Q3 §42
1 Gramsci qui allude alle discussioni intorno alla costituzione dei
Soviet (Consigli) svoltesi nel 1920 all'interno del psi e alla
posizione assunta in tali discussioni dai socialisti bolognesi, e in
particolare da Ercole Bucco (responsabile della Camera Confederale
del Lavoro). La discussione era iniziata sulla base di un progetto
Bombacci per la costituzione dei Soviet in Italia, pubblicato
sull'«Avanti!» del 23 gennaio 1920. «L'Ordine
Nuovo» prese posizione contro il progetto Bombacci con un
articolo di Palmiro Togliatti (La formazione dei Soviet in Italia)
pubblicato in due puntate, nel n. 37 (14 febbraio) e nel n. 40 (13
marzo); nel n. 38 (21 febbraio), «L'Ordine Nuovo» aveva
anche pubblicato un ar ticolo di Ercole Bucco, I Consigli a Bologna,
dove tuttavia le posizioni dell'autore apparivano piuttosto sfumate.
Sul problema della creazione dei Soviet Bucco presentò poi
una relazione all'Assemblea dell'Unione Socialista Bolognese, che
discusse sull'argomento nelle giornate del 3 e del 10 aprile 1920
(una sintesi del dibattito e i testi delle deliberazioni furono
pubblicati sull'organo della Federazione provinciale socialista,
«La Squilla», nel numero del 14 aprile 1920). Al termine
dell'Assemblea fu approvato un ordine del giorno Bucco, che coincide
nella sostanza, salvo variazioni formali, con la mozione che
sarà approvata da li a poco,a maggioranza, dal Consiglio
nazionale del psi, tenuto a Milano dal 18 al 22 aprile: il testo di
questa mozione, dove si parla esplicitamente di un «soviet
urbano», è pubblicato nella rivista
«Comunismo», 1-15 maggio 1920 (anno 1, n. 15), pp.
1029-30. Della costituzione del Soviet a Bologna si discusse anche,
nei giorni 14 e 15 aprile 1920, al Congresso provinciale socialista
di Bologna, dove fu votato un ordine del giorno firmato da Alvisi e
Bucco (cfr «La Squilla», 17 aprile 1920; un resoconto anche
nel «Resto del Carlino» del 16 aprile 1920).
2 «Discorso dell'espiazione» fu definito il discorso
tenuto da Claudio Treves alla Camera dei deputati il 30 marzo 1920.
Dopo aver affermato, all'inizio del discorso, rivolgendosi ai
deputati liberali: «La crisi è proprio in ciò,
il suo tragico è precisamente in questo, che voi non potete
più imporci il vostro ordine e noi non possiamo ancora
imporvi il nostro», Treves concludeva: «La crisi del
regime. Ecco: il discorso si chiude evidentemente come un ciclo al
punto in cui è cominciato. La crisi, la febbre, la
irrequietudine, le masse agitate, l'impotenza degli ordinamenti
economici a nutrire gli uomini, e dei governi a fare la pace: lo
sfacelo! Voi vorreste che ciò fosse presto: "fate la
Rivoluzione - ci si dice - o lasciateci tranquilli". Né una
cosa né l'altra! La rivoluzione è un evo, non un
giorno, ha gli aspetti di un fenomeno di natura: erosioni lente,
dirupamenti rapidi. Ci siamo in pieno e ci resteremo per un bel
numero di anni. Giorno per giorno, episodio per episodio, epico o
maccheronico, sguaiato o sublime, con molte cose che non comprendiamo e che voi non comprendete. Ma si, vi piacerebbe
di finirla una volta! Non è il morire che vi spaventa,
è questo non vivere che vi esaspera. Ma non è in
nostro potere di abbreviare le spinte del Parto divino. Ciò
è terribilmente lungo e penoso. Ma se ciò è
terribilmente lungo e penoso ciò è necessario,
perché è la conseguenza ineluttabile di ciò che
è stato fatto, e nessuno può far si che ciò che è stato fatto,
fatto non sia. Ecco l'inesorabile corollario del crimine! Si, o
signori, ecco l'espiazione» (cfr Claudio Treves, Come ho
veduto la guerra, 2a ed. Edizioni della Rassegna Internazionale,
Milano 1925, pp. 233-56).
Già nella relazione di Gramsci al Consiglio nazionale del PSI
del maggio 1920 questo discorso di Treves veniva giudicato una
«manifestazione del pensiero opportunista» (cfr ON,
120-21). Su questo tema Gramsci ritorna più avanti, in questo
stesso Quaderno, nel § 44, p. 24bis, e nel Quaderno 11 (XVIII),
§ 12, pp. 21bis - 22; in quest'ultimo passo in particolare
è chiarito il senso della critica di Gramsci : «C'era
una certa grandezza sacerdotale in questo discorso, uno stridore di
maledizioni che dovevano impietrire di spavento e invece furono una
grande consolazione, perché indicavano che il becchino non
era ancora pronto e Lazzaro poteva risorgere».