Q3 §35

1 L'allusione è da riferire a due articoli di Giuseppe Rensi: La ragione del male nella storia secondo Seneca e Renouvier, in «Nuova Rivista Storica», maggio-agosto 1929 (anno XIII, fasc. III-IV),pp. 255-70; Necessità e razionalità, ivi, gennaio-aprile 1930 (anno XIV, fasc. I-II), pp. 21-28. In quest'ultimo articolo, polemizzando con la tesi della razionalità della storia, Rensi scriveva:
«Afferma un principio etico solo chi nega la razionalità della storia. Poiché, mentre chi ammette quest'ultima, è obbligato ad ammettere che la razionalità s'incarni nei fatti ingiusti, mostruosi, atroci, di cui la storia passata e presente è tessuta, e a riconosce re tali fatti come razionali, chi la nega la nega appunto perché davanti al suo vivo e vigile senso etico tali fatti non consentono giu
stificazioni (nemmeno quella d'un preteso bene che si raggiungerebbe mediante essi, bene il quale sempre, invece, poteva perfettamente effettuarsi senza quei fatti che con esso si pretende scusare). Lo nega, insomma, perché il senso etico è in lui insopprimibile, ed egli intende sottoporre senza transazioni al giudizio di esso i fatti, non farlo curvare davanti ai fatti e smussare dai fatti. Solo a un tale vigile senso etico risalta l'antitesi irriducibile tra realtà storica ed eticità, ossia tra storia e razionalità. Solo esso avverte che la storia non corrisponde alla morale, non è quale dovrebbe essere, cioè non è razionale. Il grado di eticità d'un individuo si misura dunque precisamente dal grado in cui gli risulta moralmente intollerabile la storia, dalla quantità di capi d'accusa e di condanna che egli sente di dover sollevare contro di essa: cioè dal quanto la sente irrazionale. La vivezza del senso dell'irrazionalità della storia è la pietra di paragone dell'eticità personale» (p. 28).

2 Il VI Congresso nazionale di filosofia, tenuto a Milano dal 28 al 30 marzo 1926, aveva dato luogo a una pubblica manifestazione di antifascismo a seguito di un coraggioso discorso del professor Francesco De Sarlo su L'alta cultura e la libertà. Commentando questo Congresso, che era stato poi sospeso dalle autorità fasciste, Giovanni Gentile, in un articolo pubblicato dal «Popolo d'Italia» del 14 aprile 1926, attaccava tra l'altro anche il Rensi, «quel filosofo allegro che insegna a Genova, e salta e balla e fa sberleffi innanzi al pubblico, dimostrando oggi la verità, domani la falsità di ogni filosofia che gli capiti alle mani, prima idealista, poi scettico, più tardi dogmatico, ieri filosofo dell'autorità oggi della libertà, sofista sempre e cervello vano, applaudito questa volta anche lui a Milano per l'ultima sua farsa, del "Materialismo critico": come dire del circolo quadrato». L'articolo è ristampato in Giovanni Gentile, Fascismo e cultura, Treves, Milano 1928 [FG, C. carc., Turi I], pp. 103-9. All'attacco di Gentile Rensi rispose con una lettera al «Popolo d'Italia» (pubblicata dallo stesso giornale il 16 aprile 1926), dove rivendicava i suoi antichi meriti: «Quali si siano le opinioni del sen. Gentile a mio riguardo, mi consola il pensiero che quella da lui ieri espressa non può essere condivisa dal "Popolo d'Italia". Altrimenti, come sarebbe avvenutoche in data 2 novembre 1922 il direttore di questo giornale mi scrivesse che avendo  oggi più che mai bisogno di buona collaborazione" desiderava "poter contare su di me" per la continuazione di quella che io avevo dato a questo giornale durante il periodo bolscevico, quando i tre quarti almeno di coloro che adesso vi collaborano non si degnavano o non si mischiavano di scrivervi?» Rensi ricordava anche che lo stesso Gentile, nell'anno precedente, lo aveva invitato a collaborare alla Enciclopedia Treccani.