Q 4 § 85
1 Cfr Il cieco Tiresia, in «Avanti!», 18 aprile 1918
(ora in SM, 392-93)- «Narra la "Stampa", come ad Ostria, nelle
Marche, viva un povero fanciullo cieco, il quale ha profetizzato che
la guerra finirà entro l'anno 1918. Il piccolo profeta non
era cieco prima della profezia: la cecità era indissolubile
però con la sua nuova qualità; egli è diventato
cieco subito dopo aver allietato gli uomini con la fausta
notizia della prossima loro liberazione dall'incubo del sangue.
Ostria è nelle Marche (presso Senigallia, precisa "La
Stampa"), l'istituto del Cottolengo è a Torino. Due settimane
fa si affermava che nella pia Casa del Cottolengo una bambina, di
spirito profetico dotata, incominciò a prevedere tutta una
serie di piccoli avvenimenti. D'un tratto affermò di sapere
quando la guerra sarebbe finita, ma rifiutò di dirlo
perché sicura di diventar cieca. Come il fanciullo d'Ostria
(si narra) ella venne visitata da specialisti, i suoi occhi furono
riconosciuti immuni da ogni predisposizione alla cecità.
Fu indotta a parlare, recitò la profezia, e immediatamente
divenne cieca. Torino-Ostria, come nel 1916 Torino-Padova, S.
Antonio e il frate del convento dei Cappuccini. Una profezia
all'anno, una pace all'anno. Ma nel 1918 lo spirito popolare ha
fatta propria la tradizione, l'ha abbellita della ingenua
poesia che vivifica le sue creazioni spontanee. La qualità di
profeta fu ricongiunta con la sventura della cecità. Il greco
Tiresia era cieco: la limpida chiarità del suo pensiero era
chiusa in un corpo opaco, chiuso ad ogni impressione della
attualità. È la compensazione ineluttabile che la
natura domanda alle sue eccezioni: c'è un principio di
pensiero di giustizia. È un destino atroce, come quello
di Cassandra, che non viene creduta, che conosce gli eventi futuri,
li vede avvicinarsi, sa chi sarà travolto e piange e parla,
ma trova solo scettici, indifferenti gli uomini che non provvedono,
che non si oppongono al destino. Cassandra vive un dramma più
individuale, è creazione di poesia colta, già
raffinata letterariamente. Tiresia è popolare, è
plastico: la sventura ha un aspetto esteriore nella sua persona, il
dramma è fisico prima e più che interiore, la
pietà è immediata, non ha bisogno di riflessioni e di
ragionamenti per sorgere.
Sembra una cosa da nulla: è invece una enorme esperienza, che
solo la tradizione popolare poteva riuscire a provare e concretare.
Il decimo canto dell'inferno dantesco, la fortuna che esso ha
avuto nella critica e nella diffusione, è dipendente da
questa esperienza. Farinata e Cavalcante sono puniti dell'aver
voluto troppo vedere nell'al di là, uscendo fuori dalla
disciplina cattolica: sono puniti con la non conoscenza del
presente. Ma il dramma di questa punizione è sfuggito alla
critica. Farinata è ammirato per il plastico atteggiarsi
della sua fierezza, per il suo giganteggiare nell'orrore
infernale. Cavalcante è trascurato; eppure egli è
colpito a morte da una parola: egli ebbe, che gli fa credere suo
figlio essere morto. Egli non conosce il presente: vede il
futuro e nel futuro il figlio è morto; nel presente? Dubbio
torturante, punizione tremenda in questo dubbio, dramma
altissimo che si consuma in poche parole. Ma dramma difficile,
complicato, che per essere compreso ha bisogno di riflessione e
ragionamento; che agghiaccia d'orrore per la sua rapidità e
intensità, ma dopo esame critico. Cavalcante non vede, ma non
è cieco, non ha una plastica evidenza corporale della sua
sventura. Dante è un poeta colto in questo caso. La
tradizione popolare vuole la plasticità, ha una poesia
più ingenua e immediata. Il bambino di Ostria, la
fanciulla della pia Casa del Cottolengo, sono appunto due canti
della poesia popolare: poesia, niente altro che poesia...»