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1 Cfr Benedetto Croce, Recenti interpretazioni della teoria
marxistica del valore e polemiche intorno ad essa, in Materialismo
storico ed economia marxistica cit., p. 147, nota: «Permetta
il Graziadei ch'io noti che non è la prima volta ch'egli fa
scoperte, che sono poi equivoci. Alcuni anni fa, dibattendosi nella
rivista "La Critica Sociale" una polemica sulla teoria della
formazione del profitto nella dottrina del Marx, il Graziadei (vol.
IV, n. 22, 16 novembre 1894, p. 348) scriveva: "Noi possiamo
benissimo ideare una società, in cui, non già col
sopralavoro, ma col non lavoro esista il profitto. Se, infatti,
tutto il lavoro compiuto ora dall'uomo fosse surrogato dall'opera
delle macchine, queste, con una quantità di merci
relativamente piccola, ne produrrebbero una quantità
enormemente maggiore. Ora, dato un assetto capitalistico della
società, questo fatto tecnico offrirebbe la base al fatto
sociale, che la classe dominante, potendo godere per sé sola
la differenza tra il prodotto ed il consumo della macchina, verrebbe
a disporre di una eccedenza'di prodotti sul consumo dei lavoratori,
cioè di una sovraproduzione, cioè di un profitto,
molto più considerevole di quando alla produzione concorreva
ancora la debole forza muscolare dell'uomo". Ma qui il Graziadei
dimenticava di spiegare come mai potrebbero esistere lavoratori, ed
ottenersi profitto dal lavoro in una società ipotetica,
fondata sul non lavoro e in cui tutto il lavoro, già compiuto
dall'uomo, verrebbe compiuto dalle macchine. Che cosa farebbero ivi
i lavoratori? L'opera di Sisifo o delle Danaidi? Nella sua ipotesi,
i proletari o sarebbero mantenuti per carità della classe
dominante o finirebbero per isparire rapidamente, distrutti dalla
fame. Che se poi egli intendeva che le macchine producessero
automaticamente beni esuberanti per gli uomini tutti di quella
società, in tal caso faceva la semplice ipotesi del Paese di
Cuccagna».
2 Antonio Graziadei, Sindacati e salari, L. Trevisini, Milano 1929,
p. 10 [FG, C. carc., Turi III]. Citando in nota il libro di Croce,
Materialismo storico ed economia marxistica, Graziadei scriveva:
«L'occasione in cui ci troviamo di discutere talune idee del
Croce, ci offre lo spunto per un cenno anche alle critiche che egli
mosse ai nostri scritti giovanili. Abbiamo sempre pensato che le
polemiche intorno ai propri libri - specialmente quando questi siano
soltanto parte di un tutto - hanno un carattere incidentale e
negativo, che le rende generalmente sterili. Se un autore crede,
malgrado le obiezioni degli avversari, di avere esposto qualche
concetto vero ed utile, è meglio che impieghi il suo tempo
non già a difenderlo in astratto, ma a svilupparlo
concretamente in tutte le sue conseguenze. Poiché le opinioni
di un uomo come il Croce sono sempre degne della più profonda
attenzione, riteniamo che la migliore risposta alla maggior parte
delle sue osservazioni di allora sia costituita dai nostri ultimi
studi. In essi, se ci siamo occupati a lungo dei valori di scambio o
prezzi, abbiamo ancora una volta insistito sui problemi, in vista
dei quali è necessario associare alla visione per singole
imprese - nei cui rapporti è inevitabile il ricorso al valore
di scambio - la visione per totalità di imprese, ed abbiamo
dimostrato come la seconda visione implichi quella considerazione
dei prodotti sotto la sola specie di valori d'uso, che il Croce -
dimenticando che il concetto di valori d'uso è proprio esso
pure dell'Economia Politica - pretende stia addirittura al di fuori
del campo di quest'ultima. (Loc. cit., pag. 145-148). Quanto poi ai
rapporti tra il capitale cosiddetto "costante" ed il reddito
capitalistico, il nostro articolo giovanile da lui criticato si
è anch'esso allargato e trasfuso in varii volumetti e fra gli
altri in La teoria del valore ed il problema del capitale costante
(tecnico). Gli sviluppi in essi ottenuti stanno a confutare in una
maniera positiva quello che ci sembra un errore evidente del Croce
(Loc. cit., nota a pag. 147): l'opposizione aprioristica ad una
nostra ipotesi limite, per tentare di chiudere la porta ai fatti che
tale ipotesi - sia pure un po' grossolana - concorreva e concorre a
rendere più evidenti». Nel ms il titolo di questo
volume di Graziadei è indicato erroneamente come Capitale e
salari. Si tratta chiaramente di un lapsus, che qui si è
corretto nel testo. Nel libro di Graziadei Capitale e salari, che
è del 1928, e non del 1929, e che Gramsci aveva pure avuto in
carcere [FG, C. carc., Milano], non vi è nessuna polemica con
Croce. Questi stessi spunti polemici su Graziadei sono poi ripresi
anche nel Quaderno 7 (VII), § 23.
3 La scrittrice ungherese Cecilia de Tormay (1876-1937) - non
Tourmay, come scrive Gramsci — acquistò una certa
notorietà nel dopoguerra in seguito alla pubblicazione di un
diario, assai tendenzioso, sugli avvenimenti della rivoluzione
ungherese del 1918-1919. Il titolo del diario (Libro proscritto,
Bujdosò Kònyo) alludeva, con una sottolineatura un po'
melodrammatica, alla posizione della Tormay nell'Ungheria di quegli
anni. Sembra infatti che la scrittrice fosse ricercata dal governo
rivoluzionario di Béla Kun per l'attività da essa
svolta in appoggio alla reazione e a favore dell'intervento in
Ungheria degli eserciti dell'Intesa. La Tormay aveva fondato tra
l'altro, nel novembre 1918, «l'alleanza nazionale delle donne
ungheresi», associazione controrivoluzionaria che organizzava
soprattutto esponenti dell'aristocrazia. Il diario della Tormay,
pubblicato dopo la sconfitta del movimento rivoluzionario, divenne
assai popolare anche all'estero e fu ampiamente utilizzato in
funzione anticomunista. Di esso non sembra che vi sia stata una
traduzione italiana; ma è probabile che Gramsci avesse letto
qualche episodio del libro, pubblicato dalla stampa del tempo. Per
quanto riguarda l'episodio a cui in particolare si allude nel testo,
si tratta probabilmente di un fatto di cronaca avvenuto a Budapest
nei giorni della rivoluzione e che, nel diario della Tormay,
è narrato all'autrice dall'uomo che l'accompagna nella sua
fuga dalla capitale ungherese. Un giovane comunista si sarebbe
introdotto in un pensionato per giovanette di buona famiglia per
farvi propaganda in favore del libero amore (cfr Cécile de
Tormay, Scènes de la Revolution communiste en Hongrie. Le
livre proscrity Plon, Paris 1933, pp. 173-74).
4 La formula «pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della
volontà», ricorrente in tutti gli scritti di Gramsci,
è attribuita a Romain Rolland in un articolo
dell'«Ordine Nuovo» del 3-10 aprile 1920 (cfr ON, 400).
In un successivo articolo del io luglio 1920 Gramsci scriveva:
«La parola d'ordine: "pessimismo dell'intelligenza, ottimismo
della volontà" deve essere la parola d'ordine di ogni
comunista consapevole degli sforzi e dei sacrifizi che sono
domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di
militante nelle file della classe operaia» (ON, 404). Si veda
anche SF, 91. Sull'origine di questa formula cfr Alfonso Leonetti,
Pagine inedite di Romain Rolland sul martirio di Gramsci, in
«Rinascita», 20 giugno 1969 (anno XXVI, n. 25). Anche se
non è stato finora ritrovato il luogo esatto in cui Romain
Rolland avrebbe usata questa formula, appare fondata l'opinione di
Leonetti secondo cui «è possibile che l'espressione
impiegata da Gramsci a partire dall'aprile 1920 si trovi realmente
nelle opere di Rolland». Vi è anche un precedente a cui
forse si può risalire come probabile fonte di ispirazione
della definizione di Romain Rolland. In un libro di memorie di
Malwida von Meysenbug, con la quale Rolland era stato in rapporto di
amicizia e di collaborazione, si ricorda una definizione, data da
Burckhardt, della natura del popolo greco: «Pessimismus der
Weltanschauung und Ottimismus des Temperaments»; cfr Malwida
von Meysenbug, Der Lebensa-bend einer Idealistin, Schutter u.
Loeffler, Berlin-Leipzig 1898, p, 50. I riferimenti della Meysenbug,
che si basava su appunti di lezioni inedite del Burckhardt, trovano
riscontro, anche se con alcune varianti di forma, nell'edizione
postuma di queste lezioni: cfr Jakob Burckhardt, Griechische
Kulturgeschichtey II, Rutten u. Loening, Berlin s. d. (ma 1955), p.
363. Formule simili a quella gramsciana si trovano anche in scritti
di Francesco Saverio Nitti e di Benoit Malon: per il primo cfr la
segnalazione di Sergio Ca-prioglio, Gramsci, Rolland e F. S. Nitti,
in «Rinascita», 22 novembre 1974 (anno XXXI, n. 46), p.
31, e per il secondo le precisazioni di Maurizio Torrini, Gramsci,
Rolland e Benoit Malon, ivi, 17 gennaio 1075 (anno XXXII. n. 3), p.
31.