Q1§63

1 Cfr Benedetto Croce, Recenti interpretazioni della teoria marxistica del valore e polemiche intorno ad essa, in Materialismo storico ed economia marxistica cit., p. 147, nota: «Permetta il Graziadei ch'io noti che non è la prima volta ch'egli fa scoperte, che sono poi equivoci. Alcuni anni fa, dibattendosi nella rivista "La Critica Sociale" una polemica sulla teoria della formazione del profitto nella dottrina del Marx, il Graziadei (vol. IV, n. 22, 16 novembre 1894, p. 348) scriveva: "Noi possiamo benissimo ideare una società, in cui, non già col sopralavoro, ma col non lavoro esista il profitto. Se, infatti, tutto il lavoro compiuto ora dall'uomo fosse surrogato dall'opera delle macchine, queste, con una quantità di merci relativamente piccola, ne produrrebbero una quantità enormemente maggiore. Ora, dato un assetto capitalistico della società, questo fatto tecnico offrirebbe la base al fatto sociale, che la classe dominante, potendo godere per sé sola la differenza tra il prodotto ed il consumo della macchina, verrebbe a disporre di una eccedenza'di prodotti sul consumo dei lavoratori, cioè di una sovraproduzione, cioè di un profitto, molto più considerevole di quando alla produzione concorreva ancora la debole forza muscolare dell'uomo". Ma qui il Graziadei dimenticava di spiegare come mai potrebbero esistere lavoratori, ed ottenersi profitto dal lavoro in una società ipotetica, fondata sul non lavoro e in cui tutto il lavoro, già compiuto dall'uomo, verrebbe compiuto dalle macchine. Che cosa farebbero ivi i lavoratori? L'opera di Sisifo o delle Danaidi? Nella sua ipotesi, i proletari o sarebbero mantenuti per carità della classe dominante o finirebbero per isparire rapidamente, distrutti dalla fame. Che se poi egli intendeva che le macchine producessero automaticamente beni esuberanti per gli uomini tutti di quella società, in tal caso faceva la semplice ipotesi del Paese di Cuccagna».

2 Antonio Graziadei, Sindacati e salari, L. Trevisini, Milano 1929, p. 10 [FG, C. carc., Turi III]. Citando in nota il libro di Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, Graziadei scriveva:

«L'occasione in cui ci troviamo di discutere talune idee del Croce, ci offre lo spunto per un cenno anche alle critiche che egli mosse ai nostri scritti giovanili. Abbiamo sempre pensato che le polemiche intorno ai propri libri - specialmente quando questi siano soltanto parte di un tutto - hanno un carattere incidentale e negativo, che le rende generalmente sterili. Se un autore crede, malgrado le obiezioni degli avversari, di avere esposto qualche concetto vero ed utile, è meglio che impieghi il suo tempo non già a difenderlo in astratto, ma a svilupparlo concretamente in tutte le sue conseguenze. Poiché le opinioni di un uomo come il Croce sono sempre degne della più profonda attenzione, riteniamo che la migliore risposta alla maggior parte delle sue osservazioni di allora sia costituita dai nostri ultimi studi. In essi, se ci siamo occupati a lungo dei valori di scambio o prezzi, abbiamo ancora una volta insistito sui problemi, in vista dei quali è necessario associare alla visione per singole imprese - nei cui rapporti è inevitabile il ricorso al valore di scambio - la visione per totalità di imprese, ed abbiamo dimostrato come la seconda visione implichi quella considerazione dei prodotti sotto la sola specie di valori d'uso, che il Croce - dimenticando che il concetto di valori d'uso è proprio esso pure dell'Economia Politica - pretende stia addirittura al di fuori del campo di quest'ultima. (Loc. cit., pag. 145-148). Quanto poi ai rapporti tra il capitale cosiddetto "costante" ed il reddito capitalistico, il nostro articolo giovanile da lui criticato si è anch'esso allargato e trasfuso in varii volumetti e fra gli altri in La teoria del valore ed il problema del capitale costante (tecnico). Gli sviluppi in essi ottenuti stanno a confutare in una maniera positiva quello che ci sembra un errore evidente del Croce (Loc. cit., nota a pag. 147): l'opposizione aprioristica ad una nostra ipotesi limite, per tentare di chiudere la porta ai fatti che tale ipotesi - sia pure un po' grossolana - concorreva e concorre a rendere più evidenti». Nel ms il titolo di questo volume di Graziadei è indicato erroneamente come Capitale e salari. Si tratta chiaramente di un lapsus, che qui si è corretto nel testo. Nel libro di Graziadei Capitale e salari, che è del 1928, e non del 1929, e che Gramsci aveva pure avuto in carcere [FG, C. carc., Milano], non vi è nessuna polemica con Croce. Questi stessi spunti polemici su Graziadei sono poi ripresi anche nel Quaderno 7 (VII), § 23.

3 La scrittrice ungherese Cecilia de Tormay (1876-1937) - non Tourmay, come scrive Gramsci — acquistò una certa notorietà nel dopoguerra in seguito alla pubblicazione di un diario, assai tendenzioso, sugli avvenimenti della rivoluzione ungherese del 1918-1919. Il titolo del diario (Libro proscritto, Bujdosò Kònyo) alludeva, con una sottolineatura un po' melodrammatica, alla posizione della Tormay nell'Ungheria di quegli anni. Sembra infatti che la scrittrice fosse ricercata dal governo rivoluzionario di Béla Kun per l'attività da essa svolta in appoggio alla reazione e a favore dell'intervento in Ungheria degli eserciti dell'Intesa. La Tormay aveva fondato tra l'altro, nel novembre 1918, «l'alleanza nazionale delle donne ungheresi», associazione controrivoluzionaria che organizzava soprattutto esponenti dell'aristocrazia. Il diario della Tormay, pubblicato dopo la sconfitta del movimento rivoluzionario, divenne assai popolare anche all'estero e fu ampiamente utilizzato in funzione anticomunista. Di esso non sembra che vi sia stata una traduzione italiana; ma è probabile che Gramsci avesse letto qualche episodio del libro, pubblicato dalla stampa del tempo. Per quanto riguarda l'episodio a cui in particolare si allude nel testo, si tratta probabilmente di un fatto di cronaca avvenuto a Budapest nei giorni della rivoluzione e che, nel diario della Tormay, è narrato all'autrice dall'uomo che l'accompagna nella sua fuga dalla capitale ungherese. Un giovane comunista si sarebbe introdotto in un pensionato per giovanette di buona famiglia per farvi propaganda in favore del libero amore (cfr Cécile de Tormay, Scènes de la Revolution communiste en Hongrie. Le livre proscrity Plon, Paris 1933, pp. 173-74).

4 La formula «pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà», ricorrente in tutti gli scritti di Gramsci, è attribuita a Romain Rolland in un articolo dell'«Ordine Nuovo» del 3-10 aprile 1920 (cfr ON, 400). In un successivo articolo del io luglio 1920 Gramsci scriveva: «La parola d'ordine: "pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà" deve essere la parola d'ordine di ogni comunista consapevole degli sforzi e dei sacrifizi che sono domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di militante nelle file della classe operaia» (ON, 404). Si veda anche SF, 91. Sull'origine di questa formula cfr Alfonso Leonetti, Pagine inedite di Romain Rolland sul martirio di Gramsci, in «Rinascita», 20 giugno 1969 (anno XXVI, n. 25). Anche se non è stato finora ritrovato il luogo esatto in cui Romain Rolland avrebbe usata questa formula, appare fondata l'opinione di Leonetti secondo cui «è possibile che l'espressione impiegata da Gramsci a partire dall'aprile 1920 si trovi realmente nelle opere di Rolland». Vi è anche un precedente a cui forse si può risalire come probabile fonte di ispirazione della definizione di Romain Rolland. In un libro di memorie di Malwida von Meysenbug, con la quale Rolland era stato in rapporto di amicizia e di collaborazione, si ricorda una definizione, data da Burckhardt, della natura del popolo greco: «Pessimismus der Weltanschauung und Ottimismus des Temperaments»; cfr Malwida von Meysenbug, Der Lebensa-bend einer Idealistin, Schutter u. Loeffler, Berlin-Leipzig 1898, p, 50. I riferimenti della Meysenbug, che si basava su appunti di lezioni inedite del Burckhardt, trovano riscontro, anche se con alcune varianti di forma, nell'edizione postuma di queste lezioni: cfr Jakob Burckhardt, Griechische Kulturgeschichtey II, Rutten u. Loening, Berlin s. d. (ma 1955), p. 363. Formule simili a quella gramsciana si trovano anche in scritti di Francesco Saverio Nitti e di Benoit Malon: per il primo cfr la segnalazione di Sergio Ca-prioglio, Gramsci, Rolland e F. S. Nitti, in «Rinascita», 22 novembre 1974 (anno XXXI, n. 46), p. 31, e per il secondo le precisazioni di Maurizio Torrini, Gramsci, Rolland e Benoit Malon, ivi, 17 gennaio 1075 (anno XXXII. n. 3), p. 31.