Q1 § 73
1 È da ricordare ciò che Gramsci aveva scritto a
questo proposito in un articolo pubblicato su «Il Grido del
Popolo» del 16 febbraio 1918: «Il Manzoni si pose
il quesito: come si può creare la lingua italiana, ora che
è fatta l'Italia? E rispose: è necessario che tutti
gli italiani parlino il toscano, è necessario che lo Stato
italiano arruoli i maestri elementari in Toscana: si
sostituirà il toscano ai numerosi dialetti che le varie
regioni parlano, e fatta l'Italia, sarà fatta anche la lingua
italiana. Il Manzoni riuscì a trovare appoggio nel
governo, riuscì a fare intraprendere la pubblicazione di
un Novo dizionario che avrebbe dovuto contenere la vera lingua
italiana. Ma il Novo dizionario rimase a metà, e i maestri
furono arruolati tra le persone colte di tutte le regioni d'Italia.
Era avvenuto che uno studioso della storia del linguaggio,
Graziadio Isaia Ascoli, alle centinaia di pagine del Manzoni aveva
contrapposto una trentina di pagine per dimostrare: che neppure una
lingua nazionale può essere suscitata artificialmente, per
imposizione di Stato; che la lingua italiana si sta formando da
sé, e si formerà solo in quanto la convivenza
nazionale abbia suscitato contatti numerosi e stabili tra le varie
parti della nazione; che il diffondersi di una particolare
lingua è dovuto all'attività produttrice di
scritti, di traffici, di commercio degli uomini che quella
particolare lingua parlano. La Toscana nel 300 e nel 500 ha avuto
scrittori come Dante, Boccaccio, Petrarca, Machiavelli,
Guicciardini, che hanno diffuso la lingua toscana; ha avuto
banchieri, artigiani, manifatturieri che portavano in tutta Italia i
prodotti toscani e i nomi di questi prodotti; dopo ha ristretto la
produttività di merci e di libri e quindi ha ristretto anche
la produttività di lingua. Il prof. Alfredo Panzini ha
pubblicato pochi anni fa un dizionario della lingua parlata
moderna, e da esso appare quanti milanesismi siano arrivati persino
in Sicilia e in Puglia. Milano manda giornali, riviste, libri,
merce, commessi viaggiatori in tutta Italia, e manda quindi
anche alcune peculiari espressioni della lingua italiana che i suoi
abitanti parlano » (5G, 176).
Le obiezioni di Graziadio Isaia Ascoli all'impostazione data da
Manzoni ai problemi della lingua italiana sono contenute nel Proemio
all'« Archivio glottologico italiano» (1872), più
volte ristampato in seguito (per la più recente edizione
cfr Graziadio Isaia Ascoli, Scritti
sulla questione della lingua, a cura di Corrado Grassi,
Einaudi, Torino 1975). Come risulta dallo schema del programma di
lavoro tracciato all'inizio di questo Quaderno (cfr p. 1, n. 12:
«La quistione della lingua in Italia: Manzoni e G. I.
Ascoli»), Gramsci si era proposto di ritornare più
estesamente su questo argomento, del quale si era già
occupato durante gli studi universitari. In una lettera del 17
novembre 1930 Gramsci ricordava di aver scritto dieci anni
prima «un saggio sulla quistione della lingua secondo il
Manzoni» (LC, 378); tale affermazione è
probabilmente da mettere in rapporto con una testimonianza
dello stesso Gramsci in un articolo sull'«Avanti!» del
29 gennaio 1918, dove affermava di preparare la sua tesi di laurea
sulla storia del linguaggio (cfr L. Ambrosoli, Nuovi contributi agli «Scritti
giovanili» di Gramsci, in «Rivista storica del
socialismo», anno XI, n. 10, maggio-agosto 1960, pp.
545-50; cfr in particolare p. 549). Altri accenni a questo tema, che
però non sarà sviluppato direttamente, sono nel
Quaderno 3 (xx), § 63, e nel Quaderno 14 (1), § 14.