilamowitz-Moellendorf.

In tal modo, il B. entrava direttamente in contatto con una grande esperienza filosofica, in cui confluivano le due correnti del neo-kantismo e del neo-hegelismo, dalle quali ricavava soprattutto l'esigenza teoretica di un pensare filosofico capace di approdare a una struttura sistematica; la riflessione sul mondo dell'arte, considerata nella sua autonomia di organismo culturale vivente fuori da ogni astratta categorizzazione; la riflessione storica sulle correnti della teologia protestante e sul mondo classico. In questo panorama culturale prendeva tuttavia uno speciale rilievo nella formazione del pensiero banfiano l'influenza di Georg Simmel. Da Simmel il B. derivava la concezione del rapporto tra esperienza vitale e forme culturali come un nesso continuamente in divenire, in cui il costituirsi dei significati della realtà, dal mondo dell'arte a quello del pensiero filosofico, appare l'orizzonte dove il vivere acquista il suo senso, la sua spiritualità e il suo valore. Il quadro filosofico simmeliano offriva al B. una piattaforma metodica generale, anche indipendentemente dalla metafisica della vita presente in Simmel, in cui trovavano posto le diverse esigenze di chiarificazione filosofica che nascevano dal mondo controverso della cultura, dalle contraddizioni della coscienza morale e dalla necessità di dare una nuova fondazione teoretica alle categorie sistematrici del mondo scientifico, necessità, quest'ultima, che nasceva dalla crisi positivista e che, nel B., aveva già avuto modo di esercitarsi nella dissertazione di laurea. Quella simmeliana, del resto, sarà un'influenza e una suggestione che non abbandonò mai il B., anche quando egli ebbe maturato a pieno il proprio pensiero.

Rientrato in Italia nella primavera del 1911, il B. si dedicò all'insegnamento nei licei in varie sedi (Lanciano, Urbino, Iesi) e infine al liceo Piana di Alessandria, dove rimase ininterrottamente dall'autunno del 1913 a quello del 1926.

Fu questo un periodo intenso di studi e fondamentale nella biografia intellettuale del filosofo. Per un verso si andava accentuando l'isolamento culturale del B. rispetto al contesto filosofico italiano, per altro verso questa stessa condizione favoriva l'approfondimento sistematico dei temi teoretici che ormai emergevano con chiarezza e che avevano il loro centro nella ricerca di una sistematica filosofica, la quale, mentre permetteva di comprendere le varie direzioni della culturalità secondo la problematica emergente che le caratterizza, consentiva anche di definire un significato generale della filosofia come autocoscienza della cultura. Questa preminente attenzione ai temi di natura teoretica non escludeva il B. dalla partecipazione alle vicende storiche e dalla conoscenza e dall'approfondimento delle varie ideologie in cui quelle vicende trovavano la loro universalizzazione ideale: il nazionalismo, il democraticismo, l'interventismo, ma soprattutto il marxismo, che, a giudizio del B., mostrava capacità di universalità filosofica ed efficacia storico-pragmatica. Dal punto di vista politico (vi sono, per esempio, alcune lettere del B. ad Andrea Caffi estremamente indicative) durante la prima guerra mondiale il B. radicalizzò il suo tolstoianesimo, che significava intendere la vita morale come partecipazione alla vita e alla storia e rischio personale e diretto, e giunse così a una posizione estrema di grande interesse: nessun fatto nuovo, storicamente rilevante, sarebbe potuto accadere finché il conflitto continuava ad essere uno scontro di potenze. Solo se le forze sociali storicamente subalterne, che sopportavano la guerra, avessero assunto l'iniziativa, sarebbe potuta derivare dal conflitto una conseguenza nuova, un'esperienza storica a un nuovo livello. Posizione isolata, questa, almeno in Italia, che spiega l'atteggiamento positivo assunto poi dal B. nei confronti della rivoluzione di ottobre.

La prima opera complessiva da lui pubblicata è La filosofia e la vita spirituale (Milano 1922). In un clima filosofico come quello italiano, in cui tradizionalmente era scarso il collegamento con le correnti contemporanee straniere, questo scritto banfiano proponeva una prima radicale discussione con i principali autori stranieri intorno al significato della filosofia in relazione alle varie discipline del cosmo culturale.

Mach, Cohen, Natorp, Wundt, Hoffding, Windelband, Rickert, insieme a Simmel, sono gli autori che più frequentemente ricorrono in quelle pagine. Ma ora inizia anche la discussione con il pensiero di Husserl, alla cui opera, l'anno seguente, il B. dedicò due saggi, i primi apparsi in italiano sul filosofo tedesco. La filosofia, ne La filosofia e la vita spirituale, appare come il momento problematico per eccellenza che toglie il pensiero da ogni arbitrario arresto in una identificazione del senso definitivo dell'essere. Essa è la critica immanente di ogni metafisica proprio in quanto ne rileva la struttura ideale che la interessa e risolve nell'universalità del pensiero gli elementi che vi sono cristallizzati. Nel primo dopoguerra la posizione del B. si definisce come quella di una filosofia della cultura: ma, in quanto il senso della filosofia è dato dalla sua funzione metodica, e quindi non dalla filosofia ci si deve attendere un orizzonte di valori e una proposta di comportamento pratico, questa posizione di pensiero diviene anche un'apertura estrema al mondo concreto della storicità. E proprio ne La filosofia e la vita spirituale si ritrova una prima valutazione del materialismo storico come dell'orizzonte ideologico che più positivamente di altri porta all'universalità del pensiero, e quindi costituisce una scala di valutazioni e di giudizi, un problema storicamente eminente quale è quello del rapporto in cui si trova la classe operaia nei confronti della società contemporanea.

Del 1926 è l'opera teoretica più importante del B., I principi di una teoria della ragione (Milano-Torino 1926).

La problematica gnoseologica, che già nel libro precedente era stata esaminata, qui viene condotta più a fondo e ottiene il risultato di definire l'orizzonte gnoseologico come una zona privilegiata di culturalità. Non esiste invero, secondo il B., un astratto "problema gnoseologico": esistono piuttosto differenti settori di realtà dove si esercita la funzione conoscitiva, settori che comprendono tutto l'arco della ricerca scientifica e in cui il concreto conoscere è in atto secondo tecniche e metodi adatti all'oggetto e rispondenti alla tradizione linguistica in cui quel determinato campo culturale si definisce. La posizione banfiana critica ogni metafisica del conoscere e costituisce la piattaforma metodologica per garantire filosoficamente quelle analisi della vita concreta della conoscenza che sono divenute in seguito, anche in Italia, tipiche di molti orientamenti di pensiero. Nel contempo, I principi di una teoria della ragione riprendono il tema del rapporto tra filosoficità e storicità. Se la filosofia va intesa come l'autocoscienza del processo della cultura, essa indica, secondo il B., anche un piano ideale-formale di pura autonomia che va intesa come "ragione", la quale, a sua volta, costituisce il senso teleologico della storia. Questi due punti saranno gli elementi di coordinamento che permetteranno, in sede teoretica, la ripresa in considerazione da parte del B. del materialismo storico.

Sempre intorno al 1925 il B. entrò in contatto con il gruppo che faceva capo alla rivista Conscientia, diretta da Giuseppe Gangale e orientata secondo un neoprotestantesimo critico e liberale: in questa sede egli pubblicò una serie di saggi sulle correnti moderne della "teologia della crisi" che testimoniavano un interesse sempre aperto e vivissimo per l'esperienza religiosa. Nel 1931, presentatosi al concorso per la cattedra di storia della filosofia all'università di Genova, riuscì primo nella terna. L'anno successivo venne chiamato a Milano per la stessa cattedra e, contemporaneamente, venne incaricato dell'insegnamento dell'estetica. In questo periodo il B. si dedicò soprattutto all'analisi critica dei diversi settori della cultura secondo i principi teoretici formulati nella sua opera maggiore: del 1934 è la ricerca Sui principi di una filosofia della morale,nei Rendic. d. R. Ist. lombardo di scienze e lettere,s. 2, LXVII (1934), pp. 609-670; del 1935 il Saggio sul diritto e sullo stato,nella Riv. internaz. di filosofia del diritto,XV(1935), pp. 328-376; del 1937 lo scritto Problemi e principii fondamentali di un'estetica filosofica,negli Actes du II Congrès international d'esthétique et de scienee de l'art (Paris 1937), pp. 23-27; tutte ricerche che definiscono la vitalità del metodo filosofico banfiano messo a contatto con zone differenziate dell'esperienza culturale.

Intorno al B. gravitano infatti gli interessi non solo di filosofi professionali, ma di artisti, di scrittori, di pittori: la sua azione usciva dal perimetro accademico e si trovava in contatto con numerose esperienze di cultura. Si costituiva così a Milano un centro di attrazione culturale, che contraddiceva con le tendenze della cultura italiana, di osservanza crociana o gentiliana o neo-spiritualista o neo-tomista. Dal punto di vista politico l'insegnamento del B., in tempi di dittatura, fu improntato a libertà di pensiero e di ricerca, e per molti giovani le sue lezioni furono scuola di antifascismo: Non è, ad esempio, senza significato che tra i condannati politici del celebre processo dell'ottobre del 1937 figurassero alcuni giovani della facoltà milanese di lettere e filosofia.

Nel 1940 il B. fondò la rivista Studi filosofici,che raccoglieva in una prospettiva unitaria, seppur rispettosa delle specifiche tendenze di ognuno, le energie stimolate e coltivate negli anni precedenti. In un periodo in cui il mondo filosofico italiano, appena uscito da quella "querelle" tra idealisti e cattolici che nacque dopo i Patti del Laterano, subiva la suggestione dell'ondata esistenzialistica e spesso vi si abbandonava, anche con ibride osmosi, come all'unica tendenza capace di rinnovare l'orizzonte filosofico, la rivista banfiana fu la continuatrice e la divulgatrice del "razionalismo critico", come veniva definita la filosofia del Banfi. Studi filosofici fu caratterizzata da un netto distacco sia dalla tradizione speculativa italiana, sia dagli andamenti prevalenti del momento; oltre al dialogo con le grandi correnti del pensiero moderno, il neopositivismo, l'esistenzialismo, la fenomenologia, vennero prese in considerazione filosofica quelle zone culturali per lo più trascurate nell'ambito nazionale: la psicologia, l'etnologia, la sociologia, la metodologia della scienza. Fu nella rivista che vennero pubblicati alcuni significativi saggi banfiani: Filosofia e religione (1940), L'esperienza estetica e la vita dell'arte (1940), Il problema dell'esistenza (1941), Cultura scientifica (1941), La contemporaneità di Hegel (1942), La fenomenologia della coscienza storica (1942), Biologia e filosofia (1942).

Contemporaneamente all'opera di organizzazione culturale che svolgeva con Studi filosofici, il B. maturò a pieno le sue decisioni politiche e sul finire del 1941entrò in contatto con l'organizzazione clandestina del Partito comunista, aderendo a questo movimento. Nel 1944, quando ormai la situazione italiana era definitivamente precipitata nella guerra civile e nella lotta della Resistenza, il B. scrisse, sempre per Studi filosofici, il saggio Moralismo e moralità, la cui tesi fondamentale affermava come di contro a un inerte atteggiamento moralistico che commisura sempre la precarietà e l'incertezza della prassi alla purezza degli ideali astratti, vera moralità fosse quella che assumeva in proprio il compito pratico di intervenire nella realtà, portandovi concretamente il peso della responsabilità. Era un'etica dell'impegno storico che poteva essere considerata come la continuazione di quell'altro scritto banfiano del 1943, Per un razionalismo critico (in Filosofi italiani contemporanei,a cura di M. F. Sciacca, Como 1944, pp. 59-104), in cui il B., riprendendo i temi fondamentali della sua filosofia, concludeva affermando che solo una concezione filosofica che rimandi alla piena e radicale conoscenza della realtà consente di avere chiare le linee dell'azione pratica e di non sottrarsi ai compiti etici che la storia propone.

L'esperienza della Resistenza alla quale il B. partecipò, tra l'altro fondando nel 1944con Eugenio Curiel il Fronte della gioventù, e l'Associazione professori e assistenti universitari che dirigeva la lotta clandestina nel settore universitario, fu fondamentale per il filosofo.

Se tutta la filosofia del B., come più volte egli ebbe a scrivere, voleva essere una risposta alla crisi contemporanea della cultura e del mondo storico, risposta che trovava nell'idea di ragione il suo nucleo centrale, l'esperienza della Resistenza mostrava al B. come dallo stesso mondo storico e sociale nascessero le forze idonee alla sua ricostruzione. L'idea dell'uomo che costruisce il suo destino secondo un universale progetto della sua libertà s'incarnava così per il B. in un movimento storico, in una forza reale.

Andò così maturando nel B. la ripresa di contatto con il marxismo, ripresa di cui l'opera L'uomo copernicano (Milano 1950)è il documento più saliente.

Se l'idea di filosofia, quale era stata determinata nel corso di tutto il suo curriculum filosofico, era il senso finalistico della storia, il marxismo rappresentava per il B. la forma attuale dell'autocoscienza storica pregna di un'efficacia pragmatica, costruttrice, secondo un nuovo umanesimo, della realtà mondana.

L'ultimo periodo della speculazione banfiana fu dominato da un ripensamento originale del marxismo, che situava i suoi risultati teoretici in una zona del tutto nuova, sia rispetto alla scolastica marxista, sia rispetto ad altre intepretazioni provenienti dall'esistenzialismo o dalla fenomenologia o dallo strumentalismo. I nuovi orizzonti filosofici non sottrassero il B. da un conseguente e diretto impegno storicosociale. Nel 1948 fueletto senatore per il Fronte democratico popolare, e nel 1953fu riconfermato senatore per il Partito comunista italiano. Compì viaggi politici e di studio in URSS, in Cina, in tutti i paesi europei. Come senatore si occupò soprattutto dei problemi della scuola con numerosi scritti, discorsi e interventi legislativi. Fu così che praticamente realizzò quell'interesse ai temi pedagogici che già molti anni prima gli aveva fatto pubblicare una monografia su Pestalozzi (Firenze 1929). Nel 1947pubblicò a Milano Vita dell'arte;nel 1949,dopo aver già scritto una Vita di G. Galilei (Milano-Roma 1930),pubblicò a Milano un più ampio volume con il titolo Galileo Galilei,che costituisce un contributo storiografico importante agli studi del pensiero scientifico rinascimentale.

Il B. morì a Milano il 22 luglio 1957.