Bandiera, Attilio ed Emilio

 

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Patrioti (Venezia, Attilio nel 1810, Emilio nel 1819 - Vallone di Rovito, Cosenza, 1844). Figli del contrammiraglio Francesco (1785-1847), furono entrambi educati nell'Imperiale Accademia di marina di Venezia e nominati ufficiali austriaci (nel 1828 Attilio e nel 1836 Emilio). Ben presto guadagnati alla causa dell'unità e libertà d'Italia, nel 1841 fondarono la società segreta Esperia, priva di pregiudiziale istituzionale e che l'anno successivo si pose alle dipendenze di Mazzini. Denunciati dal delatore Tito Vespasiano Micciarelli, i B. si rifugiarono a Corfù. Convinti che l'iniziativa italiana doveva venire dal Mezzogiorno, saputo di un moto a Cosenza, la notte dal 12 al 13 giugno 1844, incuranti del divieto di Mazzini e di N. Fabrizi, si imbarcarono a Corfù con pochi compagni, tra i quali Nicola Ricciotti, Domenico Moro, Anacarsi Nardi, Giovanni Venerucci, Francesco Berti, Domenico Lupanelli, e presero terra al tramonto del 16 alle foci del Neto. Traditi già prima della partenza da Domenico De Nobili, segnalato il luogo del rifugio da P. Boccheciampe, i B. coi loro compagni furono fatti prigionieri a S. Giovanni in Fiore (20

DBI

di Franco Della Peruta

BANDIERA, Attilio. - Nacque a Venezia il 24 maggio 1810, dal barone Francesco e da Anna Marsich.

Il padre, nato a Venezia nel 1785, era ufficiale della marina del Regno italico. Passato nella I. R. Marina veneta, vi raggiunse il grado di contrammiraglìo; nel 1831 riuscì a catturare i patrioti che fuggivano da Ancona dopo la capitolazione. Abbandonò il servizio dopo la fucilazione dei figli e morì a Carpeneto di Mestre nel 1847.

Educato nell'Accademia di marina di Venezia, una volta ottenuta la nomina a ufficiale (1828) il B. fu imbarcato nella squadra navale affidata al comando del padre, prendendo parte a varie crociere nelle acque del Mediterraneo orientale ed occidentale. Nel corso di questi viaggi- probabilmente durante il 1835 - toccò anche, a bordo di una corvetta imperiale, l'America del Nord, e a New York fece la conoscenza di P. Maroncelli, in una lettera al quale si ritrova la prima testimonianza del maturare delle idee del B. in senso nazionale e liberale.

Il B. sposava, il 19 ott. 1837, Maria Graziani, figlia di Leone, ufficiale superiore dell'armata imperiale. Intanto anche il fratello minore Emilio aveva abbracciata la carriera militare nella marina austro-veneta, della quale fu nominato cadetto nel 1836. E così nel 1840 i due fratelli, imbarcati nella squadra austriaca del Levante, presero parte alla breve campagna di Siria, il B. con il grado di alfiere di fregata e aiutante di bandiera del padre sulla nave ammiraglia, Emilio, ancora cadetto, prima sulla stessa nave, e successivamente sulla "Guerriera" e su una imbarcazione minore.

Ma già in quello stesso 1840 - e forse fin dal 1839 - i due fratelli avevano preso a tessere le fila di una attività cospirativa antiaustriaca in seno alla marina imperiale. Strumento organizzativo della cospirazione fu la società segreta Esperia, i cui statuti interessano altresì come documento principale per la ricostruzione degli ideali politici dei due fratelli.

Questi consideravano - nella premessa degli statuti esperidi - l'Italia come ormai matura per la libertà. L'odio contro il dispotismo straniero, il dolore per la disunione della patria, l'aspirazione all'indipendenza nazionale erano sentimenti che da ristretti gruppi si erano più largamente diffusi come testimoniava la incontenibile proliferazione delle società segrete. Ma per tradurre sul terreno dell'azione queste ormai generalizzate tendenze alla rivoluzione nazionale erano necessarie la direzione e la guida di una salda organizzazione settaria, quale appunto voleva essere l'Esperia, che permettesse la concentrazione e l'unificazione degli elementi dispersi per tutto il paese.

L'Esperia si dichiarava unitaria e repubblicana; alla repubblica unitaria tuttavia si sarebbe dovuti giungere per gradi, passando preliminarmente attraverso uno stadio federativo. L'istanza repubblicana non era però assunta come una pregiudiziale assoluta: possibilisticamente infatti i "principii politici" dell'Esperia ammettevano che, se le potenze europee si fossero opposte alla creazione di quella repubblica democratica che pure era nei voti degli Italiani, "allora per non lasciare più oltre in balia di un giuoco troppo arrischiato la gelosissima causa della libertà ed unione nazionale, studiar devesi di ottenere che le sociali libertà italiane vengano ad un sol Re affidate, il quale nell'eterna città del Tevere risiedendo con limitati poteri l'intiera nazione rappresenti".

Le vedute politiche dei Bandiera erano integrate in una più generale concezione etica religiosa della vita dell'uomo. I "principii morali" degli statuti dell'Esperia affermavano infatti la inscindibilità della politica dalla morale, per cui "la libertà non può mai regnare dove non sienvi severi costumi". E, in implicita polemica con le ideologie materialiste, l'Esperia raccomandava ai suoi adepti "di mantenersi o di rientrare nella credenza di Dio, della esistenza dell'anima umana, della vita futura ed in una parola di quanto ci ha dettato la Divina Rivelazione", perché così facendo "l'uomo si arricchisce di soprannaturali rimedii contro la sventura, ed in questi tempi di oppressione e d'inganno, chi mai più di un campione della causa dei popoli può aver bisogno di fermezza ?".

L'Esperia sorse indubbiamente per iniziativa autonoma dei Bandiera; le accuse rivolte a Mazzini, dopo l'esito infelice del tentativo in Calabria, di aver egli "sedotto" i fratelli, spingendoli ad entrare nelle fila delle cospirazioni italiane, furono dimostrate false dallo stesso Mazzini nei suoi Ricordi dei fratelli Bandiera,sulla base della corrispondenza scambiata con i due ufficiali veneziani, dalla quale emerge incontestabilmente che il primo contatto tra i fondatori dell'Esperia e il rivoluzionario genovese fu stabilito soltanto nella seconda metà del 1842. La questione invece se i Bandiera, nel tempo in cui essi fondarono la loro organizzazione segreta, avessero già una conoscenza diretta del pensiero mazziniano, non può essere risolta in maniera definitiva, perché le loro dichiarazioni a tale riguardo non sono univoche. Il B. infatti, nella prima delle sue lettere a Mazzini (15 ag. 1842), affermava di avere avuto solamente da pochi giorni i primi numeri dell'Apostolato popolare, i quali gli avevano dato la "dolce soddisfazione di vedere da un uomo come voi pubblicati gli stessi miei principii politici", ed aggiungeva: "So che siete il creatore d'una patriotica società che chiamaste della Giovine Italia; so che scriveste sotto lo stesso titolo un giornale diretto a propagarne le massime, ma né d'esso né d'alcun'altra vostra opera mi venne mai fatto di procurarmi, ad onta dell'ardente mio desiderio, una copia": che era un modo per rivendicare l'originalità della propria creazione, l'Esperia. Emilio d'altra parte, scrivendo a Mazzini il 7 giugno 1844, affermava che ancor giovanissimo, mentre era nel collegio navale di Venezia - e quindi già prima del 1836 - si era procurato gli scritti della Giovine Italia per diffonderli tra i suoi compagni "e non potendo meglio per aizzarli all'odio e alle zuffe contro i figli degli oppressori". Pare comunque fuor di dubbio che, pur se i due fratelli non ebbero prima del '42 una conoscenza diretta del pensiero mazziniano, l'àmbito ideale, la temperie entro cui si muoveva l'Esperia era tuttavia quella della Giovine Italia di Mazzini.

A partire dal 1840 l'Esperia prese a diffondersi, lentamente nei primi aniii, con successo maggiore a partire dalla metà del 1843, tra gli equipaggi della marina veneta, ed in particolare tra gli ufficiali. C. A. Radaelli, membro di quella società ed amico dei Bandiera, ricorda tra i membri del sodalizio segreto, oltre a D. Moro, F. Baldisserotto, G. Canal, Bontempelli, P. Mariani, L. Fincati, D. Chinca, Bonetti, "senza rammentare le centinaia di affigliati che in breve tempo si reclutarono a Venezia e nel Veneto".

D'importanza decisiva fu, per l'ulteriore attività dell'Esperia e per il destino dei due fratelli, l'incontro del B. con N. Fabrizi. Il B. conobbe a Malta, nei primi mesi del 1842, l'esule modenese che, dopo essere stato del nucleo dirigente della prima Giovine Italia e dopo aver combattuto in Spagna per la causa costituzionale nel reggimento italiano al comando di G. Borso di Carminati, nel 1837 si era trasferito a Malta per organizzare di lì la Legione Italica, organizzazione sregreta a struttura essenzialmente militare, che si proponeva di essere il braccio armato della Giovine Italia per promuovere l'insurrezione e la guerra per bande nel sud e nel centro del paese. Negli abboccamenti e nei contatti i due cospiratori determinarono le sfere di influenza delle rispettive organizzazioni, non essendo riuscito al Fabrizi di convincere, i Bandiera a fondere l'Esperia nella Legione Italica.

A meglio chiarire la storia del rapporto tra le due società è opportuno riprodurre brani di una lettera del Fabrizi a S. Fogacci del 2 ott. 1843, di notevole importanza a tale riguardo: "I convegni miei coll'Esp.[eria], costituiti da un anno e mezzo a momenti,precisamente in previsione allo spirito invasore che predomina generalmente nella società, e sopratutto nei di lei agenti, e perché né dessa mancasse ove l'azione le era facile più che altrove, né dessa disordinasse ove altre cose esistevano ordinate... erano sin d'allora (in società in germe ancora com'oggi) che i punti a me prossimi ch'io denotai dovessero mantenersi nell'ordine costituitovi, che quelli lontani e di più facile aderenza alla direzione dell'Esp.[eria], in parte per riguardo alla posizione rischiosissima e delicata di persona dirigente quell'ordine [il B.], si mantenessero bensì nell'ordine preventivo nostro, ma al momento opportuno, e nelle opportunità correnti si trovassero agli ordini diretti dell'Esp.[eria]; in parte, e fra quelli su cui non esisteva ordine di cose precedenti, si preparassero pure dall'Esp.[eria]". Il "fatto" però, ossia l'azione insurrezionale, non poteva essere deciso autonomamente dall'Esperia. Proseguiva inoltre Fabrizi: "lo bensì avrei desiderato anzi che l'Esp.[eria] avesse adottato la Giov.[ine] It.[alia] per elemento morale, la L.[egione] I.[talica] per ordine militare, e si stesse totalmente fusa, perché non essendo sì inoltrata allora da costituir forza, mi sembrava che coll'ordinarsi di una nuova società non si guadagnasse nulla... " (Roma, Museo centrale del Risorgimento, b. 514, 6, 14).

Il contatto col Fabrizi fu poi decisivo per i fratelli Bandiera anche per un altro verso, in quanto esso fornì loro la possibilità, cercata fino ad allora invano, di entrare in rapporto immediato con Mazzini. Fu infatti l'esule modenese a mettere in rapporto i due fratelli e la loro organizzazione segreta, con Londra; lo afferma esplicitamente lo stesso Fabrizi in una lettera al Fogacci del 10 maggio 1843 (ibid., b. 514, 6, 5).

Il B. poté così far pervenire a Mazzini, nella seconda metà del 1842, la già menzionata lettera del 15 agosto, in cui, dopo aver affermata la consonanza delle sue idee con quelle della Giovine Italia, proponeva di associare le proprie forze, raccolte nell'Esperia a quelle che si accentravano intorno a Mazzini.

In quello stesso torno di tempo arrivava in Inghilterra, a bordo della corvetta "Adria", D. Moro, amico intimo dei due fratelli Bandiera che, in un abboccamento con Mazzini, lo metteva al corrente del lavoro intrapreso dall'Esperia nella marina austriaca, prendendo gli accordi per coordinare la sua attività con quella della Giovine Italia.

L'Esperia dunque, nella seconda metà del 1842, si era collegata e con la Giovine Italia e con la Legione Italica; e di essa presero a tener conto, nella elaborazione dei loro piani insurrezionali, tanto Mazzini quanto il Fabrizi. Il 1843 fu infatti in Italia un anno denso di fermenti, culminati tra l'agosto ed il settembre nella banda Muratori e nel tentativo Ribotti. Pertanto nella primavera del '43 il Fabrizi, sembrandogli che i lavori della Legione Italica fossero addentrati a sufficienza in Sicilia e nel centro-sud, propose ai Bandiera di prendere essi l'iniziativa del "fatto". Ma in quel momento i due ufficiali giudicavano le forze a loro disposizione ancora troppo deboli numericamente e troppo disperse, per cui declinarono l'invito. Di lì a qualche mese però, rafforzatesi le strutture dell'Esperia, essi discussero col Fabrizi il progetto di impadronirsi di alcune navi da guerra austriache (la fregata "Bellona", le corvette "Adria" e "Clemenza" ed il brick "Tritone"), sulle quali erano rispettivamente imbarcati il B., il fratello Emilio, Moro e Mazzucchelli. Ed il 30 agosto, scrivendo allo stesso Fabrizi, Emilio poteva dirgli che il tentativo per il quale le cose non erano parse mature quattro mesi prima, ora invece, a circostanze mutate, era divenuto possibile: "Noi potiam disporre per un primo colpo di 120 uomini della più ferma risoluzione e di una bravura provata in cento cimenti. Alla testa di essi potressimo... sbarcare in qual luogo credessimo, col vostro consiglio, maggiormente opportuno" 1 per accendere la guerra per bande in Italia. Da parte sua Mazzini pensava invece (ed esprimeva questa sua idea al Fabrizi già in una lettera del 30 genn. '43) di utilizzare gli elementi che facevano capo ai Bandiera per uno sbarco sulla riviera genovese, da attuarsi contemporaneamente ad altre iniziative insurrezionali, fondate sulle forze della Legione Italica, nel centro ed in Sicilia (lettera al Fabrizi del 24 luglio). Ma il mancato arrivo dei fondi necessari, insistentemente richiesti a Mazzini, al Fabrizi ed a G. Ricciardi, impedì ai due fratelli di attuare una qualsiasi azione coordinata con i movimenti che ebbero luogo nel centro del paese nella seconda metà del '43.

Negli ultimi mesi del '43 Emilio rientrò a Venezia, comandato aiutante di bandiera dell'ammiraglio Paolucci; nel separarsi, i due fratelli stabilirono gli accordi per mantenersi in contatto. Intanto però la loro posizione si era fatta assai rischiosa per il tradimento di Tito Vespasiano Micciarelli. Questi era stato inviato in Levante da Mazzini per avvicinare i dirigenti del movimento cospirativo; associatosi alla Esperia, aveva informato dell'attività l'ambasciatore austriaco a Costantinopoli. Venuti a conoscenza, nell'ottobre, del pericolo che li minacciava, i due fratelli prepararono la loro diserzione per il momento in cui si fossero resi conto che l'Austria intendeva assicurarsi delle loro persone. Nel febbraio 1844 il B. trovò a Smirne l'ordine di sbarcare dalla nave ammiraglia e di rimpatriare; consapevole che a Venezia l'attendeva l'arresto, la notte del 28 febbraio lasciò la "Bellona", riparando in Grecia. Emilio, che il B. aveva subito avvertito, era intanto casualmente venuto a conoscenza di un dispaccio di Radetzky che informava l'ammiraglio Paolucci della cospirazione nella flotta, raccomandava stretta vigilanza, indicava i due fratelli come responsabili e ordinava l'arresto dello stesso Emilio. Riuscì così a sottrarsi alla cattura lasciando la città il 27 febbraio, recandosi a Corfù, indi a Malta (dove vide il Fabrizi), e poi di nuovo a Corfù, dove il 28 aprile lo raggiunse il fratello Attilio, proveniente dalla Grecia. Il 4 maggio il governo austriaco emise contro di loro un editto di citazione, cui i fratelli replicarono riaffermando i loro convincimenti politici, da cui non poté farli recedere la madre, che si era recata a Corfù con la promessa del perdono imperiale.

Le trame dell'Esperia nella marina veneta erano state così decapitate, ma la febbre dell'azione si era ormai impadronita dei Bandiera. A loro avviso il fermento rivoluzionario in Italia, sopito verso la fine del '43, ridestatosi più minaccioso all'inizio del '44 e culminato nel tentativo cosentino nel marzo, era tale che lo sbarco di un nucleo di elementi decisi su qualche punto delle coste della penisola poteva far divampare la guerra insurrezionale nel paese. "Il grido di guerra dei nostri fratelli - scriveva il B. a Mazzini il 10 maggio - mi romba continuamente all'orecchio; ed io ho già preso tutte le disposizioni per slanciarmi quanto prima a combattere con essi e perire".

Per qualche tempo i Bandiera pensarono ad uno sbarco sulle coste della Maremma laziale, per attaccare Civitavecchia e tentare di lì una irruzione su Roma. Ma la persuasione che il mezzogiorno estremo fosse assai più adatto che non il centro per l'iniziativa insurrezionale, e soprattutto le notizie che correvano in quelle settimane, e che dovevano poi rivelarsi infondate, sulla presenza di grosse bande di insorti nell'Appennino calabro che si sarebbero mantenute in armi anche dopo il fallito tentativo di Cosenza, fecero sì che i due fratelli, accantonato il progetto laziale, si orientassero verso la Calabria come il terreno più adatto per la loro iniziativa.

Mazzini da Londra e il Fabrizi da Malta tentarono ripetutamente di dissuadere i fratelli da un tentativo che pareva loro condannato ad un sicuro insuccesso. In particolare il Fabrizi, il quale sapeva che le cose in Calabria erano "disperse o paralizzate" e considerava di esito disperato uno sbarco effettuato senza una preventiva intelligenza con gli uomini dell'"interno", il 15 maggio 1844 scrisse esplicitamente ai Bandiera: "Non solo non approvo, né intendo cooperare; ma intendo aver solennemente dichiarato il mio più aperto disparere dal fatto della natura che esprimete, come da fatto incapace di alcun risultato che non sia rivelazione intempestiva delle nostre intenzioni, il sacrifizio dei migliori in un tentativo prima sventato dagli ostacoli, la dispersione irreparabile degli elementi conservati intatti fin'oggi, e l'assoluta esclusione d'ogni fiducia interna ad ogni nostra proposta".

Ci fu un momento in cui parve che i Bandiera rinunciassero alla spedizione in Calabria; e fu quando, il 5 giugno, arrivò da Londra a Corfù Nicola Ricciotti, che era stato incaricato da Mazzini di una missione nelle Marche. Essi infatti per alcuni giorni pensarono, qualora se ne fosse offerta la possibilità, di accompagnare con un piccolo gruppo armato il Ricciotti nelle Marche. Ma la difficoltà di trovare una imbarcazione disposta al lungo viaggio, e l'infittirsi delle notizie sulla presunta presenza di forti bande insurrezionali in Calabria, fece maturare e precipitare nei fratelli la decisione, presa il 10 giugno - consenziente anche il Ricciotti, che non aveva potuto recarsi nel centro - di gettarsi sulle coste della Calabria.

Nella notte dal 12 al 13 giugno 1844, a bordo del trabaccolo "S. Spiridione", guidato dal capitano Mauro Caputi, lasciarono Corfù, coi due fratelli, Domenico Moro, Nicola Ricciotti, Anacarsi Nardi, Giuseppe Miller, Domenico Lupatelli, Giacomo Rocca, Giovanni Venerucci, Giuseppe e Francesco Tesei, Carlo Osmani, Giuseppe Pacchioni, Pietro Piazzoli, Francesco Berti, Giovanni Manessi, Luigi Nanni, Tommaso Mazzoli, Paolo Mariani, Pietro Boccheciampe, e Giovanni Meluso (o Maluso), antico bandito calabrese, che doveva servire di guida alla spedizione. Approdarono la sera del 16 giugno alle foci del Neto, nei pressi di Crotone, con l'intenzione di portarsi verso Cosenza per cercare di suscitarvi la rivolta. Ma la mossa fallì. Già Domenico De Nobili, a Corfù, aveva rivelato il progetto dell'impresa ai consoli austriaco e napoletano. Il Boccheciampe, inoltre, una volta sbarcato, abbandonò i compagni recandosi ad avvertire il sottointendente di Crotone. Il 19 infatti la banda veniva bloccata, nel territorio di San Giovanni in Fiore, da soverchianti gruppi di "urbani" e di contadini, e dopo uno scontro a fuoco, nel quale persero la vita due dei suoi componenti (Miller e Francesco Tesei), fu catturata pressoché per intero; quei pochi membri che erano riusciti momentaneamente a fuggire (Mazzoli, Mariani, Nanni e Giuseppe Tesei) dovettero poi costituirsi.

Il processo sommario contro i Bandiera ed i loro compagni fu celebrato a Cosenza, in tre sole udienze (15-24 luglio); a nulla valsero le tre lettere che Attilio scrisse, estremo espediente difensivo, a Ferdinando II: il 25 luglio i due Bandiera e sette dei loro consorti (Ricciotti, Moro, Nardi, Rocca, Venerucci, Berti, Lupatelli) cadevano giustiziati nel vallone di Rovito. Le spoglie dovevano essere gettate nella fossa comune; salvate dal curato di S. Agostino, durante la rivolta calabrese - il 15 marzo '48 - furono sepolte nella cattedrale. Esumate durante la reazione per essere gettate nel fiume Neto, e di nuovo nascoste, furono onoratamente sepolte nel 1860 da Bixio, e trasportate a Venezia nel 1867.

di Franco Della Peruta

BANDIERA, Emilio. - Nato a Venezia il 20 giugno 1819, da Francesco e Anna Marsich, sull'esempio del padre e dei fratello maggiore Attilio intraprese la carriera militare nella marina austro-veneta. Cadetto nel 1836, dopo una serie di crociere nel Mediterraneo, prese parte, nel 1840, con la squadra austriaca del Levante, alla breve campagna di Siria, prima imbarcato sulla nave ammiraglia - dove erano il padre e il fratello - poi sulla "Guerriera" e in seguito su una imbarcazione minore.

Ancora allievo del Collegio navale di Venezia, si sarebbe procurato (come scriveva a Mazzini il 7 giugno 1844), gli scritti della Giovine Italia, per diffonderli tra i compagni. Certo, dal 1840, e forse dall'anno precedente, assieme al fratello Attilio iniziò quell'attività cospirativa indipendentistica e nazionale che sboccò nell'organizzazione della società segreta Esperia, nella fuga - scoperta l'associazione- e nell'esilio, e infine nel tentativo insurrezionale in Calabria e nella morte per fucilazione, il 25 luglio 1844, nel vallone di Rovito a Cosenza.