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Industriale italiano (Villar Perosa 1866-Torino 1945).
Può essere considerato un pioniere dell'industrializzazione moderna in Italia e ha legato il suo nome alla creazione e allo sviluppo dell'industria automobilistica in Italia.
Ufficiale di cavalleria, lasciò la carriera militare nel 1892 e nel 1899 fu uno dei fondatori della FIAT, di cui divenne amministratore delegato nel 1902 e presidente nel 1920.
Fu nominato cavaliere del lavoro nel 1907 e senatore del regno nel 1923, mentre nel 1937 ricevette la laurea honoris causa in ingegneria dal Politecnico di Torino.
Fu promotore di molte altre iniziative industriali, fra le quali la RIV (1906) per la fabbricazione di cuscinetti a sfere, divenuta poi RIV-SKF, ed esplicò la sua attività anche nel campo sociale e assistenziale, creando istituti di cura e ospedalieri e scuole professionali.
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      di Gaetano Arfè
      
      Nacque a Villar Perosa (Torino) il 13 ag. 1866 da Edoardo e da
      Aniceta Frisetti. La famiglia, assai facoltosa, lo avviò
      alla carriera militare: entrato nel 1884 nella Scuola militare di
      Modena, ne usci nel 1886 col grado di sottotenente di cavalleria.
      
      Nel 1892 abbandonò la carriera militare e si stabilì
      a Torino, dove allora andavano sorgendo molte nuove imprese
      industriali. L'A. frequentò l'officina di tricicli a motore
      di L. Storero e rilevò, poi, la piccola società di
      G. Ceirano per lo sfruttamento della vettura "Welleyes",
      giovandosi dell'esperienza tecnica di A. Faccioli e di V. Lancia.
      Quando, nell'aprile del 1899, un gruppo di pionieri
      dell'automobile (fra i quali il conte R. Biscaretti di Ruffia, il
      conte Emanuele Cacherano di Bricherasio, l'avv. C. Goria Gatti e
      altri) pose le basi per la creazione di una società per la
      costruzione e il commercio delle automobili, l'A. aderì
      all'iniziativa. La nuova società, che ereditava la
      società Ceirano, nacque ufficialmente con atto notarile
      dell'11 luglio dello stesso anno, col nome di S. A. Fabbrica
      Italiana Automobili Torino, da cui la sigla FIAT, diventata poi,
      con l'eliminazione d'ogni interpunzione, la ragione sociale della
      ditta. Essa aveva all'inizio un capitale di 800.000 lire,
      cinquanta operai e officine per 10.000 mq. di superficie, in corso
      Dante. Nel consiglio di amministrazione, allora costituito, l'A.
      assunse il ruolo di segretario diventando, in breve tempo, il
      dirigente dell'intera impresa. Da quel momento, la vita e le
      fortune dell'A, si confondono con quelle della FIAT.
      
      Merito dell'A. fu di avere intuito che la motorizzazione, allora
      ai suoi timidi inizi, avrebbe assunto sempre maggiore importanza
      nella vita moderna, e di aver conseguentemente, fin dal primo
      momento, impostato lo sviluppo della FIAT nel senso della grande
      industria orientata verso la produzione in serie. L'A. promosse
      anche una intensa opera di propaganda del nuovo mezzo, condotta
      soprattutto attraverso la partecipazione, spesso vittoriosa, delle
      macchine FIAT alle maggiori corse automobilistiche.
      
      Nel 1905 gli utili raggiungevano già i 4 milioni, e lo
      stabilimento subiva un primo ampliamento, che si rinnovò
      l'anno successivo, accompagnato da un'operazione finanziaria, per
      cui il capitale sociale fu portato a 9 milioni e la società
      prese la denominazione di S.A. Fabbrica Italiana Automobili FIAT,
      con l'A. consigliere delegato. Nello stesso anno 1906 l'A. dava
      vita, con un capitale di 850.000 lire, a un'officina meccanica per
      la costruzione dei cuscinetti a sfere (Riv) trasferita nel 1907 a
      Villar Perosa. I suoi prodotti acquistarono e mantennero un
      prestigio notevole sul mercato internazionale, sicché nel
      1932 la FIAT fu prescelta dal governo sovietico per l'impianto di
      una fabbrica di cuscinetti a sfere e lo stesso A. si recò
      per l'occasione nell'U.R.S.S.
      
      Ancora nel 1906 l'A. iniziò la costruzione di autobus, cui
      seguiva, alcuni anni dopo, la fondazione di una Società
      Italiana Trasporti Automobilistici (SITA), diretta emanazione
      della FIAT, che dette un primo grande impulso alla motorizzazione
      dei trasporti su strada. Nel luglio dello stesso anno 1906 l'A. fu
      poi tra i promotori, insieme ad A. Abegg, L. Bonnefon-Craponne, C.
      Florio ed altri, della Lega industriale di Torino, la prima in
      Italia.
      
      La crisi economica, che tra il 1907 e il 1908 eliminò molte
      imprese concorrenti, non investì la FIAT, che, saldamente
      guidata dall'A., nel 1908 iniziò anzi la costruzione di
      motori d'aviazione e, nel 1910, dette vita a un nuovo
      stabilimento, il "Grandi Motori", per la costruzione dei motori
      Diesel industriali e marini. Nel 1909 l'A. e gli altri
      amministratori della FIAT erano stati rinviati a giudizio, per
      falsi nei bilanci e illeciti giochi di borsa: il procedimento,
      molto discusso, si trascinò fino al 1912, concludendosi con
      la piena assoluzione per gli imputati.
      
      Nel 1911, in occasione della guerra libica, vennero costruiti i
      primi autocarri di uso militare, i FIAT 15ter, ai quali seguirono
      i 18 BL, che ebbero largo impiego, anche fuori d'Italia, nel corso
      della prima guerra mondiale. Nel 1912, dopo la guerra italo-turca,
      il capitale nominale della FIAT venne portato a 17 milioni. Nello
      stesso anno l'A. effettuò il suo primo viaggio negli Stati
      Uniti, alla cui organizzazione industriale egli guardava come a
      modello, e dove tornò anche nel 1935, ospite di Ford.
      L'ampia partecipazione della FIAT alla produzione bellica durante
      il primo conflitto mondiale e i grandi profitti derivati permisero
      all'A. un nuovo ampliamento della organizzazione: il capitale
      sociale veniva così portato nel 1917 a 50 e nel 1919 a 200
      milioni. Nel 1917, la FIAT incorporò le Ferriere Piemontesi
      Vandel e C., le Officine già Fratelli Deotto e le Industrie
      Metallurgiche Torino. Ancora nello stesso anno si iniziava la
      costruzione dello stabilimento Lingotto, entrato in funzione nel
      1921. Sempre nel 1917, insieme con Riccardo Gualino, l'A. assunse
      la direzione della Società di navigazione italo-americana
      che, sorta con scopi prevalentemente commerciali, si dedicò
      nel 1920 alla produzione del raion: la SNIA. Frattanto la FIAT
      entrava anche nel campo della siderurgia.
      
      Si delineava così quella fisionomia di industria di tipo
      verticale che l'A. veniva facendo assumere alla FIAT: il ciclo di
      produzione andava cioè dalla materia prima al prodotto
      finito.
      
      Nel 1920 l'A. lasciò al suo collaboratore, ingegnere G.
      Fornaca, la carica di consigliere delegato ed assunse quella di
      presidente.
      
      Nella Torino del dopoguerra, centro del più combattivo
      movimento operaio italiano, rilevante fu la funzione dell'A. come
      dirigente della resistenza e, poi, della controffensiva degli
      industriali. Dopo l'occupazione delle fabbriche da parte degli
      operai, sul finire del 1920, l'A. avviò trattative con le
      maestranze per la trasformazione della FIAT in una cooperativa di
      produzione: iniziativa che incontrò però diffidenza
      da parte operaia. Nell'anno successivo l'A. fu protagonista di una
      serrata che lasciò profonde tracce nel movimento operaio
      torinese. In pari tempo cominciò ad avvicinarsi al
      fascismo, di cui favorì lo sviluppo mediante un'opera di
      fiancheggiamenti esplicantesi, in particolare, in sovvenzioni alla
      stampa. Poco dopo la marcia su Roma, il 1marzo 1923, l'A. venne
      nominato senatore. Il 19 dicembre dello stesso anno fu tra gli
      stipulatori, per la Confindustria, del "patto di Palazzo Chigi"
      che, presidente della seduta Mussolini, segnò la
      capitolazione del "sindacalismo integrale" fascista, patrocinato
      da E. Rossoni.
      
      Durante il periodo fascista l'A. esercitò larga influenza
      nella vita economica e politica del paese, avviando in modo sempre
      più accentuato la FIAT verso posizioni di monopolio
      protetto.
      
      I dazi sulle automobili, che già si aggiravano intorno al
      60% del valore, furono infatti portati nel 1930 ad aliquote
      superiori al 100%, applicantesi anche sulle parti staccate di
      automobili (cfr. E. Rossi, La questione doganale dopo la guerra,
      appendice ad A. De Viti De Marco, Un trentennio di lotte politiche
      [1894-1922], Roma s.d., p. 480). L'A. ottenne inoltre per la FIAT
      una ulteriore forma di protezione attraverso il contingentamento
      delle importazioni delle automobili straniere. Contemporaneamente
      il capitale nominale, che nel 1924 raggiungeva i 400 milioni, nel
      1947, due anni dopo la morte dell'A., raggiunse i 4 miliardi. Con
      la crisi del 1929, il capitale sociale, valutato ai corsi delle
      azioni, che nel 1928 era di 1 miliardo e 190 milioni, nel 1933 era
      disceso a 466 milioni. Ma nel 1939, alla vigilia della guerra,
      l'A. poteva considerare la sua azienda già fuori del
      periodo di massima depressione, dato che il valore del capitale
      sociale ai corsi delle azioni era risalito a 1 miliardo
      156milioni.
      
      L'A., che aveva da tempo seguito per la FIAT una politica di
      autofinanziamento, ridistribuendo solo parzialmente agli azionisti
      i profitti generati dagli alti prezzi di vendita, si avviò
      in pari tempo sempre più decisamente, dopo aver dato vita
      al monopolio verticale già ricordato, sulla via degli
      investimenti nei più diversi settori produttivi. Strumento
      principale di tale attività di espansione finanziaria fu
      l'IFI (Istituto Finanziario Industriale), sorto nel 1927,
      presieduto dall'A., e divenuto una holding raggruppante alcune
      decine di società finanziarie e industriali. L'A.
      finì con l'accentrare nelle sue mani un numero sempre
      maggiore di cariche di grande rilievo nel settore economico e
      finanziario. Oltre quanto già ricordato, egli fu infatti
      presidente della Vetrococke, consigliere della SIP (Società
      Idroelettrica Piemonte), della STIPEL (Società Telefonica
      Interregionale Piemontese e Lombarda), dei Cantieri Riuniti
      dell'Adriatico, del Credito Italiano, ecc. L'A. fu, tra l'altro,
      interessato anche alla costruzione delle centrali idroelettriche
      di Cenischia e dei complessi alberghieri nella zona di
      Sestrière.
      
      Cavaliere al merito del lavoro nel 1907, l'A. fu insignito nel
      1937 della laurea in ingegneria honoris causa dal politecnico di
      Torino. Alla sua iniziativa si deve anche il sorgere di ospedali e
      di sanatori, nonché del Faro della Vittoria sul colle della
      Maddalena presso Torino. L'A. morì a Torino il 16 dic.
      1945.
      
      Dell'A. va ricordato un volumetto scritto in collaborazione con il
      Cabiati, che rappresenta un contributo ai progetti pacifisti
      maturati nel corso della prima guerra mondiale: G. Agnelli-A.
      Cabiati, Federazione europea o Lega delle Nazioni?, Torino
      1918. Il volumetto, interessante anche per i diversi atteggiamenti
      successivamente assunti dall'A., contiene motivi di polemica verso
      il nazionalismo e auspica la formazione di una federazione europea
      come fonte di benessere economico e salvaguardia della pace. 
    
Sempre nel campo dell'attività pubblicistica, l'A. nel
      giugno 1932 concesse alla United Press una intervista sulla crisi,
      che ebbe vasta eco, e provocò poi una sua discussione con
      L. Einaudi. Sosteneva l'A. che la disoccupazione, di cui
      soffrivano molti paesi del mondo, era del tutto, o quasi, dovuta
      al progresso tecnico, per cui l'A. proponeva come rimedio la
      diminuzione generale e uniforme delle ore di lavoro in tutte le
      aziende. Rispondeva l'Einaudi che, innanzi tutto, la
      disoccupazione tecnologica non era tutta la disoccupazione, e poi
      che la riduzione generale delle ore di lavoro avrebbe posto
      ingiustamente a carico di tutti gli imprenditori il costo della
      disoccupazione causata da vantaggi fruiti dalle sole ditte
      innovatrici (vedi G. Agnelli-L. Einaudi, La crisi e le ore di
        lavoro, in La riforma sociale, XL [1933], pp. 1-20).