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Scrittore italiano (Roma 1889 - ivi 1962), fu tra i fondatori della Ronda.
Esordì con il racconto lirico-simbolico Pazienze e impazienze del Maestro Pastoso (1914); seguirono raccolte di prose fra l'invenzione e la critica, la divagazione e la confessione autobiografica, dove l'amore per la tradizione si concilia con uno scanzonato senso della modernità (Salti di gomitolo, 1920; Michelaccio,1924; Quel caro magon di Lucia, 1956).
VITA
Combattente della guerra 1915-1918, e decorato al valore, fu collaboratore dei maggiori giornali (dal 1924, del Corriere della sera) e periodici, redattore capo, dal 1931, della Nuova Antologia, di cui divenne da ultimo il direttore letterario; nel 1950 fu nominato presidente della Quadriennale d'arte di Roma; già accademico d'Italia, dal 1953 era socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei che nel 1957 gli conferì il Premio Feltrinelli per le Lettere.
OPERE
Esordì con Pazienze e impazienze del Maestro Pastoso (1914), una narrazione che tiene, insieme, del racconto lirico-simbolico e della favola ariostesca, cui seguirono numerose raccolte di prose in cui il suo amore per la tradizione e per i classici si concilia con uno scanzonato senso della modernità, anche nel sapido impasto dello stile.
Nostro Purgatorio (1918), ricordi di guerra, Umori di gioventù (1920), Salti di gomitolo (1920), la serie delle "passeggiate" romane (poi raccolte, a cura di A. Bocelli, in Rugantino, 1942), Michelaccio (1924), La dolce calamita (1929, nuova ed. col titolo Beato fra le donne, 1940), segnano i momenti più felici della sua arte, ispirata a un gusto sensuale della forma, o, meglio, a una sensualità visiva. La quale, anche quando B. dal piano della fantasia si verrà volgendo sempre più a quello della riflessione, al viaggio e al ritratto, tenderà a risolvere figurativamente l'osservazione, il giudizio, la "moralità": Amici allo spiedo, 1932, n. ed. Buoni incontri d'Italia, 1942; Ludovico della tranquillità, 1933, n. ed. Ariosto e dintorni, 1958; La vecchia del Bal Bullier, 1934 (n. ed., comprendente anche le note di un viaggio in Turchia, Diagonale, 1930, Parigi-Ankara, 1943); Italia di Bonincontro, 1940; Cattedra d'occasione, 1941; Se rinasco..., fatti personali, 1944; Fine Ottocento, 1947; Melafumo, 1950, n. ed. Il Doppio Melafumo, 1957; "Quel caro magon di Lucia", microscopie manzoniane, 1956; Un sogno dentro l'altro, postumo, 1965, a cura del figlio Gabriele; Le scale di servizio: introduzione al libro e alla lettura, post. 1971, a cura di N. Vian, che ha anche pubblicato la raccolta degli articoli apparsi sul Corriere della sera (Tastiera, 3 voll., 1978-80).
B. curò edizioni e antologie dei classici, fra cui particolarmente notevoli Le più belle pagine di Ludovico Ariosto (1928) e Er Commedione (1944), dai sonetti di G. G. Belli, poeti a lui dilettissimi, e quest'ultimo di decisivo influsso sulla "romanità" del suo gusto.
DBI
    
    di Arnaldo Bocelli
    
    Nacque a Roma il 10 ott. 1889 dal conte
    Gabriele, di antica famiglia romagnola, archivista al ministero dei
    Lavori Pubblici, e da Sofia Alkaique, toscana ma di origine
    orientale. Come secondo nome gli venne imposto quello di Bismarck,
    essendo il padre fervido ammiratore dello statista tedesco; e con
    entrambi i nomi si firmò nei primi scritti pubblicati in
    riviste. Fece gli studi classici al ginnasio-liceo Visconti di Roma,
    dove ebbe a professore di letteratura italiana Ildebrando Della
    Giovanna, bella figura di educatore e di umanista, il cui
    insegnamento non fu senza traccia sulla formazione del B. (che lo
    rievocherà in pagine fra le più affettuose dei Buoni
    incontri d'Italia),e dove ebbe a condiscepoli G. Ceccarelli (il
    futuro "Ceccarius") e B. De Ritis, presto divenuto il più
    intrinseco dei suoi amici. Prese quindi a studiare lettere
    nell'università di Roma, laureandosi però solo nel
    1916 con una tesi sull'Ariosto: il poeta che rimarrà, coi
    Carducci, idoleggiato fin dagli anni dei liceo, al centro delle sue
    preferenze di lettore innamorato dei classici, e del suo gusto di
    scrittore.
    
    Nel frattempo il B. era entrato in consuetudine con parecchi giovani
    letterati (da E. Cecchi a V. Cardarelli, da R. Bacchelli ad A.
    Palazzeschi), che in quegli anni del primo Novecento, di profondo
    rinnovamento per la nostra cultura, si riunivano in prevalenza
    attorno a riviste di avanguardia (delle quali la più
    rappresentativa resta La Voce);dopo aver pubblicato in una di esse,
    Lirica (di A. Onofri e U. Fracchia, 1912-1913), i primi suoi
    scritti, che tenevano insieme della confessione autobiografica (o,
    come egli disse, del "fatto personale") e della fantasia o
    fantasticheria a fondo umoresco, e stampato in opuscolo Pazienze e
    impazienze del Maestro Pastoso (1914), che sta fra il racconto
    simbolico e la favola ariostesca, prese a collaborare (1915) alla
    terza pagina dell'Ideanazionale,conuna serie di "passeggiate" o
    vedute romane, che lo fecero notare ad un più largo pubblico.
    
    Scoppiata la prima guerra mondiale, il B. vi partecipò come
    soldato e poi ufficiale di fanteria, rimanendo ferito sul San
    Michele (3 nov. 1915), in un'azione che gli procurò la
    medaglia d'argento al valor militare. Trascorsa la convalescenza a
    Roma, tornò al fronte verso la fine del 1916 ma, per la sua
    inabilità al combattimento, come inviato speciale
    dell'Ideanazionale edella Illustrazione italiana (alla quale
    collaborò anche con sapidi "dialoghetti" e "storielle",
    firmati "Gatto Lupesco"), ricavando, poi, dalle corrispondenze di
    guerra un libro, Nostro purgatorio (1918). Rientrato a Roma, il B. -
    che frattanto si era sposato (1918) con Elvira Cecchi, dalla quale
    avrà due figli, Gabriele e Barberina - partecipò con
    Cardarelli, Cecchi, Bacchelli, Barilli e altri alla fondazione della
    rivista letteraria La Ronda,che, nella confusione di quel primo
    dopoguerra, si fece banditrice di un "ritorno" ai classici; e
    continuò a collaborare sia alla Illustrazione italiana,con
    altre vedute e "cronache" di Roma, sia all'Ideanazionale, con
    "lavori di striglia, di rasoio e di penna", cioè recensioni,
    profili critici, moralità letterarie (raccolti, assieme agli
    scritti d'esordio, in due volumi, Umori di gioventù,1920;
    Salti di gomitolo,1920), e con scritti di fantasia, come la favola
    di Michelaccio ivi apparsa, nel 1920, a puntate (che, notevolmente
    rielaborate, formeranno anch'esse volume: 1924). Cade in questo
    periodo un soggiorno del B. all'estero (1920-22), in qualità
    di segretario particolare del generale A. De Marinis, comandante
    della Commissione interalleata di governo e plebiscito dell'Alta
    Slesia: esperienza che non fu infeconda di spunti e di motivi per la
    sua arte.
    
    Di ritorno a Roma, il B. estese la propria collaborazione a parecchi
    quotidiani e periodici (IlResto del Carlino, I Libri del giorno,
    Corriere italiano, Galleria,ecc.); per riservarla, dal 1924 in poi,
    quasi esclusivamente al Corriere della sera (al quale era stato
    chiamato da L. Albertini). Si inizia così per lui un periodo
    di intensa attività, giornalistica e letteraria ad un tempo:
    ché tutti i suoi scritti, prima di far volume, passeranno -
    come del resto iprecedenti - per il giornale, nella misura
    dell'elzeviro, genere cui il B., col suo linguaggio ricco e sciolto,
    elegante e insieme sprezzato, e con un tono conversevole nella sua
    calcolatezza, seppe dare un'impronta tutta sua. Lo spunto viene ad
    essi ora dalla immaginazione, sollecitata da occasioni varie (spesso
    collegate col suo "amor di Roma", città che fu il suo "fatto
    personale" per eccellenza), ora da letture di libri o riletture di
    classici o incontri con scrittori e artisti amici, ora da cose viste
    o ricordate, e da viaggi, sia per questa o quella contrada d'Italia,
    sia all'estero (a Parigi, 1929-1930, e in Turchia, 1930, come
    inviato, appunto, del Corriere della sera),ora da riflessioni o
    fantasie in margine a fatti di cronaca o di costume (come la serie
    di articoli, apparsi però su La Tribuna-L'Idea nazionale,fra
    il 1926 e il 1929, a firma "Melafumo" : personaggio, più che
    pseudonimo, che è un po' il fratello minore di Michelaccio).
    Attività da cui nacquero, lungo un quindicennio, numerosi
    libri: La dolce calamita (1929; n. ediz. accresciuta col titolo
    Beato fra le donne,1940), Amici allo spiedo (1932; n. ediz.
    accresciuta: Buoni incontri d'Italia,1942, (Ludovico della
    tranquillità, divagazioni ariostesche (1933), La vecchia del
    Bal Bullier,note sul viaggio a Parigi (1934), Italia di Bonincontro
    (1940), Cattedra d'occasione (1941), Rugantino (1942), ecc.
    Attività alla quale si affiancò, dal 1931, quella di
    redattore-capo della Nuova Antologia. Chiamato a tale incarico dal
    direttore L. Federzoni, il B. portò nella antica rivista in
    declino uno spirito nuovo, invitando a collaborarvi, con gli
    scrittori di maggior fama, i giovani di più sicura promessa,
    senza pregiudizi di tendenze né di scuole, e consentendo
    nelle sue pagine una libertà di espressione e di giudizio, in
    fatto di letteratura, inconsueta per i tempi. E questa sua operosa
    presenza nella nostra cultura gli valse larghi consensi e
    riconoscimenti anche ufficiali: il premio "Mussolini" per le
    lettere, del Corriere della sera,nel 1937; la nomina ad accademico
    d'Italia, due anni dopo, nel 1939.
    
    Dopo l'8 sett. 1943, non avendo aderito al fascismo repubblicano, il
    B. dovette abbandonare la Nuova Antologia e darsi alla
    clandestinità; per tomare, col gennaio 1945, al suo posto,
    che tenne - in qualità, più tardi, di direttore
    letterario" sino alla fine. La sua collaborazione al Corriere della
    sera,specie con la rubrica "Tastiera" (consistente in "variazioni"
    fra estrose ed erudite), tornò a farsi frequente, mentre in
    una serie di radiotrasmissioni egli riprendeva i
    commenti-confessioni di "Melafumo", oscillanti fra malinconia di
    ricordi e ironia sul presente. E seguivano nuovi libri: Se
    rinasco... (1944), Fine Ottocento (1947), Melafumo (1950), "Quel
    caro magon di Lucia" (1956). Intanto, nel 1950, era stato nominato
    presidente della Quadriennale d'arte, e nel 1953 socio
    corrispondente dei Lincei; nel 1957 gli fu conferito il premio
    "Feltrinelli" per la letteratura. Ma dopo il 1952, a causa di una
    grave malattia cardiaca, il B. aveva ridotto sempre più il
    suo lavoro pur facendo ancora qualche viaggio (in Grecia, 1956; in
    Spagna, 1958; in Inghilterra, 1961). Per un nuovo attacco del male,
    morì in Roma il 6 nov. 1962.
    
    La sua personalità di scrittore può dirsi presente,
    nelle componenti essenziali, fin dai primi scritti. Dei quali,
    quello di maggiore impegno e più felice risultato è
    senza, dubbio (oltre le "vedute di Roma", che, con altre successive,
    saranno raccolte solo più tardi, in Rugantino), Nostro
    purgatorio, che resta un libro fra i più notevoli della
    nostra letteratura di guerra; mentre le prove d'esordio, Maestro
    Pastoso compreso, sono più che altro ricerche di stile o,
    meglio, di un modo di accordare quelle esigenze
    lirico-autobiografiche o criticoliriche con quelle aspirazioni o
    nostalgie di forme oggettivo-narrative, fra le quali il B. agli
    inizi si sentiva, non senza intima scontentezza, diviso. Divisione
    alimentata, da un lato, dalle esperienze frammentiste,
    impressioniste della Voce, e, dall'altro, dalla sua educazione
    classica, che, repugnando alle forme più disarticolate di
    codesto lirismo, fa di lui - fra l'ostentato antitradizionalismo e
    antiumanesimo di molti scrittori suoi coetanei - un "rondista",
    appunto, in anticipo. Per il B., quindi, così immerso nella
    "cosa letteraria", l'esperienza della guerra si risolse, più
    forse che per altri giovani, in un richiamo rude ma salutare alla
    realtà "esterna", alla vita "collettiva"; configurandosi,
    prima ancora che come problema nazionale, come problema individuale,
    morale ed estetico, di ricerca di sé nel mondo circostante. E
    nelle pagine di Nostro purgatorio egli prende nota di quella nuova
    realtà: anche se, malgrado certa vena patetica (dai tremori
    talvolta deamicisiani), la sua natura argutamente pacata lo induce a
    soffermarsi di preferenza sugli aspetti meno tristi della vita di
    guerra, o sui momenti, quasi idillici, di tregua; e, allorché
    gli episodi dolorosi, cruenti, non possono essere evitati, a
    guardali con animo partecipe ma con l'occhio distante di chi osservi
    una stampa o una fotografia. E qui comincia appunto a dispiegarsi
    quella "visività" che già era apparsa in qualche
    scritto precedente del B. (in particolare in quelli su Roma):
    cioè quella sensualità visiva, che tende a
    rappresentarsi ogni aspetto della vita, ogni sentimento o concetto
    sotto specie di figura o immagine vagheggiabile, di "pura forma", e
    a farne prosopopea, quadro, spettacolo. Visività che non
    esclude affatto una ricca vita affettiva, anzi sorge proprio dalla
    levitazione di essa e, insieme, come affrancamento, con i suoi
    riflessi umoristici, da ogni ingorgo lirico; e che diventerà
    sempre più la caratteristica dominante del Baldini.
    
    Michelaccio nasce, infatti, dal vagheggiamento della proverbiale
    indolenza romana, di quel dolce far niente che è antica
    sapienza e filosofia popolare; e, insieme, anche dal vagheggiamento
    del bel favoleggiare, del mondo (o dei modi) dell'Orlando furioso e
    del Bertoldo. Un gusto eminentemente figurativo qui si mescola ad un
    raffinato gusto letterario, fra di epica popolaresca e di romanzo
    picaresco (né manca il ricordo del Belli, poeta dilettissimo
    al B.); e se il protagonista non ha le dimensioni né
    l'autonomia di un vero personaggio, e se il racconto - che pur
    costituisce la massima prova del B. sul piano
    dell'oggettività narrativa - cede qua e là al
    compiacimento del giuoco o all'astrattezza del simbolo; lo sfondo,
    gli scenari, invece, misti di paesaggi e architetture, e ispirati
    alla memoria visiva di Roma, sono certo fra i più belli da
    lui dipinti. Gusto e senso della forma che culminano in Ladolce
    calamita (o Beato fra le donne),traducendosi in idoleggiamento della
    bellezza femminile, sia contemplata direttamente, al naturale, sia
    (più spesso) scolpita o dipinta in marmi o in quadri,
    cioè attraverso il filtro dell'arte. L'amore del B. per le
    donne è qui, difatti, essenzialmente estetico-visivo: un
    desiderio di dimenticarsi in quell'armonia di linee e di rilievi, in
    quella soave varietà di pose; e come, a tratti, la sua
    sensualità tende a farsi erotica, o il sentimento a
    intenerirsi, ecco che la sua ironia, e la sua acuta coscienza
    critica, intervengono a ristabilire l'equilibrio (atteggiamento in
    cui è un qualche riflesso del Panzini, assai caro al B.).
    Ché arte e critica sono in lui complementari, anche se
    l'accento ora batte prevalentemente sull'una, ora sull'altra.
    
    Nei ritratti di Amici allo spiedo (o Buoni incontri d'Italia),esso
    batte sulla critica: ma questa è pur sempre in funzione,
    oltre che autobiografica, di quella visività, in quanto tende
    a risolversi figurativamente: l'"amico" è visto attraverso la
    sua attività, la sua arte, ovvero queste sono date implicite
    nei lineamenti dell'uomo. Nell'un caso o nell'altro, senza averne
    l'aria, e anzi prendendo il discorso alla larga, con fare svagato,
    il B. giunge a rendere, più concretamente di certi critici
    professionali, il senso di un'opera e la personalità di un
    artista: come nelle pagine bellissime sul pittore Spadini. E il
    medesimo si può ripetere per il libretto dedicato all'Ariosto
    (Ludovico della tranquillità)e per altri scritti, specie sul
    Carducci, compresi in Fine Ottocento. La sua prosa intanto è
    venuta affinando l'impasto di antico e moderno, di illustre e
    popolaresco, di elegante e trasandato, che le è proprio:
    neologismi e dialettismi trovano in essa, naturalmente, la loro
    compagine e doratura. Una prosa ormai breve di periodi e lieve di
    punteggiatura, ariosa ed estrosa, ma forte di nessi, di costrutti.
    
    Qualità che si riscontrano anche nelle sue note di viaggio,
    nelle sue ricognizioni fuori e dentro casa, come in La vecchia del
    Bal Bullier e in Italia di Bonincontro: un'Italia, questa,
    tipicamente baldiniana, amata come una bella donna più
    pèr le sue sembianze fisiche che per la sua storia, e
    però ritratta meglio nella pittoresca particolarità di
    certi suoi paesi o cittadine, che nelle complicate prospettive delle
    grandi città. Del resto qualcosa di simile era accaduto al B.
    per la sua Roma, in Rugantino: guardata, anche dove è
    più monumentale, da angoli visuali desueti o familiari. E se
    è vero che in ciò si annida il pericolo dello
    "strapaesanismo", della maniera, è anche vero che a
    restaurare il tono giusto soccorre quella humanitas che,in forme
    discrete o scanzonate, fu per il B. non solo nutrimento di stile, ma
    metro di vita.