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Matteo Bandello (Castelnuovo Scrivia, 1485 – Bazens, 1561) è
stato un vescovo cattolico e scrittore italiano del Cinquecento.
Biografia
Nacque nel 1485 a Castelnuovo Scrivia, «in Lombardia a le
confini della Liguria», volendo egli sempre sottolineare
essere lombarde le sue origini e la sua lingua. Non risulta che
abbia avuto fratelli o sorelle, né è noto il nome di
sua madre, della quale egli non parla mai. Il padre Giovan Francesco
doveva essere un cortigiano degli Sforza, poiché Matteo
scrive come, alla caduta di Ludovico il Moro nel 1499, egli fosse
riparato a Roma sotto la protezione di Prospero e di Pompeo Colonna.
Nella sua biografia di Vincenzo Bandello, zio di Matteo, Leandro
Alberti dichiara che egli non era di nobile famiglia, mentre lo
scrittore rivendica la nobiltà dei suoi antenati (la famiglia
Bandelli, di origine ostrogota), che sarebbe risalita all'anno 962,
quando l'imperatore Ottone I avrebbe accordato loro il feudo di
Castelnuovo, perduto però nel 1277 nelle lotte tra i Torriani
e i Visconti. Del resto, i Bandello intrapresero spesso carriere di
qualche prestigio, come lo stesso zio Vincenzo, priore del convento
milanese di Santa Maria delle Grazie e dal 1501 generale dell'Ordine
domenicano, l'altro zio paterno Cristoforo, teologo francescano, o i
cugini Antonio, «dottissimo filosofo e poeta soavissimo»
e Girolamo, «uomo ne le lettere greche e latine dottissimo e
medico eccellente».
A dodici anni, nel 1497, Matteo era a Milano ed entrava nel convento
domenicano retto dallo zio Vincenzo. Qui vide il grande Leonardo
dipingere sulla parete del refettorio l'Ultima cena e qui
pronunciò i voti nel 1500. Per completare gli studi, fu
trasferito a Pavia, dove fu allievo di Tommaso De Vio e di Giasone
del Maino, poi a Ferrara e quindi a Genova, dove concluse gli studi
nel convento di Santa Maria del Castello e fu condiscepolo e amico
di Giovanni Battista Cattaneo, del quale commemorò la morte
prematura nel 1504 con il suo primo scritto, la Religiosissimi Beati
Fratis Joannis Baptistae Cattanei Genuensis, Ordinis Praedicatoris
novitii Vita.
Dal 1505 lo zio Vincenzo lo prese con sé come guardasigilli
in un lungo viaggio di ispezione ai conventi domenicani d'Italia,
forse per fargli acquisire quell'esperienza degli uomini e delle
cose necessarie a seguire una prestigiosa carriera diplomatica e
giuridica. A Firenze si sarebbe innamorato platonicamente della
giovane Violante Borromeo, che Bandello celebrerà un giorno
con il nome di Viola, dopo la morte della ragazza avvenuta
già nel 1506, in due strofe dei Canti XI. Come a Firenze,
anche a Roma il giovane frate diede prova del suo spirito mondano
frequentando le famose cortigiane Isabella Luna e Imperia, e il
ricchissimo banchiere Agostino Chigi. Furono poi a Napoli, e qui
Matteo conobbe le opere del Pontano, e dal De prudentia e dal De
fortuna dell'umanista egli trasse l'idea del primato della ragione
nella guida delle azioni umani, insieme però al ruolo
imponderabile esercitato dal caso.
In Calabria, nel convento di Altomonte, il 27 agosto del 1506
morì improvvisamente Vincenzo Bandello e il nipote ne
accompagnò la salma per la sepoltura in San Domenico Maggiore
a Napoli. Matteo, depresso anche per la notizia della morte di
Violante, si ammalò gravemente - di «mal
d'amore», disse - e si ebbe l'affettuosa e protettiva
vicinanza di Beatrice d'Aragona, la vedova dell'ex-re d'Ungheria
Mattia Corvino, alla quale dedicherà dei versi.
Ristabilitosi, ai primi mesi del 1507 Matteo Bandello fece ritorno
al convento di Santa Maria delle Grazie, dove soggiornerà,
salvo qualche interruzione, fino al 1526.
A Milano, in quegli anni in mano francese, Bandello continuò
lo studio delle lettere e dell'esercizio del latino, proponendosi in
un'intensa attività mondana e cortigiana nei circoli
umanistici collegati ai salotti delle famiglie aristocratiche e
borghesi della città. Nelle case degli Archinto, degli
Atellani, dei Borromeo, dei Paleari, dei Sanseverino dei Della Torre
e dei Bentivoglio, trasferitisi a Milano in seguito alla perdita
della signoria bolognese, conobbe e frequentò poeti e
poetesse, Lancino Curzio, Stefano Dolcino, Antonio Fregoso, e
Cecilia Gallerani, Margherita Pelletta Tizzone, Camilla Scarampa.
Dei letterati conobbe Leandro Alberti, Niccolò Amanio, Jacopo
Antiquario, Tommaso Castellano, Girolamo Cittadino, Marcantonio
Sabino, Tommaso Radini Tedeschi e Girolamo Tizzone, e degli storici
e cronachisti Marco Burigozzo, Bernardino Corio, Antonio Grumello e
Giovanni Andrea Prato.
Fu ospite dal 1538 al 1541, col condottiero Cesare Fregoso suo
protettore, Costanza Rangoni e i loro figli, del marchese Aloisio
Gonzaga a Castel Goffredo e qui incontrò Lucrezia Gonzaga di
Gazzuolo, che divenne sua discepola.
Dopo aver lavorato come diplomatico al seguito di diversi signori,
sfruttò i legami con il re di Francia Enrico III (presso la
cui corte aveva soggiornato per due anni) per diventare nel 1550
vescovo di Agen, un incarico ad interim dal quale si dimise nel
1555. Da quell'anno non si hanno più notizie. Documenti ormai
scomparsi facevano risalire la sua morte a Bazens nel 1561, e la sua
sepoltura nel vicino convento domenicano di Port-Sainte-Marie,
andato distrutto nel 1562 durante le guerre di religione.
L'attività letteraria
L'importanza letteraria di Bandello va ricercata - più che in
alcune opere minori come un Canzoniere in stile petrarchesco ed ai
capitoli de "Le tre Parche" - nella ampia produzione di novelle (in
totale 214) contenute in tre libri pubblicati nel 1554 da Vincenzo
Busdraghi ed in una quarta parte pubblicata postuma nel 1573.
Nel suo novelliere, pensato per un pubblico cortigiano, Bandello
abolisce la cornice e premette a ogni novella una dedica ad un
personaggio illustre, nella quale fa riferimento all’occasione in
cui sarebbe stata raccontata la novella stessa: in questo modo la
narrazione non viene riferita ad una società ideale, ma alle
occasioni reali di incontro della società contemporanea. I
materiali narrativi hanno le origini più diverse, e diverse
sono le ambientazioni, ma i diversi racconti intendono essere una
vera e propria cronaca della vita contemporanea.
Per quanto concerne il problema della lingua, Bandello
rifiutò i canoni bembeschi, preferendo un linguaggio di uso
tipicamente cortigiano.
William Shakespeare conobbe la traduzione francese delle novelle di
Bandello, da cui trasse il soggetto per le commedie Molto rumore per
nulla e La dodicesima notte. Anche la tragedia Romeo e Giulietta si
ispira a un testo di Bandello, che aveva rielaborato un racconto del
vicentino Luigi Da Porto, l'Istoria novellamente ritrovata di due
nobili amanti, scritta nel 1529.
Bandello come ispiratore di autori successivi
La cultura italiana godeva di grande prestigio presso la corte
inglese del Cinquecento, tanto che si attingeva a piene mani dalla
letteratura virgiliana, ma anche petrarchesca e boccaccesca. Matteo
Bandello non fu da meno come fonte di ispirazione: George
Gascoignenel suo ciclo di poesie del Green Knight (incluso in "The
Posies", 1575) affermò di ispirarsi ad un immaginario autore
italiano di novelle, tal Bartello: questo nome era un chiaro
riferimento al novelliere Bandello.
Opere
Religiosissimi Beati Fratis Joannis Baptistae
Cattanei Genuensis, Ordinis Praedicatoris novitii Vita, 1505
Edizioni
Matteo Bandello, Tutte le opere, 2 voll. a cura
di F. Flora, Milano, Mondadori, 1934-1935; Milano, Mondadori,
1942-1943; Milano, Mondadori, 1952; Milano, Mondadori, 1966
DBI
di Natalino Sapegno
Nacque nel 1485a Castelnuovo Scrivia, in
territorio a quei tempi lombardo, da famiglia nobile e antica.
È possibile che i suoi avi avessero, sotto Ottone I, titolo
di "condomini di Castelnuovo, Sale e Caselle"; ma, presto coinvolti
nelle lotte civili, al seguito dei Torriani dapprima e in età
più recente degli Sforza, erano già alla fine del
Quattrocento alquanto diminuiti nel prestigio e nelle
facoltà. Il padre, Giovanfrancesco, era, nel secondo decennio
del secolo XVI, fuoruscito e aveva trovato riparo presso i Colonna,
bene accolto dal famoso condottiero Prospero e poi dal cardinale
Pompeo; nulla, neppure il nome, ci è noto invece della madre.
Il nonno Azzio era stato uomo autorevole e colto, "negli studi de
l'umanità e de le civili leggi assai famoso". Degli altri
consanguinei, con i quali lo scrittore intratteneva rapporti
più o meno stretti, troviamo menzionati un Girolamo, "medico
eccellente" e "nelle lettere greche e latine dottissimo", e un
Cristoforo, ministro dell'Ordine dei minori per la provincia di
Genova. Più intimamente legato alla biografia di Matteo
è lo zio Vincenzo, che negli ultimi anni del Quattrocento era
priore dei domenicani a Milano e dal 1501 generale dell'Ordine.Sotto
la tutela dello zio Vincenzo, il B. entrava a dodici anni nel
convento milanese di S. Maria delle Grazie e vi riceveva la prima
educazione: memorabile, tra i suoi ricordi di puerizia, l'immagine
del grande Leonardo, che egli dice d'aver visto intento a dipingere
"il miracoloso e famosissimo Cenacolo". A quindici anni si
trasferiva a Pavia, per completarvi in quello Studio la preparazione
alla carriera sacerdotale e, oltre alle discipline teologiche e
giuridiche, si dedicava con particolare predilezione alle lettere,
alla storia e alla filosofia platonica: sembra ad ogni modo
improbabile che vi conseguisse un titolo dottorale. Nel 1504 era
già a Genova, in quel convento dei domenicani, dove poco
più tardi è da credere che pronunciasse i voti. Della
sua religiosità in quegli anni, nonché della sua
discreta preparazione umanistica, è documento il racconto,
che egli allora dettò in latino, della breve ed eroica vita
del suo confratello Giambattista Cattanco.
Nel 1505 il B. accompagnava lo zio in un lungo viaggio di ispezione
ai conventi domenicani dell'Italia centrale e meridionale, e la sua
mente cominciava ad aprirsi all'esperienza di un mondo più
vasto e vario. A Firenze aveva il suo primo amore platonico e
poetico per una giovinetta che egli celebra sotto il nome di Viola,
probabilmente Violante Borromeo. A Roma era introdotto da Angelo del
Bufalo a frequentare la casa della famosa cortigiana Imperia. A
Napoli si procurava la simpatia e la protezione dell'ex regina
d'Ungheria, Beatrice d'Aragona, vedova di Mattia Corvino. Giunti in
Calabria, il viaggio era bruscamente interrotto per la morte
improvvisa dello zio nell'agosto del 1506: dopo averne riportato la
salma a Napoli, perché fosse ivi tumulata nella chiesa di S.
Domenico Maggiore, e appena uscito da una grave infermità che
aveva condotto anche lui quasi sull'orlo della morte, il B.
rientrava, triste e deluso nelle sue speranze di rapida fortuna, nel
convento milanese delle Grazie.
È probabile che allora, o poco dopo, diventasse sacerdote; e
intanto poneva le basi alla sua carriera di letterato mondano.
Riallacciando le fila di amicizie e conoscenze, già iniziate
durante il soggiorno a Pavia, comincia in quegli anni a frequentare
i circoli degli umanisti e i salotti aristocratici, bene accolto per
le sue doti di vivace e amabile conversatore e di cortigiano abile e
servizievole: è assiduo, fra l'altro, nelle case delle nobili
poetesse Cecilia Gallerana e Camilla Scarampa; ma soprattutto si
lega ai Bentivoglio, venuti a Milano da Bologna, di cui avevano
tenuto a lungo la signoria. Per Alessandro Bentivoglio svolge
mansioni di fiducia, recandosi nel 1508, e forse anche nell'anno
seguente, in Francia, incaricato di "negozi di grandissima
importanza" alla corte del re Luigi XII; e dalla moglie dì
lui, la colta e intelligente Ippolita Sforza, riceve il primo e
più forte incitamento a scrivere e raccogliere le sue
novelle. Venuta meno nel 1512 la dominazione francese in Lombardia,
il B. si compromette con gli Sforza; cosicché nel 1515,
quando i Francesi vincitori a Marignano rientrano in possesso del
ducato, è costretto a fuggire da Milano e, con molti altri
fuorusciti, trova "sicurissimo porto e rifugio" alla corte del
marchese di Mantova Francesco Gonzaga.
A Mantova rimane dal 1515 al 1522 e in quell'ambiente di elegante
mondanità e insieme di fervida vita intellettuale e artistica
e di illuminato mecenatismo allarga la cerchia delle sue conoscenze
aristocratiche e letterarie; consolida la sua fama di scrittore; si
procura nuovi amici e protettori, specie fra le dame che gli
accordano la loro confidenza e ne stimolano le ambizioni letterarie,
da Elisabetta Gonzaga ad Emilia e Margherita Pio, a Ippolita
Torelli. In particolare, è tra i familiari e segretari della
marchesa, la grande Isabella d'Este. A questo soggiorno mantovano
è legato il secondo dei suoi amori platonici, per una donna
che nelle rime viene designata col nome di Mencia (come abitante
sulle rive del Mencio o Mincio).
A Milano, abbandonata dai Francesi nel novembre del 1521,
rientrò il B. nel 1522; ma se ne allontanava di nuovo nel
1526, "astretto per altrui colpa... a cangiar abito e costumi".
Non chiare restano le cagioni di questa sua fuga. Nel poemetto in
lode di Lucrezia Gonzaga egli accenna oscuramente alle onorevoli
proposte rivoltegli dal generale spagnolo Antonio de Leyva e da
luì respinte per non danneggiare i suoi amici (onde avrebbe
preferito rimanere "povero e fido" piuttosto che "ricco senza onor e
stima"), alla persecuzione di Marino Caracciolo, ali, "invidia" di
molti e all'ingratitudine di Francesco II Sforza. Da taluno si
è pensato che egli avesse avuto parte nella fallita congiura
del Morone. Certo è che, subito dopo la sua partenza, la sua
casa fu saccheggiata dai soldati spagnoli e distrutti o dispersi i
suoi libri e le carte.
Entrò allora al servizio di Federico Gonzaga di Bozzolo,
seguendo le vicende degli eserciti della Lega di Cognac, nei loro
spostamenti in Lombardia, in Romagna, nella Toscana e nel Lazio. A
questo periodo son da riportare gli incontri con Giovanni dalle
Bande Nere e con il Machiavelli. A probabile che sia di questo tempo
anche la richiesta di secolarizzazione da lui avanzata alla curia,
con l'appoggio del marchese di Mantova Federico Gonzaga, e rimasta
senza esito: aveva intanto abbandonato il saio e rotto i rapporti
con il convento. Lo incontriamo nel 1527 al seguito di Ranuccio
Farnese, e poi (1528) di Cesare Fregoso, comandante del presidio di
Verona. Di quest'ultimo si conquista la gratitudine negoziandone le
nozze con Costanza Rangone, delle cui sorelle, Ginevra e Camilla,
aveva già prima procurato il matrimonio
rispettìvamente con Luìgi Gonzaga di Castelgoffredo e
con Piero Gonzaga di Gazuolo. A Verona frequenta le case dei
Canossa, dei Sauli e dei Serego. A Castelgoffredo, dove i Fregoso e
i Gonzaga riparano durante la tregua concordata nel novembre del
1537, incontra la Lucrezia Gonzaga, di cui diventa precettore, e ne
celebra in rime la virtù e la bellezza: terzo ed ultimo dei
suoi amori letterari. Nello stesso anno si reca col Fregoso in
Francia, dove conosce Margherita di Navarra, alla quale
dedicherà la versione dell'Ecuba, alcune liriche e una
novella.
Caduto il Fregoso in un'imboscata di sicari del marchese del Vasto
(1541), il B. diventa il fedele servitore e consigliere della vedova
Costanza, la segue nell'esilio, a Venezia e poi a Bassens
(Bordeaux), dove il re di Francia le offre magnifica
ospitalità. In quell'ambiente colto ed aristocratico egli
può attendere in pace alla revisione e alla raccolta dei suoi
scritti e provvedere a pubblicarli. Nel '50 accetta
l'incarìco di reggere la diocesi di Agen (ma ne affida di
fatto il governo a Giovanni Valerio, vescovo di Grasse), in attesa
che gli subentri, non appena abbia raggiunto la maggior età,
Ettore Fregoso, figlio della sua protettrice. Ad Agen muore nel 1561
ed ivi il suo corpo viene sepolto nel convento dei domenicani.
Opere - Scrittiminori: scarsa importanza ha la Religiosissimi
fratris Ioannis Baptistae Cattanei Genuensis Vita,composta intorno
ai vent'anni; e resta soprattutto come attestato della sua prima
educazione umanistica e conventuale: vi si narra la storia di un
nobile adolescente, novizio dell'Ordine domenicano; come egli fosse
rapito a mano armata dal chiostro per opera dei padre e dei fratelli
e come poi vi ritornasse vincendo, con il suo tenace proposito,
l'ostilità della famiglia, per concludervi santamente la sua
brevissima esistenza troncata dalla peste a soli sedici anni.
Attraverso l'enfasi dell'artificioso latino e la ostentazione della
dottrina claustrale s'intravvedono appena i primi segni di una
incipiente disposizione narrativa. Un più preciso
ínteresse in questo senso, nell'ambito del genere che il B.
doveva prediligere, si rivela nella versione in latino della novella
di Tito e Gisippo, una delle più stilizzate e auliche
dell'ultima giornata del Decameron (la Titi Romani Aegisippique
Atheniensis amicorum, historia in latinum versa,divulgata a stampa
nel 1509). Puro esercizio rettorico, e abbastanza mediocre anche in
questi limiti, è il discorso commemorativo nell'anniversario
della morte del marchese di Mantova Francesco Gonzaga, composto per
ordine di Isabella d'Este nel 1520 (Parentalis Oratio pro clarissimo
imperatore Francisco Gonzaga). Nulla ci è giunto di qualche
altro scritto latino, di cui troviamo ricordo nel repertorio di
Leandro Alberti: biografie dello zio Vincenzo e di altri uomini
illustri, nonché l'epitome di alcune vite di Plutarco.
Maggiore importanza hanno le opere poetiche in volgare: i Canti XI
de le lodi de la signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo e del vero
amore,stamp. a Agen 1545, insieme con le Tre Parche,capitoli in
terza rima per la nascita di Giano, primogenito di Cesare Fregoso.
Sia i capitoli che risalgono al 1531, come i Canti, composti fra il
1536 e il 1538, mostrano i limiti dell'adesione del B. al gusto
rinascimentale, sul piano ideale e su quello stilistico: la dottrina
dell'amor platonico e gli schemi formali del lirismo petrarchesco si
svolgono nell'ambito di un gusto ancora legato ai modelli
quattrocenteschi, che si attarda in compiaciute e macchinose
costruzioni allegoriche e si disperde in una minuzia di banali
riferimenti autobiografici. Questi limiti trovano una parziale
conferma anche nei Fragmenti de le rime (ilcui manoscritto, inviato
a Margherita di Francia, fu da questa portato a Torino
allorché nel 1559 andò sposa a Emanuele Filiberto di
Savoia), nonché nelle poesie estravaganti. Certo in queste
liriche è assai più avanzato il processo di
stilizzazione della materia e del linguaggio, nel senso del
petrarchismo bembesco, e alquanto progredita la perizia del
verseggiatore, che si esercita non senza bravura, oltre che in
sonetti ballate e madrigali, anche nei metri più ardui della
canzone e della sestina. Ma i momenti più felici sono da
cercare, anche qui, nelle prove meno ambiziose, di tono più
confidenziale, discorsivo o descrittivo, le più vicine
insomma al petrarchismo ancora empirico di un Tebaldeo o di un
Boiardo.
È da ricordare infine (oltre uno scarso manipolo di lettere)
la traduzione in versi italiani dell'Ecuba di Euripide, inviata nel
1539 a Margherita di Navarra: documento dell'interesse che anche il
B. dedicò, sia pur marginalmente, a un altro dei principali
temi della cultura letteraria del Cinquecento, la restaurazione
della tragedia classica.
Novelle. La raccolta delle novelle è non soltanto l'opera
più ampia e più lungamente elaborata del B., ma anche
quella in cui meglio si riflettono tutti gli aspetti della sua
personalità: una vasta e varia esperienza del mondo, maturata
nella lunga pratica delle corti, nelle contrattazioni private e nei
maneggi diplomatici, nella frequentazione degli accampamenti, ma
vista soprattutto nella prospettiva per eccellenza "mondana",
appunto di quei salotti dove convengono "i più elevati e
belli ingegni", e "gli uomini militari de l'arte del soldo
ragionano, i musici cantano, gli architetti e i pittori disegnano, i
filosofi delle cose naturali questionano, e i poeti le loro ed
altrui composizioni recitano"; una pronta e inesauribile
curiosità dei casi e delle passioni umane, sensibile alle
vicende piccole e grandi della storia e della cronaca, appena
corretta dalla presenza di un moralismo nient'affatto rigido,
conforme allo spirito abbastanza accomodante di quella
società libera e insieme raffinata e alla sua indole di "uomo
terenziano" che non ritiene aliena da sé "nessuna cosa umana"
e disprezza i pedanti e gli ipocriti, "i quali vorrebbero esser
tenuti santi ed in effetto sono sentine d'ogni vizio"; una cultura
infine anch'essa essenzialmente cortigiana, aperta a tutte le voci
della civiltà rinascimentale (dal platonismo del Bembo alla
poesia dell'Ariosto, alla piacevolezza del Berni; dall'acume storico
e politico del Machiavelli e del Guicciardini all'idealismo
aristocratico del Castiglione), ma sempre senza un preciso impegno
letterario o teorico, curiosa assai più di notizie che di
idee, ecletticamente dispersa in letture innumerevoli, italiane e
forestiere, da cui attingere soprattutto un repertorio di cronache,
aneddoti, esempi, facezie, e dovunque adattata alle esigenze di
un'elegante conversazione da salotto.
Le novelle sono in tutto duecentoquattordici, distribuite in quattro
parti, di cui le prime tre, edite nel 1554 a cura dell'autore, hanno
un'estensione pressoché uguale, mentre la quarta, pubblicata
postuma nel 1573, raccoglie un materiale meno copioso e forse meno
elaborato. È probabile che il B. cominciasse fin dalla prima
giovinezza a comporle, o almeno a registrarle in forma ancora
provvisoria nelle sue carte; il definitivo lavoro di lima e di
assestamento dell'opera sarà invece da collocare nell'ultimo
ventennio della sua vita, durante il soggiorno al castello di
Bassens, quando, com'egli stesso ci dice, ritrovandosi "un poco
d'ozio" dopo tanti travagli e l'agio "di vivere a sestesso ed a le
muse", deliberò di "metter l'ultima mano a le sue novelle per
mandarle fuora" rivedute ed emendate. La raccolta rifiuta lo schema
unitario di un inquadramento narrativo, accettato sul modello della
"cornice" boccaccesca dalla maggior parte dei novellieri del
Cinquecento, e neppure si ordina secondo una distinzione di
argomenti: tutt'al più obbedisce a un criterio di regolata e
riposante varietà, alternando e contemperando storie lunghe e
brevi, situazioni e toni tragici, patetici, avventurosi, comici. Il
B. insiste sul fatto che ha radunato le sue novelle "non servando
altrimenti ordine alcuno di tempo", senza badare insomma alla
successione cronologica della composizione, disponendole "secondo
che a le mani gli venivano", in una serie del tutto casuale in cui
si riflette il ritmo vario e altrettanto casuale dell'esistenza:
"una mistura d'accidenti diversi, diversamente in diversi luoghi e
tempi a diverse persone avvenuti e senza ordine veruno recitati".
Ogni racconto è preceduto da una lettera, con cui l'autore lo
dedica a un personaggio illustre per autorità o per ingegno,
e al tempo stesso finge l'occasione in cui l'avrebbe udito narrare e
stabilisce un legame più o meno stretto tra la vicenda
raccontata e l'ambiente e la persona del supposto narratore. Era
senza dubbio ingenuo l'atteggiamento dei vecchi critici che
prendevano alla lettera le notizie fornite dalle dedicatorie,
considerate come autentici documenti per la vita dell'autore e la
storia dei tempi; ma è altrettanto ingenua la disposizione di
alcuni studiosi più recenti che sembrano considerarle come
una sorta d'imbroglio escogitato per ingannare la buona fede del
lettore e mascherare la genesi libresca di una parte almeno delle
novelle; laddove si tratta di un esplicito espediente letterario
tradizionale nella novellistica (fin dai tempi del Boccaccio e del
Sacchetti), sebbene non mai adottato in forma così
sistematica, per costituire ai racconti un colorito sfondo e una
decorosa ambientazione di costume e quindi una forte illusione di
verità e di precisione storica. Il che non toglie che la
finzione abbia un fondo reale e sia costituita con elementi attinti
di volta in volta al vero. Sta di fatto che nessuna opera del
Cinquecento forse ci offre un quadro altrettanto ricco e
particolareggiato, una cronaca così mossa e vivace della
società nei suoi vari strati e nelle sue diverse
specificazioni ("rien ne peint mieux la façon d'être de
ce beau pays vers 1500", come osservava già Stendhal); e
dietro alla cronaca, anche la storia drammatica di un'epoca, che
vede il momento culminante dei conflitti di egemonia fra le grandi
potenze, la lacerazione ideologica e morale iniziata dalla Riforma,
l'espansione dei Turchi nell'oriente europeo, il crollo delle
autonomie e dell'effimero equilibrio degli stati italiani: fatti che
il B. registra nella gravità delle loro conseguenze e nel
modo eccezionale delle loro "súbite mutazioni", senza
indagarli da storico, ma con l'animo di un testimone stupito e
accorato.
Non meno ingenua è la pretesa, dei pur benemeriti ricercatori
di fonti, di dedurre, dall'accertata o supposta origine letteraria
di un certo numero di novelle, un giudizio di condanna sul loro
valore e gli indizi per un processo di plagio; come se
l'indifferenza più o meno grande verso la materia grezza del
racconto e l'adozione o la varia contaminazione di temi desunti da
un repertorio scritto od orale non fossero tradizione costante della
novellistica prima e dopo il B., e come se il B. non si comportasse
nel trattare questi temi con altrettanta libertà e
disinvoltura dei suoi predecessori. Si dovrà, se mai,
osservare che è relativamente scarso l'apporto che gli
forniscono i novellatori (dal Boccaccio a Giovanni Fiorentino, da
Masuccio a Sabbadino degli Arienti, allo Straparola e al Molza);
tutt'altro che dimostrato il suo debito verso l'Heptaméron di
Margherita di Navarra; di gran lunga più importante invece il
ricorso agli storici, ai cronisti, ai viaggiatori antichi e moderni
(Erodoto e Senofonte, Appiano e Livio, Paolo Diacono e il Villani,
Flavio Biondo e il Giovio, le storie venete del Sabellico, gli
annali genovesi del Giustiniani, la storia di Francia di Paolo
Emilio e quella di Spagna di Marineo Siculo, i Mémoires del
Commynes e gli annali d'Aquitania del Bouchet, la descrizione
dell'Africa di Giovanni Leone e l'Itinerario di Ludovico de
Varthema). Questo orientamento nella scelta delle fonti, che punta
sulla ricerca della storia vera, o ritenuta tale, con una sua
capacità intrinseca di commozione o d'interesse o di
curiosità, accresciuta appunto da questa preliminare
presunzione di verità storica, è già di per
sé significativa per illustrare la novità
dell'atteggiamento bandelliano. E si veda poi come da ogni vicenda,
e talora da uno spunto estremamente scarno ed esile, lo scrittore
riesca a ricavare, sul filo della sua curiosità appassionata
di lettore, le implicite riserve di svolgimenti narrativi in senso
patetico e avventuroso; si osservi, ad esempio, quale ritmo e
andatura di novella e romanzo acquistino nelle sue mani le storie,
che egli attinge da varie parti, di Seleuco e Stratonica, di Ciro e
Pantea, di Lucrezia e Sesto Tarquinio, di Rosmunda, di Rosmunda, di
Guglielmo d'Aquitania, degli adulteri delle nuore di Filippo il
Bello, dei matrimoni e degli amori di Enrico VIII d'Inghilterra.
Alla predilezione della storia veduta in una prospettiva romanzesca
è parallelo il gusto dei fatti di cronaca, vera o fantastica,
contemporanea o almeno abbastanza recente, che è la radice di
alcuni dei racconti più famosi e suggestivi, come quelli
della contessa di Challant, di Giulietta e Romeo, di Ugo e Parisina,
di Marulla, di Giulia da Gazuolo. "Queste mie novelle... non sono
favole, ma vere istorie": la dichiarazione, da non intendersi troppo
alla lettera, caratterizza la direzione della fantasia bandelliana;
e ad essa si affianca l'altro enunciato, su cui il B. fonda la sua
scusa della scrittura inelegante e della lingua difettosa ("io non
ho stile, e il conosco purtroppo, e per questo non faccio
professione di prosatore"): "dico che ogni istoria, ancor che
scritta fosse nella più rozza e zotica lingua che si sia,
sempre diletterà il suo lettore" (e anche qui bisogna saperlo
intendere a proposito: vuol dire che la sua lingua letteraria non ha
la spontaneità e la vivezza dei toscani e che lo stile segue
docile il ritmo del racconto senza pretendere a un suo rilievo
autonomo). Qui sta l'originalità dello scrittore e la sua
importanza nel quadro della novellistica del tempo: un'arte intesa
più alla materia che ai modi dell'espressione, che respinge
ogni ambizione di architettura e decoro formale, e anche di riposata
e sottile analisi psicologica, e si appunta sul vario movimento e
sul tragico urto delle passioni, sulla novità dei casi e sul
groviglio delle peripezie, sull'interesse insomma e sull'evidenza
immediata della situazione che ti dà l'illusione e il brivido
della realtà. Perciò l'attenzione del lettore si
rivolge, più che non alle storie brevi, a quelle d'intreccio
più vasto e complesso e, più che non ai racconti
comici, a quelli tragici o patetici o avventurosi. È vero che
a volte c'è più la materialità del caso narrato
che non la sua sostanza poetica, più la cronaca nuda e
persino incoerente, se pure non mai fredda, dei fatti, che non la
loro idealizzazione e celebrazione fantastica. Ma era necessario,
proprio in vista dei futuri svolgimenti della letteratura narrativa,
che questa si svincolasse anzitutto dalla splendida, ma alquanto
chiusa e ormai greve, atmosfera poetica della tradizione
boccaccesca, e si avviasse verso le mete di un nuovo più
ardito realismo, sia pure attraverso l'accettazione provvisoria di
un tono cronachistico senza rilievo e leggerezza di fantasia. E
questo spiega (anche a non tener conto delle sue pagine più
belle e commosse, più numerose di quanto non si creda)
l'enorme fortuna del novelliere del B., le cui invenzioni
penetrarono subito in Francia, con le traduzioni del Launay e del
Belleforest, e, attraverso la mediazione francese, in Inghilterra,
con le versioni e riduzioni del Painter e del Fenton, nonché
in Spagna, nell'originale e tradotte, e offrirono spunti e schemi ai
drammaturghi dell'età elisabettiana (Shakespeare, Webster,
Marston), alle commedie del Lope de Vega, alle novelle del
Cervantes.
Edizioni. L'edizione principe del novelliere bandelliano è
rappresentata dalle seguenti stampe, che, in mancanza di
manoscritti, hanno valore di archetipo: La prima [La seconda, La
terza] parte de le Novelle del Bandello,in Lucca, per Vincenzo
Busdrago, 1554, La quarta parte de le Novelle del Bandello
nuovamente composte né per l'adietro date in luce,in Lione,
appresso Alessandro Marsilii, 1573. Da esse derivano tutte le
edizioni successive, tra le quali saranno da segnalare solo le
più recenti (non sempre concordi nel modo di correggere
singole lezioni errate o dubbie e di risolvere taluni problemi di
grafia): Le quattro parti delle novelle riprodotte sulle antiche
stampe,a cura di G. Balsamo Crivelli, Torino 1910-11; Le Novelle,a
cura di G. Brognoligo, Bari 1910-11; Tutte le opere di M. B.,a cura
di F. Flora, Milano 1952. Quest'ultima edizione comprende, oltre le
novelle, i CantiXI,le Tre Parche,le Rime,le lettere, la dedicatoria
dell'Ecuba tradotta, e la Vita del Cattaneo.
Delle opere minori del B. sono state pubblicate in vita le seguenti:
Titi Romani Aegisippique Atheniensis amicorum historia in latinum
versa, Milano, Gottardo da Ponte, 1509; Parentalis Oratio pro
clarissimo imperatore Francisco Gonzaga Marchione Mantuae quarto,s.
n. t.; Canti XI de le lodi de la signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo
e del vero amore..., seguiti da Le tre Parche cantate ne la
natività del signor Giano primogenito del signor Cesare
Fregoso e de la signora Costanza Rangona sua consorte,Agen, per
Antonio Reboglio, 1545. Hanno visto la luce postume le Rime tratte
da un codice della R. Biblioteca di Torino a cura di L. Costa,
Torino, Pomba, 1816, e l'Ecuba, tragedia di Euripide tradotta in
verso toscano,Roma, De Romanis, 1813 (a cura di G. Manzi, dal codice
Vat. Reg. 1395). La Religiosissimi Fratris Ioannis Baptistae
Cattanei Genuensis Vita è stata pubblicata per la prima volta
integralmente (dal codice Croce,ora alla Nazionale di Napoli) nella
citata edizione delle Opere curata dal Flora. Distrutto
nell'incendio del 1904 il manoscritto torinese delle Rime,la
diligente stampa del Costa ha acquistato valore di fonte unica ed
è stata riprodotta, con l'aggiunta delle estravaganti
scoperte e edite in precedenza dal Percopo e dal Mandalari, nel
volume: IlCanzoniere,a cura di F. Picco, Torino 1923.
Saranno da citare infine, fra le edizioni parziali con o senza note,
di novelle del B. quelle curate da F. Picco (Milano 1911 e Roma
1927), da G. Lipparini (Milano 1922), da V. Osimo (ibid. 1929), da
G. Vigorelli (Milano 1940), nonché le scelte incluse nelle
Novelle del Cinquecento,a cura di G. B. Salinari, Torino 1955, e
nelle Novelle italiane del Cinquecento,a cura di B. Maier, Milano
1962.
Bibl.: Come studio d'insieme rimane sempre vivo, nonostante le
riserve espresse dalla critica più recente, il saggio di E.
Masi, M. B. o Vita italiana in un novelliere del Cinquecento,Bologna
1900 (già comparso nella Nuova Antologia,ottobre-novembre
1892); accanto al quale possono essere ricordati: V. Spampanato, M.
B. e le sue Novelle,Nola 1896; D. Morellini, M. B. novellatore
lombardo,Sondrio 1900; H. Meyer, M. B. nach seinen Widinungen,in
Archiv für das Studium der neueren Sprachen u.
Literaturen,CVIII(1902), pp. 324 ss.; CIX(1902), pp. 83 ss.; U.
Fresco, M. B. e le sue novelle,Camerino 1903. Una svolta essenziale,
anche per quanto riguarda la nuova prospettiva del giudizio critico,
rappresenta l'indagine portata sulle fonti letterarie delle novelle
da L. Di Francia, Alla scoperta del vero B.,in Giorn. stor. d.
letter. ital.,LXXVIII (1921), pp. 290-324; LXXX (1922), pp. 1-94;
LXXXI (1923), pp. 1-75. Contro le tesi del Di Francia hanno reagito
con vivacità e spesso con buon senso G. Brognoligo, In difesa
di M. B.,in Atti della Accademia Pontaniana,LVIII (1928), pp.
92-113, e G. Manginelli, IlB. novelliere e altri saggi,Napoli 1931.
Il Di Francia ha replicato alle obiezioni nello scritto IlB. e la
critica,in Giorn. stor. d. letter. ital.,XCIII(1929), pp. 106-117, e
ha ribadito e riassunto i suoi concetti in Novellistica,II,Milano
1925, pp. 1-62. Per la critica più recente sono da
consultare: T. Parodi, Le novelle del B.,in Poesia e
letteratura,Bari 1926; G. Bellonci, B. e il realismo letterario
lombardo in Circoli,V(1935), pp. 901-909; A. Baldini, il B., in
Celebrazioni Piemontesi,Urbino 1935, e in Cattedra
d'occasione,Firenze 1941; F. Neri, Quanto valga il B., in Saggi di
letteratura italiana francese inglese,Napoli 1936; A. Momigliano, B.
e il Cinquecento,in Elzeviri,Firenze 1945; B. Croce, Poesia popolare
e poesia d'arte,Bari 1933, pp. 488-98; G. Petrocchi, M. B. L'artista
e il novelliere,Firenze 1949; G. Getto, Il significato di B.,in
Lettere italiane,VII(1955), pp. 314-29; L. Russo, M. B. novellatore
"cortegiano",in Belfagor,XVI(1961), pp. 24-38; A. Borlenghi, M.
B.,in IMinori,Milano 1961; oltre le Prefazioni del Flora, del
Vigorelli, del Salinari alle citate edizioni.
Per la biografia, oltre la vita scritta da G. M. Mazzuchelli, in Gli
Scrittori d'Italia,II,1,Brescia 1758 e l'elogio di G. F. Galeani
Napione, in Piemontesi illustri,V,Torino 1787, sono importanti le
ricerche di F. Picco (Iviaggi e la dimora del B. in Francia,in
Scritti varii... in onore di R. Renier,Torino 1912; M. B.
évêque d'Agen,Agen 1920; Dame di Francia e poeti
d'Italia,Torino 1921), oltre alcuni contributi minori: M. Mandalari,
IlB. in Calabria,Catania 1900; C. E. Patrucco, Ilsoggiorno di M. B.
in Pinerolo,Pinerolo 1900; G. Bolognini, Verona nel novelliere di M.
B.,in Atti d. Accad. di agricoltura scienze e lettere di
Verona,1915; sulla data della nascita, Carletta [A. Valeri], in
Rivista d'Italia,III(1900), 3, pp. 536-538; sulla data della morte,
F. Picco, in Etudes italiennes,I(1919), pp. 223-28; sulle idee
morali, M. Mandalari, IProverbi del B.,Catania 1899.
Studi su singole novelle o su particolari aspetti dell'opera: D.
Morellini, Un "facetoaccidente",in Giorn. stor. della letter.
ital.,XLV (1905), pp. 455 s.; Id., Giovanna d'Aragona duchessa di
Amalfi,Cesena 1906; V. Osimo, IlMachiavelli e il B.,in Giorn. stor.
d. letter. ital.,LIV (1909), pp. 86 ss.; F. Picco, Il testo di una
novella del B. negli "Annales d'Aquitaine",Città di Castello
1912; Id., Iltesto di due novelle del B. nella descrizione
dell'Africa di Giovan Leone Africano,Città di Castello 1912;
Id., Una fonte diretta del B.,Piacenza 1912; C. Agosti Garosci, Per
la cronologia di alcune novelle di M. B.,in Giorn. stor. d. letter.
ital.,LIX (1912), pp. 91 ss. Id. IlMachiavelli in alcune novelle di
M. B.: ibid.,LXIV (1914), pp. 172 ss.; H. Hauvette,
Réminiscences de Boccace dans une légende
célèbre,in Miscellanea storica della
Valdelsa,XXI(1913), pp. 292 ss.;G. Brognoligo, Personaggi
bandelliani,in Studi dedicati a F. Torraca,Napoli 1912; A.
Durengues, La société milanaise d'après B. au
temps de la Renaissance,in Revue du seizième
siècle,XVIII(1931); F. Neri, La contessa di Challant,in
Storia e poesia,Torino 1944. Sulla fortuna dello scrittore in
Francia: R. Sturel, B. en France au XVI.me siècle,in Bulletin
italien,XIII(1913), pp. 210 ss., 331 ss.; XIV(1914), pp. 29 ss.,211
ss.; XV(1915), pp. 2 ss.,56 ss.; in Inghilterra: E. Köppel,
Studien zur Geschichte der italienischen Novelle in der englischen
Literatur,Strassburg 1892; C. Chiarini, Romeo e Giulietta: la storia
degli amanti veronesi nelle novelle italiane e nelle tragedie di
Shakespeare,Firenze 1906; R. L. Douglas, Introduzione alla ristampa
di Certaine Tragicall Discourses di G. Fenton, Londra 1898; F.
Olivero, SulB. e il dramma elisabettiano,Torino 1928; in Spagna, M.
Menendez y Pelayo, Origines de la novela,Madrid 1907, II, pp.
XX-XXIII.