Aretino, Pietro
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Letterato (Arezzo 1492 - Venezia 1556). Commentatore mordace di
uomini ed eventi, nonostante i nemici che inevitabilmente si fece
riuscì a mantenere salda la sua posizione. Fu autore di rime,
di commedie (tra cui La Cortigiana, 1525), di sei libri di Lettere
(1537-57) e dei celebri dialoghi tra prostitute (Ragionamenti,
1534-36), lavori questi, come tutti gli altri, contraddistinti da un
tipico antipedantismo letterario.
Vita
Figlio di un Luca calzolaio, si trasferì ancora
adolescente a Perugia, poi a Siena e di lì, protetto da
Agostino Chigi, nella Roma di Leone X (1517 circa). Durante il
conclave seguito alla morte di questo (1521) fece con le sue
pasquinate una clamorosa campagna scandalistica, che continuò
anche dopo l'inaspettata elezione di Adriano VI, ritenendo poi
opportuno, prima dell'arrivo del nuovo papa a Roma, di
allontanarsene al seguito del card. Giulio de' Medici. Fu poi alla
corte dei Gonzaga e presso Giovanni dalle Bande Nere, con cui
strinse una duratura amicizia. Tornò a Roma appena eletto
papa Giulio de' Medici (Clemente VII), ma l'ostilità del
datario pontificio G. M. Giberti e un grave attentato subito lo
costrinsero a raggiungere di nuovo Giovanni, che accompagnò
fino alla morte di lui (1526). Si rifugiò quindi a Mantova
(1526-27) e infine a Venezia, dove trovò sicura e stabile
sede sino alla morte; qui l'A. poté continuare, per mezzo di
lettere, rime, pronostici satirici, la sua attività di
commentatore mordace degli uomini e degli eventi (di qui il titolo
datogli dall'Ariosto di "flagello dei principi") e, in sostanza, di
ricattatore.
Nonostante assalti polemici, avventure e aggressioni,
la sua posizione si mantenne salda; postuma (ormai nel clima
controriformistico) giunse infine la condanna della Chiesa. Il suo
gusto, che nell'apprezzamento delle arti figurative e della pittura
veneta in ispecie si manifestò eccezionalmente sensibile,
corrisponde al suo antipedantismo letterario, al rifiuto cioè
di una scrittura mediocre e compassata, di accademia e di scuola, e
alla ricerca di effetti sorprendenti, di un'imprevista e personale
vivacità inventiva.
Opere
L'A. è ben rappresentato dai sei libri delle sue Lettere
(1537-57); con vigore senza dubbio più coerente ma su trama
forse più grossolana, dai Ragionamenti (1534 e 1536) e dai
Ragionamenti delle corti (1538, seguiti dal dialogo delle Carte
parlanti, 1543), dove l'esperienza della vita cittadina e di corte
si contrae e si deforma in quella della prostituzione e della
malavita.
Le cinque Commedie (La Cortigiana, 1525, rifatta nel 1534;
Il Marescalco, 1527, ma pubblicata nel 1533; L'Ipocrito, 1542; La
Talanta, 1542; Il filosofo, 1546) stanno nel solco di una già
rigorosa tradizione letteraria che anche all'A. gradualmente
s'impone, ma senza che venga meno la vivacità dialogica e
caricaturale che gli era propria. In questa direzione il tentativo
più ambizioso dell'A., sostanzialmente non riuscito, è
la tragedia Orazia (1546), in versi sciolti.
Sono appena da
ricordare le sue sparse Rime amorose ed encomiastiche, e i suoi
poemetti cavallereschi (La Marfisa, 1535; Le lagrime di Angelica,
1538 e l'Astolfeida); migliore l'Orlandino (1540), parodia
cavalleresca.
Riprendendo la tematica sacra, già affrontata
(1534) con I sette Salmi de la penitenzia di David, l'A. si
compiacque di affrontare nuovamente argomenti religiosi
(L'umanità di Cristo, 1535; Il Genesi, 1538; la Vita di Maria
Vergine, 1539; La vita di s. Caterina vergine e martire, 1540; La
vita di s. Tommaso beato, 1543); in queste scritture particolarmente
il suo stile tende a effetti e stravaganze barocche.